lunedì 11 giugno 2012

L'Italia in coda al Monte dei Pegni. Ori e pellicce per pagare le bollette.



Roma - (Adnkronos) - La crisi cambia le abitudini anche al Monte dei Pegni. Ieri si impegnavano preziosi per andare in vacanza, oggi per fare fronte alle spese quotidiane e alle tasse. Qui si incontra quella parte della città che non riesce ad arrivare alla fine del mese. Difficile tracciare un identikit delle persone che si trovano allo sportello, ma il denominatore comune è sempre lo stesso, i soldi che non bastano. Il direttore Unicredit della sede storica della capitale all'Adnkronos: "Il lavoro non manca, un giorno ho dovuto chiudere in anticipo perché c'era troppa gente
Roma, 11 giu. (Adnkronos) - La crisi cambia le abitudini, anche al Monte dei Pegni. Ieri si impegnavano gioielli e pellicce per andare in vacanza, oggi per fare fronte alle spese quotidiane, a partire da bollette e tasse. Lo dicono soprattutto le testimonianze raccolte a piazza Monte della Pietà, nella sede storica di Roma. Massimo Satta, direttore Unicredit di Monte della Pietà a Roma, sintetizza con l'Adnkronos: "La struttura è depotenziata, potremmo fare di meglio, diciamo che potremmo assorbire altro personale''. Come dire, il lavoro non manca. ''Un giorno ho dovuto chiudere in anticipo perché c'era troppa gente- continua Satta - ma non è un fatto di crisi, questo è sempre stato un mondo a sè stante''. Secondo il direttore del Monte dei Pegni è difficile tracciare un profilo della clientela. ''Se anche il ricco imprenditore non è più ricco noi non lo sappiamo, per noi non è verificabile se i nuovi poveri siano in aumento''. In sostanza, non si vuole avallare la tesi che sia la crisi a far aumentare i carichi di lavoro. Ma il flusso di gente comunque è costante e continuo. ''Solo in quest'agenzia- spiega- si aprono circa centocinquanta polizze in una giornata, ma durante il periodo estivo o natalizio registriamo un aumento e il numero arriva anche a raddoppiare''. L'attività del vecchio palazzo, insiste Satta, non ha subito un particolare incremento con l'intensificarsi della crisi economica. ''Una credenza diffusa- dice- che non corrisponde alla verità, anche perché chi è veramente in difficoltà, non ha più oro da impegnare''.
Al Monte dei pegni si possono impegnare oro, argento e diamanti. Il metallo giallo, quotato giornalmente in borsa, è spesso considerato un bene di rifugio. Il prezzo di vendita dell'oro si aggira attorno ai quaranta euro al grammo e allo sportello della Unicredit gli estimatori lo valutano un quarto del valore rispetto a quello di mercato. Il finanziamento minimo è di sessanta euro e non c'è valutazione massima. ''Con le dovute autorizzazioni possiamo arrivare a rilasciare qualsiasi cifra'', sottolinea Satta. ''Con le leggi antiriciclaggio il problema è ciò che la persona farà con quel contante e, anche se la normativa non lo impone, è buon senso del tecnico informarsi sulla provenienza''. Il contratto normalmente ha una durata di tre mesi e può essere rinnovato fino ad un massimo di tre anni, ma l'oggetto può essere riscattato anche il giorno successivo. La banca trattiene il 10,4% di interesse annuo, troppo alto secondo alcuni. ''Sono strozzini- si sfoga una signora venuta a farsi valutare un orologio a carica d'oro- considerano solo il peso e non il valore. Mi volevano dare 13,50 euro al grammo. E' poco, anzi niente. Quand'è così te lo tieni. Gli interessi sono altissimi, forse è meglio andare dal gioielliere ma bisogna vedere, perché pure quelli? Non sai mai bene a chi ti affidi''.
Se entro trenta giorni dalla scadenza la polizza non viene estinta o rinnovata, il bene finisce all'asta. Alla vendita la banca recupera il credito e la differenza, al netto delle commissioni bancarie, spetta a chi ha impegnato i preziosi. La percentuale delle persone che non riscattano la polizza, dicono dal Monte dei Pegni, si aggira attorno al 7-8%. Non molti, come gli oggetti che alle aste pubbliche restano invenduti perché tanto ci sono sempre ''i soliti noti''. A partecipare infatti, pare ci siano pochi privati e molti operatori del settore. Un mercato che non conosce crisi. Sulla piazza si affacciano infatti diversi negozi 'Compro Oro''. Un fenomeno che ha registrato un aumento negli ultimi anni ''perché è un'attività nuova- afferma Satta- che ha avuto un periodo di boom, ma sembra che adesso si stia un po' sgonfiando. Anche perché, chi doveva legiferare a riguardo si è reso conto che la situazione andava tenuta più sotto controllo e quindi adesso sono stati inseriti dei paletti e reso più complessa la loro attività''. Sullo stesso marciapiede dei negozi regolari però, si possono incontrare anche persone che intercettano chi è venuto a vendere i propri preziosi. Propongono l'acquisto e offrono di più rispetto alla banca o al negozio. ''E' dal 1539 che a Roma girano queste persone'' chiosa Satta ''fanno dei compro oro abusivi ma non costringono nessuno. Se vediamo delle persone che presentano sempre oggetti qui da noi, di cui sospettiamo la provenienza, anche se non siamo obbligati ad entrare nel merito, li consideriamo come indesiderabili''.
Qui al Monte dei Pegni, nel cuore di Roma, si incontra quella parte di città che non ce la fa ad arrivare a fine mese. Una realtà quotidiana fatta di giovani madri e signore anziane che da sole non riescono a sostenere le spese. Sotto il portone di piazza della Pietà ogni giorno passano centinaia di persone, centinaia di storie che rispecchiano i cambiamenti sociali e culturali che stiamo vivendo. ''Quando sono arrivato al Monte- racconta Satta - mi è capitato di incappare in una signora che stava lasciando in pegno le sue fedi nuziali. Ero quasi commosso, così la collega dello sportello mi ha chiesto di avvicinarmi e a quel punto la signora mi ha spiegato che degli anelli dell'ex marito voleva solo disfarsene''. Una donna sui cinquanta, pantalone e giubbetto jeans, con commozione racconta di aver portato l'oro di famiglia per far fronte a delle spese impreviste, ''ma dal gioielliere non ci vado, a costo di fare sacrifici metto i soldi da parte e me li vengo a riprendere''. E' difficile tracciare un identikit delle persone che passano dagli sportelli del Monte dei Pegni, ma il denominatore comune è sempre lo stesso, i soldi che non bastano. Un problema di molti, forse oggi più di ieri.

Per i salvataggi europei l'Italia pagherà 48,2 ml




http://video.sky.it/news/economia/per_i_salvataggi_europei_litalia_paghera_482_mld/v123950.vid

On. Barbareschi ruba un telefono alle Iene. Ma i carabinieri non lo arrestano.

barbareschi internja nuova


Il deputato ex Pdl e produttore tv aggredisce una troupe che gli fa domande sui finanziamenti da parte della Rai. Distrugge una telecamera. E poi sottrae un telefonino con cui era stata ripresa la scena.

Da quattro ore lo ‘controllano’ sei unità della Stazione dei carabinieri di Casal Bertone, a Roma. Lui, all’interno di una fabbrica di via Giulio Verne, ai Monti Tiburtini, continua a fare il suo mestiere: sta girando “Mi fido di te”, serial Rai ambientato per metà a Roma e per l’altra metà in Cina. Chi è il lui in questione? Un regista e produttore cinematografico. Anzi, un parlamentare che fa il regista e il produttore cinematografico. Insomma: Luca Barbareschi, ex Pdl, ex Fli, ora gruppo misto dopo aver abbandonato il partito di Gianfranco Fini a pochi mesi dalla nascita. Cosa ha fatto? Ha distrutto una telecamere e rubato uno smartphone alla troupe delle Iene guidata da Filippo Roma. E a quanto pare non ha nessuna intenzione di restituirlo.
Tutto ha avuto inizio stamattina alle 11, subito dopo l’arrivo degli inviati della trasmissione di Italia 1 sul set del film. Normali domande alle maestranze, uno degli operai rivela che sul posto è presente Barbareschi e, neanche il tempo di nominarlo, il ‘produttore parlamentare’ va incontro alla troupe e succede il finimondo. “Gli abbiamo solo chiesto di questo rapporto tra cinema italiano e cinese, del tipo ‘complimenti, stai portando il cinema italiano in Cina’ e lui ci ha aggredito” ha detto Filippo Roma. Nessun accenno, quindi, ai finanziamenti della Rai alla sua creatura e al fatto che nel mese di maggio lui era praticamente assente in parlamento (si parla del 90 per cento di assenze, ndr). Forse non hanno fatto in tempo. A Barbareschi, infatti, sin da subito la presenza delle Iene non è andata giù. E ha reagito in malo modo. “Ha strappato dalle mani la telecamera all’operatore, l’ha scaraventata a terra, distruggendola, mi ha messo le mani in faccia e mi ha spinto. Poi ha iniziato ad apostrofarci in malo modo con termini irripetibili”. Non solo. Luca Barbareschi, infatti, prima di ritornare all’interno del set di “Mi fido di te”, ha visto Marco Occhipinti delle Iene con in mano il suo smartphone e, forse per eliminare ‘eventuali prove’ del misfatto, ha pensato bene di rubarlo e portarlo con sè all’interno. E di non restituirlo.
E sì, perché a questo punto gli inviati di Italia 1 non hanno potuto far altro che chiamare i carabinieri. Oltre ad aver distrutto la telecamera, del resto, Barbareschi si è impossessato di un cellulare contenente dati sensibili. Un furto vero e proprio. I carabinieri sono arrivati sul luogo della segnalazione, sono entrati all’interno del capannone, ma di riavere il telefonino neanche a parlarne. Dopo ore di attesa (e di trattativa con il parlamentare), un esponente delle forze dell’ordine (al momento sono presenti tre pattuglie, due auto in borghese e un’unità motociclistica) è uscito dall’edificio che ospita il set, è andato da Marco Occhipinti e gli ha chiesto una sorta di collaborazione per “localizzare” il telefonino rubato. “Una storia incredibile – ha detto Filippo Roma – Uno spiegamento di forze dell’ordine che neanche se avessero rapito Monti. certo, se il telefonino lo avesse rubato un marocchino lo avrebbero arrestato subito”. 
Intorno alle 18, inoltre, un’auto con a bordo Barbareschi è uscita dalla fabbrica di via Monti Tiburtini. All’interno – come ha scritto Giulia Innocenzi sul suo profilo Facebook – potrebbe esserci il telefonino di Marco Occhipinti e, quindi, il filmato dell’aggressione del parlamentare alla troupe delle Iene (sempre se le immagini non sono state cancellate da qualcuno). Se tutto ciò fosse vero – ma in tal senso non ci sono ancora conferme -, significherebbe che i carabinieri non sono riusciti a farsi restituire lo smartphone rubato.  

Il record dell’istituto per l’agroalimentare: avviate 36 pratiche in sette anni. - Caterina Perniconi

istituto per lo sviluppo dell'agroalimentare interna nuova

Costa oltre 5 milioni all'anno ed è una società partecipata al 100 per cento dal ministero, ma è sopravvissuta anche all'ultima sforbiciata del governo. Dal 2004 ha viaggiato al ritmo di 5 finanziamenti ogni anno. Ha 34 dipendenti e 4 sono dirigenti:l'ad, Annalisa Vessella, moglie di un deputato del Pid di Romano, è anche consigliera regionale in Campania.

Trentasei pratiche di finanziamento in sette anni. È questo il risultato del lavoro dell’Istituto per lo sviluppo Agroalimentare, società finanziaria partecipata al 100% dal ministero delle Politiche agricole. Difficile non catalogarlo tra gli enti inutili. Eppure è sopravvissuto anche all’ultima sforbiciata del governo di Mario Monti. Una resistenza difficile da giustificare in tempi di spending review per una mole di lavoro che potrebbe essere smaltita da un ufficio del ministero.
Trentaquattro dipendenti, 4 sono dirigenti
Entro questa settimana il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, dovrà rispondere in Aula a Montecitorio all’interpellanza urgente presentata dall’Italia dei valori che ha chiesto spiegazioni sull’eccessivo esborso di denaro pubblico.
All’Isa, infatti, ci sono 34 dipendenti (4 dirigenti, 16 quadri e 13 impiegati) e per i loro stipendi, più quelli di 7 collaboratori a progetto e dei vertici dell’Istituto, lo Stato paga ogni anno 5 milioni e 721 mila euro. Cioè una media di oltre 100 mila euro l’anno a compenso. L’obiettivo della società, con un capitale di 300 milioni, è quello di promuovere lo sviluppo agroindustriale con prestiti a tassi vantaggiosi per le imprese che possono restituirli in 10 anni. Una volta questo compito era svolto da Sviluppo Italia ma per volontà dell’allora ministro Gianni Alemanno poteri e soldi furono trasferiti sotto il controllo diretto del ministero di via Cristoforo Colombo. Che però finanzia una media di 20 milioni l’anno a una platea evidentemente ristretta di fruitori. “Le aziende che avrebbero bisogno di questo tipo di incentivi sono almeno 2500 – spiega il responsabile Agricoltura dell’Idv, Ignazio Messina – ma fonti interne all’istituto mi hanno confermato che quest’anno per ora gli interventi finanziati sono solo 3. Una situazione che grida vendetta”.
Amministratrice politica
Agli agricoltori, quindi, i soldi non arrivano ma c’è chi invece grazie all’Isa ne guadagna molti. Da luglio 2011 l’amministratore delegato della società è Annalisa Vessella, 140mila euro l’anno di stipendio base. Compenso che va ad aggiungersi a quello di consigliere regionale della Campania (che porta nelle sue tasche altri 115mila euro). Ma non si può notare un’altra coincidenza: la Vessella è moglie dell’onorevole Michele Pisacane, passato dall’Udeur di Clemente Mastellaall’Udc di Pierferdinando Casini fino al Pid con Saverio Romano. Proprio quel Romano – imputato per concorso esterno in associazione mafiosa – che a luglio scorso era ministro delle Politiche Agricole e che ha nominato amministratore delegato dell’Isa la Vessella. Ruolo fino a quel momento coperto dallo stesso presidente dell’Istituto, Nicola Cecconato, commercialista in quota Lega. Raggiungere l’amministratrice telefonicamente è stato impossibile. Bocche cucite anche tra i funzionari che hanno rivelato alle telecamere di La7 di aver ricevuto un’e-mail che li obbligava al silenzio.
Indennità triplicate
Ma il doppio stipendio della signora Vessella Pisacane non è l’unico a essere lievitato: nel 2011, prima del rinnovo estivo del Cda, il compenso spettante ai consiglieri uscenti dell’Isa ammontava a 25mila euro su base annua, tranne un’indennità aggiuntiva al presidente e all’amministratore delegato. In base a un decreto legge del 2010 le indennità dei Cda delle società interamente pubbliche dovevano essere ridotte del 10%, in questo caso a 22.500 euro. All’Isa è successo il contrario: l’assemblea ha “rideterminato i compensi su base annua prevedendo per i consiglieri uno stipendio da 80 mila euro”. Come se non bastasse, il Cda successivo ha attribuito a presidente e amministratore delegato indennità aggiuntive: 137.500 euro per il primo e 117.500 per la seconda “oltre al riconoscimento di un rimborso spese forfettario per alloggio ed auto pari a euro 55mila annui ciascuno”. L’irregolarità è stata denunciata dal Partito democratico in un’interrogazione parlamentare lo scorso anno che non ha mai avuto risposta. Oggi, alla luce dell’esiguo numero di finanziamenti arrivati alle aziende agricole, l’Idv ha chiesto al governo di riferire con urgenza. Anche sul perché – sebbene l’85% dei prestiti dovrebbero essere destinati al sud Italia – il bilancio 2011 rivela che per ora il 70% sono andati ad aziende del nord. “L’importanza di investire in imprese agricole è vitale per il Paese – conclude Messina – dobbiamo impedire di tenere in piedi un istituto costosissimo che non lo fa”.

Il futuro fra mercati e Stati-nazione. - Zygmunt Bauman



Se il dibattito sul modello di una società giusta ha perso gran parte del suo fervore e del suo slancio, è soprattutto per la mancanza di un soggetto credibile in grado di agire con la volontà e la capacità di portare avanti un tale progetto. Tutto nasce dal divorzio sempre più evidente tra il potere - la facoltà di porre in atto un progetto - e la politica - la capacità di decidere che cosa fare o non fare. In conseguenza della globalizzazione, queste due facoltà, congiunte per alcuni secoli nello Stato-nazione, hanno oggi due sedi diverse: per usare i termini di Manuel Castells, "lo spazio dei flussi" e quello "dei luoghi". Il potere è trasmigrato in buona parte dallo Stato-nazione a uno spazio globale sopranazionale.
Mentre la politica è tuttora locale, relegata entro i confini della sovranità territoriale degli Stati. Siamo di fronte a due tipi di potere: da un lato il primo, libero e fluttuante, al di fuori di ogni guida o supervisione politica, e dall'altro quello degli organismi politici, limitati e legati al territorio, mortificati oltre tutto da un permanente deficit di potere. I primi, i "poteri forti", hanno, come sospettiamo, le loro buone ragioni per non essere interessati né intenzionati riformare lo statu quo. Mentre i secondi sarebbero incapaci di intraprendere, e meno ancora di portare a buon fine una riforma, per quanto fortemente desiderata.

Nessuno degli organismi politici esistenti, ereditati dal passato e creati in origine al servizio di una società integrata a livello di Stato-nazione, avrebbe la capacità e le risorse necessarie per affrontare un compito di così grande portata e gravità. In molti Paesi, persino in quelli meglio attrezzati, i cittadini sono esposti giorno dopo giorno allo spettacolo poco edificante di governi che guardano ai mercati per ottenere il permesso di fare ciò che vorrebbero. Quando si tratta di negoziare sulla linea di confine tra ciò che è realistico e ciò che non lo è, oggi sono "i mercati" ad aver usurpato (non senza la connivenza, e magari il tacito o esplicito avallo e sostegno di governi inetti e sfortunati) il diritto alla prima e all'ultima parola. Ma il termine "mercati" sussume un coacervo di forze anonime, senza volto né indirizzo, che nessuno mai ha eletto né delegato a richiamarci all'ordine o a impedirci di combinare guai. E che nessuno è in grado di coartare, controllare e guidare.

A livello popolare si sta diffondendo l'impressione, peraltro ben fondata e sempre più condivisa dagli esperti, che oggi tanto i governi quanto i parlamenti eletti siano incapaci di far bene il loro lavoro. E neppure i partiti politici tradizionali sembrano all'altezza: è ben nota infatti la loro tendenza ad accantonare ogni poetica promessa elettorale nel momento stesso in cui i loro leader entrano in carica negli uffici ministeriali, e si trovano a confronto con la prosaica realtà delle forze evanescenti ma preponderanti del mercato e delle borse valori. Da qui la crisi di fiducia, che si approfondisce sempre più. L'era della fiducia nelle istituzioni degli Stati-nazione sta cedendo il passo a un'era di discredito di quelle stesse istituzioni, ormai prive di fiducia in se stesse, e di scetticismo dei cittadini, che non credono più nella capacità d'azione dei governi. L'Onu, un'istituzione sorta come reazione alla guerra scatenata dall'aggressione di alcuni Stati-nazione sovrani contro la sovranità di altri Stati-nazione, è l'istituzione che più si avvicina all'idea di un organismo politico globale. L'impegno a difendere a oltranza, con le unghie e con i denti, i princìpi del Trattato di Westfalia da cui nacquero gli Stati-nazione è scritto nella Carta delle Nazioni Unite. Il tipo di politica "internazionale" (leggi: inter-statale, inter-governativa, inter-ministeriale) che è tenuta a portare avanti, la sola che l'Onu sia autorizzata e in grado di promuovere e praticare, non può farci fare alcun passo in avanti sulla via di un'autentica politica globale; ma al contrario, costituirebbe un grandissimo ostacolo se mai si decidesse di avanzare su questa strada.

Vediamo ora la situazione dell'euro: l'assurdità di una moneta comune servita/sostenuta da diciassette ministri delle finanze, ciascuno dei quali è peraltro tenuto a rappresentare e difendere i diritti sovrani del proprio Paese. L'euro è condannato ad essere esposto alle vicende ondivaghe delle politiche locali, a loro volta soggette alle pressioni provenienti da due fonti distinte, del tutto eterogenee, non coordinate e quindi assai difficilmente conciliabili (l'elettorato entro i confini nazionali, e le istituzioni sopranazionali europee, troppo spesso condizionate ad agire in maniera contraddittoria): e questa è solo una delle molte manifestazioni di un duplice vincolo, paralizzante come una morsa: da un lato il fantasma del Trattato di Westfalia col suo principio di sovranità degli Stati, dall'altro la realtà della dipendenza a livello globale, o anche solo sopranazionale.

Per dirla in due parole: non abbiamo ancora l'equivalente, l'omologo globale delle istituzioni inventate, progettate e poste in essere dai nostri nonni e bisnonni a livello territoriale di Stato-nazione, per suggellare il matrimonio tra potere e politica: istituzioni nate per servire la coesione e il coordinamento di opinioni e interessi diffusi e garantire una loro adeguata rappresentanza, riflessa in una legislazione vincolante per tutti. Resta solo da chiedersi se questa sfida potrà essere raccolta, se questo compito potrà essere affrontato dalle istituzioni politiche esistenti, create dopo tutto per un livello assai diverso dell'integrazione umana - quello dello Stato nazione - al fine di proteggerlo da ogni possibile intrusione "dall'alto". Tutto è iniziato - è il caso di ricordarlo - dai poteri monarchici dell'Europa cristiana, in lotta contro la pretesa dei Papi di controllare i loro territori...

Per alcuni secoli, l'assetto così ereditato era in relativa sintonia con le realtà di quel tempo: un tempo in cui potere e politica erano reciprocamente legati a livello degli Stati-nazione nascenti; il tempo della Nationalökonomie (economia nazionale) e della Ragione identificata con la raison d'état.

Oggi tutto questo è cambiato. La nostra interdipendenza è fin d'ora globale, mentre i nostri strumenti di espressione della volontà e di azione collettiva rimangono locali, e si oppongono caparbiamente a ogni estensione, limitazione o interferenza. Il divario tra la portata dell'interdipendenza e la sfera d'azione delle istituzioni responsabili è già un abisso, che si approfondisce e si allarga ogni giorno di più. A mio parere, il superamento di quest'abisso rappresenta la grande sfida, il meta-challenge del nostro tempo. Questa dovrebbe essere la prima preoccupazione per i cittadini del XXI secolo. Se questa sfida verrà raccolta adeguatamente, si potranno affrontare anche le problematiche minori ma ineludibili che ne derivano con la necessaria efficacia e serietà. 



http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-futuro-fra-mercati-e-stati-nazione/

Fontana di Trevi «a pezzi» cadono frammenti di cornicione.

ROMA - Alcuni frammenti di stucchi sono caduti a terra dal cornicione laterale sinistro di Fontana di Trevi. I pezzi staccati dall'alto a pochi metri dal passeggio di turisti e i romani, hanno riservato una brutta sorpresa alla città sabato notte e lanciato l'allarme per i Beni Culturali.
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LA SCENA DEL MARE - Fontana di Trevi, la più grande e forse la più celebre delle fontane della capitale, ha perso dei pezzi dalle decorazioni poste sopra i finestroni laterali di sinistra della scenografia del mare che vede al centro la statua del Dio Oceano e ai lati le statue della Salubrità e dell'Abbondanza. La Fontana progettata nel 1731 dall'architetto Nicola Salvi su commissione del papa Clemente XII, raccorda influenze barocche, soprattutto berniniane, al nuovo classicismo monumentale tipico del pontificato dell'epoca. Ma la fontana che si vede ora prese il posto di una precedente costruzione strettamente collegata a quella dell'acquedotto Vergine, che risale ai tempi dell'imperatore Augusto (I secolo d.c.) , quando Marco Vespasiano Agrippa fece arrivare l'acqua corrente fino al Pantheon ed alle sue terme.
Fontana di Trevi «a pezzi», cadono frammenti di cornicioneFontana di Trevi «a pezzi», cadono frammenti di cornicione    Fontana di Trevi «a pezzi», cadono frammenti di cornicione    Fontana di Trevi «a pezzi», cadono frammenti di cornicione    Fontana di Trevi «a pezzi», cadono frammenti di cornicione    Fontana di Trevi «a pezzi», cadono frammenti di cornicione
«LA NEVE» - «Dalle prime ore della mattina di domenica sono intervenuti gli esperti per recuperare i frammenti, ricostruire l'accaduto e mettere in sicurezza l'area. «E' un intervento dovuto» ha detto il sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale, Umberto Broccoli. «C'è qualche distacco degli stucchi, probabilmente è uno dei regali della neve caduta in febbraio a Roma». L'intervento di messa in sicurezza prevede transenne intorno alla parte interessata e il proseguimento dei lavori nella giornata di lunedì anche a destra della fontana. «Ho dato mandato agli uffici della sovrintendenza capitolina di intervenire immediatamente», ha dichiarato l'assessore alla Cultura di Roma Capitale, Dino Gasperini spiegando che l'intenzione è di «effettuare la realizzazione del restauro nel più breve tempo possibile. I frammenti recuperati già sabato sera sono stati portati a Palazzo Braschi e l'area è stata messa subito in sicurezza - prosegue - Domenica mattina gli uffici di Roma Capitale sono intervenuti nuovamente per verificare la situazione attraverso l'utilizzo di un cestello elevatore e sono stati rimossi altri frammenti che non si erano ancora staccati dal monumento». Le operazioni, con la fontana priva d'acqua, riprenderanno lunedì domattina. «Ai lavori, anche in chiave previsionale, ho chiesto di dare naturalmente il carattere della somma urgenza e quindi di valutare non solo l'oggetto del distacco ma l'intero prospetto dell'opera. Vogliamo, dopo questa prima fase, andare fino in fondo ed effettuare la realizzazione del restauro nel più breve tempo possibile».
La scena del film La Dolce Vita con Mastroianni e la EkbergLa scena del film La Dolce Vita con Mastroianni e la Ekberg
LA DOLCE VITA - Fontana di Trevi è stata resa famosa anche dalla scena del film di Federico Fellini, la Dolce Vita, quando Marcello Mastroianni insegue Anita Ekberg che si immerge nelle acque della vasca in piena notte.

domenica 10 giugno 2012

Requisitoria Cuffaro, il Pg: evitò l’arresto di Provenzano e Messina Denaro. - Silvia Cordella


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Totò Cuffaro - u zu vasa-vasa - mr. coppola - mr. cannolo siciliano.
Tredici anni di carcere. È quanto ha chiesto il procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio nella sua requisitoria contro l’ex Presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Una pena “giusta”, commenta il pg, senza “accanimento” da parte dello Stato che tiene conto delle ragioni umane per un imputato già condannato, quindi da scontare in continuazione con la condanna a sette anni incassata dal politico in via definitiva per favoreggiamento alla mafia.
Non usa mezzi termini Patronaggio per spiegare le motivazioni a monte della sua richiesta: “L’apporto del politico a Cosa Nostra è stato volontario e consapevole”, avendo agito “nella piena consapevolezza della mafiosità di Giuseppe Guttadauro, dei Mandalà di Villabate e di Michele Aiello”. I fatti parlano chiaro e vanno oltre il solo favoreggiamento poiché passando notizie riservate su indagini in corso Salvatore Cuffaro “ha fornito notizie fondamentali per la sopravvivenza di Cosa Nostra, ha evitato che Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro venissero arrestati,  permettendo alla mafia di Villabate di riorganizzarsi e ad Aiello di continuare ad arricchirsi ai danni della pubblica amministrazione”. Cuffaro, che nel ’91 entrava in politica stringendo le mani ad Angelo Siino, punto di riferimento del ‘tavolino degli appalti’ in Sicilia, ha “tradito” lo Stato e il suo patto con i cittadini, dunque, avverte Patronaggio, quando Cuffaro vasa vasa affermava che in buona fede baciava tutti senza sapere chi fossero, non bisogna farsi ingannare. Tra quelle persone c’erano degli assassini. “Lo ha stabilito la Cassazione e su questo non possiamo tornare indietro”. Il Procuratore si è poi soffermato sull’aspetto più oscuro di tutta l’inchiesta che ha portato all’arresto delle due talpe istituzionali che facevano trapelare le informazioni degli uffici giudiziari all’esterno, i marescialli Giuseppe Ciuro, della Dia, e Giorgio Riolo, del Ros. “Che motivo aveva Cuffaro di mettere in piedi questa macchina infernale che aveva contatti a Roma, Palermo e nei carabinieri? E’ una cosa che fa accapponare la pelle”. Contatti che avevano permesso a Cosa Nostra di sapere in anticipo che il capo mandamento di Brancaccio, cognato del latitante Matteo Messina Denaro, era sotto osservazione e che Michele Aiello era stato nominato dal pentito Giuffrè quale braccio economico di Provenzano ed in ultimo, che i due carabinieri erano stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo per i loro rapporti con Aiello. Notizia corrispondente alla realtà ma che poteva essere rivelata solo da una spia all’interno della Procura e dei palazzi ministeriali romani in quanto entrambi registrati con nomi di copertura. Ed è qui che il Pg contesta l’assoluzione di Cuffaro in primo grado per “ne bis idem” da parte del giudice Anania. “Siamo di fronte – ha detto Patronaggio – ad un gravissimo scambio politico – mafioso. Ci sono fatti nuovi – ha aggiunto -. Abbiamo cercato di leggere il materiale probatorio in maniera unica senza parcellizzazione. Questo lavoro il gup non l’ha fatto. Il giudice non ha dedicato una sola riga per spiegare chi era Michele Aiello e i suoi rapporti con Provenzano. Non ha dedicato una sola riga alla rete di talpe. Siamo di fronte a quegli episodi gravissimi che rendono invincibile il potere mafioso. Questa rete non serviva ad Aiello solo per trovatore voti, ma le informazioni servivano per proteggere Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro - ha concluso -. In questa rilettura dei rapporti fra Cuffaro e Aiello, Lo Verso avrebbe potuto aggiungere elementi importanti”. Ma l’audizione del collaboratore di giustizia che avrebbe confermato le dichiarazioni del pentito Francesco Campanella sui suoi rapporti con Cuffaro e tra questi con Guttadauro, Aiello e i due sottufficiali, non è stata ammessa dalla Corte. Infine, Patronaggio ha citato l’apporto dichiarativo di Massimo Ciancimino sul contributo offerto in qualche modo da Cuffaro a Provenzano nel settore della sanità e della grande distribuzione, anche se – ha detto -  “mi fa venire l’orticaria pensare che Ciancimino sia stato arrestato per avere calunniato il capo della polizia”. L’udienza è stata così rinviata al 16 giugno per le arringhe della difesa, la Corte presieduta da Biagio Insacco il 18 dovrebbe emettere la sentenza.