Ce ne vorrebbe uno al giorno, di confronto Conte-Salvini in Parlamento, per far capire agli italiani da chi sono governati oggi e da chi rischiano di esserlo domani. Da una parte una persona seria e competente. Dall’altro un caso umano in stato confusionale. Ieri, alla Camera e al Senato, si è visto un premier che sa ciò che dice e conosce le materie che tratta. E un aspirante successore che palesemente denota “disinvoltura a restituire la verità e resistenza a studiare i dossier”. Conte ha puntualmente ricostruito l’iter del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), il costante coinvolgimento del Parlamento e dei ministri dei suoi due governi fin da quando, il 27 giugno 2018, appena arrivato, il premier riferì le proposte della Commissione europea. E nessuno fece una piega. Due giorni dopo, al vertice Ue, Conte propose modifiche alla bozza del Mes e l’11 dicembre tornò a riferirne alle Camere: nessun’obiezione neppure allora. Ne riparlò al Parlamento il 19 marzo, vigilia del Consiglio europeo. E di nuovo il 19 giugno, prima dell’Eurosummit decisivo. Lì perfino il leghista No Euro Alberto Bagnai gli fece i complimenti: “Mi permetta, signor Presidente del Consiglio, di ringraziarla per il fatto che lei, in applicazione di questa norma e in completa coerenza con quel principio di centralità del Parlamento, fin dal primo giorno, affermò in questa sede di voler rispettare, sia venuto ad annunciarci che questo approfondimento tecnico ci sarà”.
Intanto anche i ministri direttamente interessati, da Tria a Savona, riferivano infinite volte in Parlamento, in aula e nelle commissioni (a partire da quelle presiedute dai leghisti anti-Ue Borghi & Bagnai). E anche lì tutti muti. Per non parlare dei sette fra vertici di maggioranza e riunioni tecnico-politiche e dei cinque Consigli dei ministri convocati da Conte sul Mes o su vari temi fra cui il Mes: lì c’erano sempre il vicepremier Salvini e i suoi ministri, viceministri e sottosegretari: gli stessi che accusano il premier di aver fatto tutto di nascosto, di notte, a loro insaputa. Che facevano? Pensavano che il Mes fosse un vermouth? Dormivano? Si facevano piedino? Twittavano? Postavano su Facebook e su Instagram? Giocavano con l’iPhone? Guardavano porno sull’iPad? Se questi cialtroni straparlassero al bar o al Papeete, poco male: nessuno ne pagherebbe le conseguenze. Invece parlano ai media e in Parlamento: sono settimane che chiedono le dimissioni del premier (Salvini, già che c’è, anche l’“arresto per alto tradimento”, reato che può commettere solo il presidente della Repubblica) e scatenano risse e gazzarre in Parlamento.
Così quelle immagini e quegli sproloqui fanno il giro del mondo, screditano l’Italia e contribuiscono al rialzo dello spread, dopo mesi di bonaccia. E le conseguenze le paghiamo tutti noi. Questo è il vero, unico alto tradimento. O aggiotaggio, come suggerisce Monti. Quando Conte ha concluso il suo intervento ha parlato - anzi, ha ruttato - Salvini. Ci si attendeva che estraesse un formidabile asso dalla manica per inchiodare definitivamente il premier al suo alto tradimento e condurlo dritto e filato a Regina Coeli. Invece, come il 20 agosto - nel dibattito sulla crisi del mojito, come sempre - non aveva nulla di nulla. Nè nella manica, né nella testa.
Dopo aver calunniato Conte per giorni e giorni e mentre gli intimava di “vergognarsi” non si sa per cosa, il Cazzaro Verde si è travestito da linosotis simbolo di “umiltà” che cita Confucio senza sapere chi sia e – bontà sua – “non replica agli insulti” e “non fa querele” (solo a noi, nove in tre anni: tutte perse) perchè uso a “rispondere col lavoro”. Non avendo mai lavorato un minuto in vita sua. Si vedeva chiaramente che non ha la più pallida idea del Mes. Infatti ha attaccato un comiziaccio da bar sull’Ilva e l’Alitalia, che non c'entrano una mazza e che la Lega ha sul groppone per i suoi 10 anni al governo su 25 (il quintuplo di Conte). Poi è passato alle barzellette. Tipo questa: “Le banche in difficoltà sono in Germania, non in Italia” (ciao, core). O quella sulla raccolta firme di domenica prossima in “mille piazze d’Italia” (e perchè non centomila?) per “abrogare il Mes” (che non è stato ancora firmato e comunque non può essere abrogato) e “denunciare i papà e le mamme del trattato” (fra gli applausi dei suoi giannizzeri beotamente ghignanti, anch’essi padri e madri del Mes a loro insaputa).
In un paese normale, un politico ridotto a una figura tanto barbina si scaverebbe una fossa, ci si ficcherebbe dentro, chiuderebbe il tombino e ne uscirebbe fra quattro o cinque anni, sperando nella memoria corta della gente. Invece siamo in Italia, dunque il Cazzaro e i suoi simili continueranno a blaterare come se fossero dei politici, e non dei soggetti inabili al governo e anche al lavoro. Come quando Salvini accusò Conte di conflitto d'interessi sul caso Fiber 4.0-Retelit, poi si scoprì che il premier s'era astenuto e aveva deciso Salvini. O quando intimò al sottosegretario Spadafora di “rendere più veloci le adozioni”, poi Conte gli svelò che la delega sulle adozioni l'aveva il suo ministro Fontana. O quando accusò i giallo-rosa di aver bocciato un emendamento leghista al decreto Fiscale che prorogava le esenzioni dall’Imu agli immobili inagibili per il terremoto, poi si scoprì che era nel decreto Sisma appena approvato alla Camera. O quando strillò contro il Conte2 che imponeva ai sindaci di pignorare il conto in banca a chi “non riesce a pagare una multa”, poi si scoprì che era una balla. In questi casi, si dice che uno non c’era o, se c’era, dormiva. Il guaio di Salvini è che c’è quasi sempre, e bello sveglio. Ma purtroppo non studia, o non capisce. Dargli del cazzaro non è un insulto: è pura cronaca.
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