domenica 5 agosto 2012

I cedri palermitani in bella mostra a Mondello.



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Lavori al call center? Precario per sempre Colpa di un comma del decreto Sviluppo. - Marco Palombi.



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Il documento voluto e pensato dal ministro Passera è passato venerdì al Senato. Il testo, però, riserva una brutta sorpresa per gli operatori telefonici destinati possono lavorare col contratto a progetto vita natural durante.

Col suo trentaduesimo voto di fiducia, per l’occasione al Senato, il governo fa approvare definitivamente il cosiddetto decreto Sviluppo. I contenuti sono quelli di cui si è parlato nelle settimane scorse: un po’ di semplificazioni, una riformetta degli incentivi alle imprese per anticipare quella proposta da Francesco Giavazzi, l’udienza filtro in appello, il credito d’imposta per la ricerca e poco altro. Corrado Passera, comunque, era contento che la sua creatura vedesse finalmente la luce, un po’ meno lo saranno stati quelli che lavorano nei call center. Colpa di un piccolo comma – per la precisione il settimo dell’articolo 24 bis – introdotto con un emendamento in commissione alla Camera e di cui finora non s’è quasi parlato: quella normetta prevede che chi si occupa di “attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzata attraverso call center outbound”, vale a dire al telefono, può lavorare col contratto a progetto vita natural durante. Fine precarietà mai. In sostanza, governo e Parlamento hanno sancito per legge che chi lavora in un call center è una sorta di figlio di un dio minore e deve essere abbandonato alla necessità di chi lo assume – si fa per dire – di competere con le altre aziende del settore cercando profitto quasi esclusivamente nella compressione del costo del lavoro.
Nel dibattito parlamentare su questo provvedimento però, segnatamente a Montecitorio, è successa una cosa curiosa: un solo deputato s’è alzato, dopo le dichiarazioni dei capigruppo, per annunciare il suo no in dissenso rispetto al partito che l’ha eletto. “Questa norma che consente di non stabilizzare i lavoratori dei call center è inaccettabile”, ha scandito in aula Giacomo Portas, deputato indipendente nel Pd, che in Piemonte ha fondato un suo movimento chiamato “I Moderati” (non proprio un nostalgico del Pci, insomma) arrivato al 9,6 per cento alle ultime comunali. Qual è la cosa strana? Portas nella vita è stato un imprenditore, ed è ancora un manager, proprio nel settore dei call center.
“Qualcuno – racconta al Fatto – m’ha detto che il mio è stato finora l’unico conflitto di disinteresse della legislatura, ma voglio essere chiaro: non sono un santo, mi piace guadagnare, ma nell’azienda che ho contribuito a fondare, di cui sono stato socio per anni e con cui ora continuo a collaborare, di co.co.pro. non ne abbiamo fatti in 12 anni e non li faremo mai”. La società in questione si chiama Contacta, ha diverse sedi in Italia e 2.200 dipendenti, “tutti assunti col contratto nazionale delle telecomunicazioni: rispetto alla proposta del governo, per capirci, si passa da 8-9 euro l’ora a 20”. Il “moderato” Portas, curiosamente, su questo tema pare più a sinistra pure di qualche sindacalista: “Si parla tanto di crescita e io dico che ci sono 2 miliardi di fatturato libero per l’Europa in questo settore che potremmo portare in Italia creando lavoro vero”. Lavoro vero perché, quello che si realizza con questa leggina non lo è, anzi, per contrappasso, finisce per avere l’effetto di tenere nel sottosviluppo le industrie del settore: “Così non si contribuisce a fare dei call center una moderna industria dei servizi, in cui fai l’outbound, ma anche la ricerca, l’inserimento dati, il marketing: per noi, per dire, l’attività di call center nel senso stretto è il 25-30% del fatturato”. Sul mercato, è la tesi del deputato piemontese, si sta meglio così: “Puoi fare margine anche rispettando i diritti delle persone, basta puntare sulla formazione e sulla qualità di gente che non è facilmente sostituibile: avere lavoratori preparati ti fa trovare commesse migliori, pagate meglio. Faccio un esempio: noi curiamo l’on line di Chebanca!, gruppo Mediobanca, e prima di iniziare i nostri hanno dovuto fare tre mesi di corso: non è che li puoi sostituire da un giorno all’altro. E poi noi lavoriamo in Germania, in Finlandia, un po’ dovunque in Europa: per garantire un servizio in 12 lingue devi avere gente preparata, mica la puoi tenere alla fame”. Infine una domandina ai tecnici e ai teorici dei salari che devono adattarsi alle dinamiche del mercato: “Parliamo sempre di crescita e di rilancio dei consumi, ma quanto può consumare uno che guadagna 700 euro al mese?”.
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Così si sposano i mafiosi. - Lirio Abbate.

L albergo di Mandatoriccio mare, in provincia di Cosenza, spesso sede di matrimoni mafiosi
L'albergo di Mandatoriccio mare, in provincia di Cosenza, spesso sede di matrimoni mafiosi
Castelli in affitto. Banchetti con mille invitati. Sfarzo, spese folli e auto di lusso. I matrimoni dei boss della 'ndrangheta documentati per la prima volta da L'Espresso. 
I matrimoni in Calabria di 'ndranghetisti o figli dei boss si trasformano non solo in strette alleanze fra i clan ma in veri e propri summit mafiosi dove partecipano anche i latitanti. Adesso «l'Espresso» può documentare tutto ciò. Sul numero in edicola venerdì il settimanale pubblica un ampio servizio giornalistico e fotografico dopo che il cronista s'è infiltrato nei banchetti di nozze che spesso si trasformano in veri e propri raduni di mafiosi. Si vedono scene da film, come quelle che abbiamo documentato fotograficamente lo scorso luglio in un ristorante nei pressi di Vibo Valentia, durante il matrimonio di una coppia di rampolli della cosca Bonavota di Sant'Onofrio. Fra i 650 invitati c'erano sicuramente incensurati, ma anche rappresentanti di molte cosche calabresi, i cui uomini hanno individuato gli "intrusi" de "l'Espresso": lì c'erano persone che non potevano essere fotografate.

Sono i matrimoni d'onore i cui banchetti di nozze, anche con mille invitati, si svolgono spesso pure in castelli in affitto realizzati sulla costa ionica o tirrenica e dove lo sfarzo, le spese folli e le auto di lusso sono i punti cardini della festa. Si sposano così i boss della 'ndrangheta e i loro figli.

Tutti indossano capi nuovi di zecca, facendo a gara per sfoggiare firme di stilisti all'ultimo grido. Non importa se il fisico non è da modelli: gli uomini mettono in vista grosse pance e le donne rotoli ai fianchi. Ma è il marchio griffato che conta. Anche in questo caso, il dress code scarseggia in charme e abbonda in sperperi: i maestri della moda inorridirebbero nel vedere le loro creazioni infilate in quel bailamme di signore sovrappeso e picciotti panciuti. Per di più mafiosi. E chi non può permettersi questi capi ricorre a squallide imitazioni. Dalle indagini dei carabinieri del Ros emerge come il nipote di un boss per partecipare al matrimonio di un amico sfoggiasse scarpe in pelle di coccodrillo da tremila euro su consiglio di una boutique di Roma. L'unico obiettivo è stupire, far vedere quale sia la ricchezza del clan che organizza le nozze. E il banchetto nuziale dura anche dodici ore. 



Nel disporre gli invitati, però, si ricorre a grandi accorgimenti. Più che matrimoni, sembrano feste di paese. Ogni banchetto ha una zona separata, dove è vietato fare foto o filmati. Lì i tavoli sono organizzati secondo l'appartenenza alle cosche: al centro il capo, intorno affiliati e consorti, ai lati i guardaspalle. A loro volta, poi, i tavoli di clan sono raggruppati in base alla "provincia" mafiosa a cui fanno riferimento. In pratica, una mappa vivente degli organigrammi criminali. I mafiosi regalano agli sposi somme di denaro. Li infilano in buste bianche che vengono raccolte in un forziere sistemato sul tavolo nuziale. A questi banchetti ogni tanto partecipano anche i latitanti. E per evitare sorprese c'è una rete di sorveglianza, con vedette pronte a dare l'allarme in caso di movimenti sospetti o iniziative delle forze dell'ordine. Trent'anni fa i mafiosi siciliani puntavano anche loro tutto sui banchetti di nozze, mostrando potenza e alleanze e invitati eccellenti. Ma in Calabria, oggi li superano.


Così si sposano i mafiosi

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cosi-si-sposano-i-mafiosi/2188320

Sbarco su Marte, con sette minuti di terrore. - Paolo Mastrolilli




La sonda della NASA con a bordo il rover curiosity entra nell'orbita marziana: in questa fase tocca una velocità massima di 20 mila chilometri l'ora


Domani mattina il rover Curiosity si poserà sul Pianeta Rosso: sarà la manovra d’atterraggio più complessa mai sperimentata.


INVIATO A NEW YORK
Stavolta andiamo a cercare la vita. Non i marziani o gli omini verdi, e neppure le forme microbiche, perché non abbiamo ancora gli strumenti adatti per analizzarle. Però le condizioni di vità sì: la prova, in sostanza, che su Marte è potuta esistere qualche entità vivente. Dopo i «sette minuti di terrore», come la Nasa ha definito l’atterraggio del rover Curiosity sul Piantea Rosso, previsto lunedì mattina, questa sarà la missione. In attesa che gli uomini, secondo le previsioni del direttore dell’agenzia spaziale americana, Charles Bolden, riescano a metterci piede tra un paio di decenni.

Il viaggio del Mars Science Laboratory, costato 2,5 miliardi di dollari, era cominciato il 26 novembre 2011 da Cape Canaveral. Dopo aver percorso 567 milioni di chilometri, arriverà su Marte all’1,17 di lunedì mattina, minuto più, minuto meno. La Nasa ha definito l’atterraggio come i «sette minuti di terrore», perché sarà la manovra più ardita e difficile mai tentata sul Pianeta Rosso. La sonda entrerà nell’atmosfera ad una velocità di 13.200 miglia orarie, circa 5.900 metri al secondo, protetta da due scudi per evitare che si disintegri. A quel punto si aprirà un paracadute supersonico, che dovrà rallentarla. Se tutto funzionerà, gli scudi si separeranno, consentendo l’uscita della «Sky crane». Una gru stellare, in altre parole, che avrà il compito di poggiare sulla superficie Curiosity, e poi allontanarsi grazie ai suoi razzi. Una persona normale fatica anche ad immaginare un’operazione del genere, condotta a 500 milioni di km di distanza, figuriamoci a farla.

La Nasa, però, ha scelto questo azzardo, perché vuole informazioni più precise di quelle che in passato aveva ottenuto con missioni tipo il mitico Pathfinder o la coppia gemella Spirit e Opportunity. Tanto per cominciare, Curiosity è parecchio più grande dei suoi predecessori: tre metri di lunghezza, per 900 chili di peso. Un po’ come posare una Cinquecento su Marte. Poi la zona di atterraggio è molto più ambiziosa, e questo dovrebbe fare la differenza rispetto al passato. In precedenza, per non correre rischi, la Nasa aveva fatto scendere i suoi rover in luoghi del pianeta abbastanza piatti e lisci. Era la soluzione più logica e facile, ma anche meno interessante, perché queste sono aree che contengono meno informazioni scientifiche. Curiosity invece atterra nel mezzo del Gale Crater, in una zona lunga 20 km per sette, ad un passo dal Mount Sharp. Si tratta di una regione che ha vissuto fenomeni di erosione molto significativi, e le osservazioni fatte dalle missioni orbitanti hanno notato la presenza di minerali che si sono formati in presenza di acqua. Gli strati geologici di questa zona sono una specie di libro che racconta la storia di Marte, e Curiosity cercherà di leggerlo con i suoi strumenti, per dirci se sul pianeta c’erano le condizioni per la vita. La presenza potenziale di materia organica. «Trovarla - ha spiegato Matt Golombek del Mars Exploration Program - non è facile. E resterebbe comunque il dubbio se questa materia ha origine biologica o no. Così, però, si cerca di rispondere alle nostre domande fondamentali: siamo soli nell’universo? La vita si sviluppa ovunque sia presente acqua in forma liquida? Oppure è necessario un atto divino, un incidente che accade una volta su un trilione di casi? C’è stata una seconda Genesi, o noi siamo stati incredibilmente fortunati?». I primi segnali di Curiosity dovrebbero arrivare 14 minuti dopo l’atterraggio, e le prime immagini già lunedì. Poi, se tutto va bene, cominceranno due anni di studio.

L’atterraggio arriva qualche giorno dopo l’annuncio che la Cina vuole arrivare sulla Luna l’anno prossimo, a cui Bolden ha risposto rilanciando gli obiettivi della Nasa: mandare un uomo sopra un asteroide entro il 2025, e poi su Marte negli anni Trenta. «Sul piano tecnologico e militare - spiega Jim Lewis, direttore del Technology and Public Policy Program al Center for Strategic and International Studies di Washington - questa corsa allo spazio vuol dire poco. Tutto quello che ci serve per la difesa possiamo realizzarlo con altri mezzi. Questa è politica. Anzi, di più: è l’aspirazione della nostra natura a conoscere. Se l’avessimo persa, però, mi comincerei a preoccupare».

Voi siete qui - Siamo per il rinnovamento, votiamo Pippo Baudo. - Alessandro Robecchi


Alessandro Robecchi, il sito ufficiale: testi, rubriche, giornali, radio, televisione, progetti editoriali e altro


Fare chiarezza e sgombrare il campo da ogni equivoco. 
Ristabilire la verità delle cose. 
Procedere senza indugi sulla strada del rinnovamento della classe politica. 
Diradare le nebbie sulla candidatura di Pippo Baudo a presidente della Regione Sicilia avanzata da esponenti Pd. Il popolare presentatore ha detto alla radio di aver ricevuto una telefonata da Sergio D’Antoni che gli proponeva la candidatura all’ambita carica. E’ una buona notizia. Se ne deduce infatti che D’Antoni è vivo, partecipa attivamente alla vita politica del paese e sa usare il telefono. 
Il segretario del Pd siciliano ha smentito, quindi forse è vero. 
Bersani ha riso di gusto e ha detto di non saperne nulla. 
Quindi è sicuramente vero, tanto più che Baudo ha dichiarato di avergli parlato della cosa, con il che il popolo democratico è ora di fronte all’agghiacciate dilemma se credere a Pippo o al segretario. 
Pippo Baudo ha dichiarato anche che non è la prima volta. 
Prima di D’Antoni gli aveva chiesto di candidarsi in Sicilia Prodi (2005), e prima di lui Nitti (1919), e prima di lui Matilde di Canossa (1079), e prima ancora Odoacre in persona (480, poco prima dell’invasione della Dalmazia). 
A tutti, con coerenza cristallina, Pippo Baudo ha detto un no fermo e cortese, perché lui non ama i compromessi e preferisce fare la tivù, dove rappresenta il rinnovamento da almeno 54 anni. E questo, pur essendo di sinistra dai tempi, appunto, di Odoacre, e pure prima, come si può vedere nelle pitture rupestri di Ukhahlamba-Drakensberg, in Sudafrica (1.000 a.C.), dove un giovane Pippo Baudo mostra a un bisonte la sua tessera del Pd. A nulla sono valse le rassicurazioni del mondo politico che promettevano a Baudo un appoggio ampio della nuova granitica coalizione di centrosinistra – dai Tupamaros alla Binetti – oltre alla garanzia di poter formare liberamente la sua squadra, inclusi Giucas Casella e Sharon Stone. Alla fine, la candidatura pare tramontata, lasciando in tutti la netta sensazione che Pippo Baudo, dicendo “Grazie, non è il mio mestiere”, sia l’unico in questa storia che ci sta con la testa. 


"Il discorso che costò la vita a J.F. Kennedy".



http://www.nocensura.com/2011/11/il-discorso-che-costo-la-vita-jf.html


Andreotti...


Giulio Andreotti ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per accertamenti.
Per poter rispondere meglio alle cure ha subito chiamato il suo avvocato...
(pinziah)



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