Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 25 febbraio 2018
giovedì 22 febbraio 2018
Boschi, sorveglianza 24 ore su 24 contro la stampa e le proteste: la casa di Laterina ora è un bunker. - Davide Vecchi
Dopo le proteste dei risparmiatori l’abitazione di Laterina viene “fortificata”.
Pubblichiamo un estratto dal libro di Davide Vecchi “Lady Etruria, tra papà e Matteo: tutti i segreti di Maria Elena Boschi” con prefazione di Marco Travaglio e postfazione di Giorgio Meletti, edito da Paper First da oggi nelle edicole e nelle librerie.
In pieno scandalo banca Etruria la famiglia Boschi diventa inavvicinabile. Il 28 febbraio 2016 l’associazione vittime del salva banche organizza un presidio a Laterina, nei pressi dell’abitazione dei Boschi. L’arrabbiatura del resto è giustificata. Il governo è da poco intervenuto azzerando le obbligazioni subordinate e molti risparmiatori si sono ritrovati con i risparmi di una vita volatilizzati.
Inoltre, in quel febbraio 2016, Pier Luigi Boschi è indagato per bancarotta. Non solo. Ma è da poco emerso che il papà del ministro, due anni prima, appena nominato vicepresidente di banca Etruria, nel tentativo di individuare un nuovo direttore generale per sostituire l’ormai ex Luca Bronchi, aveva usato canali poco istituzionali: si era rivolto a un conoscente massone piuttosto discusso e poi arrestato, Valeriano Mureddu, che lo aveva messo in contatto con Flavio Carboni, l’ultraottantenne faccendiere passato in quasi tutte le vicende più losche e misteriose della storia della Repubblica italiana. Pier Luigi per ben due volte si mette in auto per raggiungere l’ufficio romano di Carboni e chiedere udienza e consiglio.
Per i clienti dell’istituto di credito che si sentono truffati è quasi naturale andare a protestare fuori da casa di quello che viene indicato come uno dei responsabili del tracollo della popolare. Poche decine di persone. Nulla da impensierire l’ordine pubblico. Tutto si svolge senza alcun tipo di problema, scontro o momento di tensione. Anche perché l’iniziativa è davvero spontanea e non ha alcun tipo di strumentalizzazione politica: sono risparmiatori. Nient’altro. Per l’occasione però arrivano massicce le forze dell’ordine. E da allora non se ne andranno mai più. A papà e mamma Boschi viene infatti riconosciuta una sorta di scorta. Per proteggersi da risparmiatori e giornalisti.
Per essere tecnicamente precisi si tratta di una “vicinanza fissa all’abitazione” e di una “vicinanza dinamica dedicata”. Il testo dei dispositivi è conservato presso il Comitato per la Sicurezza in prefettura e questura di Arezzo. Vi si leggono i dettagli di quello che diventerà un presidio fisso delle forze di Polizia al fianco della famiglia Boschi. Fuori dall’abitazione diventa impossibile anche solo avvicinarsi.
Quella che nel 2014, quando Maria Elena sbarca al governo come ministro, era una casa di tre piani senza recinzione né altro, spuntata a un incrocio della statale e incastrata tra capannoni industriali e appezzamenti di campagna coltivati, nel tempo si trasforma in un vero e proprio bunker.
Di pari passo con le inchieste che riguardano banca Etruria e che vedono il padre Pier Luigi indagato – alla bancarotta semplice e fraudolenta si aggiunge poi l’accusa di falso in prospetto e di accesso abusivo al credito – la residenza di famiglia si fortifica. Prima spuntano due garage così da permettere a papà e mamma Boschi di entrare in casa senza dover passare dall’esterno, dove ovviamente i giornalisti si presentano a ogni novità che emerge dalle indagini, come è giusto che sia. La stampa, si sa, per sua natura deve controllare il potere. E se il padre di un ministro è indagato per una vicenda oggetto di interventi del governo rientra nel potere da controllare. Che ovviamente si infastidisce. Dopo i garage spunta una recinzione lunga tutto il perimetro della villetta. Poi viene piantata anche una siepe alta tanto da coprire la visuale. Infine appare un’auto fissa di piantone delle forze dell’ordine con due uomini 24 ore su 24. Il plurindagato Pier Luigi Boschi può stare tranquillo. Nessuno può disturbarlo.
Proviamo in molti a fare comunque il nostro mestiere. Ma chi prova anche solo ad accostare lungo la statale nei pressi della casa viene fermato e identificato. Se invece un’auto passa due, tre volte davanti alla casa gli agenti la seguono per capire i motivi dei ripetuti passaggi. Insomma casa Boschi diventa un bunker inavvicinabile.
Il dispositivo parla di due Carabinieri fissi 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno. Divisi su turni, in pratica, ben 10 uomini dell’Arma al giorno sono utilizzati per la casa dell’ex vicepresidente plurindagato della popolare di Etruria.
E se deve allontanarsi da casa, lui come anche la moglie, basta telefonare e subito arriva un’altra auto di servizio con altri due uomini per accompagnarli dove devono. Una fonte qualificata della questura di Arezzo ci tiene però a far sapere che in realtà i genitori del ministro non hanno mai abusato di questa vigilanza, tutt’altro: sono stati rari i casi in cui hanno telefonato per chiedere assistenza. E sempre e solo per colpa dei giornalisti insistenti.
Quando poi a Laterina c’è la ministra, la presenza dei militari si raddoppia. A volte si sono presentate persino delle camionette della Polizia per presidiare l’abitazione. Ma la scorta riconosciuta al parlamentare membro dell’esecutivo prescinde da Laterina, le era stata assegnata a Roma. Da ministro anche perché, in quei mesi, riceveva minacce ed era in una “situazione obiettiva di rischio”.
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Il Cern prepara il primo trasporto su strada dell'antimateria.
Una delle 'trappole' per l'antimateria realizzate al Cern (fonte: CERN)
Progettano per quantità record, i primi test nel 2022.
Sembra uscito dalla sceneggiatura del film 'Angeli e demoni', il nuovo progetto del Cern di Ginevra che punta a realizzare il primo trasporto su strada dell'antimateria. Nel 2022 partiranno i primi test sulle tecnologie che serviranno a 'intrappolare' una quantità record di antimateria e a caricarla in tutta sicurezza sul camion che dovrà spostarla di poche centinaia di metri: in questo modo sarà possibile portare l'antimateria a in un secondo laboratorio del Cern che studia nuclei atomici radioattivi molto rari, che decadono così in fretta da non poter essere trasportati altrove per fare esperimenti.
Grazie allo scontro con l'antimateria, sarà possibile capire le loro proprietà, le stesse che regolano anche il funzionamento delle stelle di neutroni, gli oggetti più densi dell'Universo che contengono una massa paragonabile a quella del Sole ma strizzata nel volume di una città. A raccontarlo sul sito di Nature è il coordinatore del progetto Puma (anti-Proton Unstable Matter Annihilation), il fisico Alexandre Obertelli dell'Università tecnica di Darmstadt, in Germania.
"L'antimateria di per sé è stata studiata a lungo, ma ora la padroneggiamo a sufficienza per iniziare a usarla come una sonda per studiare la materia", spiega il fisico Alexandre Obertelli che coordinerà il progetto 'Puma' (anti-Proton Unstable Matter Annihilation) al Cern di Ginevra.
Con il suo gruppo di ricerca Obertelli si propone di usare campi elettrici e magnetici per intrappolare la cifra record di un miliardo delle particelle-specchio dei protoni, gli antiprotoni, alla temperatura di quattro gradi sopra lo zero assoluto e in condizioni di vuoto paragonabili a quelle dello spazio intergalattico.
Questa gabbia dovrebbe poi essere caricata su un camion per essere trasportata a poche centinaia di metri di distanza in un secondo laboratorio del Cern dove, nell'ambito dell'esperimento Isolde, si producono nuclei atomici radioattivi molto rari, che decadono così in fretta da non poter essere trasportati altrove.
Facendoli interagire con l'antimateria, i ricercatori potrebbero capire come sono formati i loro nuclei ricchi di protoni, il cui comportamento è regolato da interazioni simili a quelle presenti nel cuore delle stelle di neutroni, che sono la chiave per comprendere come si formano gli elementi più pesanti dell'Universo.
Morosità in bolletta, ecco cosa bisogna sapere.
La consultazione dell'Autorità 52/2018.
Canale Energia - “Quello che qui si vuole integrare, sempre nelle bollette, sono i debiti generati dai furbetti del quartierino. E questo è inaccettabile”. È quanto si legge in una nota dell’associazione consumatori Codici che commenta la notizia riguardante la consultazione 52/2018 che tocca la parte della bolletta limitata agli oneri generali di sistema previsti per legge. Il provvedimento è una consultazione pubblica ed è ancora in corso (possono partecipare tutti, anche i singoli cittadini, scadrà il 26 febbraio) e si pone l’obiettivo di spalmare sugli utenti finali le morosità relative agli oneri di sistema lasciate dagli operatori insolventi nei confronti dei distributori di rete.
Si socializzano i debiti ma si privatizzano i profitti.
“In questo Paese si socializzano i debiti ma si privatizzano i profitti”, sottolinea l’Associazione, che aggiunge “come nel caso di chi vince gare pubbliche o rifornisce grandi energivori (o spesso non disalimentabili), che o per la cattiva fede o incapacità, giocano con i soldi, tanto si sa che i debiti verranno spalmati sui consumatori. Stessa cosa vale per i “furbetti del gas” o del dispacciamento, ai quali oggi si aggiungono i “furbetti delle morosità”.
Già in bolletta le morosità degli insolventi, domestici e non.
“Il grande assist che ci ha dato questa notizia – spiega Codici in nota – seppur male interpretata, è quello di averci dato la possibilità di chiarire o dire a tutti gli italiani che le morosità degli insolventi domestici e non sono già socializzate in bolletta e questo avviene da anni, sia per il gas che per l’energia e di recente anche per l’acqua”.
Oneri di sistema, il 19% della bolletta.
Gli oneri di sistema rappresentano il 19% della bolletta e consistono nelle seguenti voci: messa in sicurezza del nucleare, incentivi alle fonti rinnovabili, promozione dell’efficienza energetica, agevolazioni per la rete ferroviaria, sostegno alla ricerca, agevolazioni agli energivori e oneri per il bonus elettrico.
Si tratta, secondo l’associazione, di “un meccanismo parziale quindi, finalizzato a garantire il gettito degli oneri di sistema da assicurare per legge, che l’Autorità ha strutturato in tal modo per adempiere ad una serie di sentenze della giustizia amministrativa che hanno annullato le precedenti disposizioni dell’Autorità in tema”.
“La regolazione precedente – si legge ancora nella nota – imponeva ai venditori la prestazione di garanzie finanziarie in favore delle imprese distributrici anche a copertura degli oneri generali di sistema. Le pronunce della giustizia amministrativa sostengono che la legge pone in capo esclusivamente ai clienti finali e non alle imprese di vendita, nè ai percettori degli incentivi, gli oneri generali di sistema, con la conseguenza che l’Autorità non avrebbe il potere di imporre il citato sistema di garanzie alle imprese di vendita negando che il rischio di mancato incasso degli oneri generali di sistema da parte sia dei clienti finali sia dei venditori”.
Individuare i morosi del sistema elettrico.
Secondo l’associazione se si vuole realmente sapere chi sono i morosi, ovvero quelli che non pagano le bollette che già da anni sono socializzate, dobbiamo fare riferimento al documento ufficiale di ARERA (Autorità). “Secondo il ‘Monitoraggio retail’ indagine annuale pubblicato a novembre 2017, che l’Autorità ha l’obbligo di svolgere, nel 2016 le morosità del sistema elettrico incidevano per ben 6 mld di euro (di morosità totali) su un ammontare di 61 mld di fatturazione complessiva”.
Tra i morosi, prosegue l’Associazione, solo 1,4 mld sono addebitabili ai consumatori domestici, i restanti 4,6 mld si riferiscono a utenti di altri usi e media tensione, principalmente PA, Partite Iva e soggetti diversi dal consumatore domestico.
lunedì 19 febbraio 2018
Cupola dei vaccini, si sospende Marabelli dirigente del ministero della Salute indagato. - Gianluca Di Feo
Dopo la chiusura dell'indagine Romano Marabelli lascia l'incarico di vertice del dicastero. Dove era stato messo dal ministro Beatrice Lorenzin, nonostante "l'Espresso" avesse rivelato il suo ruolo nel traffico dei virus.
Ma non potevano pensarci prima? Non si poteva evitare un'altra figuraccia alla credibilità delle istituzioni? Romano Marabelli si è infine autosospeso dalla carica di segretario generale del ministero della Salute. Lo ha fatto due giorni dopo la chiusura dell'istruttoria nei suoi confronti per quella che i magistrati hanno definito “la cupola dei vaccini”, capace di trasformare le epidemie in un'occasione per alimentare affari e carriere, in una commistione tra uffici pubblici e aziende private senza precedenti. Che, secondo le contestazioni della procura di Roma, avrebbe anche contribuito a diffondere negli allevamenti italiani il devastante virus della lingua blu.
L'esistenza del procedimento contro Marabelli, per anni responsabile del settore veterinario del ministero, era stata rivelata da “l'Espresso” in un'inchiesta di Lirio Abbate pubblicata in copertina lo scorso aprile. Un articolo che aveva avuto grande eco, ripreso da tutti i media. Eppure un mese dopo il ministro Beatrice Lorenzin non ha avuto dubbi nel promuovere Marabelli sulla poltrona di segretario generale del dicastero, affidandogli il compito di coordinare tutte le attività nazionali in tema di sanità. Salvo poi accogliere ora l'autosospensione dell'alto dirigente «manifestando apprezzamento per la sensibilità istituzionale mostrata e certa che potrà dimostrare la sua estraneità ai fatti».
Marabelli ha motivato la sua scelta, accompagnata anche dal congelamento dello stipendio, con la volontà di «sollevare il ministro e il ministero da qualsiasi imbarazzo conseguente gli attacchi mediatici». Le questioni che l'indagine della procura ha messo sul tavolo però pongono problemi molto gravi, perché mettono in discussione un capitolo fondamentale per la vita del Paese: come sono state gestite le epidemie, reali o solo paventate, dell'ultimo decennio?
Nel procedimento giudiziario sono accusate 41 figure di spicco della sanità italiana, tra cui la virologa e ora deputato di Scelta Civica Ilaria Capua. Contro Marabelli spiccano le contestazioni di corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e falsità ideologica nelle campagne per combattere la “lingua blu” negli anni dal 2006 al 2009, che ha decimato gli allevamenti ovini. In questo caso secondo i pubblici ministeri sarebbe stata favorita l'azienda Merial Italia, anche con “false attestazioni” attraverso al vendita di “ingenti quantitativi di vaccino non necessari al fabbisogno nazionale, ed in particolare alla Regione Sardegna, causando un danno patrimoniale di due milioni e mezzo di euro».
Non solo. Gli inquirenti sono convinti che l'introduzione nel 2003 di un vaccino di produzione sudafricana mai sperimentato in Italia abbia contribuito a spargere la lingua blu nel nostro Paese “cagionando la diffusione in gran parte degli allevamenti italiani del virus e provocando ingenti danni al patrimonio zootecnico nazionale”. Una decisione che sarebbe stata presa da Mirabelli, all'epoca direttore generale del dipartimento veterinario del ministero, e da Vincenzo Caporale, direttore dell'Istituto zooprofilattico dell'Abruzzo e del Molise.
Il rapporto con la Merial è anche quello che ha fatto nascere l'istruttoria. Un procedimento partito da molto lontano. Nel 1999 infatti le autorità statunitensi hanno scoperto un traffico di virus importati clandestinamente negli States. L'obiettivo dei contrabbandieri era quello di studiare subito antidoti e immetterli sul mercato prima della concorrenza. Negli Usa un manager della Merial Italia, Paolo Candoli, ammise il suo ruolo nella vicenda in cambio dell'immunità. Poi è tornato nel nostro paese e ha ripreso per anni il suo lavoro. Ma il rapporto trasmesso dagli Usa nel 2005 ha fatto scattare gli accertamenti dei carabinieri del Nas, che grazie anche a lunghe intercettazioni telefoniche, hanno messo in luce le operazioni italiane di questa presunta “associazione per delinquere”. Per i carabinieri, da alcune intercettazioni “appare evidente come il contrabbando dei ceppi virali dell’influenza aviaria, posto in essere dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nelle persone di Ilaria Capua, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli, con il concorso del marito della dottoressa Capua, Richard William John Currie, costituisca di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”.
Il filone di indagine relativo alla Capua – che ha sempre respinto le accuse – riguarda proprio l'epidemia che negli scorsi anni ha creato enorme allarme: l'aviaria, micidiale per gli allevamenti di polli e, in alcune specifiche forme, pericolosa anche per l'uomo. La procura di Roma ritiene che ci fosse proprio un'associazione per delinquere finalizzata all'uso di “virus altamente patogeni dell'influenza aviaria del tipo H9 e H7N3, di provenienza illecita, al fine di produrre in forma clandestina, senza la prescritta autorizzazione ministeriale, specialità medicinali ad uso veterinario procedendo successivamente, sempre in forma illecita, alla loro commercializzazione e somministrazione ad animali avicoli di allevamenti intensivi».
Tra gli indagati per i vari capitoli ci sono tre scienziati al vertice dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Padova (Igino Andrighetto, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli); funzionari e direttori generali del mistero della Salute (Gaetana Ferri, Romano Marabelli, Virgilio Donini ed Ugo Vincenzo Santucci); alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario (Gandolfo Barbarino, della Regione Piemonte, Alfredo Caprioli dell’Istituto superiore di sanità, Francesco Maria Cancellotti, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico di Lazio e Toscana, Giorgio Poli della facoltà di Veterinaria dell’università di Milano, Santino Prosperi dell’università di Bologna); coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell’Unione nazionale avicoltura.
Insomma, l'inchiesta dovrebbe servire ad aprire una riflessione profonda sui confini tra l'attività dei custodi della nostra salute e gli affari delle aziende. Anche perché altre istruttorie della magistratura stanno andando a fondo sul modo in cui le epidemie si sono trasformate in un business senza scrupoli. Un mese fa la procura di Siena ha messo sotto inchiesta per truffa aggravata l'amministratore delegato della branca italiana di Novartis Vaccines ipotizzando che sia stato gonfiato il costo di un vaccino anti-influenzale e di un altro contro il virus dell'aviaria H1N1. Secondo i pm toscani nel 2012 Francesco Gulli avrebbe “indotto in errore con artifici e raggiri i componenti della commissione incaricata dal ministero della Salute in ordine alla veridicità dei costi legati allo stop della produzione del vaccino per l'H1N1". Il danno per le casse dello Stato sarebbe stato di 16 milioni di euro. Ma in quanti altri casi la minaccia delle epidemie si è trasformata in un business d'oro?
Roche-Novartis, lo Stato pagava mille euro il farmaco che ne costava 80. - Antonio Massari e Valeria Pacelli
Il cartello dei due colossi farmaceutici - Sondaggi finti e “avvertimenti”: così i due colossi, secondo l’accusa dei pm, imbrogliavano medici e pazienti.
Questa è la storia dell’uso di una molecola – il bevacizumav – che ha portato prima i due colossi farmaceutici Roche e Novartis a risarcire le casse pubbliche italiane per un danno da 180 milioni di euro. E poi i loro rappresentanti legali a essere indagati dalla Procura di Roma. La stessa molecola, secondo le accuse, veniva utilizzata in due diversi farmaci, perfettamente sovrapponibili – l’Avastin della Roche e il Lucentis della Novartis – a prezzi enormemente diversi tra loro. Le due multinazionali avrebbero spinto l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) scegliere, per il mercato del Servizio Sanitario Nazionale, quello più costoso: Lucentis. Il punto è che i medici oculisti avevano scoperto, da parecchi anni, che l’Avastin, inizialmente utilizzato solo per le malattie del colon, aveva un’ottima resa per le malattie oftalmiche. Un affare enorme, poiché la maculopatia colpisce un anziano su tre, sopra i 70 anni.
Secondo le accuse, così, i due colossi s’accordano per spingere il costosissimo Lucentis al posto del più economico Avastin. La differenza di prezzo tra i due è abissale: dai circa 80 euro dell’Avastin, si passa ai circa 900 del Lucentis. Nella vicenda, come vedremo, avrà un ruolo persino laFederanziani, che attiva un call center e che, secondo gli investigatori, finisce per taroccare i dati sull’Avastin a vantaggio della politica sul Lucentis.
L’intervento dell’Aifa sugli ospedali.
L’intervento dell’Aifa, che nei fatti obbliga gli ospedali a utilizzare il Lucentis al posto di Avastin, arriva nel 2012. Due anni dopo l’Antitrust punisce Roche e Novartis multandoli per 180 milioni di euro: secondo il garante della concorrenza, “i due gruppi si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione” di Avastin “nella cura della più diffusa patologia della vista tra gli anziani e di altre gravi malattie oculistiche, a vantaggio del più costoso Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti”. In che modo? Presentando “il primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari”. L’intesa tra Roche e Novartis secondo l’Antitrust è costata, nel solo 2012, un esborso aggiuntivo per il Servizio sanitario nazionale di oltre 45 milioni di euro, “con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni l’anno”.
Il caso finisce anche sotto la lente della magistratura. Nel settembre 2017 la procura di Roma chiude l’inchiesta (atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio) nei confronti degli amministratori delegati di Roche e Novartis Farma Spa, Maurizio De Cicco e Georg Schrockenfuchs, accusati di rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato, per aver messo in atto “manovre fraudolente” finalizzate, secondo il pm Stefano Pesci, a turbare il mercato e realizzare ingiusti profitti patrimoniali. “Tale manovra anticoncorrenziale – è scritto nel capo di imputazione – portava all’ingiustificata esclusione del prodotto (Avastin, ndr) dall’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale”, influenzando le scelte dell’Aifa e degli oculisti. De Cicco ha chiesto di farsi interrogare la prossima settimana. Poi la procura deciderà se chiedere il processo o archiviare.
Tra Palazzo Chigi e Consiglio di Stato.
Nella vicenda, dopo la multa dell’Antitrust, viene coinvolto anche il governo. In un’informativa del Noe, del giugno 2015, si legge che gli uffici legali di Novartis contattano l’entourage del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, per informarlo che “Palazzo Chigi potrebbe essere interpellato dalla Commissione europea”. “Contatti normali”, spiegano al Fatto dallo staff di Lotti, “per chi svolge il ruolo di sottosegretario. In ballo c’era la multa che le case farmaceutiche hanno pagato. In quel momento la Presidenza del Consiglio doveva gestire la questione”.
Agli atti però ci sono anche alcuni incontri del legale della Novartis, Ovidio D’Ovidio (non indagato), con Antonio Catricalà, ex sottosegretario ed ex consigliere di Stato che, per questa inchiesta, finirà indagato, in un filone a parte, per corruzione in atti giudiziari. I pm volevano verificare se vi fossero state influenze sul Consiglio di Stato che doveva emettere una sentenza sul caso. Non è stata trovata alcuna prova e per Catricalà è stata chiesta l’archiviazione.
Le mail dell’ad e i comunicati falsi.
Intanto in Roche si raccolgono dati sui problemi che l’Avastin sta registrando, secondo i suoi dirigenti, nelle cure oftalmiche: “Caro Maurizio, stiamo parlando di una ventina di casi – scrive Andrea Lanza all’ad De Cicco – (…) Dire se venti casi siano pochi o tanti è difficile perché il problema è che non conosciamo la popolazione esposta, quindi non abbiamo il dato di incidenza”. Nella mail si legge che Roche due anni prima ha “avvisato” gli oculisti italiani “dei pericoli associati all’utilizzo di Bavacizumap nella maculopatia degenerativa dell’anziano”.
In sostanza, a giudicare dalla lettera, è come se Roche avesse informato gli oculisti sui presunti pericoli dell’Avastin nelle cure oftalmiche. Eppure, stando alle accuse, Lucentis e Avastin sarebbero sovrapponibili. La tesi dei problemi creati da Avastin viene sposata anche dalla Federanziani. LaGuardia di finanza s’insospettisce dopo aver letto il comunicato dell’associazione dell’8 ottobre 2014. Federanziani ha messo in piedi un call center che, da luglio a novembre del 2014, riceve 1523 telefonate da malati di maculopatie. Nel comunicato si affermava, scrive la Finanza, che “in soli 40 giorni sono arrivate oltre 245 chiamate con il 46% di questionari completi. Sul totale dei rispondenti si è riscontrato che ben il 17,8 per cento ha dichiarato di aver avuto reazioni avverse, tra cui gravissime emorragie per il 25%, perdita della vista per il 15% e infine reazioni avverse non gravi di cui rossore, bruciore e fastidio sino al 60% dei casi”. Gli investigatori però rilevano delle incongruità in questi dati che potrebbero non esser state riportate correttamente.
Vengono così interrogate alcune persone che si sono rivolte al call center. Si scopre che i signori Del Pesce e Brunzo, ad esempio, “sono stati curati sia con iniezioni di Avastin che Lucentis”. E che ai signori Esposito e Marinelli sono state “somministrate iniezioni di Lucentis”. Il signor Collella è “stato sottoposto a un ciclo di iniezioni di Macugen e successivamente a uno di Lucentis”. Eppure nel comunicato della Federanziani, scrive la Finanza, “non è mai stato fatto alcun riferimento a Lucentis e Macugen”. Inoltre, “nessuna delle persone” interrogate “ha avuto dei reali effetti collaterali” tali “da considerarli gravi a seguito delle cure con Avastin”. La Gdf sospetta che il tutto sia stato creato ad hoc per “avvalorare la tesi della scarsa sicurezza dell’uso oftalmico dell’Avastin”. Il comunicato sembra sortire il suo effetto. Roberto Messina (non indagato), presidente della Federanziani, viene intercettato mentre ne parla direttamente con l’ex direttore generale dell’Aifa Luca Pani (estraneo alle indagini): quest’ultimo lo consiglia sulla futura diffusione dei dati. Di lì a poco, l’Aifa autorizzerà il servizio sanitario nazionale a utilizzare il Lucentis per le malattie oftalmiche. Revocando la possibilità di acquistare l’Avastin. Il che crea enormi problemi di budget nelle casse sanitarie regionali.
“Io intimidita dalle case farmaceutiche”.
Dagli atti si scopre anche altro. Gli investigatori sentono come persona informata sui fatti Emilia Chiò, all’epoca funzionario del settore acquisti della Regione Piemonte, nell’Assessorato Tutela e Salute. La Chiò nel 2011 prende parte a un gruppo di lavoro che si occupa delle “linee di indirizzo” per “i trattamenti farmacologici” sulle maculopatie. Manca un anno al documento di Aifa. Ormai sul mercato, Lucentis, in base alla legge Di Bella, dovrebbe essere utilizzato in quanto farmaco specifico per le maculopatie, ma le Regioni possono in alcuni casi preferirgli l’Avastin. “L’utilizzo del Lucentis in luogo dell’Avastin – dice Chio – a livello regionale, nel primo semestre 2011, aveva determinato una maggiore spesa di circa 0,67 milioni”. Il gruppo aveva cercato di studiare gli “eventi avversi di Avastin” ma un dirigente della Novartis (non indagato) non è d’accordo. L’uomo, racconta la Chiò, “mi riferiva di non procedere allo studio di Avastin perché la Novartis non gradiva questa iniziativa. (…) Il suo atteggiamento era perentorio a tratti intimidatorio”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/lo-stato-pagava-mille-euro-il-farmaco-che-ne-costava-80/
sabato 17 febbraio 2018
Cup, visite e tempi di attesa: tutto quello che c'è da sapere.
Da che cos'è il Cup alle modalità di prenotazione di una visita, fino ai tempi massimi di attesa e le priorità di prestazione. Altroconsumo, l'associazione per la tutela e difesa dei consumatori, in 'Diritti in Salute', elenca e spiega tutto ciò che è opportuno sapere per prenotare visite ed esami. Obiettivo del progetto 'Diritti in salute', nato dalla collaborazione tra Altroconsumo e Acu, associazione consumatori utenti, e finanziato dal ministero dello Sviluppo economico, è dare una risposta ai dubbi più comuni in materia sanitaria.
Ecco, in sintesi, le principali informazioni utili ai cittadini, negli approfondimenti dedicati alla prenotazione e tempi di attesa per visite ed esami con il Ssn:
- COSA E' IL CUP? E' il Centro unico di prenotazioni a cui rivolgersi per prenotare visite ed esami in diverse strutture. Il sistema accentra la prenotazione delle prestazioni ambulatoriali presso strutture pubbliche (e in alcuni casi anche le private convenzionate) di una Asl, città, provincia o Regione; indirizza il cittadino alla struttura che ha la disponibilità di un posto nel minor tempo possibile; permette al cittadino di prenotare direttamente la visita presso la struttura che gli è più comoda o che è in grado di erogare la prestazione nel minor tempo, grazie al fatto che le strutture sono collegate in rete.
- COME SI PRENOTA UNA VISITA O UN ESAME? È possibile farlo in vari modi: telefonando al numero verde dedicato; andando di persona allo sportello nei centri Cup; recandosi in una delle farmacie che offrono questo servizio; tramite il Cup online, attivo solo per alcune Regioni.
- I TEMPI DI ATTESA. Esiste un Piano nazionale di governo delle liste d’attesa, elaborato dall’intesa tra il Governo, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che stabilisce le priorità e i tempi massimi per l’erogazione di esami, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri e interventi chirurgici da parte del Ssn.
Le priorità temporali previste sono quattro, contraddistinte dalle lettere U, B, D e P. Il medico compilerà l’impegnativa e indicherà nel campo 'priorità della prestazione' la lettera corrispondente all'urgenza della prestazione:
Lettera U: prestazioni 'urgenti' a cui l’utente ha diritto entro 72 ore. In questi casi, sulla prescrizione sarà apposto il 'bollino verde'. Attenzione: le prestazioni urgenti vanno prenotate entro 48 ore dalla data di prescrizione, altrimenti decade l’indicazione di urgenza.
Lettera B: prestazione da fornire in tempo 'breve' (non più di 10 giorni). Va usata in situazioni in cui è necessario intervenire in tempi rapidi per evitare l’aggravarsi delle condizioni del paziente.
Lettera D: prestazioni 'differibili', che, se fornite in tempi meno celeri, non pregiudicano la salute del paziente. Sono prestazioni di prima diagnosi, da erogare entro 30 o 60 giorni (a seconda che si tratti di visite o di esami diagnostici strumentali).
Lettera P: visite ed esami 'programmati', non urgenti. È il caso delle visite di controllo, per le quali la regola stabilisce un massimo di 180 giorni. Se nella ricetta non sono indicati il sospetto diagnostico o la classe di priorità, la richiesta è collocata in classe P. Tra tutte le prestazioni che il Ssn offre, ne sono state individuate 58 (43 a livello ambulatoriale e 15 in regime di ricovero) il cui tempo massimo d’attesa deve essere garantito al 90% dei cittadini che le richiedono.
- AREE PRIORITARIE. Le malattie del sistema cardiocircolatorio e i tumori sono le principali cause di morte in Italia, pertanto è necessario che i tempi massimi d’attesa per ciascun piano diagnostico terapeutico non siano superiori a 30 giorni per la fase diagnostica e 30 giorni per l’inizio della terapia dal momento dell’indicazione clinica. Bisogna però dire, precisa Altroconsumo, che il rispetto di questi tempi è garantito in linea teorica per il 90% dei cittadini. E' quindi possibile che a un cittadino venga offerto un appuntamento con tempi più lunghi: in questo caso Altroconsumo invita a insistere per il rispetto dei tempi scrivendo direttamente all’azienda sanitaria territoriale.
- VISITE O ESAMI IN UNA REGIONE DIVERSA DA QUELLA DI RESIDENZA. E' possibile prenotare visite ed esami in una Regione diversa da quella di residenza, poiché la ricetta per prestazioni specialistiche e diagnostiche è valida su tutto il territorio nazionale. Una volta che si ha la ricetta del proprio medico di base, è sufficiente chiamare il Cup della Regione in cui si desidera effettuare la visita.
- COSA FARE SE L'APPUNTAMENTO E' TROPPO LONTANO? Nel caso in cui il primo appuntamento disponibile, in qualunque struttura, fosse superiore a 30 giorni per le prime visite specialistiche e 60 giorni per gli esami diagnostici strumentali, il Ssn è comunque tenuto a garantire la prestazione nel rispetto dei tempi regionali previsti ricorrendo a una prestazione in regime libero-professionale (intramoenia) a spese dell’azienda sanitaria locale, riservando al cittadino solo il pagamento del ticket. Lo prevede la legge (decreto legislativo n.124 del 1998), ma questa norma, fa notare Altroconsumo, è spesso ignorata e disattesa. Per richiedere il rispetto dei tempi è possibile compilare la lettera e inviarla all’Urp dell’azienda sanitaria di residenza.
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