giovedì 14 marzo 2019

Lilly Gruber - Claire Felugo

Risultati immagini per lilli gruber

Lilly Gruber, soffre di quella che in psichiatria si chiama "invidia del pene". La distonia tra quello che appare e quello che realmente vorrebbe essere, affiora già dal nome, la parte femminile più leziosa e fanciullesca, quasi da folletto, ed il cognome, una minaccia virile anche solo dal punto di vista onomatopeico, a pronunciarlo bene, alla tedesca. 
Piccola gnoma sudtirolese, graziosa (prima degli svariati interventi chirurgici che hanno reso il suo viso, una poltiglia di neoprene, un mascherone da "tunnel degli orrori" da Luna Park), arrivista, ha scalato tutte le posizioni vantaggiose per lei, in RAI. Viene eletta nelle liste di RC. Poi, per un lungo periodo, non si hanno più notizie.
Con l'acquisto de la 7 da parte del pregiudicato salvato in corner da un'opportuna prescrizione, Urbano Cairo e l'arrivo nell'emittente di Mentana, eccola spuntare fuori la focosa Lilly ma, questa volta, con tanto di "alta onorificenza" di cui è insignita dal misterioso, ed esclusivo al punto di escludere persino la stampa nazionale ed internazionale, "Club Bilderberg" che fa il trio con l'"Aspen Institute" e l'occulta "Trilateral". Hanno un paio di riunioni all'anno e partecipano personaggi di tutto il mondo. Tra gli italiani, Monti, John Elkann, Mario Draghi, Jovanotti e la gnoma sudtirolese Lilly. Cosa si dicono e stabiliscono durante queste riunioni? Non è dato saperlo a noi mortali. Come ho già detto, dovunque venga fatta la riunione (dove vengono affidati evidentemente dei compiti a ciascuno) viene formato dal Paese ospite, un fitto cordone di uomini armati che impedisce categoricamente a chiunque di avvicinarsi più dei 10 metri consentiti.
Bloccano anche i passanti. Nessuno deve sapere, nessuno deve guardare, nessuno può fare domande. Misteri massoni alla Kubrick.
Chiusa nel suo desco circolare a la 7, sostenuta da massoni e potenti vari, Lilly la virago, sublima la sua invidia del pene atavica. Fregandosene altamente del pubblico, della deontologia di un mestiere, la giornalista, che non fa più da tempo, Frau Gruber infama, diffama, se ne sbatte del femminismo, della libertà di parola e di stampa (che però i suoi amici del Bilderberg ignorano), del garantismo, della Verità, dell'obiettivita' e della lealtà. Una sera fa un'affermazione, la sera dopo la smentisce e si contraddice. Gioca un ruolo, Lilly la Smargiassa: intriga, confonde, trama, provoca.
Con la sua vocetta arrotata da ex comunista chic e cacacazzi (una vita fa!), gode come mai nella sua vita e ritrova il pene perduto, nell'attaccare ferocemente, dilaniandolo con aguzzi dentini da topo di fogna, chiunque sia del M5S o quei pochissimi che lo difendono.
Che gli vuoi dire ad una così? Ad una così potresti solo fare: una faccia nuova senza chirurgo ma a forza di sganassoni. 
Oppure, si potrebbe querelare, e parlo dei nostri Portavoce, non senza averla mandata affanculo in diretta. Dicendoglielo proprio, mentre lei armata di coltello continua a girare il coltello in una piaga che vede solo lei, Mentana e quelli del Bilderberg...dirle: "Ma lei la fa la cretina o ci è proprio nata così? Ma vada affanculo io e gli italiani non abbiamo tempo per gli sproloqui di una kapo' svenduta!".
Ma, sinceramente, senza voler, per carità, insegnare nulla a nessuno, quelli che capisco meno di tutti, sono quelli che di questi stronzi puzzolenti non si perdono una sillaba.
Io no. Non guardo da 3 anni la Gruber. Non mi è mai piaciuta, fin dai tempi in cui militava in RC. Già, è stata anche in politica, lei. Poi però, stranamente ne è uscita....forse avevano un altro ruolo da assegnarle? 
Io non so più come dirlo: volete il Sistema distrutto, il Cambiamento e poi date audience ad una crucca scaltra e senza scrupoli.
Ma lasciatela affondare in uno 0 di audience la mercenaria ed i suoi colleghi del branco la 7.
Oppure, se c'è qualcuno che si degna di rispondermi tra gli attivisti più impegnati sul fronte, organizziamo una seria e massiccia protesta contro la 7 e la RAI.
È possibile organizzarla oppure continuiamo con #solidarietaallasarti e#boicottala7 o #abbassolaraidifoa che non servono ad una beata mazza? 
Fatemi sapere.


https://www.facebook.com/corrado.dellascorciosa/posts/10211065544392809

SARTI PER SIGNORE. - Marco Travaglio

Giulia Sarti, Garante della privacy: “No a diffusione di immagini private”. Fico: “È vittima di un atto vigliacco”

Questa è la prima e spero l’ultima volta che scrivo del “caso” di Giulia Sarti, che dopo le sue dimissioni dalla commissione Giustizia non è più né politico, né giudiziario, né morale: è soltanto una vomitevole schifezza che nasce dalla diffusione in rete di video e immagini intime senza il consenso dell’interessata nella forma più infame: quella del revenge porn, cioè della porno-vendetta che ha già portato al suicidio Tiziana Cantone e altre povere ragazze, e che contro la Sarti assume dimensioni ancor più mostruose per la notorietà del personaggio, la sua appartenenza alla forza politica più invisa al sistema e il conseguente surplus di morbosità dei media.
Nel Paese in cui i garanti della Privacy evocavano la riservatezza anche quando un presidente del Consiglio pagava prostitute minorenni dopo aver comprato o fatto comprare finanzieri, giudici, sentenze, testimoni e senatori, accade che le sue tv diventino il megafono di possibili o probabili ricatti contro la Sarti, nella beata impotenza del cosiddetto Garante della Privacy (fervorini a parte).
Nel Paese in cui bastava un attacco social al presidente della Repubblica (“dimettiti”: terribile) per mobilitare le Procure e l’Antiterrorismo, o un insulto via web alla presidenta della Camera per proclamare lo stato d’emergenza e scomodare la Polizia postale, da giorni e giorni migliaia di giornalisti, politici e altri addetti ai lavori e ai livori ricevono da gruppi social foto e filmati sui momenti più intimi della vita della deputata. E non accade nulla, perché nulla si può fare: neppure dopo un eventuale processo con eventuali condanne.
Intanto, in tv capita pure di sentir dire che, certo, è roba brutta, ma in fondo questi grillini se la sono cercata, perché chi di web ferisce di web perisce (come se l’email e WhatsApp li avesse inventati Casaleggio e la piattaforma Rousseau servisse a raccogliere filmini hard sugli amplessi degli avversari).
Così si continua a parlarne, aumentando il danno e il prezzo del ricatto, con la scusa di ragioni politiche, giudiziarie e morali che non esistono più da un mese: la Sarti s’è dimessa dalla commissione Giustizia (atto doveroso, essendo ricattata o ricattabile) ed è stata deferita ai probiviri M5S che dovranno decidere sull’eventuale espulsione per un paio di bonifici ritirati (non si sa se da lei o dall’ex fidanzato che aveva accesso ai suoi conti).
Ovviamente la deputata ha sbagliato a fidarsi di chi non lo meritava e ora lancia oscuri messaggi dagli studi moralizzatori delle Iene (a proposito: a quando una bella puntatona sugli amori trentennali fra B. e i boss di Cosa Nostra, magari con qualche video hard di fonte interna?).
Ha sbagliato a non effettuare o almeno verificare i versamenti al fondo per il microcredito che i parlamentari M5S sono tenuti a finanziare con una parte dei loro stipendi. Ma non ha commesso alcun reato (i giudici, oltre all’appropriazione indebita dell’ex compagno, hanno escluso anche la calunnia di lei a lui): quei soldi erano suoi; se fosse eletta in qualunque altro partito nessuno ne avrebbe mai parlato; e ciascuno ha diritto di fare sesso come, quanto e con chi gli pare, se non viola la legge.
Il resto lo decideranno i probiviri M5S: se verrà fuori che ha trattenuto consapevolmente per un paio di volte ciò che avrebbe dovuto versare, la sanzioneranno. Come han fatto con altri 5Stelle presi a violare una regola magari bizzarra, ma liberamente sottoscritta, e poi espulsi.
Ora però la Sarti ha già pagato, per gli effetti collaterali di quelle eventuali irregolarità (ripeto: perfettamente legali, se non ai fini dello Statuto interno), un prezzo terrificante. I giudici romagnoli hanno archiviato le sue denunce al fidanzato senza neppure sentirla, né fare nulla per privare il tizio di possibili armi di ricatto.
I media la stanno massacrando peggio che se avesse rapinato una banca o stuprato un bambino. E da settimane circolano sue vecchie foto intime rubate nel 2013 dalla sua mail da appositi hacker (mai individuati e mai neutralizzati col loro materiale venefico), con l’aggiunta dei filmati sessuali trasmessi ieri ai guardoni delle redazioni e del Parlamento: una sequenza e un dosaggio che fanno pensare a una campagna studiata a tavolino da menti malate e pericolose, ansiose di rovinarle la vita per sempre.
Qualunque cosa emerga sulle famose “restituzioni”, oggi l’espulsione non sarebbe un atto di equità, ma di viltà: in un momento così drammatico, per lei e la sua famiglia, Giulia Sarti va difesa e protetta in ogni modo da tutto il Movimento e dalle altre forze politiche, almeno quelle che conservano un pizzico di umanità (e ieri finalmente alcune voci han cominciato a levarsi anche da partiti avversari, da Mara Carfagna in giù).
Le appioppino una bella multa, anche pari al quintuplo della somma eventualmente sottratta. Ma evitino di isolarla ancor di più. Anzi, i 5Stelle dovrebbero fare di lei, come delle altre vittime superstiti del revenge porn, le testimonial di una legge che punisca duramente questo orribile delitto e fornisca alle forze dell’ordine e ai magistrati gli strumenti per scoprirne gli autori, ma soprattutto per fermarli in tempo reale e poi imporre l’oblio perpetuo a quella macchina schizza-merda che è ormai il web.
Oggi tutto questo è impossibile, tant’è che dopo Tiziana non è cambiato nulla: nemmeno quando la vittima muore suicida, nemmeno quando è una parlamentare della Repubblica. C’è un progetto di legge della pentastellata Elvira Evangelista, ad altri stanno lavorando FI e la Boldrini: si potrebbe subito unirli in un decreto del governo con l’approvazione dell’intero Parlamento.
I requisiti di necessità e urgenza sono evidenti. 
O vogliamo aspettare il prossimo 8 marzo?

https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/2417750894901745?__tn__=K-R

Leggi anche:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/13/giulia-sarti-garante-della-privacy-no-a-diffusione-di-immagini-private-fico-e-vittima-di-un-atto-vigliacco/5034112/?fbclid=IwAR3AnZlS-o6k6PNfiKmB0biJ6ljGhqA7xb3zmMMQSLIfUkXTSWXqaVvUGgw

Quei coglioni dei 5 stelle. - Roberta Labonia



Ragazzi sono arrabbiata: i dati pubblicati ieri da Agcom, (l’autorità Garante delle Comunicazioni), confermano quella che era la mia peggiore percezione: in RAI Salvini tiene banco, e non di poco, per un minuto che parla Di Maio lui ne parla tre. E quando non parla lui ci pensano gli speaker, giornalisti ed opinionisti tanto al chilo a parlarne, si va dai canali RAI (con punte di presenze dirette/indirette stile Erdogan su Rai2), alla corazzata Mediaset, passando per il covo di pasdaran piddini che ospita casa Cairo a La7; anche loro ne parlano, spesso male ma ne parlano, ma tutto fa brodo, lo diceva Oscar Wilde per bocca del suo personaggio Dorian Gray e lo sa bene anche Salvini.
Insomma Salvini é l’arma attraverso cui la casta, sinistra compresa pur col naso turato, conta di ridimensionare i Grillini, quelle teste calde anti sistema che in un momento di sbandamento gli italiani hanno intollerabilmente elevato a prima forza politica di Governo.
Ed é per questo che il padano, forte di questa potenza di fuoco che lo sostiene, si può concedere certe libertà che, ove se le prendesse un qualsiasi altro esponente di questo Governo, verrebbe lapidato in pubblica piazza. La cortina di fumo protettiva gliela garantiscono loro, quelli del mainstream nazionale; le italiche genti si vanno sempre più convincendo che é lui, il Matteo nazionale, a portare avanti tutta la baracca.
Un’ottimo articolo della Milena Gabanelli, che spicca fra quelli a profusione prodotti dai leccaculo dell’ancienne regime, ci riporta invece alla realtà snocciolando qualche dato saliente.
Dall’inizio della legislatura (circa 9 mesi), perpetuando i livelli di assenteismo che lo hanno reso famoso al Parlamento europeo, Salvini ha votato in aula 57 volte su totali 3.286 votazioni, fanno peggio di lui solo due senatori a vita: Giorgio Napolitano e Renzo Piano.
Quanto a produttività Salvini in 9 mesi é stato firmatario di sole due leggi: il Decreto Sicurezza e la cessione di unità navali alla Libia; ha risposto a quattro Question Time ed é intervenuto in tre Commissioni Parlamentari. Come Ministro dell’Interno lo hanno intravisto al Viminale una media di 10 giorni al mese, salvo dicembre, che é apparso (ma forse era la sua controfigura), 5 volte. Per non parlare di Agosto, il mese storicamente più presidiato dai Ministri dell’Interno, quando tutti sono in ferie, le sue fuitine in piazza del Viminale si mormora non sono arrivate al numero delle dita di una mano e anche quelle di dubbia fonte.
Ma allora, di grazia, come lo impiega il suo tempo “Matteo Felpini”? (cosiddetto in ossequio al suo sterminato guardaroba di felpe: ne indossa una per ogni occasione mica a membro di segugio….).
I dati istituzionali declinati dalla Gabanelli parlano chiaro: per quasi il 98% del suo prezioso tempo il Salvini risulta essere in missione (a Matte’, ma quanto ce costi?). Si spazia dalla visita istituzionale al primo ministro degli Interni russo (che poi abbia coinciso con la finale mondiale di calcio a cui non é mancato é del tutto incidentale), passando per la fiera internazionale delle armi in Quatar, dove si é fatto immortalare con tanto di mitraglietta in mano…e non solo, è stato onnipresente in tutte le principali tragedie nazionali (e ci mancherebbe), in versione “Nembo Kid” salva tutti.
Ma il suo forte sono i successi istituzionali, quelli dove non ha messo becco ma c’è da incassare l’applauso. Lui, per i media, è l’uomo che ci ha liberato dalla piaga migratoria, che se poi vai a guardare i dati del Viminale di fine 2018 e ti accorgi che i flussi migratori erano già crollati grazie agli accordi siglati dal suo predecessore Minniti con le tribù libiche é un dettaglio. Emblematico del suo alto grado di paraculaggine un altro episodio: ve lo ricordate quando la Raggi sbaracco’ i Casamonica dalle loro case abusive de lux? Lei era lì dalle 4 del mattino con le forze dell’ordine dopo essersi sobbarcata un lavoro certosino di 6 mesi mai volutamente portato a termine dai suoi illustri predecessori. Lui arrivò con comodo, all’ora del cappuccino, ma in tempo per offrire il suo faccione alle telecamere e attribuirsi i meriti che non aveva, ma anche questo è un dettaglio, tanto la gente abbocca.
E poi e poi, che ve lo dico a fare, mischiando sempre gli affari di Stato con quelli di partito, dall’inizio del suo mandato (sempre a spese nostre of course), il Salvini si sta concedendo il lusso della più grande campagna elettorale che la storia della Lega ricordi, tanto a sgobbare, a fare i fatti importanti per il Paese e a ridare una speranza al nostro martoriato Paese strozzato dagli aguzzini UE, in Parlamento ci bivaccano i 5Stelle, lui passa alla cassa per incassare i meriti e si sta ricreando una verginità politica che la sua Lega aveva perso da tempo immemore.
Mi viene in mente la famosa barzelletta del rabbino romano morente nel suo letto che, vedendo tutta la famiglia attorno a lui, alzando l’occhio preoccupato mormora: “aohhh, ma chi ce sta’ a bottega?”
Tranquillo Matte’, a bottega ci stanno quei coglioni dei 5 stelle, quelli che ti stanno assicurando la volata alle prossime elezioni di Maggio.
E a gratis, per giunta.

martedì 12 marzo 2019

Chi prende il reddito di cittadinanza è un parassita, dice la Cei. Così la Chiesa tocca il fondo. - Angelo Cannatà

Chi prende il reddito di cittadinanza è un parassita, dice la Cei. Così la Chiesa tocca il fondo

A tutto c’è un limite e si fatica a capire davvero dove stia andando Santa Romana Chiesa: si è toccato il fondo.
Sapevamo della corruzione nei sacri palazzi, fa parte della storia della Chiesa e non ci si scandalizza quasi più.
Sapevamo che in essa albergano preti pedofili, è cronaca quotidiana e tocca le diocesi d’Italia e di tutto il mondo.
Sapevamo che la Chiesa ha conosciuto guerre di religione, vendita d’indulgenze e papi atei (Savonarola definiva Alessandro VI: “Papa simoniaco e sacrilego”).
Sapevamo che la Chiesa ha stretto patti coi regimi totalitari.
Sapevamo che lo Ior (Istituto per le Opere di Religione), con Marcinkus e non solo, trafficò col Banco Ambrosiano e Michele Sindona (membro della P2 in stretto contatto con la mafia).
Sapevamo d’affari recenti e per niente trasparenti – Vatileaks, ma non solo – e di congiure di Palazzo all’interno del Vaticano.
Sapevamo di pressioni e ricatti politici della Chiesa (i fedeli votano), e della “sacra” ingerenza sull’Italia per non pagare l’Ici.
Sapevamo dello scandalo maleodorante legato alla scomparsa di Emanuela Orlandi.
Sapevamo di un criminale sepolto (quanto durerà ancora questo scandalo?) dentro una storica chiesa romana.
Sapevamo della “confusione che regna nel cuore della Chiesa”, tesa a gestire – dimentica del Vangelo – beneficenze, potere e affari.
Sapevamo della sete di denaro in Vaticano (dalla lettera di un teologo a Benedetto XVI: “Perché il denaro gioca un ruolo centrale? Dov’è la forza per combattere nella curia la tentazione del potere? Dov’è l’umiltà e la libertà donata dallo spirito?”).
Sapevamo questo e molto altro.
Ma ora sappiamo anche che Santa Romana Chiesa non sta più (nemmeno formalmente) dalla parte degli ultimi perché definisce "parassiti" i poveri che attendono un reddito di cittadinanza. Attenzione: non un parroco schizzato di campagna, ma la Cei parla di “cittadinanza parassitaria”. Non c’è nulla di peggio di questo insulto al Vangelo: i poveri equiparati a parassiti (che ne è di “chiedete e vi sarà dato”?). Anche il valore della Caritas perde senso di fronte alle parole della Cei. Siamo all’indicibile. Peggio dell’ateismo di Alessandro VI, peggio degli intrallazzi di Marcinkus: qui si tocca davvero il fondo, si tradisce il cuore del Vangelo, “gli ultimi saranno i primi”, “ama il prossimo tuo come te stesso”. Se può, se glielo consentono, se non lo mettono a tacere, intervenga Papa Francesco a correggere e mettere fine a quest’obbrobrio.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/11/chi-prende-il-reddito-di-cittadinanza-e-un-parassita-dice-la-cei-cosi-la-chiesa-tocca-il-fondo/5024376/

La Chiesa cattolica, che pretende di essere l'unica ancora di salvezza per i poveri, ma solo a parole, con il reddito di cittadinanza si sente defraudata del merito ed attacca chi, per gli indigenti, qualcosa di concreto la fa davvero. 
Invece di blaterare, quelli della CEI potrebbero rivolgere le loro attenzioni a tutti gli indigenti del mondo, compresi i bambini che "usano" invece di "nutrire"...
by cetta.

Termini Imerese, domiciliari per i vertici Blutec: “16 dei 21 milioni di fondi statali per riconversione usati in altri impianti”.

Termini Imerese, domiciliari per i vertici Blutec: “16 dei 21 milioni di fondi statali per riconversione usati in altri impianti”

A Roberto Ginatta e Cosimo di Cursi, rispettivamente presidente e ad, è contestato il reato di malversazione ai danni dello Stato. Cuore dell'inchiesta i soldi pubblici, ottenuti attraverso Invitalia, per far ripartire lo stabilimento, dove la società avrebbe dovuto produrre auto elettriche. I finanzieri stanno mettendo i sigilli agli impianti della fabbrica di Rivoli nel Torinese.

Almeno 16 dei 21 milioni di euro di soldi pubblici versati alla Blutec, l’azienda che avrebbe dovuto gestire il rilancio dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese sono stati invece impiegati in altri impianti per l’acquisto di beni, come ad esempio un software. A questa conclusione sono giunte le indagini della guardia di finanza di Palermo che hanno portato agli arresti domiciliari per Roberto Ginatta e Cosimo di Cursi, rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato proprio della Blutec. Le Fiamme gialle, oltre a dare esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, hanno infatti sequestrato preventivamente proprio 16 milioni e 516 mila euro. Anche lo stabilimento di Rivoli (Torino) della Blutec è stato messo sotto sequestro.
Era ottobre quando la procura di Termini Imerese aveva aperto l’inchiesta su Blutec, la società che ha rilevato l’ex stabilimento siciliano della Fiat. In fabbrica erano arrivati gli uomini del nucleo di polizia economico-finanziaria per sequestrare documenti e file utili sull’azienda. Obiettivo del procuratore Ambrogio Cartosio era far luce sull’utilizzazione del finanziamento pubblico da circa 21 milioni di fondi regionali vincolati a precisi investimenti industriali mai realizzati come aveva raccontato a gennaio ilfattoquotidiano.it. “Gli arresti del management della Bluetec di Termini Imerese confermano alcune perplessità delle parti sui piani d’investimento. Non abbandoniamo i lavoratori che sono le vittime di questa storia”, dice il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maiomentre alcune operai già si stanno radunando per protestare fuori dallo stabilimento siciliano. I finanzieri sono arrivati anche lì, oltre che in tutte le altre unità locali dell’azienda.
I riscontri finanziari, le perquisizioni, una consulenza tecnica e l’assunzione di informazioni nei confronti di dipendenti e fornitori della Blutec hanno fatto emergere come i finanziamenti statali, attraverso Invitalia, per la riconversione di Termini Imerese non siano in realtà, questa l’accusa, mai stati impiegati per i fini progettuali previsti, né restituiti a scadenza delle condizioni imposte per la realizzazione del progetto (31 dicembre 2016, termine poi prorogato fino al 30 giugno 2018). A tutt’oggi, nonostante la revoca del finanziamento intervenuta a aprile del 2018, le procedure di restituzione non sono state ancora avviate.
I soldi statali incassati per riaprire lo stabilimento. Oggi gli investigatori delle Fiamme Gialle sono tornati in azione per eseguire un’ordinanza di custodia cautelare e così Roberto Ginatta e Cosimo di Cursi, rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della Blutec, sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di malversazione ai danni dello Stato. I finanzieri hanno anche notificato un decreto di sequestro preventivo dell’intero complesso aziendale e delle relative quote sociali, nonché delle disponibilità finanziarie, immobiliari e mobiliari riconducibili agli indagati fino all’importo di 16 milioni e 516 mila euro. Cuore dell’inchiesta i fondi statali per riaprire lo stabilimento dove Blutec avrebbe dovuto produrre auto elettriche. A Ginatta e Di Cursi è stata notificata anche una misura interdittiva, per la durata di 12 mesi, che riguarda il divieto di esercitare imprese e uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. I finanzieri stanno mettendo i sigilli agli impianti della fabbrica su disposizione dell’autorità giudiziaria sotto lo sguardo degli operai. I lavoratori stanno assistendo sotto choc al sequestro da parte dei finanzieri che si trovano negli uffici amministrativi.
Il piano di rilancio che prevedeva di reintegrare l’intera forza lavoro: mai attuato. I fondi pubblici – come scritto dal fattoquotidiano.it – erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l’impianto era stato fermato nel dicembre 2011. Blutec se li era aggiudicati dopo che gli altri pretendenti alla successione di Fca erano caduti uno via l’altro in scia alle inchieste giudiziarie. E con l’impegno di riaprire l’impianto riassorbendo una parte del personale della fabbrica anche grazie alle commesse per produrre settemila motocicli elettrici di Poste Italiane e per elettrificare 7200 Doblò Fca in quattro anni. L’azienda aveva infatti presentato un piano di rilancio che prevedeva di reintegrare l’intera forza lavoro (694 persone) dell’impianto entro la fine di quest’anno, riportando in fabbrica 400 lavoratori già nel 2017. In realtà poi le cose sono andate diversamente. Dopo aver incassato i soldi pubblici, Blutec si è progressivamente rimangiata buona parte delle promesse fatte mandando avanti a singhiozzo il piano per assumere il personale e rilanciare il sito industriale.
Il ruolo del Mise da Calenda a Di Maio. Della questione era ben cosciente il ministero dello Sviluppo economico che, ai tempi dell’ex ministro Carlo Calenda che pure aveva ereditato lo spinoso caso dalle passate gestioni, aveva scelto di fare buon viso a cattivo gioco rimandando il caso Termini Imerese a dopo il voto e passando così la patata bollente al governo gialloverde. A metà luglio 2018, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, ormai sotto la guida del vicepremier, Luigi Di Maio, Blutec riferiva che i lavoratori occupati erano solo 135, cui si sarebbero aggiunte “con la commessa dei 6800 Doblò di FCA, altre 120 persone nei prossimi tre anni”, come si leggeva nel verbale della riunione ministeriale. “La piena occupazione verrà quindi assicurata solo nel momento in cui gli accordi commerciali citati avranno concreta realizzazione”, proseguiva il documento. A novembre c’era stato un nuovo tavolo al Mise in cui la Fiom aveva chiesto di garantire la continuità occupazionale.
Lo scorso 23 febbraio Di Maio aveva annunciato, al tavolo al Comune di Termini Imerese con sindaci e sindacati sulla Blutec un emendamento al Decretone in esame al Senato “per assicurare sei mesi di ammortizzatori sociali”.. Il timore di una mancata proroga della cassa integrazione, scaduta il 31 dicembre scorso, aveva portato le tute blu dello stabilimento ex Fiat a organizzare giorni di proteste, occupando simbolicamente la sede del Comune e poi tenendo un sit-in davanti al ministero dello Sviluppo economico a Roma per chiedere proprio che il faccia a faccia con Di Maio fosse anticipato a questo sabato. “La Blutec deve rispettare gli impegni che ha preso”, aveva detto il vicepremier incontrando i giornalisti al termine dell’incontro. “E allo stesso tempo Fiat, cioè Fca, deve fare la sua parte, perché è vero che ha deciso di andare via ma si è impegnata a garantire la transizione”. Oggi gli arresti e il sequestro della fabbrica.

Fiumi di coca per la Palermo bene, 32 arresti. -



Gli arrestati sono accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, favoreggiamento reale aggravato, trasferimento fraudolento di valori. 

Trentadue arresti a Palermo nell’ambito dell’operazione Atena eseguiti dai carabinieri del comando provinciale su delega della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. Gli arrestati sono accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, favoreggiamento reale aggravato, trasferimento fraudolento di valori, sleale concorrenza aggravata dalle finalita' mafiose, spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione illecita di armi.      
Dall'operazione è anche emerso come il mandamento mafioso di Porta Nuova avesse organizzato funzionali piazze di spaccio di sostanze stupefacenti, che continua a costituire la principale fonte di reddito di Cosa nostra. Un sistema organizzatissimo in grado di soddisfare tutti giorni ed a ogni ora le richieste soprattutto di cocaina da parte della Palermo bene. Una domanda, sottolineano gli inquirenti, diretta conseguenza della domanda che non accenna a decrescere, anzi sembra in continua crescita: sono state registrate, nel corso delle indagini, numerose richieste di acquisto di droga per uso personale anche da parte di una nutrita schiera di imprenditori, avvocati e liberi professionisti della citta'.   

Individuate anche due diverse attività, una imprenditoriale e l'altra commerciale, ubicate a Palermo e riconducibili agli esponenti di vertice di Cosa nostra, ma intestate a prestanome e quindi sottoposte a sequestro preventivo. Contestato il reato di illecita concorrenza aggravata dal metodo mafioso per avere imposto la fornitura di caffe' a bar del territorio. Un investimento in grande stile, come quello per il turismo, con i servizi di trasporto assicurati con bus turistici. Individuati gli autori di 5 estorsioni nei confronti di imprenditori e commercianti costretti al versamento a cosa nostra di somme di denaro.

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/spaccio-coca-cosa-nostra-palermo-arresti-4e38dad0-9a53-4c47-9e06-533f3f9a4574.html

Chi tocca i Renzis muore. - Marco Travaglio


L’altro giorno il Csm ha assolto il pm Henry John Woodcock dalle accuse più gravi e gli ha inflitto la sanzione disciplinare della censura (bloccandogli la carriera) per la più lieve. 
Ha stabilito che la sua condotta – e quella della collega Celeste Carrano – nell’inchiesta Consip fu ineccepibile: sia quando decise di non inquisire il renziano Vannoni e dunque di interrogarlo come testimone (con l’obbligo di dire la verità), anziché come indagato (con la facoltà di mentire), perché queste sono scelte insindacabili del pm; sia quando lo interrogò senz’alcun tipo di pressione (Vannoni sosteneva che invece le sue accuse a Lotti gli fossero state estorte con minacce e il Pg della Cassazione aveva preso per buona la sua parola, peraltro smentita da tutti i testimoni e rivelatasi una balla). Dunque tutte le accuse di complotto lanciate per due anni da Renzi e dai suoi sottopancia finiscono definitivamente nel cesso. La censura riguarda un aspetto che con le indagini Consip non c’entra. Quando i pm di Roma indagano il cap. Gianpaolo Scafarto del Noe di vari falsi dolosi per alcuni errori nel rapporto investigativo su Consip, Woodcock riceve una telefonata da Liana Milella di Repubblica.
I due si conoscono da tempo e, come spesso accade fra cronisti giudiziari e magistrati (o avvocati), parlano off record, con l’intesa che nulla sarà pubblicato. Woodcock, che non ha mai rilasciato interviste, non le svela alcun segreto d’indagine: si limita a dirle che a suo avviso il capitano ha commesso sbagli in buona fede, e non per incastrare i Renzis. È la stessa conclusione a cui giungerà la Cassazione, che farà a pezzi le accuse di falso a Scafarto. 

La Milella conferma di aver tradito il patto di sangue stretto con Woodcock per l’ansia dello scoop e le pressioni del suo direttore Calabresi: inserì alcune sue frasi con la formula usata dai retroscenisti (“dice Woodcock ai suoi colleghi”). Quel mattino Woodcock va da Fragliasso per dirgli che la Milella non ha parlato con i “colleghi”, ma con lui in un colloquio che doveva restare riservato. Il che dovrebbe bastare a dimostrare la sua buona fede. 
Fragliasso, invece, denuncia Woodcock, in base alle sue stesse parole, al Pg della Cassazione. Il quale avvia l’azione disciplinare non solo sulle accuse di Vannoni, ma pure su 4 rilievi relativi alla non-intervista: il pm non doveva interferire con l’indagine romana; non doveva parlare con la giornalista; doveva avvertire subito il suo capo; e non doveva ingannarlo consigliandogli di parlare con la Milella per ribadire la regolarità dell’indagine, quasi a volersi coprire le spalle.Ora il Csm ha stabilito che Woodcock non interferì nell’indagine romana e poteva parlare con la giornalista senz’avvertire il capo (sennò sarebbero guai per quasi tutti i magistrati). Ma l’ha censurato per il presunto inganno. La sua difesa ricorrerà in Cassazione per fargli cancellare pure quella macchiolina (molto pesante ai fini della carriera). Noi siamo ammirati da cotanto zelo contro un pm che da vent’anni indaga su destra, centro e sinistra, senza la protezione di alcuna corrente, sempre assolto in 17 procedimenti disciplinari nati quando a Potenza scoperchiava i malaffari del centrosinistra, quando a Napoli incastrava B. per la compravendita di senatori e apriva il fascicolo che avrebbe portato a Milano e Genova alle condanne dei vertici della Lega per i 49 milioni rubati. 

Poi, per sua sventura, s’imbatté nel nome Renzi: indagando sull’imprenditore Romeo, scoprì che parlava di babbo Tiziano col faccendiere toscano Carlo Russo; poi il renziano Luigi Marroni gli confessò di aver strappato le microspie dagli uffici Consip su soffiata di Lotti, Vannoni, Del Sette, Saltalamacchia. E, al 18° procedimento disciplinare, s’è beccato la censura per le conseguenze di un’intervista mai rilasciata.
Ora attendiamo con ansia notizie dal Pg della Cassazione su un altro pm incappato in guai simili, anzi per aver detto a una giornalista cose ben più pesanti. È il romano Mario Palazzi, che ereditò con Ielo l’inchiesta Consip, poi indagò e infine archiviò Woodcock e Federica Sciarelli, accusati di una criminale triangolazione di fughe di notizie col nostro Marco Lillo. Il 22 febbraio 2018 Annalisa Chirico pubblica sul Foglio queste frasi di Palazzi (mai smentite) sull’inchiesta appena archiviata su Woodcock-Sciarelli: “Non vedo l’ora di tornare a occuparmi degli Spada a Ostia. So’ più semplici perché in quel caso sai chiaramente chi sono i buoni e chi i cattivi. Qui invece è un verminaio senza fine. Abbiamo acquisito una valanga di materiale probatorio, stiamo lavorando con il pettine fino… Abbiamo riscontrato la triangolazione delle utenze telefoniche tra Woodcock, Federica Sciarelli e Marco Lillo, abbiamo battuto questa pista ma senza individuare elementi sufficienti”. Diversamente da Woodcock, il pm romano parla di una sua inchiesta violando il doveroso riserbo. Poi dice cose non vere: non esiste alcuna triangolazione Woodcock-Sciarelli-Lillo, ma solo una telefonata di Lillo alla Sciarelli per sapere se Woodcock fosse a Roma, senza che poi la Sciarelli chiamasse Woodcock e richiamasse Lillo (il famoso triangolo con due lati). 
Infine parla di “verminaio senza fine”, roba da rimpiangere quei bei criminali del clan mafioso Spada, a proposito di due innocenti, Woodcock e Sciarelli, archiviati con tante scuse perché non hanno fatto nulla (ma per lui è solo perché la “valanga di materiale probatorio” non è “sufficiente”). Ora, siccome l’azione disciplinare è obbligatoria, siamo certi che il Pg della Cassazione l’abbia avviata o stia per avviarla anche per le dichiarazioni di Palazzi alla Chirico. Sennò Woodcock e la Milella potrebbero credersi più importanti e montarsi la testa.

https://infosannio.wordpress.com/2019/03/09/chi-tocca-i-renzis-muore/

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