mercoledì 15 agosto 2012

Lettera di una ricercatrice a Corrado Passera.



Maria Rita D'Orsogna, ricercatrice italiana emigrata in California, (nella foto) ha scritto a Passera la lettera che tutti avremmo voluto scrivergli. Diciamole grazie e prendiamoci cinque minuti per leggerla, mezz'ora per meditarla e due mesi di lotta infuocata al rientro per cacciare questa gentaglia a calci in culo e ripristinare la legalità europea violata!!! 

Caro signor Passera,
stavo per an

dare a dormire quando ho letto dei suoi folli deliri per l'Italia petrolizzata.
Ci sarebbe veramente da ridere al suo modo malato di pensare, ai suoi progetti stile anni '60 per aggiustare l'Italia, alla sua visione piccola piccola per il futuro.
Invece qui sono pianti amari, perche' non si tratta di un gioco o di un esperimento o di una scommessa.
Qui si tratta della vita delle persone, e del futuro di una nazione, o dovrei dire del suo regresso.
Lei non e' stato eletto da nessuno e non puo' pensare di "risanare" l'Italia trivellando il bel paese in lungo ed in largo.
Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno: metanodotti dall'Algeria, corridoio Sud dell'Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi.
E la gente dove deve andare a vivere di grazia?Ci dica.
Dove e cosa vuole bucare?Ci dica.
I campi di riso di Carpignano Sesia? I sassi di Matera? I vigneti del Montepulciano d'Abruzzo? Le riserve marine di Pantelleria? I frutteti di Arborea? La laguna di Venezia? Il parco del delta del Po? Gli ospedali? I parchi? La Majella? Le zone terremotate dell'Emilia? Il lago di Bomba? La riviera del Salento? Otranto? Le Tremiti?

Ci dica.

Oppure dobbiamo aspettare un terremoto come in Emilia, o l'esplosione di tumori come all'Ilva per non farle fare certe cose, tentando la sorte e dopo che decine e decine di persone sono morte?

Vorrei tanto sapere dove vive lei.

Vorrei tanto che fosse lei ad avere mercurio in corpo, vorrei tanto che fosse lei a respirare idrogeno solforato dalla mattina alla sera, vorrei tanto che fosse lei ad avere perso la casa nel terremoto, vorrei tanto che fosse sua moglie ad avere partorito bambini deformi, vorrei tanto che fosse lei a dover emigrare perche' la sua regione - quella che ci dara' questo 20% della produzione nazionale - e' la piu' povera d'Italia.

Ma io lo so che dove vive lei tutto questo non c'e'. Dove vive lei ci sono giardini fioriti, piscine, ville eleganti soldi e chissa', amici banchieri, petrolieri e lobbisti di ogni genere.

Lo so che e' facile far cassa sull'ambiente. I delfini e i fenicotteri non votano. Il cancro verra' domani, non oggi. I petrolieri sbavano per bucare, hanno soldi e l'Italia e' corrotta. E' facile, lo so.

Ma qui non parliamo di soldi, tasse e dei tartassamenti iniqui di questo governo, parliamo della vita della gente. Non e' etico, non e' morale pensare di sistemare le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perche' non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell'Italia.

E no, non e' possibile trivellare in rispetto dell'ambiente. Non e' successo mai. Da nessuna parte del mondo. Mai.

Ma non vede cosa succede a Taranto?

Che dopo 50 anni di industrializzazione selvaggia - all'italiana, senza protezione ambientale, senza controlli, senza multe, senza amore, senza l'idea di lasciare qualcosa di buono alla comunita' - la gente muore, i tumori sono alle stelle, la gente tira fuori piombo nelle urine?

E adesso noialtri dobbiamo pure pagare il ripristino ambientale?

E lei pensa che questo e' il futuro?

Dalla mia adorata California vorrei ridere, invece mi si aggrovigliano le budella.

Qui il limite trivelle e' di 160 km da riva, come ripetuto ad infinitum caro "giornalista" Luca Iezzi. Ed e' dal 1969 che non ce le mettiamo piu' le trivelle in mare perche' non e' questo il futuro. Qui il futuro si chiama high tech, biotech, nanotech, si chiamano Google, Facebook, Intel, Tesla, e una miriade di startup che tappezzano tutta la California.

Il futuro si chiama uno stato di 37 milioni di persone che produce il 20% della sua energia da fonti rinnovabili adesso, ogni giorno, e che gli incentivi non li taglia a beneficio delle lobby dei petrolieri.

Il futuro si chiamano programmi universitari per formare chi lavorera' nell'industria verde, si chiamano 220,000 posti di lavoro verde, si chiama programmi per rendere facile l'uso degli incentivi.

Ma non hanno figli questi? E Clini, che razza di ministro dell'ambiente e'?

E gli italiani cosa faranno?

Non lo so.

So solo che occorre protestare, senza fine, ed esigere, esigere, ma esigere veramente e non su facebook che chiunque seguira' questo scandaloso personaggio e tutta la cricca che pensa che l'Italia sia una landa desolata si renda conto che queste sono le nostre vite e che le nostre vite sono sacre.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=406863426028037&set=a.152964164751299.42499.108180412563008&type=1&theater

Tv, risarcimento a Europa 7: “grazie” a Berlusconi pagano i cittadini. - Carlo Tecce


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Il Tar del Lazio ha condannato il ministero dello Sviluppo Economico a pagare 1500 euro al giorno per le frequenze negate all'imprenditore Francesco di Stefano finché non riuscirà a trasmettere dove e come promesso.

La serie Europa 7 contro i governi non finisce mai. Con una premessa: poteva non iniziare, bastava assegnare le frequenze che la televisione di Francesco Di Stefano meritava. E invece, rosario che conosciamo a memoria, c’era Rete 4 e il centrodestra e il proficuo contributo del centrosinistra.
A GOCCIA, che scarnifica, arriva l’ennesimo conto per i cittadini: Tribunale amministrativo del Lazio, sentenza del 31 luglio 2012, il ministero per lo Sviluppo economico dovrà versare 1.500 euro al giorno a Europa 7 fin quando non riesce a trasmettere dove e come promesso. E aspettate, tenete la calcolatrice pronta, entro dicembre saprete il rimborso (milionario) totale per una presa in giro che dura anni. Quando decisero con una mano di accontentare simbolicamente Europa 7, e di fregarla con l’altra, il ministero consegnò a Di Stefano una frequenze in digitale terrestre anziché tre. Una corsia d’emergenza dove non ci passava nemmeno una bicicletta, dunque l’imprenditore abruzzese chiese al governo di ampliare lo spettro di Europa 7 con quelle frequenze definite “integrative”.
IL MINISTRO ad interim che doveva sigillare la procedura si chiamava Silvio Berlusconi, e non vale nemmeno la pena citare che sia lo stesso proprietario di Mediaset, il padrone-politico che aveva soffocato in culla l’impresa di Di Stefano. Al Cavaliere seguì Paolo Romani che, annusando i rischi di un fallimento amministrativo, ordinò di sbloccare la pratica di Europa 7. Ma il ministero è lento, a volte sonnecchia, e nemmeno il Tar e il Consiglio di Stato riuscirono a smuoverlo: entro trenta giorni dovete sistemare la faccenda Europa 7, soltanto parole, non ascoltate. E così Di Stefano si è appellato di nuovo al Tar, e il tribunale laziale ha scritto un dispositivo asciutto e inequivocabile: “Dichiara ineseguita l’ordinanza […] Nomina commissario ad acta per l’esecuzione mediante gli adempimenti e con la decorrenza stabiliti in motivazione, l’attuale direttore dell’Ispettorato territoriale della Liguria del Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per le comunicazioni, senza facoltà di sostituzione. […] fissa la penalità di mora in 1.500,00 per ogni giorno di ritardo, a partire dal termine indicato in motivazione”. Non soltanto una multa che ogni anno si ripete e non si ferma mai, anche un commissario al ministero per fare quello che fingevano di non poter fare.
DI STEFANO, però, aspetta il risarcimento che sarà quantificato entro fine anno. Una botta che il governo italiano dovrebbe non dimenticarsi facilmente e che, dice sconsolato l’imprenditore, cadrà sui cittadini vittime inconsapevoli. I cittadini già, che credevano nel ministro Corrado Passera che, azzerando il beauty contest, affastellava qualche miliardo di euro con l’asta per i cinque benedetti multiplex (pacchetti di frequenze). L’asta ad agosto, ora, è più o meno un miraggio.
da Il Fatto Quotidiano del 15 agosto 2012

“Colpevoli di omicidio e ancora al loro posto. Federico, Stefano, Giuseppe e Michele invece un posto non l’avranno più. Caro Lino questa è la nostra giustizia”. Lettera di Ilaria Cucchi al padre di Federico Aldrovandi. - Ilaria Cucchi


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Mio fratello presumibilmente non ha rispettato la legge… per questo è morto… Per mio fratello si sono attivate due volanti dei carabinieri quella maledetta notte, non male con tutte le emergenze che ci sono ogni notte in una città come Roma.  E la mattina seguente la macchina della giustizia si è mossa rapidamente, così rapidamente da non dare il tempo ad un giudice ed un pubblico ministero  di accorgersi che il ragazzo che avevano di fronte non era un albanese senza fissa dimora, bensì un pestato visibilmente sofferente… Anche per questo è morto mio fratello. Se come spesso si dice ‘le responsabilità sono ancora da accertare’, una cosa  però è certa. Diversamente da quello che sostiene il nostro pubblico ministero, quel ragazzo seduto per venti minuti dolorante in un’aula di tribunale, sotto gli occhi di tutti, non era in fin di vita prima di essere scaraventato negli ingranaggi della nostra giustizia e delle nostre carceri. Dove è stato massacrato quasi immediatamente, senza una ragione valida. E senza una ragione valida isolato e lasciato morire. Sei giorni… un lasso di tempo brevissimo, dove però in tanti (e ognuno a  suo modo rappresentante delle istituzioni) hanno assistito al suo calvario, voltandosi dall’altra parte, ‘prendendo le distanze’ come uno di loro ha  dichiarato, in una consuetudine che fa rabbrividire.
Mio fratello è morto anche per questo. Stefano è morto perché la giustizia non è uguale per tutti… Ed oggi la giustizia per la sua morte, che avevo creduto fosse scontata e  automatica, ci sta richiedendo una battaglia dolorosa ed impari. E in tutto questo non una delle istituzioni coinvolte si è premurata di  ammettere che, come è ormai evidente, qualcosa al proprio interno non ha  funzionato e quel qualcosa ha interrotto una vita umana. E’ doveroso e fa onore applicare le leggi ed i regolamenti interni sugli sbagli personali di un singolo… guai a non farlo, ma è facile. Molto diverso è quando ci sono vittime di soprusi delle forze dell’ordine.  Perché vuol dire mettere in discussione un intero sistema. Ed evidentemente  i  nostri morti non ne valgono la pena. Così succede che cinque agenti di polizia, dichiarati in tutte le sedi  colpevoli di omicidio di un ragazzino appena diciottenne che non aveva fatto  niente di male, sono ancora lì a ‘rappresentarci’… mantengono il loro  posto  di lavoro. Mentre Federico, Stefano, Giuseppe, Michele e tutti gli altri un ‘posto di  lavoro’ non potranno averlo mai più… Questa, caro Lino, è la nostra giustizia.

Vatileaks, a giudizio il maggiordomo. Trovato un assegno intestato al Papa.


Paolo Gabriele

All'ex aiutante di camera di Benedetto XVI Paolo Gabriele sono stati trovati i documenti sottratti dall’appartamento papale, ma anche un assegno di 100mila euro intestato a Ratzinger, una pepita d’oro e una edizione dell’Eneide del 1581. Nella sentenza e nella requisitoria compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito indicati con semplici sigle. Il maggiordomo ha raccontato gli incontri con il giornalista Gianluigi Nuzzi.

Documenti sottratti al Papa, un assegno intestato proprio a Ratzinger e una pepita d’oro. Paolo Gabriele, il maggiordomo del pontefice accusato di essere il “corvo” del Vaticano, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di furto aggravato. L’uomo, arrestato il 23 maggio scorso, avrebbe sottratto documenti dalle stanze di Joseph Ratzinger tra cui anche lettere private. Con lui, a processo, anche un analista programmatore della segreteria vaticana, Claudio Sciarpelletti, che risponde del reato di favoreggiamento. Era stato arrestato in maggio e poi gli era stata concessa la libertà provvisoria.
Gabriele, che rivestiva il ruolo di aiutante di camera di Benedetto XVI, sarà dunque processato. La sentenza di rinvio a giudizio rappresenta una “chiusura parziale” dell’istruttoria su Vatileaks. Nella sentenza e nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Piccardi compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito, ma i due magistrati li indicano con semplici sigle. Frutto delle perquisizioni contro Paolo Gabriele e ora sottoposti a sequestro, ci sono non solo documenti sottratti dall’appartamento papale, ma anche un assegno di 100mila euro intestato al Papa, una pepita d’oro e una edizione dell’Eneide del 1581. Gli oggetti erano regali fatti a Benedetto XVI. Uno dei documenti riservati, pubblicati in esclusiva sul Fatto, riguarda la sicurezza del Papa e la possibilità che potesse essere obiettivo di un complotto mortale. In seguito a quella e altre pubblicazioni, anche di libri, era scattata l’indagine a tutto campo sul corvo.
Gabriele ha precisato ai giudici di aver incontrato l’autore di Vaticano Spa e Sua santità Gianluigi Nuzzi: “Ci siamo incontrati in va Sabotino ed insieme siamo andati all’appartamento che lui aveva a disposizione a viale Angelico. Abbiamo quindi avuto una serie di incontri dapprima a distanza di circa una settimana e poi di due settimane. Questo nei mesi di novembre, dicembre 2011 e gennaio 2012. Successivamente il nostro rapporto è venuto scemando di intensità”.
Il giudice istruttore Piero Bonnet ha contestato al maggiordomo il ritrovamento a casa sua,  insieme ai dossier con i documenti, di tre oggetti a lui non appartenenti e cioè l’assegno bancario intestato a “Santidad Papa Benedicto XVI”, datato 26 marzo 2012, proveniente dall’Universitad Catolica San Antonio di Guadalupe; una pepita presunta d’oro, indirizzata a Sua Santità dal signor Guido del Castillo, direttore dell’ARU di Lima (Perù); una cinquecentina dell’Eneide, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, dono a Sua Santità delle “Famiglie di Pomezia”. Da parte sua, si legge nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Picardi, Paolo Gabriele ha giustificato questa circostanza con il caos nel quale erano le sue cose. “Nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo”, ha detto. Il giudice istruttore gli ha, quindi, domandato se a lui venissero affidati anche i doni presentati al Santo Padre da portare poi in Ufficio. L’imputato ha risposto: “Sì. Ero l’incaricato di portare alcuni doni presso il magazzino e altri in Ufficio. Taluni di questi doni servivano per le pesche di beneficenza del Corpo della Gendarmeria, della Guardia Svizzera Pontificia e per altre beneficenze. Mi spiego ora perché una persona che si era fatta tramite di questo, mi chiese perché non era stato riscosso un assegno donato da alcune suore e ciò fu da me portato a conoscenza di monsignor Alfred Xuereb. Monsignor Gaenswein talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione particolare per questi”.
Con il rinvio a giudizio di Gabriele per furto aggravato e Claudio Sciarpelletti per favoreggiamento, i giudici vaticani non concludono le indagini sulla fuga di documenti che continuano. Cioè la chiusura dell’istruttoria è parziale. E’ sempre stata “chiara l’intenzione del Papa di rispettare questo lavoro della magistratura e le sue risultanze” ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi e “ciò spiega la non pubblicazione di risultanze della commissione cardinalizia, per non condizionare il lavoro”. Il Papa “ha ricevuto questi documenti, ne ha preso conoscenza, rimane nel poter del Papa di intervenire qualora voglia o ritenga opportuno, ma finora – ha ricordato padre Lombardi – non lo ha fatto e possiamo pensare fondatamente che la linea che segue è questa, è quindi una ipotesi del tutto plausibile il dibattimento” in autunno. La pozione di Sciarpelletti, ha detto il portavoce vaticano, “è meno grave di quella di Gabriele”, non può essere considerato un “complice”, più che altro uno che aveva “rapporti di conoscenza con Paolo Gabriele”. Sciarpelletti ”non è stato considerato un complice dai magistrati – ha sottolineato Lombardi – e non è rinviato per questo”. Le sue testimonianze sono state incoerenti sulla provenienza di una busta, ma nulla dice che fosse corresponsabile. I magistrati vaticani nella requisitoria e sentenza pubblicate oggi “non affermano, ma neppure escludono – ha spiegato Lombardi – la possibilità di continuare le indagini su eventuali complici di Paolo Gabriele” e su “eventuali rogatorie internazionali. Facciamo un passo per volta. L’istruttoria vaticana va avanti, anche con tempi consistenti per la sua meticolosità, difficile fare passi avanti se non hai ancora compiuto quelli iniziati”.

martedì 14 agosto 2012

L’assedio alla procura di Palermo sotto il “Generale Agosto”. - Giorgio Bongiovanni


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“Un’iniziativa senza precedenti, un unicum assoluto, una vicenda inquietante e sinistra”. Le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, arrivano a seguito della notizia dell’apertura di un fascicolo preliminare da parte del pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, contro il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, e contro  il procuratore capo, Francesco Messineo. La possibilità che il procuratore generale della Cassazione mandi alla sezione disciplinare del Csm un atto di incolpazione a carico del pm Di Matteo per violazione del riserbo sulle indagini, e del procuratore Messineo, per non aver autorizzato il suo sostituto a rilasciare un'intervista è alquanto realistica.
E altrettanto oscena. Questo ennesimo assedio alla procura di Palermo avviene immancabilmente sotto il “Generale Agosto”, clima ideale per attuare strategie criminali ordite ad alti vertici istituzionali nel silenzio assordante di un’opinione pubblica distratta da ferie ed olimpiadi. Sul fronte giudiziario palermitano il prossimo autunno si preannuncia decisamente “caldo”. Il processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Provenzano si avvia verso la fase conclusiva. L’inchiesta sulla “trattativa” Stato-mafia approderà all’udienza preliminare che potrà sfociare in un rinvio a giudizio. Tra gli imputati “eccellenti” vi sono mafiosi del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino. Come è noto tra i magistrati del pool che investigano sulla “trattativa” vi sono Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Gli attacchi scomposti nei loro confronti, ai quali abbiamo assistito in questi mesi, si sono acuiti ulteriormente proprio in prossimità dell’autunno giudiziario che si avvicina. Con la temporanea uscita di scena di Antonio Ingroia (dovuta alla sua trasferta in Guatemala per ricoprire l’incarico affidatogli dalle Nazioni Unite) l’obiettivo da colpire con ogni mezzo resta quindi il pm Di Matteo e a seguire gli altri componenti del pool: Lia Sava, Francesco Del Bene, Paolo Guido, così come quei magistrati che a vario titolo stanno investigando su delicate inchieste di mafia e politica. L’ingerenza del Quirinale nei confronti della procura di Palermo (attraverso la sollevazione del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta in merito alle intercettazioni tra Napolitano e Mancino) ha rappresentato la punta massima di un attacco violento, mirato e del tutto preventivo nei confronti di determinati magistrati. Così come ha ricordato lo stesso Ingroia un pugno di magistrati è entrato nella “stanza della verità”. All’interno si cominciano ad intravedere le sagome dei corresponsabili di quelle stragi sulle quali lo Stato-mafia non intende fare luce. Gli attacchi istituzionali nei confronti di Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo segnano il punto di non ritorno di un Paese colpevole e senza più dignità, attraversato da una classe politica che, salvo rarissime eccezioni, si rende consapevolmente strumento di un potere criminale per delegittimare, isolare e sovraesporre chi persegue unicamente la verità per rendere giustizia a tutti i martiri della violenza politico-mafiosa. 
Più di dieci anni fa il padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto, si era rivolto a centinaia di ragazzi e adulti intervenuti ad un convegno riprendendo l’appello lanciato poco tempo prima da Antonio Ingroia: “Uomini e donne di buona volontà se ci siete battete un colpo!”. A quella “chiamata” ognuno di noi ha il dovere morale di continuare a rispondere. Ora.
Non saranno certamente i “sepolcri imbiancati” delle istituzioni a dare la solidarietà ai magistrati sotto assedio, né tantomeno quella magistratura pavida pronta solo a commemorare i propri colleghi uccisi, o quegli esponenti politici collusi con i peggiori criminali. Mai come oggi la responsabilità di stringersi attorno a questi magistrati è di quella parte della società che si definisce “civile”.
Ci eravamo sbagliati quando avevamo scritto che il Csm oggi è tornato ad essere il Sinedrio che perseguita i propri eroi (basta citare l’esempio del trattamento riservato a Falcone e Borsellino). Sì, ci siamo sbagliati perché al Sinedrio dobbiamo associare una parte del vertice della Procura Generale della Cassazione che può essere tranquillamente definita la procura di Erode al servizio del potere del Governatore politico Ponzio Pilato.

Un ragno conficcato in un orecchio, choc in Cina. - Elmar Burchia


La foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia
La foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia

Solo un'operazione delicata ha consentito ai medici di estrarlo senza che pungesse la vittima.

MILANO - Una terribile leggenda metropolitana è diventata realtà in Cina. Una donna si è recata nei giorni scorsi all'ospedale di Changsha, nella provincia di Hunan, lamentandosi per un fastidioso prurito all'interno dell'orecchio sinistro. Dopo un primo esame, ecco la diagnosi dei medici, tanto incredibile quanto spaventosa: un ragnetto si era infilato nel condotto uditivo. L'animale, potenzialmente pericoloso, era lì da cinque giorni.
RAGNO CURIOSO - Per chi soffre di aracnofobia non c’è incubo peggiore: un ragno vivo conficcato nell'orecchio, a tua insaputa. Un incubo diventato realtà per una signora cinese identificata solo col nome di «Lee». La vicenda, raccontata dai quotidiani locali, ha subito fatto il giro del mondo. Soprattutto la foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia furoreggia su Internet. I medici sono stati in grado di rimuovere l’aracnide con una procedura non invasiva: hanno riempito l'orecchio della paziente con una soluzione salina per stimolarne l'uscita. E così è stato. Quando il ragno è venuto fuori la donna «è quasi scoppiata in lacrime», riferiscono i media cinesi. Anche perchè si è trattato di un intervento relativamente delicato: i dottori dovevano infatti far attenzione che il ragno non mordesse la donna o che si conficcasse ancora più profondamente nel condotto uditivo.
CAUSE - Resta la domanda: come ci è finito lí? Potrebbe essere uscito fuori durante i lavori di ristrutturazione della casa in cui la donna vive ed entrato nell’orecchio mentre questa dormiva, suppongono i medici. In quest’estate 2012, il numero di ragni e insetti è esploso in molte regioni del pianeta, riferiscono gli esperti, innanzitutto a causa delle alte temperature e della siccità perdurante. Negli ultimi mesi si sono registrate temperature record anche in diverse regioni della Cina.

In Italia 120 punti di mare inquinati "Colpa di fiumi e fogne non in regola"




Legambiente: ogni 62 chilometri di costa ci sono acque fuori legge.

Un punto inquinato ogni 62 chilometri di costa, con una maggiore concentrazione di acque inquinate in Calabria, Campania e quest’anno a sorpresa anche in Liguria, mentre Sardegna e Toscana sono le regine del mare pulito italiano. Nemici numero uno delle acque marine sono torrenti, fiumi, canali, con un allarme inquinamento legato soprattutto alle foci dei corsi d’acqua.

Sono i risultati finali del tour 2012 di Goletta Verde, la campagna di Legambiente che per due mesi ha circumnavigato lo Stivale monitorandone lo stato di salute del mare. Un bilancio, presentato oggi a Roma, che quest’anno riserva almeno una sorpresa nelle pagelle per le regioni italiane, negativa per giunta. È il caso della Liguria che balza al secondo posto in classifica per il mare più inquinato e si fregia della maglia nera con 15 prelievi risultati oltre i limiti di legge, dietro alla Calabria con 19 punti inquinati e quasi a pari merito con la Campania dove ne sono stati registrati 14. Quarto posto da "bollino nero" per il Lazio. Dati contestati dalla Regione Liguria che ribatte a Legambiente sostenendo che i punti di balneazione conformi sono pari al 97% (364 su 373).

Regioni col mare più pulito si confermano Sardegna e Toscana, rispettivamente con un campione inquinato ogni 433 e 200 chilometri di costa. Bene anche l’Emilia Romagna. Il monitoraggio scientifico quest’anno è stato ancora più capillare grazie alle segnalazioni di cittadini e bagnanti tramite SOS Goletta, contribuendo a quasi metà dei campionamenti effettuati in tutta Italia. Su un totale di 205 analisi microbiologiche effettuate in mare dal laboratorio itinerante di Goletta Verde, col contributo del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati e la partecipazione di Corepla, Novamont e Nau!, i campioni risultati «fuori legge» sono 120, di cui 100 quelli «fortemente inquinati», cioè con concentrazioni di batteri di origine fecale pari ad almeno il doppio dei limiti di legge. Per la maggior parte, l’86%, questi punti si concentrano in corrispondenza di foci di corsi d’acqua.

Sul banco degli imputati resta la mancata o inadeguata depurazione dei reflui fognari che, stando alle elaborazioni di Legambiente su dati Istat, riguarda 24 milioni di abitanti che scaricano direttamente in mare o indirettamente attraverso canali utilizzati come vere e proprie fognature. «Il mare italiano continua ad essere minacciato da troppi scarichi fognari non depurati - spiega Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente -, nonostante siano trascorsi ben 36 anni dall’approvazione della prima legge sulla trattamento delle acque reflue». «Bisogna investire subito e al meglio risorse adeguate - aggiunge -, a partire da quelle stanziate dalla delibera Cipe dell’aprile scorso che prevede 1,8 miliardi di euro per le regioni del Mezzogiorno». Le regioni ’peggiorì per numero di abitanti senza adeguata depurazione sono Sicilia, Lazio e Lombardia. Un vero e proprio «problema ambientale e sanitario», denuncia Legambiente, «che sta per diventare anche economico vista la condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea arrivata a fine luglio perchè 109 agglomerati urbani medio grandi, distribuiti in 8 regioni, non si sono ancora adeguati alla direttiva europea sul trattamento delle acque reflue».