sabato 18 agosto 2012

Berlusconi a Briatore indagato: “Prima o poi mando gli ispettori dai pm”.


briatore interna nuova


Nelle intercettazioni pubblicate dal Secolo XIX, l'imprenditore della Formula 1, sotto inchiesta a Genova per evasione fiscale, chiede protezione all'ex premier e spiega di sentirsi perseguitato. Il Cavaliere gli promette di controllare il lavoro dei magistrati. Ma l'ispezione non c'è mai stata.

Su Flavio Briatore pende l’accusa di contrabbando e violazione delle accise. In sostanza, di avere evaso l’Iva sul carburante del suo Yacht Force Blue. Nella primavera 2011 proseguono le indagini della Procura di Genova, ma l’imprenditore della Formula 1, preoccupato, decide di rivolgersi a Silvio Berlusconi per chiedere protezione. Spiega all’ex premier che i giudici lo stanno “perseguitando” e il Cavaliere, molto comprensivo, risponde: “Ti capisco e chi più di me ti può essere vicino. Prima o poi mando gli ispettori, a Genova”. 
Sono queste le frasi intercettate che compaiono nelle conversazioni telefoniche finite agli atti dell’inchiesta sul presunto scandalo della mega-barca di Briatore, riportate oggi dal Secolo XIX. Parole che ancora una volta ricordano la “lotta che nel governo Berlusconi è andata avanti a suon di proposte di legge bavaglio per contenere giornalisti e magistrati“. Un dialogo che, aggiunge il quotidiano, “descrive una certa disinvoltura da parte dell’ex primo ministro, e la facilità con cui pensava di esercitare il proprio potere minacciando di mettere sotto scacco quello giudiziario”. L’ispezione richiesta da Briatore, però, non ci fu. Specie perché, pochi mesi dopo, l’ex primo ministro avrebbe rassegnato le dimissioni e lasciato Palazzo Chigi.
Lo yacht di Briatore era stato sequestrato il 20 maggio 2010 dai finanzieri del Gruppo Genova su mandato della Procura del capoluogo ligure e nei giorni scorsi è arrivato l’avviso di chiusura per le indagini preliminari a Briatore e ad altre quattro persone accusate di avere “simulato il noleggio del Force Blue per godere di tariffe agevolate sul carburante”. In sostanza, la Procura sostiene che “dal 2006 al 2010 sono stati acquistati 897mila litri di gasolio senza pagare un milione e 480 mila euro di accise”. In più nelle carte si sottolinea che gli indagati “sottraevano lo yacht al “pagamento dell’Iva dovuta all’importazione per tre milioni e 600mila euro, simulando lo svolgimento di un’attività commerciale di noleggio”.  Briatore, anche se molto probabilmente diventerà imputato nell’inchiesta fiscale, ha già fatto sapere tramite i suoi legali di non volersi sottoporre a interrogatorio, neanche per chiarire davanti ai pm la richiesta di ‘aiuto’ a Berlusconi. Le conversazioni telefoniche trasmesse dai finanzieri svelano colloqui “choc” su Berlusconi e sulle feste di Arcore con Daniela Santanché, dai quali emergeva lo stupore di Briatore per i ‘festini’ del Cavaliere (“Veronica ha ragione, è malato). A questi, ora, si aggiungono le intercettazioni delle richieste di protezione dalle indagini della magistratura rivolti direttamente a Berlusconi. Intercettazioni finite agli atti dell’inchiesta.

tanto per ridere un po'...



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Apperò!



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La guerra alle mosche di Monti.

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Rigor Montis ha due preoccupazioni. La prima è l'evasione fiscale, la seconda sono leintercettazioni. Sulla prima è avvilito per il "grosso danno nella percezione del Paese all'estero". Mi immagino il sarcasmo, per non dire il vero e proprio disprezzo, quando il Non Eletto incontra i capi di Stato europei (gli Eletti). Gli rinfacceranno sicuramente lo Scudo Fiscale che ha premiato gli evasori totali, tra i quali anche criminali e tesorieri di partito, con un miserabile 5% di sanzione. Lo faranno blu per la nostra legge sul falso in bilancio, una vera barzelletta. Lo distruggeranno per la mancanza di lotta alla corruzione che ci costa circa 100 miliardi di euro. Lo investiranno di insulti per l'inesistenza di una legge sul conflitto di interessi. Povero Monti, come deve vergognarsi. Figure così a livello internazionale nemmeno Bokassa. I partner europei vorrebbero dargli "assistenza finanziaria", in sostanza comprare il debito pubblico italiano che cresce alla velocità della luce, ma l'evasione "contribuisce a indisporli" quando Monti si presenta con il piattino in mano. 
Rigor Montis ha perciò dichiarato "lo stato di guerra" agli evasori, "una dura lotta all’evasione che può comportare la necessità di momenti di visibilità che possono essere antipatici. Ma che hanno un forte effetto preventivo nei confronti degli altri cittadini". Non vedo l'ora!
Inizi dai bilanci dei partiti, da quelli delle cooperative di ogni colore, prenda in mano l'elenco degli scudati e gli faccia sputare ogni euro evaso con la stessa energia con la quale Equitalia si catapulta sui cittadini che non pagano, spesso per errore, qualche centinaio di euro, faccia per decreto leggi anti corruzione e per punire severamente il falso in bilancio, risolva gli intrecci incestuosi della Borsa. I suoi partner europei gli sorrideranno. Credo invece che Rigor Montis, più modestamente, voglia scatenare la guerra alle mosche. Ai pollivendoli, ai fiorai, ai venditori di miele millefiori, agli agriturismi della Lombardia (già fatto), ai venditori di souvenir a Venezia e a Firenze (già fatto sul Ponte Vecchio), ai ristoranti fuori porta che non rilasciano lo scontrino. Nel frattempo, mentre Rigor Montis è in guerra, le piccole e medie imprese aspettano circa centoventi miliardi di crediti dallo Stato, pagano le tasse più alte dell'Occidente (l'IRAP anche se l'azienda è in perdita), anticipano l'IVA senza spesso vedersi pagate le fatture. A centinaia di migliaia falliscono e chi può fugge all'estero, dalla Slovenia, all'Austria, alla Croazia, alla Svizzera. Paesi dove le aziende pagheranno ogni centesimo di tasse con il sorriso sulle labbra in cambio di assistenza e servizi senza uno Stato di polizia fiscale che bussi alla loro porta come se fossero dei delinquenti.
Ps: la seconda preoccupazione di Rigor Montis sono le intercettazioni. Prima obiezione: non sono affari suoi in quanto rappresenta un governo tecnico. Seconda obiezione: le intercettazioni servono alla magistratura per ascoltare Mancino in dolce colloquio con il Quirinale per il processo di Palermo sulle relazioni Stato mafia (ed è questo forse a turbare Monti), ma anche per combattere la corruzione (e quindi l'evasione fiscale).


http://www.beppegrillo.it/2012/08/la_guerra_alle.html

L’Espresso: “Ex Dc consegna a pm Firenze documenti sull’ascesa di Berlusconi”.


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Ezio Cartotto, consulente di Marcello Dell’Utri quando si trattò di creare Forza Italia, avrebbe aiutato il Cavaliere a superare gli ostacoli posti dalle nuove normative urbanistiche per Milano 2. Al settimanale un racconto che passa anche per la Loggia P2.

Un baule pieno di documenti, che sarebbero stati consegnati ai pm della procura di Firenze da Ezio Cartotto, già esponente della Dc milanese e poi consulente di Marcello Dell’Utri quando si trattò di creare Forza Italia, getterebbe ombre sull’ascesa di Silvio Berlusconi e in particolare sui finanziamenti per la costruzione di Milano 2. E’ quanto rivela L’Espresso. Cartotto, 69 anni,  negli anni ’70  come responsabile enti locali della Dc di Milano, avrebbe aiutato Berlusconi a superare gli ostacoli posti dalle nuove normative urbanistiche. Cartotto, secondo il settimanale, strinse un rapporto sempre più stretto con il costruttore emergente, riuscendo a raccoglierne sfoghi, indiscrezioni e confidenze di cui oggi racconta. E insieme a documenti inediti, che dice di aver conservato nel baule, Cartotto sarebbe in grado di ricostruire come fu finanziata l’ascesa di Berlusconi.
All’Espresso Cartotto ha proposto un racconto che parte dalla Banca Rasini, passa per la loggia P2 di Licio Gelli e arriva al vertice del Monte dei Paschi dei Siena, facendo tappa tra la Svizzera e un istituto italo-israeliano. “La banca fondata dai nobili Rasini – ha detto l’ex Dc all’Espresso – fu acquistata nei primi anni ’70 da Giuseppe Azzaretto, affarista di Misilmeri, periferia di Palermo”, ma la banca “in realtà era controllata da Andreotti, era la sua banca personale”. Secondo l’ex consulente di Dell’Utri, “Andreotti andava in vacanza tutti gli anni nella villa degli Azzaretto in Costa Azzurra”. Quanto a Milano 2, tra le carte riservate di Cartotto, richiestegli dai magistrati di Firenze, ci sono documenti relativi “ad un aumento di capitale per Milano 2 nel 1973 quando Berlusconi figurava come dipendente della Edilnord e la società era controllata da finanziarie svizzere intestate ad una domestica e a un fiduciario”. Cartotto spiega all’Espresso anche di aver conservato tutti i documenti fino ad oggi “per poter dimostrare che Berlusconi ha raccontato bugie fin dall’inizio” e, circa la rottura recente dei suoi rapporti con Berlusconi, aggiunge: “Al processo di Palermo rivelai ai giudici che Dell’Utri negli anni ’70 mi aveva chiesto voti per Vito Ciancimino. Dell’Utri si arrabbiò e si lamentò con Berlusconi”. 

Mazara, il vescovo "griffato" con i paramenti di Armani.



Mazara, il vescovo "griffato" con i paramenti di Armani
Il vescovo Mogavero con i paramenti di Armani

Monsignor Domenico Mogavero indosserà gli abiti disegnati dallo stilista, cittadino adottivo di Pantelleria, per la nuova chiesa dell'isola. La messa in diretta domenica su Raiuno.

Sono stati disegnati da Giorgio Armani, proprio per la nuova chiesa madre di Pantelleria, i paramenti che saranno indossati domenica dal vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, per celebrare la messa. La funzione sarà trasmessa in diretta, con inizio alle 10,45, su Raiuno.

All'interno la nuova Matrice, costruita dopo la demolizione del vecchio edificio di culto, ha uno stile che si richiama al moderno e che mette insieme la componente architettonica e artistico-religiosa. Marmo bianco e bronzo spiccano negli arredi di Ernesto Lamagna. Nei due amboni un angelo e un'aquila che sulle ali regge una lastra di cristallo come leggio. Per il portone principale Lamagna ha disegnato due angeli che sembrano fuoriuscire dal mastodontico portone in acciaio corton. Sulle porte laterali a far da maniglioni ci sono i simboli del mare e della terra.

venerdì 17 agosto 2012

Intercettazioni, quando la politica vuole il bavaglio. Dai ‘furbetti’ alla Trattativa. - Giovanna Trinchella


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Da destra a sinistra ogni volta che un politico è stato intercettato si è gridato allo scandalo. Commissioni di inchiesta e disegni di legge, la regolamentazione della questione ha messo sempre d'accordo tutti. Ultimo capitolo: il deposito del capo dello Stato di un ricorso alla Consulta. Ecco una cronologia dai "furbetti del quartierino" a oggi.

Da Antonveneta ai dossier illeciti Telecom, da Vallettopoli all’inchiesta sulla P4, dall’archivio Genchi alla Trattativa. Ogni volta che la politica entra nelle inchieste – con la pubblicazione delle relative intercettazioni che, se non penalmente rilevanti, sono comunque di interesse pubblico – la legge per regolamentarle diventa l’argomento preferito dei parlamentari. Pronti a sottrarre uno strumento di indagine agli inquirenti e a mettere il bavaglio ai giornalisti. E non c’è crisi finanziaria che tenga.
Era l’estate dei furbetti del quartierino, quella del 2005, quando il dibattito politico si infuocò per le intercettazioni pubblicate – compresi gli sms personali della signora Anna Falchi al promesso sposo Stefano Ricucci – tra banchieri, politici e imprenditori, soprattutto immobiliaristi. Il risiko bancario in fermento, con i casi Antonveneta e Bnl-Unipol, fecero scoprire all’Italia un governatore della Banca d’Italia – Antonio Fazio – e un banchiere – Giampiero Fiorani – complici. Così tanto che quando l’allora numero uno di Palazzo Koch informò l’amico di aver firmato il via libera all’offerta pubblica d’acquisto a favore dell’allora Banca Popolare di Lodi che estrometteva gli olandesi di Abn Amro, il secondo disse al primo: “Ti bacerei in fronte”. Tutto intorno una pletora di parlamentari che brigavano oppure facevano il tifo. 
Ebbene, il 2 agosto 2005 ben nove proposte di legge vengono presentate in Parlamento. C’è quella, a prima firma di Antonino Caruso dell’allora Alleanza Nazionale, che prevede addirittura che solo in casi particolarmente gravi o urgenti le autorizzazioni alle intercettazioni possano essere concesse dal presidente della corte d’Assise e dal gip. C’è la proposta di legge firmata da Luigi Zanda (Dl) e Guido Calvi (Ds) che invoca una specifica udienza, distinta da quella preliminare. Naturalmente c’è chi propone una commissione d’inchiesta, come Osvaldo Napoli oggi Pdl, oppure l’obbligo di un’informativa del governo ogni sei mesi in materia di intercettazioni di Francesco Cossiga. Enrico Nan, Forza Italia all’epoca, vorrebbe che i pm ogni anno fornissero al ministero della Giustizia l’elenco delle persone controllate tramite le intercettazioni. Sono giorni difficili in cui, per esempio, lo staff di Romano Prodi, candidato premier, deve smentire colloqui con Ricucci. E’ il periodo in cui circolano i nomi dell’allora segretario Ds Piero Fassino che, captato al telefono con il numero uno di Unipol Giovanni Consorte, dice: “Abbiamo una banca?”. Frase poi pubblicata da Il Giornale (dicembre 2005) quando ancora non era stata depositata. Negli stessi mesi circolano i nomi di Massimo D’Alema e Nicola Latorre tra i parlamentari della Repubblica intercettati. Così Silvio Berlusconi annuncia un disegno di legge bollando come “scandalosa” la diffusione delle conversazioni. Che lui per primo – secondo i pm e le testimonianze – aveva contribuito a diffondere: Berlusconi è infatti sotto processo per aver fornito il nastro Fassino-Consorte al giornale della sua famiglia.
Le preoccupazioni della politica sono così forti che il presidente del Tribunale di Milano, Vittorio Cardaci, deve rispondere via fax a una richiesta di chiarimenti arrivata dal presidente della Camera,Pier Ferdinando Casini. Il 7 settembre le proposte di legge sono già al vaglio della commissione Giustizia tra le proteste di magistrati e giornalisti. 
Un anno dopo scoppia il caso dei dossier illeciti “fabbricati” per Telecom e Pirelli da investigatori privati con i soldi delle due società e attraverso il capo della security Telecom Giuliano Tavaroli, ex sottufficiale dell’Arma dalla carriera fulminante sotto l’egida di Marco Tronchetti Provera. Nei fascicoli di Tavaroli&Co. ci sono tutti: calciatori, politici, imprenditori, giornalisti. Le informazioni, raccolte da fonti aperte ma anche catturate da archivi come l’anagrafe tributaria o il casellario giudiziario, finiscono tutti in file a disposizione di Tavaroli. Incursioni nella vita privata e non solo anche di concorrenti con veri e propri attacchi informatici portati a segno dalla squadretta informatica del gruppo “Tiger Team”. Si parla erroneamente anche di intercettazioni abusive. E proprio questo equivoco, smentito invano a più riprese dalla Procura di Milano, porta alla legge, da alcuni considerata un mostro giuridico, che prevede la distruzione del materiale – informazioni e altro – raccolto illecitamente.
Insomma, tutto il Parlamento, spaventato dalla possibilità di essere stato ascoltato illecitamente da un grande orecchio, vota una legge poi finita davanti alla Corte Costituzione e parzialmente dichiarata illegittima. Anche per questo scandalo si moltiplicano le proposte di legge e la richiesta di commissioni di inchiesta come quella invocata dai senatori dell’Ulivo guidati dal giornalista Antonio Polito. E’ il 7 giugno 2006. Pochi giorni dopo si aggiungono le adesioni di Forza Italia, An, Rifondazione, Udc, Comunisti italiani, Autonomie, Dc, Movimento per le autonomie e Gruppo misto. Mai argomento era stato così condiviso da destra a sinistra.
Ad arroventare il clima arriva un’altra inchiesta milanese, quella sul sequestro dell’imam egiziano a Milano Abu Omar. In carcere finiscono i vertici del Sismi e sotto inchiesta lo stesso numero uno Niccolò Pollari. Molte le intercettazioni che riguardavano gli 007 italiani. Motivo per cui la politica non può fare a meno di intervenire nuovamente. Poco dopo arriva il caso Vallettopoli e nel mirino finisce la Procura di Potenza. Prostituzione e showgirl, droga e agenti di vip, e poi fotografi e tutto mondo della televisione italiana – sottobosco compreso – viene alla luce nelle conversazioni di indagati e non. Nel frullatore finisce anche il portavoce di Prodi, Silvio Sircana, fotografato mentre chiedeva una informazione per strada a un trans. 
Dopo la chiusura dell’inchiesta Antonveneta e con il deposito da parte del gip di Milano Clementina Forleo delle intercettazioni che coinvolgevano ben 73 parlamentari, nell’estate del 2007 le polemiche e la tentazione del bavaglio ritornano prepotenti. Viene approvato alla Camera, il 17 aprile, il ddl Mastella che vieta la pubblicazione delle conversazioni fino alla chiusura delle indagini con una pena dai 6 mesi e fino a 3 anni e il procuratore che diventa responsabile dell’archivio (il provvedimento non diventerà legge perché il governo cadrà prima di completare l’iter). Sulla questione intercettazioni viene investita nuovamente la Corte Costituzionale che il 27 ottobre 2007 boccia invece parte della legge Boato (2003) e l’ipotesi di distruzione delle intercettazioni dei parlamentari. A dicembre le intercettazioni dello scandalo sono quelle della Procura di Napoli. Emergono le telefonate Berlusconi-Saccà, con il premier che finisce indagato (e poi archiviato) per corruzione per raccomandazioni di attrici nelle fiction della Rai.
Tra il 2008 e il 2009 l’archivio “Genchi”, il megacontenitore di tabulati telefonici raccolti da Giocchino Genchi durante l’attività di consulente svolta in diverse inchieste giudiziarie tra cui “Why not”, torna a far dibattere la politica sul tema delle intercettazioni; tra politici ed ex ministri, uno dei quali l’ex Guardasigilli Clemente Mastella, nessuno sembra essere sfuggito. Si parla di nuovo di un disegno di legge. Per difendere lo strumento investigativo e la libertà di stampa si mettono sulla bilancia le inchieste di terrorismo interno e internazionale, indagini sulla sanità e anche Tangentopoli come fa Antonio Di Pietro. La legge Boato finisce nuovamente davanti alla Corte Costituzionale, questa volta l’inchiesta è romana e vede coinvolto l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio
Seguono l’inchiesta di Bari sulle escort ”fornite” al premier dall’imprenditore Giampaolo Tarantini (e vengono pubblicata le registrazioni della escort Patrizia D’Addario che aveva “registrato” il premier dopo una notte a Palazzo Grazioli), quella sulla cricca e gli appalti del G8, c’è poi lo scandalo Agcom con le pressioni del premier per “chiudere” la trasmissione di Michele Santoro “Annozero”. Mentre prosegue il cammino del ddl – che prevedeva tra l’altro limiti di tempo, il divieto di pubblicazione con il carcere per i giornalisti, modifiche alla competenza –  il 25 marzo del 2010 arriva lo stop della Consulta alle intercettazioni casuali dei parlamentari. Ma è il 2010 l’anno delle tantissime manifestazioni di piazza contro il bavaglio, dei cittadini che protestano, dei quotidiani che difendono anche con una prima pagina bianca il diritto a informare e sulle intercettazioni che il rapporto tra Gianfranco Fini, presidente della Camera, e Silvio Berlusconi, premier, comincia a scalfirsi. Dopo lunghe trattative, il Pdl approva in commissione alla Camera gli emendamenti proposti dalla presidente Giulia Bongiorno, finiana. Il Cavaliere mastica amaro e dice che la legge da lui fortemente voluta è stata ”massacrata”.
E’ l’estate dell’anno scorso quando l’inchiesta sulla P4, come un riflesso pavloviano, impone alla politica – che nel frattempo ha approvato al Senato il ddl senza riuscire a farlo arrivare alla Camera – di ritornare sull’argomento. Poi arriva il caso Ruby (autunno 2011) e la scoperta delle “cene eleganti” ad Arcore e le intercettazioni, tra cui quelle in cui per caso viene intercettato anche Berlusconi, fanno esplodere una nuova violentissima polemica. Ma è con il deposito da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di un ricorso alla Corte Costituzionale, il 30 luglio scorso, che la questione sembra esplodere definitivamente. La Procura di Palermo ha chiuso le indagini sulla trattativa e tra le telefonate intercettate ci sono anche quelle in cui l’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, si rivolge al Quirinale.