“Chi non osa nulla, non speri in nulla” diceva Schiller. E la Sicilia, finora, ha osato ben poco sul tema dell’Autonomia speciale. I governi regionali che si sono succeduti negli ultimi anni, qualche volta, hanno chiesto allo Stato italiano il rispetto delle prerogative sancite dallo Statuto, che ricordiamo è parte della Costutuzione italiana. Ma, non ci si è spinti al di là di qualche lettera, di qualche incontro nella Capitale e di qualche diatriba dialettica.
La musica sembra cambiare con Rosario Crocetta. Il nuovo Presidente della Regione siciliana, infatti, sta mostrando i muscoli. Almeno per qualla parte dello Statuto che, se applicato, potrebbe rivelarsi importantissimo per le casse regionali. Parliamo dell’articolo 37, secondo cui le imprese che hanno gli stabilimenti produttivi nell’Isola, ma sede legale altrove, devono pagare qui parte delle imposte.
Crocetta, nel corso della conferenza stampa di stamattina (in cui si è parlato anche della sopressione delle province), ha annunciato che: “La Sicilia lo applicherà. E se Roma non è d’accordo ce ne fregheremo”. La presa di posizione del Presidente, è l’unica via percorribile se si vuole porre fine ad una ingiustizia che la Sicilia subisce da oltre 60 anni.
Sperare che il governo nazionale rinunci, infatti, ad un ricco bottino, è da sciocchi. Non l’ha mai fatto, né lo farà. Di che cifre parliamo? Solo pensando ai grandi gruppi industriali, come quelli del petrolchimico – che hanno portato inquinamento e malattie in Sicilia, e che continuano a versare le imposte al Nord – e magari mettendoci pure le banche, si tratterebbe di circa 1,5 miliardi di euro all’anno, come ha ricordato stamattina il Presidente.
A ben guardare, la posta in ballo è molto più sostanziosa. Come ha dimostrato in un dettagliato studio sull’argomento il docente d Economia Aziendale, Massimo Costa, tra i maggiori esperti in tema di Autonomia, il furto legalizzato in danno della Sicilia ammonta almeno a 5 miliardi di euro l’anno solo per la mancata applicazione dell’articolo 37. Se poi si aggiungono gli altri (36-38, ad esempio) la rapina statale supera i 10 miliardi euro (qui potete leggere i dettagli dell’analisi).
Un bottino che Roma non molla. Ma, poiché anche il governo nazionale è tenuto al rispetto della Costituzione, quindi dello Statuto, ecco la decisione di Crocetta di andare avanti senza se e senza ma. Senza inutili trattative con uno Stato sordo quando si tratta di soldi dei siciliani. Finora, una pubblicistica intrisa di pregiudizi e, probabilmete, pilotata dagli interessi del Nord, ha trascurato questi ‘particolari’. Dando fiato alle trombe stonate di chi ha descritto un Sud e una Sicilia inondati da risorse pubbliche. Tesi ampiamente smentita dagli economisti della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo industriale.
Che succederà ora? Crocetta ha detto che l’assessore regionale all’Economia, Luca Bianchi (che è anche un componente Svimez) sta lavorando al provvedimento. I tempi non dovrebbero essere lunghi. E se Roma alza la voce?
Pazienza. Un popolo coraggioso deve avere la forza di difendersi. Perché questo è un caso di legittima difesa. Eventualmente si potrebbe ricordare che la Sicilia dispone di mezzi necessari per farsi ascoltare: le raffinerie, per cominciare. Oltre il 40% circa della benzina e del gasolio utilizzati in Italia, proviene dagli impianti di raffinazione dell’Isola. Chiuderle significherebbe mettere in ginocchio il Paese. Che, forse allora, si mostrerebbe più sensibile dinnanzi ai diritti dei siciliani.
C’è da aggiungere che Crocetta, stamattina in confereza stampa, ha parlato anche del ripristino dell’Alta Corte in Sicilia. Ma sull’argomento non è stato molto chiaro, o quantomeno, non abbiamo avuto modo di chiedere un chiarimento. Non ha parlato cioè della nomina dei giudici, passaggio essenziale per fare tornare in vita una istituzione che già c’è (non ha bisogno di essere istituita, come si dice in giro). Una istituzione, come diceva il Presidente della Regione, Giuseppe Alessi “che è stata sepolta viva”. Approfondiremo anche questo tema in un prossimo articolo.