domenica 17 giugno 2012

Margherita, assemblea sul bilancio dopo Lusi. Parisi contro Rutelli: “Un golpe”.

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L'organo dell'ex partito si riunisce a Roma per la prima volta dopo lo scandalo dei fondi fatti sparire dall'ex tesoriere. L'esponente prodiano lascia polemicamente l'auditorium: "Voglio vedere i conti. Se questa è la politica, meglio l'antipolitica". L'ex sindaco di Roma: "Siamo stati ingannati, restituiremo tutto". La società che ha studiato i bilanci: "Uscite irregolari e non documentate per 26 milioni". Approvato lo scioglimento della formazione politica da tempo confluita nel Pd.

Uno dei fondatori, Arturo Parisi, se ne è andato via subito parlando di “colpo di Stato”. La richiesta di aprire le porte ai giornalisti è stata respinta. Il presidente Francesco Rutelli ha promesso che i soldi rimasti in cassa saranno restituiti alle casse pubbliche. E’ iniziata così all’auditorium Manzoni di Roma l’assemblea federale della Margherita, chiamata per la prima volta a discutere il bilancio dopo lo scandalo che ha travolto l’ex tesoriere Luigi Lusi, accusato di appropriazione indebita per aver fatto sparire per uso personale decine di milioni di euro presi dai rimborsi elettorali. Ed è finita, intorno alle 16, con la decisione formale di sciogliere il partito e di mettere in liquidazione il suo patrimonio. 
La vigilia è stata segnata dagli attacchi contro il gruppo dirigente del partito (in realtà “chiuso” nel 2007 per confluire nel Pd), rappresentato in particolare da Francesco Rutelli ed Enzo Bianco, accusati di voler gestire in proprio, senza la minima trasparenza, il caso dei soldi scomparsi. Soldi per la grande maggioranza pubblici, frutto dei rimborsi elettorali erogati dallo Stato. 
Intanto la società KStudio Associato, incaricata di controllare i conti del partito, certifica che ammontano a oltre 26 milioni le uscite non documentabili e irregolari nei bilanci della Margherita curati da Lusi: “I dati più significativi emersi dal nostro lavoro – ha spiegato l’avvocato Vincenzo Donnamaria – sono l’esclusivo accentramento nella carica del Tesoriere di tutti i poteri amministrativi, una sostanziale debolezza dei sistemi di controllo e l’incredibile ricorso a pagamenti effettuati senza documentazione di supporto, che ci hanno portato ad evidenziare per il solo periodo 2007/2010 un ammontare di oltre 12,7 milioni di euro di costi anomali che uniti ai circa 13,6 milioni di fatture portano a oltre 26,3 milioni di uscite irregolari. Il tutto senza considerare le ulteriori uscite ‘irregolarì del 2011, che ammontano a circa un milione”.
La partita è stata però soprattutto politica. “Le conclusioni di questa assemblea sono già prefissate, si impedisce ogni verifica e confronto, se fossimo in Parlamento si potrebbe parlare senza forzature di colpo di Stato”, ha affermato Parisi lasciando l’assemblea federale . ”Rutelli si è limitato a scusarsi per il fatto che ci sia stato poco tempo per l’organizzazione e per l’invio delle convocazioni stesse, ma guarda caso mancano fondamentalmente gli oppositori”. L’ex ministro, vicinissimo a Romano Prodiha ribadito di non aver mai ricevuto copie del bilancio del partito e ha concluso: “In questa storia non abbiamo perso solo noi, ma tutti i cittadini che si sono riconosciuti nella Margherita e ora vedono il simbolo associato a questa vergogna”.
All’inizio della sua relazione, il presidente Rutelli ha affermato che la Margherita è stata “ingannata” e restituirà tutto allo Stato. “I liquidatori del partito – ha promesso- potranno ricevere un mandato gratificante: devolvere ordinatamente denaro e beni che potranno superare i venti milioni di euro”. Riguardo allo scandalo che ha travolto l’ex partito, ”non intendo sottrarmi a nessuna responsabilità”, ha precisato l’ex sindaco di Roma, “e anzi intendo contribuire ad accertare tutta la verità perché bisogna difendere l’onorabilità della Margherita, un partito di persone per bene che hanno servito l’interesse pubblico con dedizione e non di rado con sacrificio”.
Rutelli ha anzi affermato di voler “ringraziare per bravura, professionalità e dedizione i magistrati, la Guardia di Finanza e la Banca d’Italia perché hanno permesso di arrivare alla verità sul caso Lusi”. E ha definito il senatore, sul cui arresto il Senato decide il 20 giugno, il “tesoriere infedele che ha danneggiato tremendamente questa formazione politica. L’errore sulla persone è evidente: Lusi aveva una doppia personalità, ma l’uomo si manifestava scrupoloso ed intransigente. Solo oggi resta il suo secondo volto: dal rifiuto di ammettere tutti i misfatti e di restituire il maltolto, all’attività di allusiva aggressione e velenoso inquinamento”. Rutelli ha voluto sottolineare che Lusi era affidabile “anche per il Pd”. 
Tornado ai bilanci, Rutelli ha ribadito di non essersi “mai messo in tasca un centesimo per mio tornaconto personale”. E ha ricordato che negli ultimi cinque anni le spese senza rendiconto ammontano a oltre 13 milioni di euro: “In parte assai consistente – ha aggiunto – sono risorse già tracciate dalla Magistratura, che ha posto sotto sequestro beni acquistati con tale denaro e contanti depositati in istituti di credito. Solo nei prossimi mesi – ha concluso – sarà possibile disporre di un risultato compiuto sulle destinazioni illecite, ma è una verità cui, siamo certi, arriveremo: arrivarci subito sarebbe semplice, basterebbe che l’ex tesoriere dicesse finalmente di quanti soldi si è impadronito e dove li ha destinati”.
Nel corso della seduta si è votato sulla validità dell’assemblea stessa: su 114 delegati votanti sono stati 109 i sì. C’è stato un solo voto contrario, 4 gli astenuti. Arturo Parisi e Luciano Neri, tra quelli che hanno sollevato i dubbi sulla validità della riunione di questa mattina, non hanno partecipato al voto.
Né il voto né l’intervento di Rutelli hanno però convinto Arturo Parisi, che dopo aver lasciato l’auditorium è tornato alla carica con toni durissimi: “Troppi i partecipanti che pur avendone titolo erano oggi assenti. Troppi quelli che pur privi di un titolo politico plausibile erano oggi presenti. A cominciare dal Presidente Rutelli”. E sulla vicenda Lusi “sembrava giunto il momento per continuare finalmente in pubblico il dibattito sulle cause politiche che hanno prodotto il più grande e scandaloso saccheggio politico che si ricordi”. Invece, lamenta Parisi, “la decisione di chiudere le porte alla stampa riportando in privato la vicenda svolta finora in pubblico dai principali attori si rivelerà presto una pericolosa illusione”. Conclusione: “Come già altre scelte sciagurate di questi ultimi giorni, la vicenda Lusi è destinata a fare della politica malata il principale motore dell’antipolitica. Se questa fosse tuttavia la politica, viva l’antipolitica“.
Così si è consumato l’ultimo giorno di vita del partito nato nel 2000 nell’onda lunga della diaspora democristiana. Al termine dell’assemblea federale, con 82 voti favorevoli, 8 contrari e 4 astenuti, il bilancio del partito per il 2012 è stato approvato insieme a un documento, proposto da Rutelli, documento che decreta la fine della Margherita.

Terremoto Abruzzo, i soldi degli Sms imboscati dalle banche. - Emiliano Liuzzi


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Gira e rigira sono finiti alle banche i 5 milioni di euro arrivati via sms dopo il terremoto dell’Aquila sotto forma di donazione. E la loro gestione è stata quella prevista da qualsiasi rapporto bancario: non è bastata la condizione di “terremotato” per ricevere un prestito con cui rimettere in piedi casa o riprendere un’attività commerciale distrutta dal sisma. Per ottenerlo occorreva – occorre ancora oggi – soddisfare anche criteri di “solvibilità”, come ogni prestito. Criteri che, se giudicati abbastanza solidi, hanno consentito l’accesso al credito, da restituire con annessi interessi. I presunti insolvibili sono rimasti solo terremotati. Anche se quei soldi erano stati donati a loro. Il metodo Bertolaso comprendeva anche questo. È accaduto in Abruzzo, appunto, all’indomani del sisma del 2009. Mentre Silvio Berlusconi prometteva casette e “new town”, l’ex numero uno della Protezione civile aveva già deciso che i soldi arrivati attraverso i messaggini dal cellulare non sarebbero stati destinati a chi aveva subito danni, ma a un consorzio finanziario di Padova, l’Etimos, che avrebbe poi usato i fondi per garantire le banche qualora i terremotati avessero chiesto piccoli prestiti. E così è stato. Le donazioni sono confluite in un fondo di garanzia bloccato per 9 anni. Un fondo che dalla Protezione civile, due mesi fa, è stato trasferito alla ragioneria dello Stato. La quale, a sua volta, lo girerà alla Regione Abruzzo. E di quei 5 milioni i terremotati non hanno visto neanche uno spicciolo. Qualcuno ha ottenuto prestiti grazie a quel fondo utilizzato come garanzia, ma ha pagato fior di interessi e continuerà a pagarne. Altri il credito se lo sono visto rifiutare.
L’emergenza
Bertolaso
, allora, aveva pieni poteri. Come capo della Protezione civile, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma soprattutto nella veste di uomo di fiducia del premier Silvio Berlusconi. I primi soldi che Bertolaso si trovò a gestire furono proprio i quasi 5 milioni donati dagli italiani con un semplice messaggio del cellulare. Ma lui, “moderno” nella sua concezione di Protezione civile, decise che i milioni arrivati da tutta la penisola sarebbero stati destinati al post emergenza e alle banche, non all’emergenza. Questo aspetto non venne specificato al momento della raccolta, ma Bertolaso avevailpoteredidecidere a prescindere. Spedì poi un suo emissario alla Etimos di Padova, consorzio finanziario specializzato nel microcredito, che raccoglie al suo interno, attraverso una fondazione, molti soggetti di tutti i colori, da Caritas a Unipol.
I numeriQuello che è successo in questi 3 anni è molto trasparente, al contrario della richiesta di donazione via sms che non precisò a nessuno dove sarebbero finiti i soldi. Nemmeno a un ente, la Regione Abruzzo che, paradossalmente, domani potrebbe usare quei soldi per elicotteri o auto blu. La Etimos, accusata nei giorni scorsi su alcuni blog di aver gestito direttamente il patrimonio, ci ha sì guadagnato, ma non fatica ad ammettere come sono stati usati i soldi: dei 5 milioni di fondi pubblici messi a disposizione del progetto dal dipartimento della Protezione civile, 470 mila euro sono stati destinati alle spese di start-up e di gestione del progetto, per un periodo di almeno 9 anni; 4 milioni e 530 mila euro invece la cifra utilizzata come fondo patrimoniale e progressivamente impiegata a garanzia dell’erogazione dei finanziamenti da parte degli istituti di credito aderenti. Intanto sono state 606 le domande di credito ricevute (206 famiglie, 385 imprese, 15 cooperative). Di queste 246 sono state respinte (85 famiglie, 158 imprese, 3 cooperative) mentre 251 sono i crediti erogati da gennaio 2011 a oggi per un totale di 5.126.500 euro (famiglie 89/551mila euro, imprese 153/4 milioni 233mila e 500 euro, cooperative 9/342mila euro). Infine 99 domande sono in valutazione (68 famiglie, 28 imprese, 3 coop).
Gli aiuti e le bancheAl termine dell’operazione quello che è successo è semplice: i soldi che le persone hanno donato sono serviti a poco o a niente. Non sono stati un aiuto per l’emergenza, ma – per decisione di Bertolaso – la fase cosiddetta della post emergenza. Che vuol dire aiuti sì, ma pagati a caro prezzo. Le persone si sono rivolte alle banche (consigliate da Etimos, ovviamente) e qui hanno contrattato il credito. Ma chi con il terremoto è rimasto senza un introito di quei soldi non ha visto un centesimo. Non è stato in grado neppure di prendere il prestito perché giudicato persona a rischio, non in grado di restituire il danaro.
Che fine han fatto gli sms?I terremotati sono stati praticamente esclusi. Se qualcosa hanno avuto lo hanno restituito con un tasso d’interesse inferiore rispetto agli altri, ma pur sempre pagando gli interessi. Chi ha guadagnato sono le banche, sicuramente, e la Regione Abruzzo che, al termine dei 9 anni stabiliti, si troverà nelle casse 5 milioni di euro in più. Vincolati? Questo non lo sappiamo. Ne disporrà come meglio crede, sono soldi che entreranno nel bilancio.
La posizione di EtimosFino a oggi, scoperto il metodo Bertolaso, il consorzio finanziario Etimos si è preso le accuse. Ma il presidente dell’azienda padovana al Fatto Quotidiano spiega che il loro è stato un lavoro pulito e trasparente. “Se qualcuno ha mancato nell’informazione”, dice il presidente Marco Santori, “è stata la Protezione civile che doveva precisare che i soldi erano destinati al post emergenza e non all’aiuto diretto. Noi abbiamo fatto con serietà e il risultato è quello che ci era stato chiesto”.
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sabato 16 giugno 2012

DURA LEX ... sed lex. - Claudia Petrazzuolo


Catullus at Lesbia’s by Sir Laurence Alma Tadema. 1836-1912. 1865

POMPEA …
Allora, succede che un cittadino viene interrogato da un magistrato su di un determinato fatto; e succede anche che egli non convinca, con le sue dichiarazioni, il suddetto magistrato; succede quindi che egli, essendosene reso conto e una volta  uscito dagli uffici preposti, telefoni ad un suo referente superiore, diciamo così, in grado e tra le altre cose oggetto della conversazione gli faccia capire che potrebbe essere molto pericoloso se si convincesse di essere stato abbandonato nelle mani della giustizia. Succede poi che questo referente telefoni al capo dei magistrati indagatori e che questi, strana coincidenza, si rifiuti di firmare la chiusura degli atti accusatori che riguardano anche quel cittadino indagato il quale, a sua volta e rinfrancato, si faccia soggetto di ulteriori lamentele per il trattamento a cui è stato sottoposto … .
Ora, se il cittadino fosse un qualsiasi Gennaro Esposito, Mario Rossi, Elvidio Padovan, Rocco Barbera italiano, quello stesso cittadino sarebbe stato preso a calci da chiunque e defenestrato da, quale che fosse il suo lavoro, ma siccome quel cittadino altri non era che il sen. Mancino (ex Dc, ex presidente del senato, ex ministro della giustizia, ex parlamentare, ex politico, ex e basta) ed il suo referente altri non era che il nostro caro ed amato presidente della repubblica on Giorgio Napolitano (ex comunista, ex compagno, ex presidente del senato, ex politico, ex parlamentare, ma tutt’ora senatore a vita) niente di quanto sopra è successo e, non solo, ciascuno dei protagonisti di ogni protervia e prepotenza possibile ha fatto carriera in santa pace mentre quelli che cercavano (notate bene: cercavano)  solo di fare il loro dovere hanno trovato la strada intrapresa offesa da mille problemi, cavilli, ostacoli trasferimenti e via dicendo.
Si narra ( narratur dicevano i romani ) che la moglie di Cesare fosse oggetto delle attenzioni amorose del giovane Clodio e non ne fosse affatto dispiaciuta; Clodio, un bel giorno fu trovato da Cesare nella propria magione mentre partecipava alle celebrazioni in onore di una dea vestito da donna essendo quella, una festa, cui era permesso solo alle donne partecipare; giacché era presente anche sua moglie il dittatore, sovrano, duce, imperatore, presidente romano la ripudiò senza pensarci su due volte. A chi, successivamente gli domandava se la moglie lo aveva tradito Cesare giurava e spergiurava come questo EGLI non potesse affermarlo e quando qualcuno, poi, gli chiedeva perché, allora, l’avesse ripudiata, Cesare, si chiude così la narrazione, rispondesse che: “ LA MOGLIE DI CESARE NON DEVE SOLO ESSERE INNOCENTE, MA DEVE ANCHE APPARIRE INNOCENTE … “.
Il diritto, le leggi, in un parola sommaria e troppo spesso abusata e travisata, la giustizia romana in ogni parte del mondo occidentale ha fatto scuola e/o ha dato insegnamenti, comunque, alla base dei codici civili e penali di ogni stato, ma, incredibile dictu, pur avendo assolto a questo compito in questo benedetto/maledetto paese, essa e qui, è quotidianamente bistrattata, maltrattata, elusa, aggirata, raggirata, ferita e calpestata: dai detentori del potere ed a discapito degli inermi cittadini i quali, avendolo capito, si stanno lentamente ma inesorabilmente rassegnando alla cosa.
In questo paese, benedetto/maledetto da Dio, non solo la moglie di Cesare non appare innocente, ma viepiù se è addirittura colpevole se ne fa un motivo di vanto, se ne serve per fare carriera profittando del fatto che a cominciare da Cesare e dai suoi accoliti, ciascuno è colpevole di qualcosa, ciascuno è ricattabile per qualcosa, ognuno, quindi, sarà disposto a dare per poi pretenderne favori, potrà di conseguenza prevaricare, subornare,  violentare il diritto ed in ultima analisi, far si che la giustizia lasci pendere la sua bilancia ora da un lato ora dall’altro in funzione del favorito di turno.
Cesare dopo Pompea sposò Calpurnia. La storia non ci dice se questa quarta moglie dell’augusto imperatore fosse una santa o una donna normale con vizi e difetti, ma non cita però una quinta moglie il che vuol dire solo due cose:
a)     Che Cesare si fosse, alla fine rassegnato, all’ineluttabile caducità della morale umana,
b)     Che la lezione inflitta a Pompea fosse stata sufficiente a far cambiare le cose.
Perciò, secondo Voi, quando le brave persone da noi elette al prossimo parlamento o, Dio ce ne guardi, queste presenti oggi a scaldare gli scranni dei colli romani, avranno eletto il prossimo Presidente della Repubblica (ora scritto in maiuscolo) noi osservatori/elettori/semplici cittadini ci ritroveremo nella OPZIONE A o nella OPZIONE B ?
IO, fossi in Voi, sarei molto, ma molto, ma proprio molto, preoccupata …. !!!! .

Grecia, la sfida di Tsipras. - Federica Bianchi.


Alexis Tsipras
Alexis Tsipras
Giovane, idealista, carismatico, il leader della sinistra radicale ha rotto il duopolio di socialisti e conservatori che reggeva la politica di Atene. E, in vista delle elezioni, ha sfoderato un’inattesa dose di realismo.
Sguardo intenso e sorriso seducente, Alexis Tsipras, 38 anni il mese prossimo, è la crasi perfetta di virtù e fortuna. Il suo messaggio politico anti-establishment e anti-capitalismo selvaggio unitamente alla sua controllata ma contagiosa esuberanza ha trovato nella profonda crisi dell’Unione europea l’humus ideale da cui partire per fare presa nel cuore della gente. Così nel giro di una manciata di settimane questo giovane leader di Siriza, la coalizione parlamentare della sinistra radicale, è passato dall’essere un oscuro parlamentare di estrazione comunista a principale candidato per la poltrona di primo ministro della Grecia nelle elezioni del 17 giugno. A lui, nato quattro giorni dopo la caduta del regime dei Colonelli nel 1974, potrebbe toccare il compito di scardinare il sistema politico che ha governato la terza Repubblica greca durante tutta la sua giovane vita.
Un sistema democratico ma corrotto, basato su un tacito accordo tra la popolazione e due famiglie semidinastiche – i Papandreou i Karamanlis - che lasciava a queste ultime e ai potenti armatori del Paese carta bianca su una personalizzata gestione delle finanze nazionali in cambio di posti di lavoro garantiti e pensioni sontuose. «Il settore pubblico non è stato creato perché funzionasse davvero ma per allargare il favore politico di alcuni gruppi sociali», spiega senza mezzi termini Euclid Tsakalatos, economista e parlamentare di Siriza. Quel patto oggi è stato sciolto dai mercati internazionali che ne hanno decretato l’insostenibilità. I cittadini hanno improvvisamente perso ogni forma di protezione e sussidio, e, oltre al proprio, si sono dovuti fare carico anche del comportamento irresponsabile delle élite. «Se li tassiamo, i ricchi lasceranno il Paese e sposteranno i loro investimenti altrove», è stato negli ultimi tre anni il mantra dei governi. Ma quando a causa della severità e della miopia delle misure di austerità imposte dall’Europa e dal Fondo monetario internazionale in cambio del salvataggio economico, la società greca si è ritrovata con stipendi ridotti di un terzo, con l’imposizione di inaudite tasse sulla proprietà immobiliare, con un numero di giovani senza lavoro superiore a quello dei ragazzi impiegati, con il centro della gloriosa capitale trasformato in pericolosa discarica umana, allora ha cominciato a ignorare gli ipocriti appelli alla responsabilità lanciati dal vecchio duopolio politico di Pasok e Nuova Democrazia e ad andare in cerca di una nuova rappresentanza politica.
Non ha dovuto cercare a lungo. Proprio lì tra la gente, pronto a raccoglierne la richiesta di aiuto, con quel suo sorridente faccione sbarbato e la sempiterna passione per il Panathinaikos, la squadra di calcio che si allenava nel campo vicino a casa sua, c’era questo “pallikari” (bravo ragazzo) idealista e carismatico, lontano dal potere e dalla corruzione, che già nel 2006, poco più che trentenne, aveva provato a diventare sindaco di Atene, raccogliendo non solo l’11,6 per cento dei voti ma, soprattutto, una grande riserva di simpatia. Gli è tornata utile lo scorso 6 maggio quando alle elezioni nazionali la sua coalizione ha ottenuto a sorpresa oltre il 20 per cento dei voti con cui ha impedito la formazione di un governo a sostegno di quell’accordo economico che, come spiegherà più tardi alla Cnn, «sta portando la Grecia all’inferno». Adesso è tempo di nuove elezioni: a stare ai sondaggi più recenti, è lui, con un roboante 30 per cento, a potere vincere la sfida politica. Da solo. «Tsipras rispecchia perfettamente i sentimenti della popolazione», racconta Matthew Tsimitakis, un vecchio compagno di battaglie politiche durante gli anni del liceo: «Il tempo sta lavorando contro le misure di austerità in Grecia e in Europa, e Siriza (che fino allo scorso maggio non aveva mai superato il 5 per cento dei consensi) sta sfruttando benissimo il momento e il clima». Il programma di governo prevede una drastica retromarcia sulle misure imposte dall’Europa, a cominciare dall’annullamento del taglio del 20 per cento del salario minimo e di 150 mila posti di lavoro nel settore pubblico. Poi la nazionalizzazione delle imprese di pubblica utilità. Per la stampa internazionale una vittoria di Tsipras vorrebbe dire l’uscita della Grecia dall’eurozona perché l’Unione, Germania in primis, non sarebbe più disposta a continuare a versare i miliardi sufficienti a permettere al Paese di funzionare e iniziare a ripagare l’enorme debito pubblico. Eppure Tsipras non solo non è mai stato antieuropeista, ma non ha nessuna intenzione di riportare la Grecia alla dracma. Al contrario, è sicuro di riuscire a convincere i paesi creditori a modificare i termini insostenibili dell’attuale patto di salvataggio: la sua scommessa è che l’Europa non avrà mai il coraggio di smettere di finanziare la Grecia per paura delle conseguenze di un contagio che potrebbe distruggere l’intera eurozona.
Non sarebbe la prima volta che Tsipras riesce a convincere “i grandi” a tornare indietro sui loro passi. Sono molti tra i suoi compagni di avventura politica che si ricordano come questo ragazzone dalle idee decise e dai modi dolci coordinò la protesta dei licei di Atene nel 1991 contro la riforma della scuola varata dal governo di allora, sostenuto da Nuova Democrazia. Le norme proposte introducevano tasse scolastiche nelle università pubbliche e la possibilità di dar vita a università private. Per mesi gli studenti occuparono le scuole, organizzando i turni per pulire le aule, si riversarono nei vialoni del centro di Atene per rendere più accesa e visibile la protesta, e infine persuasero il governo a fare retromarcia su tutta la linea. «A un certo punto gli studenti erano pronti a riprendere le lezioni, non tutti sapevano per certo perché stessero protestando, ma Alexis faceva parte degli oltranzisti, di quelli decisi a non mollare», spiega Katerina Sokou, una coetanea di Tsipras. «Sempre in prima linea, era l’unico che a diciassette anni sapeva proporre e accettare compromessi, a differenza degli altri teenager che alzavano sempre la voce e pretendevano tutto o nulla, e poi era bravissimo a trattare con la stampa», aggiunge Tsimitakis: «Forse perché era già entrato nei ranghi del partito comunista e aveva acquisito un minimo di esperienza. O forse era semplicemente il suo carattere». Appassionato. Deciso. Fedele. In quegli stessi giorni, durante le ore di lotta e dei primi successi, iniziò a fare coppia fissa con Peristera Baziana, anche lei membro del partito comunista, più tardi una laurea in ingegneria informatica, a cui è ancora legato e da cui ha avuto un figlio e ne sta aspettando un altro a giorni. Ma guai a domandare di lei: «Stanno insieme da vent’anni. Alexis è gelosissimo della sua vita privata e non vuole che nessuno ne parli», taglia corto Tsimitakis: «Bisogna rispettare la sua richiesta di riservatezza».
Terminato il liceo, Tsipras è entrato al Politecnico di Atene dove, studi a parte, ha proseguito l’impegno politico prima come membro del Comitato esecutivo dell’Unione degli studenti di Ingegneria, poi come rappresentante degli studenti nel Senato universitario e infine come rappresentante al Consiglio centrale dell’Unione nazionale degli studenti greci. Dopo l’università si sono aperte le porte della politica cittadina nelle file dell’estrema sinistra: è del 2006 la candidatura a sindaco di Atene. Tutta la vita di Tsipras scorre all’interno della sinistra («Se ha amici al di fuori di Siriza li nasconde molto bene», scherza un giornalista greco). Il futuro leader vi si muove con grande cautela e lungimiranza, come dimostra la sua uscita dal Partito comunista quando questo si rifiutò di entrare a far parte della coalizione delle sinistre. La stessa che oggi, dopo anni di lotta contro il neoliberismo mondiale, potrebbe vincere le elezioni. Ben presto Tsipras si fece strada all’interno della dirigenza, seguendo le orme del mentore Alekos Alavanos fino a succedergli. Così quattro anni fa, a soli 33 anni, divenne il presidente della coalizione e, insieme, il più giovane leader che un partito politico greco abbia mai avuto.
Considerando il fatto che il 55 per cento dei greci con meno di 25 anni sono senza lavoro e molti tra gli altri sono costretti ad accettare stipendi da fame, è forse inevitabile che il loro campione sia adesso diventato un giovane senza limousine e senza cravatta, cresciuto tra le riunioni dei comitati di base, bicchieri di carta e torte fatte in casa, sacco a pelo in giro per l’Europa per protestare contro le ingiustizie del capitalismo. L ‘opposto delle facce note di sempre, per la gente della strada sempre meno distinguibili dai volti di marmo dell’Acropoli. Guai a sottovalutarlo o a ridicolizzarne i programmi e il nucleo forte dei sostenitori. Il 6 maggio scorso, dopo aver capito, tra timore ed eccitazione, che per uno di quegli strani percorsi del fato Siriza aveva assunto l’anomala statura di partito di governo, Tsipras ha serrato i ranghi e – evento più unico che raro nella sinistra europea – ha dettato una linea comune accettata dalla maggioranza della coalizione. 
Punto primo: dall’euro non si esce a meno di esserne buttati fuori. 
Punto secondo: l’accordo con l’Europa così com’è va sì stracciato, ma con tatto. 
Punto terzo: anche i ricchi devono cominciare a pagare le tasse. 
Poi ha messo al lavoro gli economisti del partito – a partire da Yannis Dragasakis, politico di lungo corso e possibile ministro delle Finanze se Siriza salirà al governo – che si sono finalmente trovati non solo a elaborare idealistiche teorie economiche ma un qualche straccio di proposta concreta. Infine ha lanciato un’attenta offensiva mediatica: le prime interviste le ha concesse esclusivamente alle televisioni e ai giornalisti anglosassoni sapendo bene la presa che hanno sulle élite di tutta Europa. Ha elogiato il presidente Obama per il sostegno dato all’economia e invitato l’Europa a seguire l’esempio statunitense attirandosi gli strali dei comunisti duri e puri); è volato in Francia ad abbracciare Jean-Luc Melenchon che come lui ha costituito una federazione di forze di sinistra dopo aver abbandonato il partito socialista; e a Berlino ha parlato di solidaretà tra i popoli del vecchio Continente. Giacchetta scura e camicia chiara da funzionario di partito, per settimane è apparso in video continuando a ripetere che l’uscita della Grecia dall’euro non è il suo obiettivo, e non è nell’interesse dell’Europa. Che non è necessario costringere un popolo a enormi sofferenze per scontare gli sbagli dei politici precedenti. Che un compromesso alla fine si troverà.
Gli occhi grandi e scuri da europeo del Sud, Alexis Tsipras è diventato il simbolo stesso della crisi europea nelle sue due accezioni etimologiche di tragedia e opportunità: le élite vedono in lui il trionfo del populismo e la fine dell’Europa, i cittadini stremati l’unica speranza di cambiamento reale. Nelle urne il responso.

E ora ci pignorano lo stipendio.




Si chiama pignoramento dello stipendio, e molti di voi la conoscono come quella pratica odiosa cui un creditore può ricorrere per farsi pagare. Per dirla in parole povere: quel che guadagni ti viene decurtato di un quinto o di un terzo a vita, o fino a quando il debito non sia stato ripianato. E' odiosa perché, in qualche modo, seppure matematicamente sia a somma zero, non aggredisce il tuo patrimonio, ma ti toglie direttamente il futuro, per cui ti regala la sgradevole sensazione di essere un condannato nel braccio della morte, che vive solo per attendere l'ora della sua uccisione.
Dopo avere ideato fondi di stabilizzazione nei quali iniettiamo decine di miliardi; dopo avere ideato un meccanismo di stabilità per il quale pagheremo 8 miliardi entro l'anno e centinaia in prospettiva; dopo avere deciso che noi italiani dobbiamo pagare 20 miliardi per le banche spagnole, indebitandoci al posto loro, oggi lepolitiche strozza-popoli di quel nodo scorsoio economico nel quale si è trasformata l'Europa ne stanno inventando un'altra. 

 Si chiama European Redemption Fund (ERF per gli amici), cioè Fondo di Redenzione (nel senso di estinzione) Europeo. L'idea è che, siccome siamo stati cattivi, ora dobbiamo essere redenti, come se ci fosse poi un unto del Signore in grado di confessare gli stati e comminare il giusto numero di Ave Marie economiche. Il peccato capitale è il debito pubblico. Fa niente che sia divenuto il male assoluto solo perché ci hanno tolto gli strumenti per rifinanziarcelo da soli, ovvero la sovranità monetaria: deve calare sotto al 60% del Pil e basta. Ma come fare? Difficile, in un momento in cui vige la religione dell'austerity, alla quale come monaci autoflagellanti ci imponiamo di obbedire - chissà, forse nella speranza di guadagnarci un posto nel paradiso dei neoliberisti -: le tasche sono vuote e sotto al materasso non c'è più niente.

 Ci voleva il colpo di genio. E la brillante idea è arrivata. Così hanno preso spunto da quelle società finanziarie che prima ricoprono lo sprovveduto e incauto cittadino di soldi spesso non richiesti e poi, quando è in difficoltà, procedono a pignorargli lo stipendio a vita. E qual è lo stipendio di uno Stato? Sono le sue entrate fiscali, naturalmente. Perché dunque non pignorare le tasse degli stati con un debito pubblico superiore al 60% del Pil per una ventina di anni? Secondo Goldman Sachs, si tratta di ragionare su qualcosa come 1541 miliardi per la Germania, 1193 per la Francia, 954 per l'Italia, 652 per la Spagna, 364 per l'Olanda, 225 per il Belgio e 181 per l'Austria. Si parte con 2,3 miliardi di euro in totale. Certo, per garantire il fondo, gli stati beneficiari del pignoramento (sembra un ossimoro: uno che beneficia dalla sua stessa confisca dello stipendio) dovranno tirare fuori le proprie riserve di oro (guarda un po'), che sono l'unica certezza rimasta, visto che il metallo prezioso è la sola valuta universalmente accettata e che non dipende dai giochetti computerizzati di questi nerds dell'alta finanza, che dopo gli accordi di Bretton Woods hanno potuto sbizzarrirsi con le loro funamboliche masturbazioni monetarie. Una volta messo finalmente l'oro sul piatto, loro procedono a pignorarci le entrate tributarie fino al 2035 o giù di lì. E se le tasse non bastano (sai com'è, c'è l'austerity)? ZAC: via l'oro! Loro chi? Non si sa, esattamente come non si sa quali organizzazioni finanziarie gestiranno il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità sul quale non potremo avere informazioni perché i documenti saranno secretati e inviolabili, tranne che dovremo dargli almeno 125 miliardi: questa è l'unica informazione che ci viene gentilmente concessa. 

 Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco, ha già detto che non si può fare, perché l'ERF violerebbe i trattati europei, i quali sostengono che nessun paese può essere considerato responsabile del debito pubblico di un altro. Curioso, veramente curioso, visto che è dall'inizio della crisi che non facciamo altro che indebitarci per salvare altri paesi dai loro debiti, e ora perfino le banche dai loro stessi debiti. Ma forse Schäuble intendeva dire che è alla Germania che i trattati impediscono di essere responsabile verso le sue colonie, visto che se partisse il Redemption Fund gli spread (secondo gli analisti che notoriamente ci azzeccano sempre) si stringerebbero parecchio, e i tedeschi non potrebbero più recuperare soldi freschi a interessi virtualmente zero sulle spalle degli altri, avvantaggiandosi di un tasso di accrescimento industriale che dal 1999 al 2010 è passato dallo 0,9% al 9%, di una disoccupazione che nello stesso periodo è scesa dal 10,5% al 7,4% per toccare il 6,7% di quest'anno e di un tasso di crescita del Pilpartito all'1,5% e finito due anni fa al 3,5%. Invece, se partisse l'ERF, costerebbe qualcosa come lo 0,6% del Pil tedesco per ogni anno di pignoramento. E loro a queste cose ci tengono.

 Ma certo, se ci mettiamo l'oro...



http://www.byoblu.com/post/2012/06/15/E-ora-ci-pignorano-lo-stipendio.aspx

Bimbi detenuti nelle carceri israeliane.




20 bambini detenuti nel carcere di "Hasharon", martedì 12 giugno hanno iniziato uno sciopero della fame ad oltranza per protestare contro le difficili condizioni in cui vivono e la mancanza di risposta dalla direzione carceraria alle loro richieste. 17 anni, Ahmed Lafi ha annunciato che 20 prigionieri hanno iniziato la sciopero della fame per protestare contro le condizioni incontrate dai detenuti in questa prigione per i minori e il deterioramento delle loro condizioni di vita. I membri della famiglia non sono autorizzati alle visite, non è permesso loro di studiare, non c'è la lavanderia cosicché debbano lavare i panni a mano.
Ha spiegato che l'amministrazione penitenziaria persiste nella tortura e umiliazione dei prigionieri bambini anche dopo la firma dell'accordo fra il Comitato Supremo del direttivo dello sciopero e il servizio carcerario per terminare la Battaglia delle pance vuote, aggiungendo che l'amministrazione penitenziaria mette in isolamento qualsiasi prigioniero che cerchi di rivendicare i propri diritt. 


Ha anche detto che le celle sono nei sotterranei, i bagni senza porte e vi è mancanza di cibo con una sola ciotola di riso per otto giovani. Inoltre, i prigionieri sono sottoposti a ispezioni e provocazioni effettuate dalla intelligence israeliana.
Il Dipartimento delle Prigioni ha anche usato orribili metodi di tortura per estorcere confessioni da questi giovani, violando brutalmente tutte le convenzioni internazionali che proteggono i diritti dei bambini.
Le autorità di occupazione israeliane hanno ancora in mano circa 190 bambini sotto i 18 anni di età nelle loro carceri e campi di detenzione, in circostanze analoghe a quelle in cui sono tenuti prigionieri adulti, in termini di trattamento dello spazio, crudeltà, malnutrizione e mancanza di assistenza sanitaria, tale che non vi è distinzione tra il maltrattamento e la crudeltà sui minori e adulti.
 — con Gilda Caronti


Immaginetta...



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