domenica 15 marzo 2020

Dall’Olanda arriva la cura: un anticorpo batte Covid. - Davide Milosa




Si chiama “47D11”: individuato dagli scienziati di Utrecht e Rotterdam Gismondo del Sacco conferma: “Fra meno di un mese potremo usarlo”.


Nel pieno dell’emergenza italiana per la SarsCov2 con la Lombardia che ieri ha superato gli 11 mila contagi e con un picco nazionale atteso tra circa due settimane e simile a quello registrato nella regione cinese dello Hubei, una buona notizia arriva dai laboratori di ricerca olandesi.
Qui, è il dato di ieri, l’Università di Utrecht assieme all’Erasmus Mc di Rotterdam ha individuato il primo anticorpo monoclonale al mondo in grado di sconfiggere la malattia Covid-19. L’anticorpo 47D11 tra circa un mese sarà sperimentabile sui pazienti. Questo perché è già stato individuato come anticorpo “neutralizzante”, ovvero con una già accertata capacità di poter aggredire il virus.
“È un ottimo traguardo”, spiega la professoressa Maria Rita Gismondo che dirige il laboratorio di microbiologia all’ospedale Sacco di Milano. “Il metodo usato – prosegue – non è in realtà nuovo. Già nel 2003, all’epoca della Sars, Nature pubblicò un mio studio che andava in questa direzione. In Cina oggi diversi malati sono stati trattati con il siero di pazienti guariti”.
Merito della scoperta olandese, che in queste ore sta facendo il giro della comunità scientifica, è del professore di biologia cellulare Frank Grosveld e della sua équipe. Grosveld, intervistato sul magazine interno del centro di ricerca di Rotterdam, spiega: “Si tratta di un anticorpo che avevamo già isolato per l’attuale pandemia. L’anticorpo impedisce a SarsCov2 di infettare e può anche aiutare a rilevare il virus”. I ricercatori hanno inviato il loro studio di 24 pagine alla rivista scientifica Nature e sono in attesa della pubblicazione. Il documento è però già presente da ieri sulla piattaforma digitale BioRxiv.
“Un anticorpo monoclonale umano che blocca l’infezione SarsCov2”. Questo il titolo della ricerca. Si legge nel documento: “È il primo rapporto su un anticorpo monoclonale che neutralizza SarsCov2. L’anticorpo 47D11 lega un epitopo (parte del virus riconoscibile dal sistema immunitario) conservato sul recettore a punta”. In sostanza l’anticorpo “olandese” si getta sul virus in modo specifico attaccando gli spikes (spuntoni, ndr) che stanno attorno alla molecola virale. Gli spikes attaccandosi alle mucose sono i primi colpevoli del collasso dei polmoni che si sta verificando in centinaia di decessi in Italia.
La professoressa Gismondo, che ha potuto visionare lo studio, chiarisce il modo di agire di 47D11: “L’anticorpo blocca una importante parte patogena del virus, si tratta di una particella che si trova sugli spikes che a loro volta hanno recettori che si agganciano alle mucose dei polmoni, bloccarli significa fermare l’infezione”. In alternativa al vaccino “questo anticorpo” potrà essere una buona terapia.
Il metodo è quello della cosiddetta “immunità passiva”. “In questo modo – si legge nello studio – l’anticorpo è in grado di neutralizzare in maniera incrociata SarsCov2” e lo fa “usando un meccanismo indipendente dall’inibizione del legame con i recettori” per questo “l’anticorpo potrà essere utile”, oltre che per guarire i pazienti anche “per lo sviluppo di test di rilevazione dell’antigene”. Nelle conclusioni del testo si legge: “Gli anticorpi neutralizzanti alterano il decorso dell’infezione”, arrivando a cancellare il virus.
Spiega Gismondo: “È un passo importantissimo verso la cura”. Uno stesso indirizzo di metodo lo si sta seguendo proprio al Sacco sui pazienti che hanno avuto strane polmoniti tra dicembre e gennaio. L’obiettivo è il medesimo, anche se ancora bisogna individuare gli anticorpi, e una volta trovati bisogna capire se sono in grado di colpire SarsCov2. In questo senso l’Olanda è molto avanti. “Tanto più – conclude Gismondo – che l’anticorpo monoclonale può essere messo in coltura per creare una generazione uguale aumentandone così la quantità da poter usare sui pazienti. Se l’Olanda è già a questo punto credo che in meno di un mese si potrà usarlo sui primi malati”.

Il disastro delle mascherine: “Decine di milioni in meno”- - Alessandro Mantovani



“Decine di milioni in meno”
L’allarme di Borrelli – Il capo della Protezione civile: “Dall’estero non arrivano.
Ne servono 90 milioni al mese, ne sono arrivate solo 5 milioni”.
E la Lombardia lo attacca...


Il peggio deve ancora venire perché il governo prevede che il picco dei contagi giornalieri possa arrivare attorno al 18 di marzo, mercoledì prossimo, quindi almeno per altre due settimane aumenteranno i pazienti negli ospedali e nelle terapie intensive, specie quelle della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e del Veneto. E alla guerra medici e infermieri vanno senz’armi. Mancano le mascherine, decine di milioni di mascherine protettive, tanto che negli ospedali le riciclano o usano quelle non omologate, oppure le fanno con il panno antipolvere come denunciato a Roma dall’Usb. Forse anche per questo contiamo centinaia di medici e infermieri colpiti dal virus e migliaia costretti a turni massacranti anche mentre aspettano l’esito del tampone.
Mancano le mascherine, ma anche gli apparecchi per la terapia intensiva, i ventilatori. I malati in terapia intensiva ieri erano 1.518, 190 in più da venerdì. Sono 732 (+82 in un giorno) nella sola Lombardia dove i posti di terapia intensiva sono stati portati a mille e decine di pazienti vengono trasferiti in altre regioni con tutto quel che comporta per l’impegno di un medico anestesista per ogni viaggio. L’assessore Giulio Gallera promette altri 200 posti, ma potrebbero servirne migliaia nella regione che conta da sola oltre la metà dei contagi. E ancora, in terapia intensiva ci sono 152 persone (+44) in Emilia-Romagna, 150 (+15) in Piemonte, 119 (+12) in Veneto. È l’8,5 per cento dei pazienti in trattamento nel Paese (17.750), quasi metà (7.860) sono a casa e gli altri (8.372) nei reparti ordinari degli ospedali.
I contagi rilevati, che sono solo una parte del totale visto che agli asintomatici non viene quasi mai fatto il tampone (e nemmeno a tutti i sintomatici), sono saliti ieri sera a 21.157 (+3.497) tenendo conto anche dei morti che sono ormai 1.441 (+175, molto meno dei 250 di venerdì) e dei 1.966 ritenuti guariti (+537).
L’allarme per le mascherine l’ha lanciato Angelo Borrelli, direttore della Protezione civile: “In tutto il mondo c’è una chiusura delle frontiere all’esportazione, penso a Paesi come India, Russia e Romania, che rappresentano il mercato dal quale i fornitori avevano recuperato mascherine. Il lavoro di recupero delle mascherine è molto faticoso. Ma è un problema non soltanto italiano”.
Insomma chi le ha se le tiene, anche perché il virus minaccia tutti. Il governo ha impegnato anche le forze armate per accelerare la produzione di alcune aziende italiane, ma non basta, provvedimenti in questo senso sono attesi anche nel decreto che dovrebbe essere emanato oggi. Ne servono decine di milioni, così ha spiegato il direttore della Protezione civile: “Sulle mascherine – ha precisato Borrelli – il fabbisogno su base mensile è di circa 90 milioni di unità complessive. Abbiamo stipulato contratti per oltre 55 milioni di mascherine. A oggi ne sono state consegnate più di 5 milioni e ne abbiamo registrate 20 milioni che avevamo contrattualizzato e che per vari motivi non sono arrivate”. Come per i respiratori, da cui dipenderà materialmente la vita di migliaia di persone nelle prossime settimane, la questione è sul tavolo del commissario Domenico Arcuri, ex Invitalia, nominato nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Polemica a distanza invece tra l’assessore lombardo Gallera e la Protezione civile dello stesso Borrelli: ieri la Regione Lombardia ne ha ritirate 250 mila dalle strutture sanitarie. “Servono mascherine del tipo fpp2 o fpp3 o quelle chirurgiche e invece ci hanno mandato un fazzoletto, un foglio di carta igienica, di Scottex”, ha protestato l’assessore di Fontana attaccando la Protezione civile. “Non sono marchiate Cee, i nostri operatori ci hanno detto ‘come possiamo utilizzarle?’”. La Lombardia prova a fare da sola e nomina commissario Guido Bertolaso, l’ex capo della Protezione civile, quasi un anti-Borrelli.
Ora si fa il possibile, con le misure di contenimento, per ritardare il picco dei contagi, che può davvero mettere in ginocchio il Servizio sanitario nazionale. Contrarre tutti il virus è possibile, ma farlo troppo rapidamente sarebbe un disastro. Le stime del governo, indicate nella relazione introduttiva di quello che oggi dovrebbe essere emanato come terzo decreto delle tre settimane dell’emergenza, dicono che il massimo dei contagi giornalieri arriverebbe attorno al 18 marzo, mercoledì prossimo, poco sotto 4.500 contagi al giorno. Poi scenderà ma l’effetto si vedrebbe più avanti. Il governo prevede 92 mila contagiati. Sarebbero circa 3000 morti.

Normalità si fa per dire. - Marco Travaglio

Quando sarà tutto finito, si spera che nessuno voglia “tornare alla normalità”. Perché prima non eravamo mica normali. Anzi.
Normalità vuol dire mettere in salvo la sanità pubblica, cioè la nostra salute, levandola alle Regioni, cioè sottraendola alle grinfie di satrapi e mitomani che si fan chiamare governatori (o, come De Luca, trovano “terapeutiche” le fucilazioni cinesi) e riportandola sotto il ferreo controllo dello Stato. Possibilmente di un prefetto. Tedesco.
Normalità è stabilire che la sanità privata se la pagano i privati con i loro soldi: tutta. Ciascuno è liberissimo di costruirsi una clinica e di ospitarvi chi se la può permettere, ma deve sapere che non avrà un euro dallo Stato. Perché lo Stato deve curare tutti i malati, ricchi e poveri, bisognosi di terapie più o meno complesse e costose, e non indebolire le strutture pubbliche per spianare la strada ai privati “convenzionati”, che poi privati non sono perché i soldi che intascano sono i nostri.
Normalità, se proprio non vogliamo abolire le Regioni, è dare almeno al governo più poteri ordinari per commissariarle appena è necessario. Ora i presidenti di quelle meridionali confessano serafici, praticamente a una sola voce, di non essere in grado di affrontare l’emergenza coronavirus perché i loro ospedali hanno pochissimi posti di terapia intensiva. E a chi lo dicono, a noi? Siccome non sono piovuti dalla luna, ma rappresentano partiti che governano quelle regioni ininterrottamente o con qualche intervallo da decenni, dovrebbero spiegare dove sono finiti i soldi (anche se lo sappiamo bene) che ogni anno ricevono dallo Stato (115 miliardi a botta). E poi passare le consegne al governo centrale per manifesto fallimento. A partire dalla Calabria, dove il centrodestra che ha vinto le elezioni 50 giorni fa non riesce nemmeno a formare una giunta, figurarsi a gestire pandemie.
Normalità è non ripetere mai più (né accettare che si ripeta) la frottola della “sanità lombarda migliore del mondo”. Certo, ha medici, infermieri e strutture di eccellenza, ma anche una distribuzione delle risorse a dir poco criminale. Chi non l’avesse ancora capito dovrebbe essere obbligato per decreto a leggersi la sentenza Formigoni, il sedicente “governatore” condannato a 5 anni e 10 mesi (di cui appena 5 mesi scontati in carcere) per associazione a delinquere e corruzione per avere incassato almeno 6,6 milioni di tangenti in cambio di almeno 200 milioni di euro prelevati dalle casse della sanità regionale e dirottati alle cliniche e agli istituti privati, tipo il San Raffaele e la Maugeri. Quanti posti di rianimazione si creano con 200 milioni? Quanti respiratori, quanti tamponi, quante mascherine si comprano?
Normalità è pagare le tasse e stangare senza pietà chi non le paga. Non ora che vanno sospese e rinviate per chi non può pagarle. Ma dopo sì, cazzo. Se la Germania ha 28mila posti di terapia intensiva e noi 5mila, se ci mancano medici, infermieri e macchinari, non è solo per gli sprechi e le tangenti, ma soprattutto per lo spread dell’evasione impunita.
Normalità è finirla col mantra “sblocca-cantieri” e richiamare in servizio al ministero dei Trasporti il comitato per l’analisi costi-benefici delle grandi opere, istituito (e purtroppo ignorato) da Toninelli, per decidere quali ci servono davvero e quali vanno cancellate prima di fare altri danni all’ambiente e al bilancio dello Stato, e dirottare le risorse verso destinazioni più urgenti e utili: nuovi ospedali, scuole, strade e ferrovie ordinarie.
Normalità è costruire nuove carceri, per ospitare in condizioni sicure e dignitose chi deve andarci e restarci, e finirla con la lagna dell’indulto&amnistia (termini pressoché ignoti all’estero) a ogni rivolta o emergenza.
Normalità è distinguere i politici che amano davvero l’Italia (da premiare) da quelli che odiano tutti tranne se stessi (da trombare): il virus è un’ottima cartina al tornasole per riconoscerli.
Normalità è piantarla col cosiddetto “infotainment” televisivo, dove non si capisce chi sia l’esperta fra Ilaria Capua e Barbara D’Urso. E invitare Vittorio Sgarbi e quelli come lui a parlare solo di ciò che sanno (nel caso di Sgarbi, l’arte del ’500), lasciando il resto a chi ha almeno una vaga idea di quel che dice (che non è il caso di Sgarbi sulle faccende giudiziarie, né tantomeno sul Covid-19, da lui autorevolmente definito “virus del buco del culo”, con annessa profilassi da manicomio: “Andate in giro e non vi succederà niente”).
Normalità è fare tesoro di queste settimane di arresti domiciliari e coprifuoco che ci hanno insegnato a valorizzare l’essenziale e a tagliare il superfluo (inclusi il Cazzaro Verde e l’Innominabile).
Normalità è alzare gli occhi dallo smartphone e guardare in faccia gli altri (che cominciano a mancarci proprio ora che ci mancano). Darsi appuntamenti per vedersi di persona, chiacchierare de visu o al telefono. Fare cose insieme anziché inseguirsi con messaggi vocali senza mai trovarsi.
Normalità è smetterla di affollare i divani e i centri commerciali e correre in musei, teatri, cinema, concerti, librerie, siti artistici e archeologici, ora che la loro mancanza ce li fa sentire vitali ed essenziali come mai prima. Infatti cerchiamo di surrogarli con le cantatine dai balconi e dalle finestre. Io, per esempio, appena finirà l’emergenza e uscirà il nuovo film di Carlo Verdone, avrò così tanta voglia di ridere che me lo vedrò dieci volte per dieci sere di seguito.
Normalità è ascoltare Lucio Dalla: “Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.

In Europa ancora ambiguità. Ma i 5S hanno aperto una strada. - Gaetano Pedullà

Al terzo giorno l’Europa risuscitò. Il terzo giorno è quello dal decreto del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha messo in campo tutta l’Italia nella guerra contro la pandemia di Coronavirus. Una sfida senza precedenti, raccolta da grandissima parte del Paese, che con sporadiche eccezioni resta chiusa in casa, riducendo così drasticamente le opportunità di contagio. Le persone coinvolte purtroppo sono ancora in aumento, ma tra breve vedremo senz’altro gli effetti di questa straordinaria mobilitazione nazionale. Ieri però c’è stato un altro evento fuori dal comune.
A poche ore dalle parole scriteriate della presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, che hanno affondato le Borse e in particolare la nostra, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha invertito radicalmente la rotta, assicurando che l’Italia avrà da Bruxelles tutti gli aiuti di cui ha bisogno. Un intervento in risposta alle parole nette del nostro Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e che hanno indotto la stessa Bce a rettificare quanto affermato dalla Lagarde, anche se del necessario taglio dei tassi non si parla ancora. La reazione dei mercati non si è fatta attendere e Piazza Affari ha recuperato parte dei miliardi bruciati giovedì scorso. Tutto bene, dunque? Si è fatto un errore e si è già messo riparo? Ma neanche per sogno. Quello che è accaduto e che accadrà nei prossimi mesi è determinante per capire se esiste o no una nuova idea d’Europa, e se abbiamo davvero qualcosa di buono da attenderci.
Le posizioni divergenti espresse dai vertici di Commissione Ue e Bce sono intanto un fatto nuovo. Nel precedente establishment europeo, quando ci dava una mazzata la Banca centrale (fino al whatever it takes – cioè “si farà tutto quanto il necessario” – di Mario Draghi) subito dopo arrivano il presidente Juncker o i solerti commissari Dombrovskys e Moscovici a metterci il carico sopra. Quel modello ieri si è spezzato, e il merito di tutto questo ha due nomi su tutti: Movimento Cinque Stelle e Conte. Poi vengono anche la credibilità di Gualtieri e Gentiloni, ma senza il sacrificio elettorale dei grillini, che consentirono alla von der Leyen di raccogliere una stretta maggioranza nel Parlamento di Strasburgo, non saremmo qui a discutere di alcun corso nuovo.
SACRIFICIO PER L’ITALIA. Quel voto a Ursula è stato enormemente strumentalizzato dai partiti sovranisti, ed è costato caro ai 5S in termini di consensi, ma la Lega e Fratelli d’Italia, pur prendendo alle ultime elezioni europee un mare di voti, li hanno sterilizzati in una ininfluente opposizione rispetto all’unica possibilità di cambiare le vecchie politiche di austerità e del rigore sui conti pubblici.
Il sostegno del Movimento alla von der Leyen non è mai stata, inoltre, una cambiale in bianco, ma ha preteso aperture senza precedenti sul Green New Deal europeo e sulla concessione di flessibilità di bilancio per la crescita. Bruxelles, dicono adesso i sapientoni del giorno dopo, ha cambiato atteggiamento verso l’Italia perché la flessibilità serve anche alla Germania, in stagnazione economica e in difficoltà con le sue banche. Tutto questo è vero, ma quanto successo appena ieri è la prova che l’Italia per una volta può cogliere un’occasione e non restarne perennemente esclusa. Se siamo arrivati qui lo dobbiamo però anche al secondo protagonista di questa strategia, cioè al premier Conte. Va a lui il merito di non aver ceduto alle sirene di Salvini e di chi spingeva a fregarcene dei vincoli sul deficit, il cui rispetto era invece la precondizione per acquetare i mercati e poter chiedere adesso quello che ci spetta.
SIAMO SOLO ALL’INIZIO. E qui veniamo adesso alla grande scommessa, allo scenario che abbiamo di fronte. La disponibilità data dalla Commissione rispetto all’utilizzo di 25 miliardi extra deficit per fronteggiare i danni del Coronavirus non può essere la soluzione ai nostri problemi, ma appena l’anticipo di quanto ci serve. In Europa ci sono poi livelli diversi di governo. E istituzioni formalmente autonome, come la Banca centrale. Se nel Parlamento europeo e nella Commissione l’Italia è finalmente autorevole, e qui ricordiamo anche il ruolo del presidente David Sassoli, nel Consiglio d’Europa – dove siedono i capi dei Governi – Conte deve mediare su tutto. Anche a Francoforte, sede della Bce, la Banca d’Italia siede in un board dove ogni Paese fa i propri interessi, e questi sappiamo che sono divergenti, soprattutto per quanto riguarda le esigenze del più ricco Nord Europa rispetto ai Paesi mediterranei. Da quello che succederà nelle prossime settimane a questi livelli, compreso l’Eurogruppo (cioè l’assemblea dei ministri economici), capiremo se esiste sul serio un nuovo spirito europeo.
NULLA È SCONTATO. Il disastro che ci ha portato la pandemia è il terreno sul quale misureremo la solidarietà e la scelta tra gli interessi dei popoli e quelli dei mercati insieme ai Paesi forti (Francia e Germania in testa). Il percorso virtuoso che nel loro piccolo hanno innescato i pochi eletti 5 Stelle in Europa può diventare una nuova era o l’ennesima promessa tradita. Chi ha acceso la speranza ha già fatto molto, anche se adesso bisognerà controllare e insistere. Ma le decisioni che contano le prendono i governi e le grandi famiglie politiche – popolari e socialisti – che seppure spaventate dall’avanzata dei sovranismi, sembrano aver già dimenticato la lezione di Orban, Salvini e Le Pen. Così come la signora Lagarde ha già dimenticato la lezione di Draghi. Perciò non possiamo ancora sapere se l’Ue svolterà davvero verso un nuovo umanesimo in economia e sull’altro grande dramma dei migranti. Fare la cosa giusta sembra facile, ma non illudiamoci. Salvini intanto può stare sulla riva del fiume a criticare qualunque cosa faccia il Governo, e se nelle cancellerie prevarrà l’egoismo presto ne beneficerà. Se però a prevalere sarà la solidarietà, a beneficiarne saremo tutti noi italiani ed europei.

Coronavirus, scoperto primo farmaco per neutralizzarlo.

Dettaglio delle particelle del coronavirus SarsCov2 ottenute dal Niaid. Evidenti le protuberanze che danno l'impressione di una corona (fonte: NIAID-RML) © Ansa
Dettaglio delle particelle del coronavirus SarsCov2 ottenute dal Niaid. Evidenti le protuberanze che danno l'impressione di una corona (fonte: NIAID-RML).

Ma ci vorranno mesi per sperimentarlo sugli esseri umani.

E' stato messo a punto il primo farmaco specializzato per aggredire il coronavirus Sars-CoV2. E' un anticorpo monoclonale, specializzato nel riconoscere la proteina che il virus utilizza per aggredire le cellule respiratorie umane.
La ricerca è pubblicata sul sito BioRxiv dal gruppo dell'Università olandese di Utrecht guidato da Chunyan Wang. I ricercatori hanno detto alla Bbc che saranno necessari mesi prima che il farmaco sia disponibile perché dovrà essere sperimentato per avere le risposte su sicurezza ed efficacia.
Legandosi alla proteina Spike, che si trova sulla superficie del coronavirus, l'anticorpo monoclonale le impedisce di agganciare le cellule e in questo modo rende impossibile al virus di penetrare al loro interno per replicarsi. Per questo motivo i ricercatori sono convinti che l'anticorpo ha delle potenzialità importanti "per il trattamento e la prevenzione della Covid 19".
I ricercatori stavano già lavorando a un anticorpo contro la Sars quando è esplosa l'epidemia di Covid-19 o Sars2 e si sono resi conto che gli anticorpi efficaci contro la prima malattia riuscivano a bloccare anche la seconda.
Gli studi sono ancora in corso e l'anticorpo deve essere sottoposto a test molto rigorosi, ma i ricercatori sperano di convincere una compagnia farmaceutica a produrlo. Tutto questo, secondo gli scienziati di Utrecht, richiederebbe molto meno tempo che sviluppare un vaccino per il nuovo coronavirus.

venerdì 13 marzo 2020

Amenità.





Lesbo è il sacchetto dell’umido dell’Europa, c’è il Coronavirus ma non il panico. - Giulio Cavalli

Lesbo è il sacchetto dell’umido dell’Europa, c’è il Coronavirus ma non il panico

Bisognerebbe inventarsi nuove parole per raccontare cosa accade su quella maledetta collina intorno al campo di Moria a Lesbo. Bisognerebbe sanguinare parole nuove che non esistono ancora per scrivere un pezzo che non rimanga impantanato solo nelle pagine di un giornale ma che si imprima a fuoco negli occhi di chi legge. In un campo profughi pensato per 3mila persone oltre 20mila disperati frugano tra le macerie della loro vita per provare a sopravviversi, schiacciati da una fuga che non li ha portati, no, nel luogo che speravano, dalla Turchia, che per fare la voce grossa con l’Europa ha aperto un rubinetto da cui escono uomini, e da un’Europa che finge di non vedere, finge di non sentire e contabilizza le vite umane come un cinico scartoffiomane seduto comodo nel suo ufficio.
Lesbo si arriva sfiniti ma c’è da sfinirsi ancora per i raid punitivi dei gruppi di ultradestra che trattano i migranti come carne da bastone per aizzare la propaganda, a Lesbo il 40% di quelli che vengono burocraticamente denominati come migranti sono ragazzini, minori, molti senza nemmeno un padre e una madre che scoprono il mondo e scoprono la cosiddetta civiltà occidentale leccando i rifiuti, mentre il governo greco ha sospeso tutte le procedure di richiesta d’asilo (contravvenendo una manciata di convenzioni internazionali che di questi tempi risuonano come lettera morta) e studia altri metodi per scoraggiare i nuovi arrivi, come se non bastassero le botte. Interessa poco, vero, ciò che accade a Lesbo perché i disperati e gli ultimi sono scesi nella classifica degli argomenti agitati dalla propaganda eppure l’ultima notizia è un pugnale: anche a Lesbo ora c’è un caso di Coronavirus, una persona di nazionalità greca ora ricoverata.
Ora, in questa storia che richiederebbe un vocabolario nuovo, immaginate cosa accadrebbe (o, cosa accadrà) quando quell’umanità assembrata e infettata dalla disgrazia di essere nata nella parte sbagliata del mondo verrà raggiunta dall’epidemia. Immaginate la virulenza, immaginate la facilità di contagio e soprattutto immaginate le cure. Quanto saremmo capaci di prenderci cura, tra l’altro della malattia che è anche la psicosi del momento, di gente di cui già non abbiamo cura? Cosa diventerebbe il campo di Moria con il Coronavirus che si appiccica ai polmoni di gente che è già devastata?
Forse per riuscire a immaginare cosa accade lì a Lesbo, nel sacchetto dell’umido dell’Europa che non si volta a guardare, si potrebbe raccontare che la notizia del Coronavirus non ha nemmeno acceso il panico tra i migranti. Come si può disperare ancora uno che ha già perso la speranza da un pezzo? «Non ho notizia di situazioni di panico – dice Maurizio Debanne, uno dei portavoce di Medici Senza Frontiere -. Sono persone che hanno perso la speranza su tutto, anche se hanno una capacità di resilienza molto forte». O forse quella che chiamano “resilienza” è una disperazione cronica che non si smuove nemmeno per il virus. Il Coronavirus in fondo sta funzionando anche da termometro sulla nostra capacità di prendersi cura degli ultimi del mondo (siano migranti, carcerati o altri disperati): a Roma l’associazione Baobab chiede alla sindaca Raggi cosa abbia in programma per occuparsi della protezione dei senza fissa dimora che sono in città per «garantire la disponibilità dei servizi essenziali di sopravvivenza per le persone in condizioni di impossibilità di provvedere a se stesse». Come potrebbe finire mette i brividi solo a pensarci.