lunedì 25 novembre 2019

Giglio magico: altro indagato, altro giro. - Giacomo Amadori



Altro indagato, altro giro. Dopo i genitori (Tiziano e Laura), il cognato (Andrea Conticini), l’ ex braccio destro (Luca Lotti), il consigliere economico (Filippo Vannoni), l’ autista del camper (Roberto Bargilli), i presidenti delle sue fondazioni (gli avvocati Alberto Bianchi e Francesco Bonifazi), l’ uomo comunicazione (Patrizio Donnini), adesso è stata iscritta sul registro degli indagati anche Lady Leopolda, al secolo Lilian Mammoliti, la donna che con la sua agenzia, la Dot media, ha organizzato per anni la kermesse renziana e si è occupata di allestimento, merchandising e gestione dei social.

Dunque, nonostante a Firenze Matteo Renzi presenzi alle feste degli «ottimisti», quasi tutto il Giglio magico è iscritto sul registro degli indagati per una lunga lista di addebiti: bancarotta, false fatture, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio, favoreggiamento, ma anche traffico di influenze e finanziamento illecito che sono reati che presuppongono la presenza di un pubblico ufficiale, nel caso specifico di un politico. Nonostante questa lenta manovra a tenaglia delle procure, per ora l’ ex premier mostra di dormire sonni tranquilli, tra cene vip, conferenze retribuite e interviste.

In realtà i suoi avvocati seguono con grandissima attenzione quanto gli sta accadendo intorno e in particolare le indagini che a Firenze e a Roma hanno messo sotto inchiesta gli uomini che gestivano sue casseforti «politiche», ovvero le fondazioni Open ed Eyu. Bianchi, ex presidente di Open, è accusato di finanziamento illecito e traffico di influenze, Bonifazi, (senatore di Italia viva) per finanziamento illecito e false fatture.

Bianchi ha emesso quasi tre milioni di parcelle (per la precisione 2.948.691,20) per prestazioni professionali nei confronti della famiglia Toto, schiatta di imprenditori abruzzesi renziani. Per l’ accusa però quei soldi nasconderebbero una ricompensa per una mediazione illecita verso il Giglio magico e finanziamenti all’ attività politica di Renzi. Infatti parte di quel denaro (400.838 euro) è stato girato nel settembre 2016 sui conti di Open e del Comitato per il sì al referendum. Ma sotto la lente d’ ingrandimento sono finiti anche i 4,3 milioni che un altro dei Renzi boys, Donnini, avrebbe ricevuto dal gruppo Toto, tra consulenze, plusvalenze e altro. Per quei pagamenti è adesso indagata anche la sua amica e socia Lilian Mammoliti.

La premiata ditta Donnini-Mammoliti avrebbe incassato attraverso tre società: la Dot media, la Immobil green e la Pd consulting; quindi avrebbe investito il denaro in altre aziende, come la Keesy, ditta del settore turistico controllata per l’ 82 per cento dalla stessa Immobil green. La Mammoliti è la maggiore azionista: possiede il 95 cento della Immobil green e il 50 per cento della Dot media (il 20 è, invece, di Alessandro Conticini, altro indagato per appropriazione indebita e autoriclaggio, ma nella cosiddetta inchiesta Unicef).

Donnini e la Mammoliti al momento sono accusati di appropriazione indebita e autoriciclaggio per una plusvalenza da 950.000 euro ottenuta grazie all’ acquisto al prezzo di 68.200 euro di cinque società rivendute per più di un milione di euro alla Renexia spa dei Toto (l’ ad Lino Bergonzi è indagato).

A quanto risulta alla Verità l’ inchiesta, però, sta rapidamente virando verso altri lidi e potrebbe portare a nuove accuse, come il traffico di influenze e il finanziamento illecito. Alfonso Toto, condannato a luglio per il mancato versamento di 27 milioni di Iva, a Ferragosto ha incontrato Bianchi a Cortina. Nell’ occasione si sarebbe lamentato per tutti i soldi che Donnini gli avrebbe fatto spendere proponendosi come intermediario con il Giglio magico.

Certo risulta difficile credere che un imprenditore esperto possa aver sganciato milioni senza «vedere cammello», anche se l’ avvocato di Toto, Augusto La Morgia, sostiene che tutti i pagamenti (consulenze e plusvalenze) siano state regolarmente fatturate e giustificate.

In ogni caso l’ indagine toscana pare destinata a svelare il propellente della scalata al potere di Renzi e del suo Giglio magico. Ci risulta che dai pc e dai cellulari degli indagati siano stati estrapolati messaggi e email piuttosto compromettenti. Per esempio Donnini nelle sue agende annotava tutto alla virgola (incontri, pagamenti, ecc.) e sui suoi dispositivi elettronici i magistrati hanno trovato un’ inaspettata quantità di documentazione.

Nelle comunicazioni tra lui e Alfonso Toto viene nominato anche un noto politico del Giglio magico, che potrebbe portare (se non è già successo) all’ incriminazione di Donnini per traffico di influenze. Anche in questo caso gli investigatori non escludono la pista del finanziamento illecito e hanno puntato l’ attenzione sui pagamenti di Open (289.592 euro), del Comitato per il sì (122.000), ma anche di illustri politici renziani alla Dot media. Erano pagamenti reali oppure fatture che dovevano mascherare il sostegno economico di terzi all’ attività politica di Matteo Renzi, magari in contanti?

Se a Firenze è sotto esame la fondazione Open, a Roma i pm hanno rivoltato la fondazione Eyu, nata ufficialmente per promuovere «attività di ricerca scientifica che hanno l’ obiettivo di elaborare un nuovo linguaggio e nuove pratiche per i decisori politici di oggi e di domani», in realtà altra macchina da fundraising dei renziani.

I magistrati capitolini, guidati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, hanno contestato all’ ex presidente Bonifazi (già tesoriere del Pd, ora in Italia viva) i reati di finanziamento illecito ed emissione di fatture per prestazioni inesistenti. In questo caso i soldi non provenivano dai Toto, ma dal costruttore Luca Parnasi, sospettato di corruzione dagli inquirenti capitolini e rinviato a giudizio nell’ inchiesta sullo stadio della Roma. Resta da vedere se saranno solo Toto e Parnasi gli imprenditori accusati di aver finanziato sotto banco il fu Rottamatore.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/24/giglio-magico-altro-indagato-altro-giro/

domenica 24 novembre 2019

ARCHIVIO Fibrosi cistica, gli oltre 10 milioni incassati dall’Umberto I per il reparto adulti mai fatto: ora indagano procura di Roma e Finanza. - Vincenzo Bisbiglia

Fibrosi cistica, gli oltre 10 milioni incassati dall’Umberto I per il reparto adulti mai fatto: ora indagano procura di Roma e Finanza

Dopo l'inchiesta de ilfattoquotidiano.it risalente al febbraio scorso, i magistrati romani hanno aperto un fascicolo. Dal 1994 al 2016 sono confluiti ogni anno prima un miliardo di lire e poi 490mila euro nelle casse del Policlinico Umberto I della Capitale. Che fine hanno fatto? Su questo stanno lavorando gli inquirenti. Nei giorni scorsi, a quanto si apprende, la Guardia di Finanza ha ascoltato, come persona informata sui fatti, l’attuale direttore sanitario.

I soldi sono arrivati, puntuali, per oltre 20 anni, ma il padiglione sanitario non è mai stato realizzato. E ora, dopo l’inchiesta de ilfattoquotidiano.it risalente al febbraio scorso – cui ha fatto seguito un esposto di Fratelli d’Italia – sulla vicenda indagano la Procura di Roma e la Guardia di Finanza. I magistrati romani hanno aperto un fascicolo sul caso del reparto per adulti malati di fibrosi cistica mai realizzato al Policlinico Umberto I della Capitale, dove dal 1994 al 2016 sono confluiti ogni anno – attraverso la Regione Lazio – prima un miliardo di lire e poi 490mila euro, soldi stanziati dal Governo italiano a ogni legge di bilancio, come previsto dalla legge 548 del 1993. Il totale dei contributi ammonta a circa 10 milioni di euro, fondi che però non sono stati utilizzati per migliorare l’attuale centro regionale per la fibrosi cistica dell’Umberto I, che conta appena 10 posti ricavati da una sezione del padiglione di pediatria, esattamente come si presentava al termine dell’ultima ristrutturazione, risalente al 1999.
Già alla fine degli anni ’90, infatti, i progressi della ricerca avevano regalato ai malati di fibrosi cistica – una malattia rara che porta infezioni polmonari e intestinali – un’aspettativa di vita ben superiore alla maggiore età, stabilizzatasi sui 40 anni, con alcuni casi di 60-70 anni. Ovvio che ciò aumento la richiesta di cure ospedaliere frequenti. Attualmente, il Lazio conta circa 600 malati (il 10% su base nazionale) di cui oltre la metà ha superato i 18 anni. A loro disposizione, ad oggi, esiste solo un reparto da 25 posti nell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma e, appunto, il reparto pediatrico dell’Umberto I da 10 posti.
Di qui la necessità di separare i bambini dagli adulti, come prevede espressamente la legge del 1993. Per realizzare il nuovo reparto basterebbero 500mila euro – l’importo stanziato dal governo in un solo anno – tanto che nel 2016 la Lifc, Lega Italiana Fibrosi Cistica, aveva messo lei stessa la cifra a disposizione del Policlinico, pur di veder sorgere il nuovo padiglione: il progetto venne anche presentato in pompa magna da Nicola Zingaretti e Alessio D’Amato (rispettivamente governatore e assessore alla Sanità del Lazio), ma la prima pietra non è mai stata messa. Un’attesa resa vana, nel marzo scorso, dalle parole dell’attuale direttore generale del Policlinico, Vincenzo Panella, che intervistato da Ilfattoquotidiano.itha dichiarato che “quel reparto non serve e non verrà realizzato”.
E tutti i soldi versati finora nelle casse del Policlinico, che fine hanno fatto? È proprio quello su cui stanno lavorando gli inquirenti. Nei giorni scorsi, a quanto si apprende, la Guardia di Finanza ha ascoltato, come persona informata sui fatti, l’attuale direttore sanitario dell’Umberto I, Ferdinando Romano, in carica dal 2015. I finanzieri hanno acquisito i bilanci recenti dell’ospedale, risalenti agli ultimi 7 anni, e si sono riservati di entrare in possesso anche di quelli precedenti. Soprattutto, bisognerà capire se i fondi governativi sono stati effettivamente impegnati nella loro destinazione puntuale o se sono stati dirottati altrove, dunque in violazione della legge. A un question time presentato in Consiglio regionale a marzo dall’esponente di Fratelli d’Italia, Chiara Colosimo – che ha poi firmato l’esposto inoltrato in Procura cui ha allegato la nostra inchiesta – l’assessore D’Amato aveva risposto che “i fondi non sono vincolati alla realizzazione del nuovo reparto ma alla gestione dello stesso”, anche se – come detto – la stessa legge prevede la netta separazione fra adulti e bambini.

sabato 23 novembre 2019

Approva, firma e poi si lamenta: i casi del "Salvini a sua insaputa". - Marco Franchi

Approva, firma e poi si lamenta: i casi del “Salvini a sua insaputa”

Chissà se a Matteo Salvini, periodicamente, viene comodo svestire i propri panni ed essere Matteo Salvini a sua insaputa. Il leader della Lega ogni tanto pare essere colpito dal morbo di Scajola e nelle piazzate televisive e social tira fuori critiche, attacchi, demolizioni a carico di provvedimenti approvati in sua presenza o in presenza dei suoi. Quasi a dire: “Io non c’ero e se c’ero dormivo”.
Le adozioni. Gli era già capitato quando ad esempio al Congresso delle famiglie di Verona aveva sollecitato l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora, “a rendere più veloci le adozioni” dimenticandosi però che le deleghe erano in capo all’allora ministro della Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana.
Mes. Più recente è invece la confusione sulla riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità (il vecchio fondo salva-Stati) che sarà approvata in dicembre. La riforma conferma e chiarisce i meccanismi che portano un Paese a dover ristrutturare il debito per accedere ai prestiti, e a patto che sottoscrivano pesanti condizioni. Il testo poi autorizza il Mes a concedere linee di credito a Paesi colpiti da choc esogeni il cui debito sia, a suo giudizio, “sostenibile”. Una novità che sembra pensata per circoscrivere il rischio Italia. Al Consiglio Ue di giugno Conte e il ministro del Tesoro Tria hanno dato l’ok alla riforma a nome del governo. Il voto finale ci sarà in dicembre. Salvini ora accusa il premier di “tradimento”, eppure da giugno non ha mai pubblicamente preso posizione sul tema. I paletti della riforma, peraltro, erano stati fissati dal dicembre del 2018. La linea della Lega è sempre stata contraria, come quella dei 5Stelle, stando agli atti parlamentari (c’è pure una risoluzione parlamentare che invitava il governo a mettere il veto). Salvini era vicepremier, ma se ne accorge solo ora.
Proroga Imu. In questi giorni, poi, Salvini ci è ricaduto. La maggioranza avrebbe bocciato un emendamento della Lega al decreto Fiscale con la proroga delle esenzioni del pagamento dell’Imu per gli immobili resi inagibili dal terremoto. “Ennesima vigliaccata ai danni dei cittadini” ha detto. Peccato che l’emendamento sia solo stato respinto perché ripresentato, e approvato, nel decreto Sisma alla Camera. Tutto nel giro di un’ora.
Retelit. Un mese fa, a fine ottobre, il leghista ha accusato Conte di conflitto d’interessi per il parere legale fornito alla società Fiber 4.0, controllata dal finanziere Raffaele Mincione, gestore di un fondo di investimento finito al centro di una delicata indagine del Vaticano. Nel suo parere, dato prima della nomina, Conte si esprimeva sul possibile utilizzo da parte del governo italiano dei suoi poteri di “golden power” sulla società Retelit, che la cordata guidata da Mincione si contendeva con altri azionisti libici e tedeschi. I secondi hanno vinto e il governo, guidato da Conte, ha poi effettivamente esercitato il golden power (così come ipotizzato dal Conte-avvocato nel parere). Salvini è andato all’attacco, ma a presiedere il Consiglio dei ministri che varò il golden power non c’era Conte bensì Salvini. E la pratica fu istruita dal sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti.
Pignoramenti. Non poteva mancare l’allarmismo. L’ex vicepremier ha commentato il via libera in legge di Bilancio alla possibilità da parte dei sindaci di rivalersi sui conti di chi non è in regola con Imu, Tasi o altre imposte locali. “Se non riesci a pagare una multa ti pignorano i risparmi” è stata la sintesi. In realtà le multe non c’entrano, cambia la riscossione degli enti locali che se finora avevano come principale strumento l’ingiunzione fiscale regolata da un Regio decreto del 1910, ora invieranno atti di accertamento che – se il contribuente non paga né fa ricorso entro i termini – diventeranno immediatamente esecutivi.


venerdì 22 novembre 2019

Stadio Roma, L’Espresso: “Parnasi intercettato disse: dare sostegno alla Lega. Cena a casa sua con Salvini per non farsi beccare”.

Stadio Roma, L’Espresso: “Parnasi intercettato disse: dare sostegno alla Lega. Cena a casa sua con Salvini per non farsi beccare”

Una microspia a casa del costruttore lo registra mentre parla con un collaboratore il 6 dicembre del 2017: "Luca dice che la Lega è molto importante a livello nazionale, le ipotesi sono che ci sarà un inciucio Forza Italia- Pd. Oppure 5 Stelle e Lega, e se questo dovesse succedere loro sono in buoni rapporti con entrambi e nessuno in Italia è in questa condizione". Interrogato dai pm nel giugno scorso il costruttore ha negato che i soldi all'associazione Più Voci fossero un finanziamento occulto al Carroccio.
La cena organizzata a casa di Luca Parnasi poco prima del Natale 2017 serviva a “dare un sostegno alla Lega“. E infatti nella dimora del costruttore romano ai Parioli arrivarono Matteo SalviniGiancarlo Giorgetti e Giulio Centemero, rispettivamente segretario, vicesegretario e tesoriere del Carroccio. Centemero è indagato per finanziamento illecito dalla procura di Roma per i 250mila euro donati da Parnasi all’associazione Più Voci. In un’interrogatorio del giugno scorso il costruttore ha negato che quei soldi fossero un finanziamento occulto al Carroccio. Nelle intercettazioni pubblicate dall’Espresso sostiene l’opposto. A usare quelle parole “dare sostegno alla Lega” è infatti lo stesso Parnasi, intercettato a casa sua il 6 dicembre del 2017. Una microspia ambientale piazzata dai carabinieri registra l’imprenditore mentre parla con un suo collaboratore.
“Dare sostegno alla Lega” – Siamo nel dicembre del 2017 e dopo tre mesi ci saranno sia le elezioni politiche che le regionali in Lazio e in Lombardia. Il costruttore ha il centro dei suoi affari a Roma ma voleva espandersi anche a Milano, come ha confermato lui stesso. “Parnasi sta organizzando una cena con alcuni appaltatori e Matteo Salvini per il 19 a Roma e dice che la farà a casa sua per evitare che vengano beccati… che ci saranno altre 7 – 8 persone e la farà in maniera riservata per dare sostegno alla Lega“, scrivono gli investigatori nel brogliaccio agli atti dell’inchiesta. “Luca – continuano – dice che la Lega è molto importante a livello nazionale, le ipotesi sono che ci sarà un inciucio Forza Italia- Pd. Oppure 5 Stelle e Lega, e se questo dovesse succedere loro sono in buoni rapporti con entrambi e nessuno in Italia è in questa condizione”.
I messaggi: “Per iban facciamo de visu” – Tre giorni dopo Parnasi scrive su Telegram a Centemero: “Sto organizzando il 19 a casa mia. Che ne dici?”. “Direi ottimo. Fammi avere coordinate e ora per favore”, è la risposta del leghista. Che si spinge oltre e chiede: “Per Iban et similia facciamo de visu o vuoi tutto in anticipo?”. E in effetti i due si danno appuntamento per il giorno seguente in stazione Centrale a Milano. Dieci giorni dopo c’è la cena a casa Parnasi. Poi Centemero torna a scrivere al costruttore: “Ciao Luca, volevo ringraziarti molto per la cena, hai messo al tavolo delle persone di valore e sono contento Matteo ci si sia confrontato”. Dalla conversazione è impossibile risalire a chi fossero gli altri invitati, di certo la risposta di Parnasi fa capire che l’incontro fosse riservato. “Come fa Francesco Storace a sapere della cena con Matteo?”, chiede il palazzinaro. “Mmm Storace? O glielo ha detto Matteo – ipotizza Centemero – o l’addetta stampa di Matteo. Indago… oppure Storace ha contatti in questura (Matteo gira con la scorta)”.
L’imprenditore ai pm: “Non volevo finanziare in modo occulto alla Lega” – In un interrogatorio del 28 giugno scorso, però, Parnasi ha negato di aver voluto finanziare la Lega in modo occulto. “Con riferimento all’associazione Più Voci, a cavallo tra il 2015 e 2016 io ho effettuato due bonifici di 125mila euro. L’associazione era rappresentata da Giulio Centemero che io conoscevo e che era il tesoriere della Lega. Formalmente era un’associazione che promuoveva lo sviluppo immobiliare nel Nord Italia e io avevo interesse a finanziarla perché mi apriva la strada per estendere la mia attività anche in quella zona”, ha sostenuto il costruttore. Che sulle cene con Salvini ha spiegato: “Ci furono due cene, una Roma e una Milano. In quest’ultima cena intervennero una decina di imprenditori di tutti Italia ed era presente Parisi e solo per un saluto Salvini. Nella cena a Roma intervenne Salvini e forse anche la Meloni. Non so se lei sia intervenuta ma certo era in programma la sua presenza. In ciascuna delle due cene doveva essere presente il candidato sostenuto dall’associazione a Roma (Meloni) e a Milano (Parisi). Non si trattava di un finanziamento al partito. Centemero, tesoriere della Lega mi propose di dare questo sostegno all’associazione e io effettuato l’erogazione per sostenere l’associazione. Nelle conversazioni intercettate io ero solo preoccupato che tutto fosse stato fatto regolarmente”, ha sostenuto il costruttore.
“Soldi occulti al Pd” – Nello stesso interrogatorio, invece, Parnasi ha confermato di aver girato un finanziamento al Pd in modo occulto. Nella stessa inchiesta, infatti, è indagato Francesco Bonifazi, ex tesoriere dem ora con i renziani di Italia Viva. “Sia io che mio padre – ha raccontato Parnasi ai pm – abbiamo sempre sostenuto il Partito Democratico con finanziamenti ufficiali. Ho conosciuto la fondazione Eyu tre o quattro anni addietro. Francesco Bonifazi nel periodo dell’ultima campagna elettorale mi chiese di raggiungerlo alla sede del partito e mi rappresentò la possibilità di acquistare uno studio di fattibilità sulla casa condensato in un volume di poco più di un centinaio di pagine. Io aderii e effettuai l’acquisto con la immobiliare Penta Pigna sebbene non avessi né come persona né come gruppo alcun interesse a questo studio. Fu un modo per far affluire liquidità al Pd”. Una versione che smentisce completamente quando raccontato ai pm da Bonifazi, indagato per emissione di fatture false e finanziamento illecito ai partiti, che ha negato di sapere nulla su quello studio venduto a Eyu all’immobiliare vicina a Parnasi in cambio di 150mila euro. Ai pm l’ex tesoriere dem ha detto aver solo messo in contatto Parnasi e Domenico Petrolo, il responsabile relazioni esterne di Eyu: “Di ciò che è accaduto dopo quella stretta di mano non so niente. Il Nazareno è davvero un corridoio lunghissimo. Per arrivare incontri prima Petrolo che me, io ero nella parte finale del corridoio, diciamo la parte nobile del Nazareno”. “Bonifazi in concreto era per me da un lato rappresentante di Eyu e dall’altro rappresentante, quale tesoriere, del Partito democratico”, ha detto Parnasi. “Per me – ha aggiunto il costruttore – fu un modo di fare affluire, come in passato, finanziamenti al Pd, con la differenza che i precedenti finanziamenti passavano per delibera ufficiale della società. Questo finanziamento viene mascherato da questo contratto di acquisto per l’importo di 150mila euro”.
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Naturalmente ci si chiede: ma come fa Salvini a muoversi su e giù per l'Italia con il suo folto gruppo al seguito? Dove li prende tutti questi soldi?
Spiegato l'arcano! Li prende accettando gli inviti a cena a casa di costruttori e simili per "farsi sostenere"...Cetta.

Pensieri, lupi e pecore.

Risultati immagini per politici e pecore
Chi si sente superiore rispetto a chi ha un diverso colore della pelle, è di una razza diversa, o è omosessuale, è, solitamente, un individuo frustrato, dotato di poca cultura, con una larghezza di vedute molto limitata, poco propenso al rispetto delle idee altrui.
In altri termini, è certamente un essere inferiore.
Ai politicanti che approdano in politica solo per curare i propri interessi approfittando del loro potere pro tempore, questa categoria di individui, fa comodo, perché facilmente manovrabili, incapaci di pensare, bisognosi di una guida per potersi muovere, per poter fare qualsiasi cosa.
Per evitare che il popolo di amebe aumenti di numero creando una fase di irreversibilità del sistema - poco auspicabile - che si verrebbe a creare: oligarchi che comandano un popolo di amebe, bisognerebbe elargire cultura anche a chi non può permettersi di procurarsela, come? Fortunatamente, i canali di comunicazione li abbiamo, usiamoli in modo più appropriato, insegniamo la cultura attraverso giornali e televisioni.

by Cetta.

Galan condannato in Corte dei Conti. “Dirottò soldi per salvaguardia della Laguna”. Dovrà “solo” 764mila euro grazie alla prescrizione. - Giuseppe Pietrobelli

Galan condannato in Corte dei Conti. “Dirottò soldi per salvaguardia della Laguna”. Dovrà “solo” 764mila euro grazie alla prescrizione

I fatti risalgono al biennio 2004-2005 e la maggior parte dei fondi distratti è ormai prescritto. I giudici contabili hanno discusso, alla fine, di un addebito pari a un milione 274 mila euro, per il 60 per cento contestati a Galan e per il 40 per cento all'assessore Chisso, assolto. L'ex governatore veneto dovrà quindi risarcire 'solo' 764mila euro dei circa 24 milioni di fondi finiti al Patriarcato, allora retto da Angelo Scola, e utilizzati per ristrutturare Sede patriarcale, seminario patriarcale e Basilica della Salute.

La condanna della Corte dei Conti di Venezia nei confronti dell’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, non poteva avvenire in un momento più tormentato. Dopo le eccezionali acque alte si sta discutendo di Mose, ritardi nei lavori e finanziamenti per la salvaguardia di Venezia. Ed ecco che Galan, già coinvolto nello scandalo Mose del 2014, ora dovrà risarcire la Regione con 764mila euro per aver dirottato al Patriarcato fondi della Legge Speciale per Venezia che erano destinati a interventi di disinquinamento e salvaguardia della Laguna. Nell’epoca in cui regnava il Doge-Galan accadeva anche questo. Era il 2004-2005, il Patriarca era Angelo Scola: arrivato nel 2002, sarebbe andato dalla Laguna a Milano nel 2011. Non furono pochi soldi, ma parecchi milioni di euro, anche se la vicenda finita alla sezione giurisdizionale dei giudici contabili ha riguardato solo un 1,27 milioni di euro. La parte restante è stata coperta dalla prescrizione.
Assieme a Galan – che è rimasto contumace nel processo – era stato citato anche l’assessore alla Mobilità Renato Chisso (pure lui arrestato per le tangenti del Mose). Ma è stato assolto perché a proporre quei finanziamenti fu Galan e lui si limitò a votare due delibere. Su questo punto, nella sentenza, ricorrono anche i nomi degli assessori veneti di allora. Per una delibera del 2004 si trattava di Fabio Gava, Giancarlo Conta, Raffaele Grazia, Antonio Padoin, Raffaele Zanon e Floriano Pra (nel frattempo deceduto). Per una delibera del 2005 gli assessori erano Sante Bressan, Marialuisa Coppola, Ermanno Serrajotto e ancora Conta, Grazia e Zanon. Ma la Procura non ha ritenuto di portarli a giudizio, limitandosi alle posizioni di Galan e Chisso.
Secondo il collegio giudicante presieduto da Maurizio Mazza, la condotta di Galan fu “gravissima ed inescusabile”, per aver “proposto alla Giunta l’adozione di una deliberazione, in violazione di norme di legge” e per essere poi intervenuto anche presso la Presidenza del consiglio per ottenere una specie di autorizzazione. La Procura si era mossa nel 2014 quando, durante lo scandalo delle mazzette, i giornali scrissero di quel finanziamento di cui aveva beneficiato non solo il Patriarcato, ma anche la Comunità Ebraica veneziana.
Perché i soldi della Salvaguardia erano serviti a ristrutturare beni religiosi? La Regione, nel 2004, aveva revocato finanziamenti per interventi sulla Laguna pari a 26 milioni di euro. E nel 2005 la giunta aveva “deliberato di confermare la revoca di quei finanziamenti e di devolvere detta somma, per 24 milioni alla Diocesi Patriarcato di Venezia per finanziare il completamento dei lavori di restauro della Sede patriarcale, del Seminario patriarcale e della Basilica della Salute, e per 2 milioni di euro alla Comunità ebraica, per i lavori di restauro dell’edificio adibito all’assistenza degli anziani”. Ma quei soldi erano destinati ad altro, ovvero alla Laguna. Attorno ai lavori si è poi innestata una complicata vicenda, in due stralci e in tempi diversi, che è arrivata fino al 2016 e ha portato la Regione a chiedere la restituzione di alcuni milioni di euro al Patriarcato.
I giudici contabili hanno discusso, alla fine, di un addebito pari a un milione 274 mila euro, per il 60 per cento contestati a Galan e per il 40 per cento a Chisso (assolto). Si tratta della “sola parte per la quale non è ancora intervenuta la prescrizione”. Quest’ultima è stata calcolata retrocedendo nel tempo all’ultimo quinquennio rispetto alle date delle contestazioni. Si sono così salvati dalla prescrizione solo tre pagamenti risalenti al novembre-dicembre 2013. Gli altri erano precedenti. La condotta di Galan, concludono i giudici, “ha comportato la distrazione di fondi originariamente stanziati per la realizzazione di interventi di disinquinamento o di prevenzione dall’inquinamento, per la cui programmazione e finanziamento era competente la Regione Veneto, in favore di un soggetto privato per il restauro di immobili”.

Roma, 14 imprenditori e funzionari pubblici agli arresti per corruzione. Tra le gare pilotate anche quelle per lavori negli uffici giudiziari. - Giuseppe Pietrobelli

Roma, 14 imprenditori e funzionari pubblici agli arresti per corruzione. Tra le gare pilotate anche quelle per lavori negli uffici giudiziari

Secondo il procuratore aggiunto Paolo Ielo, che ha coordinato l'inchiesta, gli indagati avevano ideato uno schema per aggirare la rotazione degli affidamenti: i lavori erano formalmente assegnati a diverse società, ma in realtà ad eseguirli era sempre lo stesso imprenditore. In cambio denaro, ristrutturazioni gratis e acquisti di case a prezzi scontati. L'intercettazione: "Se i telefoni sono sotto controllo, ci arrestano tutti".

Soldi, lavori gratis nelle proprie abitazioni, prezzi scontati per l’acquisto di appartamenti, sponsorizzazioni per cambiare ufficio e far assumere familiari. Persino tartufi e smartphone in regalo. Tutto in cambio di affidamenti diretti che avrebbero dovuto essere a rotazione, ma in realtà finivano sempre agli stessi imprenditori. Che hanno così potuto effettuare lavori di ristrutturazione in uffici pubblici, persino dentro la Corte d’Appello di Roma e negli uffici della Procura in piazzale Clodio.
Con queste accuse la Guardia di finanza ha arrestato 14 persone, quattro delle quali in carcere, e notificato 6 obblighi di presentazione all’autorità giudiziaria nei confronti di imprenditori e dipendenti pubblici che lavorano al Provveditorato interregionale delle Opere pubbliche, il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria, l’Ater della Provincia di Roma, l’Istituto centrale per la formazione del personale della Giustizia minorile e l’Ufficio per i Servizi tecnico-giuridici del ministro dell’Interno. Tra gli imprenditori colpiti dalle misure cautelari c’è anche Franco De Angelis, nel 2015 coinvolto nell’operazione Vitruvio sull’interporto di Civitavecchia.
“Se abbiamo i telefoni sotto controllo, ci arrestano tutti”, dicevano gli indagati. E in effetti così era. Secondo il procuratore aggiunto Paolo Ielo, che ha coordinato l’inchiesta, gli imprenditori e i funzionari pubblici avevano ideato uno schema per aggirare la mancata applicazione della rotazione degli affidamenti: i lavori erano formalmente assegnati a diverse società, ma in realtà ad eseguirli era sempre lo stesso imprenditore. Tra i lavori assegnati in maniera illecita – stando alla ricostruzione dell’accusa – ci sono stati anche il completamento dell’impianto di climatizzazione e dell’antincendio della Corte d’Appello di Roma, in viale Giulio Cesare, e alcuni lavori edili negli uffici proprio della Procura di Roma.