martedì 19 novembre 2019

Perché il governo Renzi soppresse il Magistrato delle Acque di Venezia. - Gian Franco Coppola

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L'eliminazione dell'organo che avrebbe dovuto verificare la costruzione delle dighe mobili fu conseguenza dell'inchiesta per corruzione avviata sui lavori del Mose.

Fu fatto passare come un provvedimento all'insegna della semplificazione burocratica. Ma la soppressione, decisa dal Consiglio dei ministri il 13 giugno del 2014 (governo Renzi), del Magistrato delle Acque di Venezia, l'organo che avrebbe dovuto verificare e supervisionare la costruzione delle cosiddette dighe mobili per la salvaguardia della città, fu anche la conseguenza inevitabile dell'inchiesta per corruzione avviata sui lavori del Mose.

Secondo la magistratura, che ottenne gli arresti degli ex presidenti dell'ente Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, c'erano funzionari infedeli che, invece di controllare, prendevano soldi e altre utilità dal Consorzio Venezia Nuova, che era il concessionario dell'opera. 

Nato nel 1500 e diventato poi, agli inizi del Novecento, un ufficio distaccato del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Mav, più in generale, aveva il compito di sovrintendere alla sicurezza idraulica nelle lagune di Venezia, Marano e Grado e, in alcune tratte, dei fiumi Tagliamento, Livenza e del torrente Judrio, nonché sull'operato del Consorzio Venezia Nuova, in stretta collaborazione con il Provveditorato Interregionale delle opere pubbliche.

Quei compiti, aveva previsto il Cdm, sarebbero passati per intero a partire dal primo ottobre del 2014 a un ufficio creato 'ad hoc' del Provveditorato Interregionale per i lavori pubblici di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Un intervento più che altro di facciata, fu il commento della stampa dell'epoca, perché l'interim del Magistrato delle Acque, nell'agosto del 2013, era stato affidato all'ingegnere Roberto Daniele che contestualmente era stato nominato alla guida del Provveditorato. A lui successe, verso la fine del 2016, Roberto Linetti, ingegnere idraulico e dirigente di prima fascia del ministero delle Infrastrutture su nomina del ministro Del Rio.

Cantieri fermi nonostante i fondi.
Linetti, sentito il 12 settembre 2018 dalla Commissione Ambiente sullo stato di avanzamento delle opere e delle attività relative alla realizzazione del Mose, parlò di "cantieri fermi" in assenza di progettazioni e di "bassa produzione": "Mancano circa 560 milioni di lavori da fare - disse un anno fa -, opere interamente finanziate, e un diagramma che va a zero è una anomalia che va assolutamente segnalata, anomalia che non puo' essere solo dovuta a personale non capace e imprese che non hanno voglia. Ci sono molte difficoltà ma il commissariamento ormai dura da 4 anni".

"Eppure - avvertì Linetti - i soldi ci sono. I finanziamenti statali in passato sono stati scaglionati, ma oggi ci sono tutti e sono anche superiori ai lavori da fare. I fondi disponibili ammontano a 1.047 milioni e bastano per terminare i lavori, rifare opere che si sono guastate o sono venute male e per avviare l'opera, oltre che per la manutenzione fino al primo anno di gestione. Le principali strutture sono già concluse, sono da terminare i lavori ambientali, di restauro e di impiantistica". Andato in pensione il primo settembre scorso, Linetti potrebbe ritornare in corsa al Provveditorato come consulente per il Mose.

Nel frattempo, per legge si era stabilito che la nuova Città metropolitana di Venezia (insediata il 31 agosto 2015) assorbisse le funzioni e il personale dell'ex Magistrato alle acque "in materia di salvaguardia e risanamento della città di Venezia e dell'ambiente lagunare, di polizia lagunare e d'organizzazione della vigilanza lagunare, nonché di tutela dall'inquinamento delle acque". Ma ora, passata la bufera giudiziaria, c'è chi, con una nuova amministrazione, auspica il ripristino del Magistrato delle Acque. 

https://www.agi.it/cultura/magistrato_acque_venezia_doge-6543605/news/2019-11-14/?fbclid=IwAR2eLi0jfe07KJZoZAgs_OdJX2kg-hm59qHe62jFUHxMQuvjNWVd1YkefBc

Meccanismo europeo di stabilità, cosa prevede la bozza di riforma che può aprire la strada alla ristrutturazione del debito. - Chiara Brusini

Meccanismo europeo di stabilità, cosa prevede la bozza di riforma che può aprire la strada alla ristrutturazione del debito

Cinque mesi fa il via libera dei capi di Stato Ue, da confermare entro dicembre. Ma spaventano le condizionalità a cui sarebbero sottoposti gli aiuti finanziari ai Paesi in crisi. Il governatore di Bankitalia Visco vede un “rischio enorme". E Giampaolo Galli, audito come rappresentante dell'Osservatorio sui conti pubblici, ha avvertito: "Azioni o parole che possano ingenerare il timore di una ristrutturazione o peggio di un default, vanno considerati come un pericolo per l'Italia e per gli italiani".

La riforma del “fondo salva Stati” (Mes) creato nel 2011 durante la crisi dei debiti sovrani è finita all’improvviso al centro di una polemica politica sollevata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Che chiedono al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di chiarire se e quando sia stato firmato un accordo per cambiarlo “senza coinvolgere il Parlamento“. Le tappe della revisione, in realtà, sono note e dettagliate in diversi documenti dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea della Camera e del Servizio Studi del Senato. L’ultima risale al 21 giugno 2019, quando i capi di Stato e di governo dei Paesi Ue – sulla base di un precedente accordo raggiunto il 14 dicembre 2018, mentre l’Italia trattava sulla manovra – hanno adottato una dichiarazione che tra il resto “prendeva atto dell’ampio accordo raggiunto dall’Eurogruppo sulla revisione del trattato Mes”. In entrambi i casi Conte era a capo del governo sostenuto dalla Lega: il ministro dell’Economia era Giovanni Tria e uno dei vicepremier era Matteo Salvini che – secondo una lunga nota informale di Palazzo Chigi – è stato tenuto a parte di tutto il percorso. E il via libera finale è atteso per dicembre.

Sono molto meno chiare le conseguenze che potrebbero discenderne per l’Italia. Perché la riforma evoca la possibilità che i debiti pubblici giudicati troppo elevati siano ristrutturati. Per i mercati equivale a parlare di default, con tutto quel che ne deriva. La Grecia insegna.

La bozza di riforma messa a punto dall’Eurogruppo prevede una serie di condizionalità a cui sarebbero sottoposti gli aiuti finanziari che il Mes, oggi guidato dal tedesco Klaus Regling, può concedere ai Paesi dell’Eurozona che si trovino in gravi difficoltà e perdano l’accesso al mercato. Tra cui il rispetto rigoroso dei criteri di Maastricht e del Fiscal Compact, a partire da un rapporto debito/pil inferiore al 60% o “almeno” un tasso di riduzione del debito in eccesso debba essere pari a 1/20 all’anno. Inoltre i vertici del Meccanismo – che ha 700 miliardi di capitale e vede l’Italia al terzo posto tra i soci dietro Germania e Francia – sarebbero chiamati a valutare in via preventiva la situazione finanziaria degli Stati, compresa la sostenibilità del debito stesso. La parola “ristrutturazione“, va detto, non compare. Ma nel preambolo si parla della possibilità, nel caso in cui il fondo conceda aiuti finanziari accompagnati da un programma di aggiustamento, di un “coinvolgimento del settore privato” (“private sector involvement”) che di fatto è una perifrasi per dire che i creditori pagherebbero un prezzo. Ristrutturazione, dunque.

Lo stesso Regling nei mesi scorsi ha rimarcato che l’Italia “non ha mai perso l’accesso ai mercati, e non rischia di perderlo in futuro”, perché “ha un attivo delle partite correnti” e “dunque non ha mai avuto e non avrà bisogno di ricorrere” all’Esm. Le rassicurazioni preventive lasciano però il tempo che trovano, hanno notato molti osservatori: anche la direttiva Brrd sul bail in bancario entrò in vigore in sordina fino a quando le conseguenze del coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti hanno iniziato a farsi sentire dolorosamente sulla pelle dei risparmiatori.

Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco la settimana scorsa, commentando l’ipotesi di riforma del Mes, ha parlato di “rischio enorme che il mero annuncio di una introduzione della ristrutturazione del debito possa innescare una spirale perversa di aspettative di default”. E il professor Giampaolo Galli, audito come rappresentante dell’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, ha evidenziato “elementi di criticità” e “preoccupazione” perché “azioni o parole che possano ingenerare il timore di una ristrutturazione (del debito, ndr) o peggio di un default, vanno considerati come un pericolo per l’Italia e per gli italiani”. “Il Mes è un’istituzione molto utile”, è stata la sua conclusione, “che deve continuare ad avere il pieno sostegno dell’Italia” perché prevede anche aspetti positivi come l’approvazione del backstop, una sorta di “rete di sicurezza finanziaria”, per il Fondo di risoluzione unico delle Banche, da utilizzare per far fonte a crisi bancarie nel caso in cui non fossero sufficienti le risorse disponibili.

Ma “preoccupa l’idea che, in certe circostanze, la ristrutturazione del debito pubblico possa diventare una precondizione per avere accesso alle risorse del MES”. E “occorre rafforzare il ruolo della Commissione rispetto al Mes, evitare che le Cac “single limb” (nuove clausole da inserire nei titoli di Stato di tutti i Paesi membri, ndr) facilitino eccessivamente la ristrutturazione del debito”, oltre a “sottolineare con forza che la ristrutturazione del debito pubblico non può essere decisa sulla base di valutazioni meccaniche e va valutata con grande attenzione, con il pieno coinvolgimento delle autorità nazionali, perché rischia di aggravare la condizione economica e sociale di una nazione, nonché di avere effetti di contagio molto negativi sull’intera eurozona“.

Per ora il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, rispondendo al presidente della Commissione finanze del Senato Alberto Bagnai che accusava l’esecutivo di scarsa trasparenza sul negoziato per la riforma, si è limitato a parlare di “occasione perduta” perché “una parte molto significativa del lavoro è stata già discussa, negoziata e definita” dal precedente governo, il Conte 1. Il via libera dei capi di Stato in effetti è arrivato il 21 giugno, quando l’esecutivo gialloverde godeva ancora di piena salute. Il 19 giugno Camera e Senato avevano però approvato due risoluzioni di maggioranza (Molinari-D’Uva e Patuanelli-Romeo) che tra l’altro impegnavano il governo “in ordine alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale”. E anche a “render note alle Camere le proposte di modifica al trattato MES, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato”.

Prima del via libera, atteso per dicembre e a cui dovrà seguire la ratifica dei parlamenti nazionali, c’è comunque ancora qualche chance per modificare l’accordo. Il professore Galli in audizione ha ricordato che dopo l’Eurogruppo del 7 novembre il presidente Mario Centeno ha dato per chiuso il negoziato – i testi sono “considerati non più emendabili perché approvati dai capi di Stato a giugno” – ma resta “un minimo spazio negoziale sul memorandum tra Mes e Commissione. Che sarà cruciale perché il Mes è un organo intergovernativo che si mette dichiaratamente dal punto di vista di chi eroga il prestito e non del comune interesse europeo”


https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/18/meccanismo-europeo-di-stabilita-cosa-prevede-la-bozza-di-riforma-concordata-a-giugno-che-puo-aprire-la-strada-alla-ristrutturazione-del-debito/5569017/

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https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/18/fondo-salva-stati-palazzo-chigi-revisione-gia-firmata-palesi-falsita-se-scopre-ora-il-tema-e-segno-di-trascuratezza-da-vicepremier/5569620/

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo. - Francesco Casula



Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppoAgli investigatori toccherà studiare i documenti per comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi la costola italiana del gruppo abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari.Sono entrati poco dopo le 10 i finanzieri di Taranto e Milano negli uffici dello stabilimento ex Ilva, nel capoluogo ionico. I militari delegati dalle due rispettive procure stanno acquisendo una serie di documenti della contabilità di ArcelorMittal per verificare le questioni sollevate dai commissari straordinari nei palazzi di giustizia. In particolare agli investigatori delle fiamme gialle, guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, toccherà studiare i documenti di acquisto delle materie prime e quelli di vendita dei prodotti finiti nei periodi di gestione di ArcelorMittal e in quelli della precedente gestione commissariale: l’obiettivo è quello di comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi ArcelorMittal Italia abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari.L’ipotesi è infatti che Arcelor abbia operato con una serie di escamotage per far lievitare le perdite. I finanzieri dovranno accertare se davvero c’è stata una svendita a prezzi eccessivamente bassi dei prodotti finiti presenti nei magazzini dell’Ilva: acciaio che sarebbe stato venduto a società del gruppo a prezzi bassissimi, particolarmente fuori mercato. Le società del gruppo poi li avrebbero rimessi sul mercato a prezzi regolari. Al contrario andrà invece fatta la verifica per le materie prime: carbone e minerale di ferro, infatti, sembrerebbero essere state acquistate a prezzi più alti di quanto non facessero i commissari. In questo modo, secondo quanto paventato in queste ore, ArcelorMittal Italia avrebbe segnalato perdite maggiori mentre il Gruppo non ne risulterebbe per nulla danneggiato, anzi. Tutto da verificare, insomma. I prezzi degli uni e degli altri dovranno chiaramente essere confrontati con le oscillazioni di mercato, i prezzi di acquisto di altre società che operano nel mercato dell’acciaio per comprendere se siano state scelte obbligate oppure se davvero queste operazioni facessero parte di quel disegno “preordinato” che secondo i commissari mira a chiudere la fabbrica di Taranto.Com’è noto sono due i fascicoli di indagine avviati nel capoluogo lombardo e in quello ionico. A Milano, la procura è entrata nel procedimento civile avviato dopo l’istanza di recesso avviata da Arcelor e nel quale i commissari straordinari hanno depositato un ricorso di 70 pagine in cui, con parole durissime, hanno accusato gli attuali gestori di voler “consapevolmente cancellare” l’Ilva di Taranto attraverso una restituzione degli impianti, resa nota il 4 novembre e comunicata ufficialmente undici giorni dopo, con modalità che “non possono che comportarne la distruzione”. Per gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni le azioni messe in campo rappresentano un “preordinato illecito disegno” per ottenere l’“illegittimo intento” di sciogliere il contratto d’affitto che avrebbe conseguenze in grado di arrecare a Ilva, all’Italia e all’Unione Europea “il maggior possibile livello di devastante offensività”.A Taranto, invece, è stato l’avvocato Angelo Loreto a depositare un esposto che ha dato il via a un’indagine contestando i reati di distruzione di prodotti o industriali o di mezzi di produzione che danneggerebbero l’economia italiana e l’appropriazione indebita. L’esposto oltre a ripercorrere i fatti salienti descritti nel documento arrivato ai giudici milanesi, sottolinea come i commissari, nei giorni scorsi, avessero comunicato d ArcelorMittal l’intenzione di effettuare una visita ispettiva nell’impianto di Taranto a cui la multinazionale avrebbe risposto che “essendo stato risolto il contratto con la comunicazione del 4 novembre 2019” non era più tenuta rispettare l’obbligo di garantire l’accesso ai commissari. A questo si aggiunge la “scomparsa” delle materie prime: al momento della presa in consegna dei rami d’azienda, secondo i commissari, Arcelor “ha ricevuto un magazzino del valore di circa euro 500 milioni” e ora si appresta a riconsegnare lo stabilimento senza giacenze e rifiutandosi “di procedere ad alcun ulteriore acquisto”. Un punto che potrebbe essere stato temporaneamente superato dalla comunicazione diffusa ieri con la quale l’ad Lucia Morselli ha annunciato che la regolare ripresa delle attività e degli ordini commerciali in attesa di una definitiva decisione della Procura di Taranto. Tutto quanto, però, passerà ora al vaglio dei finanzieri e già nelle prossime ore potrebbero arrivare clamorosi risvolti.https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/19/ex-ilva-i-finanzieri-negli-uffici-di-arcelor-laccusa-materie-prime-comprate-a-prezzi-alti-prodotti-finiti-svenduti-a-societa-del-gruppo/5570051/

M5S: "Chiesa paghi Imu".

M5S: Chiesa paghi Imu

Pagamento dell’Imu per la Chiesa. Lo propone un emendamento del senatore M5S Lannutti alla manovra: "Sono tenuti a pagare l’Imposta municipale propria (IMU), nei modi e nei termini stabiliti dalla legge per quell’immobile e tutti gli altri a esso collegati, tutti gli edifici o i complessi architettonici della Chiesa cattolica, di congregazioni religiose che fanno capo alla religione cattolica o di associazioni o società legate alla religione cattolica al cui interno ci sono edifici totalmente o in parte adibiti: a ristorazione a pagamento, a caffetteria a pagamento o a hotelleria a pagamento; all’erogazione di servizi ospedalieri o sanitari a pagamento in percentuale pari o superiore al 30% rispetto al fatturato complessivo dell’azienda". 

Inoltre secondo l'emendamento, "Tutte le associazioni o società legate alla religione cattolica e le congregazioni religiose che fanno capo alla religione cattolica il cui fatturato è pari o superiore a 100.000 euro annui sono tenute a farsi convalidare i propri bilanci da un certificatore esterno individuati tra i professionisti del settore, che assuma la responsabilità della veridicità di quel bilancio. Nel caso il bilancio risulti non veritiero, il certificatore esterno punibile con la reclusione da un minimo di 3 anni ad un massimo di 5 anni. Tutte le associazioni o società legate alla religione cattolica e le congregazioni religiose che fanno capo alla religione cattolica che, in base a quanto risulti dai bilanci certificati, svolgono attività di impresa relativa a servizi di ristorazione, hotelleria, caffetteria o erogando altri tipi di servizi a pagamento sono tenuti a pagare l'Imposta municipale propria (IMU) nei modi e nei termini stabiliti dalla legge per quell'immobile e tutti gli altri a esso collegati. Tutte le associazioni o società legate alla religione cattolica e le congregazioni religiose che fanno capo alla religione cattolica che non hanno pagato l'IMU tra il 2006 e il 2011 sono tenute ad autocertificare i propri bilanci relativi a quegli anni e ad autocertificare l'indirizzo d'uso degli immobili di loro proprietà e di quelli utilizzati per le proprie attività. Sulla base dell'autocertificazione presentata dalle suddette associazioni o società i Comuni riscuotono l'IMU per gli anni che vanno dal 2006 al 2011".

lunedì 18 novembre 2019

La Raggi e l’omertoso. - Tommaso Merlo


In Lombardia finiscono agli arresti, a Venezia sott’acqua, eppure il centrodestra vola intorno al 50% e dopo l’Emilia-Romagna vuole riprendersi l’Italia. L’agghiacciante fotografia di oggi è Virginia Raggi finita sotto scorta mentre quell’omertoso in odore di mafia di Berlusconi cammina satollo in Piazza San Marco. E cioè chi ha devastato questo paese si appresta a risorgere, chi sta lavorando per ricostruirlo finisce in croce. Il centrodestra ha governato per anni. Al nord come a Roma come ovunque. L’elenco degli scandali è infinito e il Mose è solo uno dei monumenti che rappresenta la loro cultura politica. Hanno rubato, hanno accumulato debiti, hanno portato l’Italia sul lastrico senza risolvere nessuna crisi e tantomeno problema. Hanno sempre avuto in testa solo se stessi e i propri affari. Eppure oggi scorrazzano in giro come nulla fosse e volano intorno al 50% mentre la Raggi e tutti quei barbari del Movimento che si son rimboccati le maniche per rimuovere le macerie lasciate da loro, sono ricoperti di fango e precipitano nei consensi. Uno spaventoso ribaltamento della realtà. Berlusconi tiene la bocca cucita nell’aula bunker di Palermo e grazie al suo sodale Salvini si appresta a rimettere le mani nel cuore dello Stato. La Raggi finisce sotto scorta perché ha avuto il coraggio di difendere la legalità nella propria città dopo decenni d’ipocrita menefreghismo e collusione della politica. Una fotografia davvero agghiacciante. Con la Raggi vittima di una continua campagna di stampa denigratoria e diffamatoria, mentre Berlusconi beneficia di una continua campagna di riabilitazione e rilancio. Uno schifo. Sotto gli occhi di tutti. Il vecchio regime sta riuscendo a ribaltare la realtà. Sta riuscendo a riciclarsi per l’ennesima volta e a tornare a spartirsi il paese. Oggi il problema di Roma è la Raggi e quello dell’Italia è il Movimento 5 Stelle. Non è chi ha devastato la capitale e il paese intero. Il problema non è chi ha distrutto, ma chi sta lavorando per ricostruire. È questo il messaggio che il vecchio regime politico mafioso è riuscito a far passare nell’opinione pubblica grazie al totale controllo dei media e al malcontento che permea i cittadini. Informazione di regime capillare e a senso unico e cittadini esasperati. Per distruggere ci vuole poco, per ricostruire ci vuole tempo e fatica. E i cittadini non hanno tempo e spesso neanche voglia di partecipare. Troppo sfiduciati, troppo arrabbiati e propensi ad abboccare al Cialtrone di turno. Nel frattempo parassiti, malavitosi, massoni e i poltronisti professionali si stanno fregando le mani. Col centrodestra al potere l’Italia tornerà la porcilaia di sempre. Con Berlusconi padre nobile del nostro paese e chissà magari anche Presidente della Repubblica grazie al suo sodale Salvini coi pieni poteri a condurre l’Italia nel solco neofascista. Se non vi sarà una nuova e prepotente reazione popolare, sarà questo lo scenario che ci attende. Uno scenario agghiacciante. L’unica speranza è che l’opinione pubblica capisca la trappola in cui sta finendo ed insista sulla strada del cambiamento. Se non lo farà, la Raggi finirà finalmente crocifissa, mentre l’omertoso in odore di mafia risorgerà.

https://www.facebook.com/giberto.gnisci/posts/3024087377608117

domenica 17 novembre 2019

Valanga in Val Martello, Alto Adige.





Una gigantesca slavina di neve passa fra le case di una frazione in Val Martello in Alto Adige. 17 novembre 2019.

sabato 16 novembre 2019

Pulizia nelle scuole, dal 2020 stop agli appalti: i lavoratori saranno assunti dallo Stato. Ma il bando non c’è ancora e qualcuno resterà fuori. - Lorenzo Vendemiale

Pulizia nelle scuole, dal 2020 stop agli appalti: i lavoratori saranno assunti dallo Stato. Ma il bando non c’è ancora e qualcuno resterà fuori

La decisione risale allo scorso anno. Ma solo a ottobre, dieci mesi dopo, il governo ha varato il decreto che autorizza il concorso. Secondo gli ultimi dati, i posti a bando saranno 11.263 ma gli ex-Lsu sono di più: 16.019. Alcuni posti saranno spezzati in contratti part-time. Più serio l’ostacolo dei requisiti: 10 anni di servizio continuativo, licenza media, fedina penale pulita.
Primo gennaio 2020: finisce l’era delle coopinizia quelle delle pulizie “internalizzate”. Le scuole italiane non saranno più curate da ditte esterne ma sempre dagli stessi lavoratori che diventeranno dipendenti statali. Il ministero li assumerà tutti (o quasi?), per pulire direttamente gli istituti, magari risparmiare qualche milione, sicuramente mettere fine a un sistema di appalti e subappalti sanzionato dall’Antitrust. Una rivoluzione su cui, dai lavoratori ai sindacati, dalla politica alle scuole, sono tutti d’accordo, tranne ovviamente le coop. Il problema è che a poche settimane dalla partenza non è stato fatto quasi nulla: il concorso per stabilizzare i lavoratori è stato approvato ma non ancora bandito (figuriamoci espletato). Soprattutto, non sono stati risolti i nodi sulla platea dei beneficiari: i lavoratori coinvolti sono 16mila, i posti in palio solo 11mila. E poi c’è il problema dei requisiti minimi: qualcuno rischia di rimanere fuori. Intanto le ditte, sul piede di guerra, hanno già avviato le procedure di licenziamento per tutti. Un bel pasticcio, che alla fine potrebbe concludersi con una proroga.
LA SVOLTA DEL 2018: INTERNALIZZARE GLI EX-LSU – Parliamo degli ex lavoratori socialmente utili (Lsu), disoccupaticassaintegrati o impiegati degli appalti storici che a fine anni ‘90 il governo Prodi aveva pianificato di stabilizzare negli enti locali per la pulizia delle scuole, salvo poi dirottarli nelle cooperative quando si decise di privatizzare il servizio. Da allora una quota dell’organico Ata è stata “accantonata” per dare un impiego a queste persone, in quelle scuole (circa 4mila) che per la pulizia non si servono di personale interno. Sono circa 16mila in tutta Italia, oltre il 50% al Sud, con una forte concentrazione in Campania. L’esternalizzazione ha funzionato, soprattutto perché lo Stato ci ha messo centinaia di milioni ogni anno, quelli delle gare Consip. E quando non bastava, rabboccava con altri finanziamenti (anche il famoso progetto “Scuole belle” lanciato da Matteo Renzi non era altro che una maniera per garantire il livello occupazionale degli ex Lsu). La multa dell’Antitrust nel 2016 ha però mostrato tutte le storture del sistema. E l’anno scorso il governo gialloverde, su spinta del M5S, ha deciso di fare quello di cui si discuteva da anni: togliere il servizio alle coop e più o meno con gli stessi soldi assumere i lavoratori.
I NODI IRRISOLTI: 5MILA POSTI IN MENO E I REQUISITI – Il provvedimento fu approvato nella manovra a fine 2018. Solo a ottobre, dieci mesi dopo, il governo ha varato il decreto che autorizza il concorso (per titoli, senza prove: quasi una formalità). Ancora non è stato bandito. Colpa di lungaggini tecniche ma anche di qualche problema sostanziale. I nodi sono essenzialmente due. Il primo è la differenza tra il numero di posti e quello dei lavoratori: secondo gli ultimi dati, i posti a bando saranno 11.263 ma gli ex-Lsu sono di più, esattamente 16.019, perché molti di loro lavorano part-time. Cosa ne sarà dei 4.756 di troppo? In questo caso il problema potrebbe già contenere la soluzione, almeno parziale: in sede provinciale alcuni posti saranno spezzati in contratti part-time. Più serio l’ostacolo dei requisiti fissati dal decreto: 10 anni di servizio continuativolicenza mediafedina penale pulita. Considerando la storia degli ex-Lsu (e il fatto che a volte le ditte li facevano lavorare con contratti a tempo determinato), qualcuno resterà fuori di sicuro: quanti di preciso non si sa, perché numeri ancora non ce ne sono. Le ditte non li hanno (o non li vogliono dare), mentre le procedure di licenziamento sono già state avviate: non collaborano insomma, ma era difficile aspettarsi il contrario da chi perderà un business milionario. Al passaggio di consegne, però, manca poco più di un mese.
CORSA CONTRO IL TEMPO (E RISCHIO PROROGA) – Il Consiglio superiore per l’istruzione (Cspi) ha appena dato parere favorevole al decreto che autorizza il concorso, a condizione però di garantire il mantenimento occupazionale e reddituale di tutti i lavoratori. Per farlo bisogna capire esattamente chi e quanti resteranno fuori, e trovare una soluzione: alcuni potrebbero essere accompagnati alla pensione, altri magari impiegati in altri ministeri (per cui potrebbe essere aperto un tavolo inter-istituzionale). Per fare tutto però serve tempo. Al Miur continuano ad essere ottimisti e a sostenere che si lavora per chiudere la pratica entro il 31 dicembre: il concorso è stato ulteriormente semplificato, non appena ultimato i lavoratori potranno entrare in servizio. Qualcun altro, però, suggerisce che sarebbe più saggio disporre una proroga, affidare le pulizie alle ditte ancora per i primi mesi del 2020 e rinviare la rivoluzione al prossimo anno scolastico, in modo che anche le scuole possano essere più preparate al nuovo sistema.