giovedì 30 aprile 2020

Covid, Irene Pivetti indagata anche a Roma e Savona. Pm: “Sua società consapevole che mascherine non erano a norma”.

Covid, Irene Pivetti indagata anche a Roma e Savona. Pm: “Sua società consapevole che mascherine non erano a norma”

Le accuse mosse dagli inquirenti liguri sono frode in commercio, falso documentale ma anche violazioni ai dazi doganali. Alcuni giorni fa, inoltre, è stato disposto il blocco dei conti della Only Italia Logistics, la società di cui Irene Pivetti e amministratrice unica e rappresentante legale. L'ex parlamentare è indagata anche a Siracusa.

Dopo Siracusa, anche Roma e Savona. Sono tre le procure in cui è indagata l’ex presidente della Camera Irene Pivetti per il caso della vendita di mascherine non a norma. La nuova iscrizione della ex parlamentare è stata confermata dal sostituto procuratore ligure Giovanni Battista Ferro. Le accuse mosse dagli inquirenti sono frode in commercio, falso documentale ma anche violazioni ai dazi doganali. In serata, poi, la notizia che anche i pm di Roma indagano sulla ex parlamentare e sulla sua Only Logistics Italia, società di cui è amministratrice e rappresentante legale. Il procedimento rientra tra quelli avviati da Piazzale Clodio sulla fornitura di strumenti di protezione anti-Covid. Alcuni giorni fa, inoltre, è stato disposto il blocco dei conti della Only Italia Logistics, la società di cui Irene Pivetti e amministratrice unica e rappresentante legale.
L’inchiesta di Savona – L’indagine savonese aveva preso il via con il sequestro da parte della Guardia di Finanza di una fornitura di mascherine destinata a una farmacia della città ligure. Andando a ritroso nella filiera di distribuzione gli inquirenti sono risaliti alla Only Italia Logistic srl. L’indagine ha portato al sequestro di decine di migliaia di mascherine in arrivo dalla Cina – la stessa Pivetti ha parlato di 160mila – e sequestrate dalla guardia di finanza al terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa. L’inchiesta è coordinata dal procuratore Ubaldo Pelosi e dal sostituto Giovanni Battista Ferro.
La Finanza nella sede della Protezione civile a Roma – Proprio oggi, inoltre, la guardia di finanza ha effettuato una serie di acquisizioni documentali presso la sede del Dipartimento della Protezione Civile a Roma, proprio nell’ambito dell’inchiesta sulla Only Logistics. A renderlo noto è stato lo stesso organo del capo dipartimento Angelo Borrelli, con una nota in cui si fa sapere che è stata “messa a disposizione della Gdf tutta la documentazione in nostro possesso relativa ai contratti di fornitura stipulata con la società”. Il Dipartimento, “estraneo all’indagine – prosegue la Protezione Civile – nella consueta ottica di massima collaborazione, resta a disposizione degli inquirenti per ogni ulteriore elemento ritenuto utile”.
Blitz delle Fiamme Gialle anche a Milano – Perquisizioni, inoltre, anche nei magazzini della Only Logistics a Milano, dove i militari non hanno però trovato altre mascherine. Il blitz rientra nell’ambito dell’indagine della procura di Siracusa sulla distribuzione di dispositivi di protezione individuale non conformi alla normativa vigente: in questa inchiesta Irene Pivetti è indagata per frode nell’esercizio del commercio e immissione sul mercato di prodotti non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza. La Procura ha indagato anche Salvatore Stuto, legale rappresentante della Stt Group srl di Lentini (Siracusa) che avrebbe distribuito le mascherine in farmacie e parafarmacie in tutto il territorio nazionale. Ieri sono state sequestrate 9 mila mascherine, ma quelle distribuite dall’azienda siracusana sarebbero state in realtà circa 40mila.
“Società consapevole che mascherine non erano a norma” – Nel decreto di perquisizione, firmato dal Pm Salvatore Grillo, ed eseguito dalla guardia di finanza, si contesta a Irene Pivetti, in qualità di legale rappresentante della società romana, di avere “importato mascherine dotate di falsa certificazione di conformità alla normativa da parte della società Icr Polska, e nel venderle su tutto il territorio nazionale nonostante la consapevolezza della non conformità alla normativa vigente in materia di Dpi, rafforzata dal provvedimento del direttore generale dell’Inail del 16 aprile 2020 con cui si fa espresso divieto alla Only Italia logistic di immettere in commercio le mascherine in questione”. Stuto è accusato di avere “rivenduto le mascherine” a una farmacia di Bologna “presentandole come conformi” alle norme previste, “pur essendo consapevole del mancato rispetto degli standard previsti dal regolamento Ue”. La conferma dell’illecito, secondo la Procura di Siracusa, è anche nel “codice relativo al certificato” di conformità che accompagnava le mascherine, che “è risultato disconosciuto perché ‘invalido’ o falso”.
Le procure di Siracusa e Savona si coordinano – “Ci stiamo coordinando con la Procura di Savona, cercando di approfondire le nostre rispettive inchieste. Dobbiamo capire anche quali siano le competenze ricordando che la merce transita dalla Dogana. E stiamo ricostruendo le modalità di come viene smistata“. Parola del procuratore di Siracusa, Sabrina Gambino, la prima procura ad aver iscritto l’ex presidente della Camera nel registro degli indagati.
Pivetti si autosospende da presidenza Assoferr – Nel frattempo è da registrare una nota di Assoferr (Associazione Operatori Ferroviari e Intermodali) che dà notizia dell’autosospensione della Pivetti dalla carica di presidente: “In merito alle notizie apparse in questi giorni sulle vicende relative alle mascherine che vedono coinvolta la presidente Irene Pivetti si informa che la stessa ha chiesto l’autosospensione dalle sue funzioni associative. Come da statuto, è stato quindi convocato per i prossimi giorni il Consiglio Direttivo per decidere in merito ed organizzare, se del caso, la sua supplenza“. A quando risale la richiesta di autosospensione? Al 25 aprile, quindi tre giorni prima della notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Siracusa.
La difesa dell’ex presidente della Camera: “Cagnara sollevata è una vergogna” – Nel frattempo, la stessa Pivetti è tornata a parlare con l’AdnKronos, difendendo la posizione sua e della propria società: “Le indagini in quanto indagini ben vengano perché serviranno a stabilire la verità. La cagnara che è stata sollevata, invece, è una vergogna – ha attaccato – perché ha messo in mezzo, mi permetto di dire, una persona seria che sono io, un’azienda seria e tutte le persone che con grande generosità si sono adoperate per questa operazione davvero molto faticosa e difficile che era quella di portare in Italia mascherine sicure”. E ancora: “Poi, successivamente, è stato introdotto questo tema della certificazione dell’Inail che, tra l’altro, riguarda l’uso di alcune mascherine come dpi – ha spiegato – perché, per il resto, le mascherine per uso civile sono perfettamente consentite e indipendenti dalla certificazione dell’Inail. Questo bisogna ricordarlo – ha aggiunto – altrimenti non si spiega perché posso comprare all’autogrill una mascherina di pezza a 8 euro e non posso comprare a 2 euro una mascherina perfettamente certificata in uno standard internazionale ma senza il bollino dell’Inail, non sarebbe logico”.
Pivetti: “Indecente cannoneggiamento” – La Pivetti, poi, ha puntato il dito contro la ribalta mediatica della vicenda: “Ci sono problematiche di burocrazia mal raccontata – ha detto – però il punto vero è che si tratta di un indecente cannoneggiamento su un lavoro serio che è costato e costa molto sacrificio. Anche poco fa ero al telefono con uno dei miei partner – ha aggiunto – con il quale abbiamo già prenotato e in grandissima parte pagato un’ottima fornitura cinese e stavo dicendo di aspettare un momento perché adesso se anche importassimo oro zecchino ce lo terrebbero fermo. Mi dispiace – ha ribadito – perché a causa di questo molti milioni di mascherine già prenotate e in parte pagate, così come i ponti aerei, sono per forza fermi in Cina. Mi auguro che al più presto si possa ristabilire una visione equilibrata – ha concluso – perché l’Italia continua ad avere bisogno di questi presidi sanitari perché ci sono tante persone molto oneste che con me stanno lavorando su questa operazione“. Successivamente, la Pivetti ha parlato anche con l’Ansa: “Non si può mettere in mezzo una Istituzione così importante per l’Italia per una vicenda che presto sarà chiarita grazie all’intervento della magistratura” ha detto. “Blocco dei conti della Only Italia Logistics? Lo apprendo da lei. Ancora non mi è stato notificato niente” ha aggiunto.

Costituzione della Repubblica italiana, questa sconosciuta.

Difendere e applicare la Costituzione Italiana


Matteo Renzi: "Un presidente del Consiglio non può con proprio decreto cambiare la Costituzione". 

Infatti non l'ha cambiata, l'ha solo applicata: la Costituzione, all'art. 16 sancisce:

"Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche."

Sarebbe il caso che, da politici che dite di essere, vi studiaste la Costituzione prima di proferire parola.

Per noi cittadini, sapere di avere avuto a capo del governo persone che volevano stravolgerla senza conoscerla, è destabilizzante.
Cetta.

mercoledì 29 aprile 2020

Golpubblica. - Marco Travaglio


Dal 25 Aprile, festa della Liberazione, il centrodestra (notoriamente privo di mezzi di comunicazione) ha un nuovo quotidiano: la Repubblica, agnellizzata da Maurizio Molinari. Chi pensava che il neodirettore avrebbe atteso un po’ prima di imprimere la svolta al giornale fondato da Scalfari, per tranquillizzare giornalisti e lettori in subbuglio dopo il brutale licenziamento di Verdelli, sbagliava. La sterzata è arrivata ieri: una fake news in copertina (“Messe, dietrofront di Conte”); la quotidiana intervista all’Innominabile, che voleva devastare la Costituzione e ora la insegna al premier; una ventina di pagine sui piagnistei di quelli che vogliono riaprire tutto subito, con tanti saluti ai morti (appena 3-400 al giorno, dunque spariti); e soprattutto la nota politica di Stefano Folli che, per la noia che emana, viene letta solo dagli addetti ai lavori, sempreché riescano ad arrivare in fondo senza cadere in catalessi. Nato a La Voce Repubblicana con Molinari e Oscar Giannino (quello che mentì sulla laurea e persino sullo Zecchino d’Oro, anche lui giornalista di centrodestra, ingaggiato dal gruppo Stampubblica e parcheggiato a Radio Capital), Folli stava al Corriere e poi al Sole 24 Ore, dov’era strenuo difensore di B. e fan del leghismo lombardo-veneto. Poi nel 2014 approdò a Repubblica, ma nessun lettore si domandò che ci facesse lì perché i pochi che leggevano i suoi arzigogolati dire-non-dire ne uscivano con la labirintite.
Ma ora il Folli liberato parla finalmente chiaro: evoca scenari da Grand Guignol e invoca un cambio non solo di governo (legittimo), ma addirittura di sistema costituzionale. L’altro giorno, con vari salti logici e storici, paragonava l’emergenza Covid che investe il mondo intero alla guerra d’Algeria che in Francia riportò al potere il generale De Gaulle. E augurava all’Italia una bella svolta presidenzialista con apposito “uomo forte”, possibilmente Draghi. Ieri, con chiarezza per lui inusitata, ha optato per il golpe bianco, invitando Salvini & Meloni a prepararsi per non mancare all’appuntamento. Titolo: “Il tempo stringe per Salvini e Meloni” (entusiasmo incontenibile degli eventuali lettori nel vedere il loro giornale, che un tempo sussurrava al Pci-Pds-Ds-Pd, consigliare amorevolmente Matteo&Giorgia). Svolgimento: “Dopo la prova televisiva di domenica, è opinione diffusa che Conte si sta avviando a diventare il capro espiatorio del possibile disastro”. Di chi sia l’opinione diffusa e in quale terrazza o loggia si annidi, visto che il sondaggio Openpolis sulla prova televisiva di domenica dà l’81% pro Conte e il 16% anti, non è dato sapere.
Ma il Folli già sa che presto arriverà “l’ancora più drammatica emergenza economica. Il che pone due interrogativi”. Tenetevi forte, perché qui entriamo in una via di mezzo fra il Piano di rinascita della P2 e Vogliamo i colonnelli di Monicelli: “La crisi si aprirà secondo canali tradizionali e sarà gestita dalle forze politiche in base al rituale tipico ovvero l’insieme di protagonisti e comprimari è destinato a essere travolto da circostanze eccezionali?”. Ora sarebbe interessante sapere di quali “canali tradizionali”, “rituali tipici” e “circostanze eccezionali” stia vaneggiando. La Costituzione prevede che le crisi di governo si aprano in Parlamento, dove il capo dello Stato verifica l’esistenza di una maggioranza e, in caso contrario, indìce le elezioni. Senz’alcun cenno a circostanze eccezionali. Folli (o chi per lui) sta chiedendo qualcosa di diverso a Mattarella, in codice? Lo fa pensare il secondo interrogativo: “Nel caso in cui il bandolo della matassa fosse ancora nelle mani dei poteri riconosciuti, c’è qualcuno che già ora si prepara a gestire una stagione drammatica?”. Ecco: a quali mani, diverse da quelle dei “poteri riconosciuti” (capo dello Stato e Parlamento eletto dal popolo) il Folli vorrebbe consegnare il bandolo della matassa? La famiglia Agnelli-Elkann? La Fiat-Fca tornata a essere “la Feroce” di Pansa? La Confindustria? Una superloggia? Qualche conventicola di tecnocrati mai eletti né legittimati dal Parlamento? L’esercito? I Caschi blu? Le teste di cuoio? Le Giovani Marmotte?
“In quel caso”, scrive il (ti)gellino, “occorre aver predisposto un piano B”. Un bel piano Solo, o più probabilmente un piano Sòla: “un sentiero tendenziale verso qualche forma di unità nazionale”. Fortuna che “il Pd – incalzato da Renzi – comincia a rendersi conto che lo status quo non può durare” e bisogna “tenere sotto controllo il premier” (per fargli fare quel che vuole Folli o chi per lui). Invece, se Dio vuole, “FI è già pronta per il dopo” (qui i lettori di Rep fanno proprio la ola). Purtroppo “Salvini ha perso il piglio che aveva a suo tempo, comunque si volesse giudicarlo” (testuale), ma Zaia e Giorgetti scalpitano e “per lui il tempo stringe”, sennò si perde sul sentiero tendenziale. Meglio la Meloni, che “non esclude il confronto” e ha “carte migliori da giocare al tavolo dei futuri assetti” per evitare, Dio non voglia, che “il 14% dei sondaggi finisca in frigorifero”. Nulla è previsto, nel Risiko folliano, per quel trascurabile dettaglio del M5S, partito più votato alle ultime elezioni. Ma l’allegato 13-bis del Piano Sòla, intitolato “Gli enucleandi”, prevede per loro la deportazione nella base di Capo Marrargiu.

La salute è un bene comune globale. - Vittorio Pelligra

(Getty Images)

Siamo passati molto velocemente, negli ultimi decenni, da una situazione nella quale lo stato di salute del singolo era una faccenda puramente privata, o al massimo familiare, alla consapevolezza che, invece, la salute individuale è una faccenda sociale.

Questi mesi di pandemia sono, per tanti versi, mesi di rivelazione. L'unicità e la tragicità dell'esperienza che, insieme, stiamo vivendo, produce come un affinamento dei sensi che ci aiuta a cogliere aspetti fondamentali della nostra vita che, nella normalità dei tempi, passavano, nel migliore dei casi, inosservati.

Uno di questi aspetti riguarda certamente la presa di coscienza del fatto che la salute, quella di ciascuno di noi, non possa essere pensata come un bene privato, come una faccenda individuale, ma abbia, piuttosto, tutte le caratteristiche di un bene comune, di un bene comune globale. Gli economisti tendono a classificare i beni sulla base dell'intensità con cui posseggono due caratteristiche: l'”escludibilità” e la “rivalità”. I beni altamente escludibili sono quelli dal cui godimento è relativamente semplice ed agevole escludere gli altri. Se mi compro una pizza, posso facilmente e legittimamente impedire a qualcun altro di mangiarsela; al contrario, se illumino la strada di fronte a casa mia, non posso facilmente impedire al mio vicino di godere della stessa illuminazione.

La seconda dimensione è quella della “rivalità”. I beni rivali sono, tipicamente, quelli che si consumano con l'uso. La pizza, una volta mangiata, non può nuovamente essere mangiata né da me, né da nessun altro. Al contrario, il fatto che il mio vicino goda dell'illuminazione notturna, non impedisce a me di fare lo stesso. L'illuminazione non è rivale.

L'elevata escludibilità e la rivalità sono le caratteristiche definitorie dei beni privati. Al polo opposto stanno quei beni che sono, invece, non-escludibili e non-rivali. Questi sono i cosiddetti beni pubblici. Un parco cittadino, per esempio; in tempi normali non si può legittimamente impedire a qualcuno di fare una passeggiata in quel parco o di goderne della vista rilassante e, allo stesso tempo, il fatto che qualcuno usufruisca di quel bene, non impedisce ad altri di fare lo stesso.

Il bene pubblico non si consuma, non è rivale. Sono beni simili, in tempi normali, la scuola, l'amministrazione della giustizia, la sanità, la libera stampa, la qualità del dibattito pubblico, solo per fare qualche esempio. A metà tra i beni pubblici e quelli privati, troviamo i beni comuni, quei beni, cioè, che sono, non-escludibili, ma rivali. Beni dal cui godimento non è possibile escludere nessuno, ma che, allo stesso tempo, con l'uso, si consumano. Questi beni sono particolarmente importanti, non solo perché la qualità della nostra vita dipende in maniera crescente dai beni comuni – un esempio per tutti, la qualità ambientale - ma anche perché questi sono particolarmente fragili.

Nel 1968 Garrett Hardin pubblicò su “Science” un articolo significativamente intitolato “The Tragedy of the Commons” (La tragedia dei beni comuni) nel quale metteva in luce un paradosso che emerge nella gestione di questi beni. Hardin utilizza l'esempio di un terreno comune dove un gruppo di allevatori possono portare il bestiame al pascolo. Ogni allevatore avrà interesse a far pascolare, ogni giorno, il maggior numero di capi di bestiame in modo da ricavarne il massimo beneficio per sé, tenendo conto del fatto che i costi associati a questo comportamento (il consumo del pascolo) verranno, per così dire, socializzati, cioè divisi tra tutti gli altri allevatori. Abbiamo, quindi, da un punto di vista individuale, alti benefici e bassi costi, il che indurrà ogni allevatore a sfruttare al massimo il pascolo. Questa scelta, benché ottimale da un punto di vista individuale, quando messa in atto da tutti gli altri allevatori (il bene è non-escludibile), determinerà un sovrasfruttamento del bene fino alla sua stessa distruzione. «L'essenza della tragedia – scrive Hardin nel giustificare il titolo del suo articolo – non è l'infelicità. Essa risiede, piuttosto, nella solennità dell'impietoso funzionamento delle cose (…) nell'inevitabilità del destino e nella futilità di ogni tentativo di sfuggirvi».

La radice del paradosso che emerge dalla logica dei beni comuni ha a che fare con il conflitto tra la razionalità autointeressata e l'irrazionalità dei suoi esiti: è proprio il perseguimento razionale dell'interesse individuale a produrre il risultato peggiore dal punto di vista sia collettivo che individuale. Il “self-interest” è “self-defeating”; l'auto-interesse, in quest'ambito, distrugge se stesso.

La prima implicazione di questo discorso riguarda il fatto che i beni comuni sono per loro natura fragili e che, quindi, vanno attivamente protetti e tutelati. Se non proteggiamo attivamente l'ambiente questo, naturalmente, verrà sovra-sfruttato e distrutto. Le risposte tradizionali a questo problema hanno, storicamente, puntato verso due direzioni opposte ma complementari: la privatizzazione e la statalizzazione. Le difficoltà nel preservare i beni comuni possono essere eliminate nel momento in cui la proprietà comune diventa proprietà privata o, all'opposto, pubblica. Nel primo caso interesse privato e interesse sociale si allineano, semplicemente perché la dimensione sociale viene eliminata; nel secondo caso, invece, l'interesse privato viene tutelato attraverso una limitazione della libertà individuale ad opera di un potere superiore, lo Stato appunto.

Nel contesto della società globalizzata nella quale oggi viviamo, le soluzioni tradizionali mostrano i loro limiti perché si sta trasformando la natura stessa dei beni comuni, i più importanti dei quali hanno assunto una dimensione globale.

Nel contesto della società globalizzata nella quale oggi viviamo, queste soluzioni tradizionali, mostrano, però, i loro limiti, in particolare, perché si sta trasformando la natura stessa dei beni comuni, i più importanti dei quali hanno assunto una dimensione globale. I global commons, i beni comuni globali, sono quei beni comuni il cui effetto si dispiega oltre i limiti dei confini nazionali. Proviamo a pensare all'acqua del fiume Nilo. Dalla sua disponibilità e qualità dipende la vita di milioni di persone in tutti gli otto stati che il fiume attraversa. Ognuno di questi paesi ha un incentivo, nello spirito tragico evidenziato da Hardin, a sovra-sfruttare quella risorsa per ottenere maggiori benefici a danno degli altri e nessuna di queste spinte appropriative potrà mai essere limitata e regolamentata dall'intervento di una singola legislazione nazionale. Dal Nilo all'atmosfera, alle grandi foreste, agli oceani, nessuno di questi global commons potrà, quindi, essere tutelato adeguatamente usando gli strumenti del mercato o quelli delle autorità nazionali.

Siamo passati molto velocemente, negli ultimi decenni, da una situazione nella quale lo stato di salute del singolo era una faccenda puramente privata, o al massimo familiare, alla consapevolezza che, invece, la salute individuale è una faccenda sociale. Se mio figlio è immunodepresso e va a scuola con un compagno non vaccinato, vuol dire che i genitori si stanno comportando come gli allevatori egoisti di Hardin, stanno cercando di ottenere i massimi benefici individuali facendo ricadere i costi su tutti gli altri, senza rendersi conto, però, che tra “gli altri” ci sono anche loro. Da qui la necessità di un intervento legislativo a tutela della salute pubblica.

Oggi l'epidemia ci fa compiere un ulteriore passo, mostrandoci come la salute abbia, in realtà, tutte le caratteristiche di un bene comune e di un bene comune globale.

Oggi l'epidemia ci fa compiere un ulteriore passo, mostrandoci come la salute abbia, in realtà, tutte le caratteristiche di un bene comune e di un bene comune globale. Una questione tutt'altro che privata, dunque. Non basta cioè tutelare la salute dei cittadini all'interno dei confini nazionali, perché, con il livello di permeabilità delle nostre frontiere ai sacrosanti movimenti di persone, o siamo tutti al sicuro o nessuno è al sicuro. Lo diceva Papa Francesco qualche giorno fa: “Nessuno si salva da solo”. Lo ha scritto Garrett Hardin qualche decennio prima a proposito della sua etica della scialuppa di salvataggio (lifeboat ethics). E allora va benissimo se le misure di distanziamento sociale in Italia hanno appiattito la curva dei contagi al punto da non superare la soglia critica della disponibilità dei letti in terapia intensiva.

Ma questa soglia, in Italia, è pari a 12.5 letti ogni 100.000 abitanti, in Inghilterra a 6.6, ma nelle Filippine è 2.2, e in Bangladesh 0.7 letti ogni 100.000 abitanti. L'accesso alle strutture sanitarie, così come alle terapie farmacologiche e, in un futuro che speriamo non troppo remoto, al vaccino, non è garantito a tutti nello stesso modo. Il virus non è affatto democratico, così come qualcuno ancora si ostina a scrivere. I costi della pandemia non sono distribuiti in maniera equa e gli impatti futuri saranno più forti per i più fragili e vulnerabili, siano essi individui o paesi. Ma qui sta il punto vero della questione. Quei paesi che avranno subito un impatto più ridotto, che avranno potuto garantire ai propri cittadini livelli di protezione maggiore, che potranno ripartire prima, continueranno, comunque, ad essere esposti al rischio di un contagio di ritorno e all'apparire di nuovi focolai in misura proporzionale alla protezione ottenuta, non tanto e non solo dai loro cittadini, ma dai cittadini dei paesi meno protetti. Come la forza complessiva di una catena è determinata dalla forza del suo anello più debole, così anche l'efficacia del sistema di protezione sanitario mondiale è definito dalla qualità della protezione garantita ai più deboli. L'utopia di vivere in un mondo globalizzato, ma chiusi dentro confini nazionali, si scontra con la realtà tragica dei fatti e non basteranno le mascherine a mascherare quei volti che da troppo tempo non vogliamo guardare. Così come l'”alluvione razzista” che devastò New Orleans a seguito dell'uragano Katrina, innescò, nel 2005, una catarsi sociale che portò allo sviluppo del movimento mondiale per la “global climate justice”, forse anche da questa pandemia potrà scaturire del bene come effetto collaterale del male.

Il virus non è affatto democratico, così come qualcuno ancora si ostina a scrivere. I costi della pandemia non sono distribuiti in maniera equa e gli impatti futuri saranno più forti per i più fragili e vulnerabili, siano essi individui o paesi.

Lo shock antropologico che stiamo sperimentando lascerà segni indelebili nelle nostre coscienze e nella nostra memoria che cambieranno radicalmente il modo in cui penseremo il futuro. Potrà forse essere un'occasione, un esempio di quel “catastrofismo empancipatorio”, per usare l'efficace espressione di Ulrich Beck, grazie alla quale, forse, ripensare le condizioni della nostra vita in comune, del nostro agire sociale, all'interno di un nuovo orizzonte di fraternità.

L'emergere di un nuovo orizzonte normativo e perfino istituzionale non è, certamente, un processo automatico, ma dev'essere sostenuto da un lavoro culturale e trasformativo nel quale il principio dimenticato della Rivoluzione Francese, potrà, forse, esercitare un'azione catalizzatrice. Ancora questa pandemia ci insegna che mentre una distribuzione dei beni, anche fortemente diseguale, è perfettamente compatibile con il nostro attuale sistema geopolitico ed economico, perché incentrata sulle unità politiche nazionali, la distribuzione dei mali, può essere colta solo con uno sguardo cosmopolita. E allora, con questo sguardo, il panorama che si contempla è davvero sconsolante. L'epidemia ci aiuta a ragionare oltre la prospettiva nazionale, perché è vero che ogni paese sta vivendo storie parzialmente differenti, ma tutte dentro la stessa vicenda globale, che ci accomuna e che ci fa cogliere, in maniera inedita, la dimensione della nostra interdipendenza. Il virus (ri)guarda tutti. In questa condizione di rischio e precarietà, allora diventa ancora più forte la convinzione espressa sempre da Ulrich Beck secondo cui viviamo una metamorfosi “che fino a ieri era impensabile e che oggi è diventata reale e possibile”.

Coinvolti in un gigantesco esperimento sociale. - Annamaria Testa



Un articolo sul sito del World economic forum afferma che la tragica pandemia di covid-19 si configura come “il più grande esperimento psicologico” di tutti i tempi. È un “esperimento” che coinvolge un terzo della popolazione mondiale: Business Insider offre un quadro aggiornato dei paesi che hanno imposto qualche forma di distanziamento sociale.
Stiamo parlando di qualcosa come due miliardi di persone, che dall’Italia all’Iran, dal Sudafrica alla Colombia, dall’India agli Stati Uniti si trovano tutte quante in condizioni non certo identiche, ma analoghe sotto alcuni aspetti cruciali.
L’autrice dell’articolo è la psicologa belga Elke Van Hoof. La quale aggiunge che c’è da aspettarsi, nella seconda parte del 2020, una ulteriore epidemia di logoramento (burnout) e assenteismo da stress. E segnala che, mentre in tutto il mondo si stanno (be’, con alterna efficacia) predisponendo le misure necessarie per contrastare il virus, poco o nulla si fa per mitigare gli impatti psicologici. Un’ampia sintesi pubblicata su The Lancet attesta che l’isolamento può causare depressione, insonnia, ansia, frustrazione e molte altre conseguenze sgradevoli, e che alcune possono protrarsi nel tempo.
Senza preavviso
In questa, come in altre interviste recenti, lo storico Yuval Noah Harari va oltre.
E senza mezzi termini parla della pandemia come di un enorme (anche se del tutto involontario) “esperimento sociale”.
Ecco di che si tratta: la psicologia sociale studia l’interazione tra esseri umani e i fattori che possono orientare i loro atteggiamenti e i loro comportamenti. Uno degli strumenti che i ricercatori usano per validare le loro ipotesi è organizzare, appunto, “esperimenti sociali”. I quali consistono nel mettere singoli individui o gruppi di persone in una condizione o in un contesto nuovo e particolare, senza alcun preavviso o istruzione su come ci si aspetta che siano le loro reazioni.
Gli psicologi sociali stanno poi a vedere quel che succede, e traggono le loro conclusioni.
Nell’intervista, Harari fa diversi esempi. Che cosa succede quando un’intera università sposta improvvisamente online tutti i corsi? Che cosa succede quando milioni di persone cominciano a lavorare da casa? O se uno stato offre contributi economici indistintamente a tutti?
Di fatto molte cose, che stanno realmente capitando ora nel mondo, fino all’altro ieri erano al massimo ipotesi di scuola, da verificare magari, con tutte le cautele, in un lontano futuro.
Harari aggiunge che “non possiamo predire oggi che cosa succederà”.
La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a confrontarsi con la propria fragilità individuale.
Per maggior chiarezza faccio una piccola digressione ricordando due noti esperimenti sociali del secolo scorso, il primo breve e disastroso, il secondo di più lunga durata e, al di là di ogni aspettativa, virtuoso.
Primo esempio: il controverso Stanford prison experiment. Si svolge nel 1971, nei sotterranei del dipartimento di psicologia dell’università di Stanford, modificati per somigliare a una prigione. Obiettivo: indagare le dinamiche dell’abuso di potere in un gruppo di 24 studenti, scelti tra i più sani ed equilibrati. Gli studenti vengono divisi a caso tra “carcerieri” e “carcerati”, abbigliati di conseguenza e invitati a comportarsi in accordo con il loro ruolo. L’esperimento degenera rapidamente in un susseguirsi di atti violenti, e viene interrotto ben prima del termine stabilito.
Secondo esempio: l’assai meno disturbante HighScope project, volto a indagare gli effetti della responsabilizzazione precoce. Siamo negli anni sessanta, e 123 bambini in età prescolare vengono arbitrariamente divisi in due gruppi. Mentre il primo gruppo svolge normali attività nel modo consueto per l’età, nel secondo gruppo i bimbi sono chiamati a pianificare, svolgere e verificare i propri compiti.
Negli anni successivi sembra che tra i due gruppi non si siano sviluppate differenze significative. E, quindi, che l’esperimento non abbia fornito risultati evidenti. La sorpresa arriva dopo un paio di decenni, quando i ricercatori scoprono che i partecipanti al secondo gruppo hanno, crescendo, deciso di studiare più a lungo e che fanno mediamente lavori più appaganti e meglio retribuiti, delinquono di meno, conducono perfino vite più sane.
Le caratteristiche della persona globalizzata
Proprio perché espongono esseri umani a situazioni inconsuete, le cui conseguenze possono essere imprevedibili, gli esperimenti sociali coinvolgono piccoli gruppi, per tempi limitati, in ambienti controllati. Molti di quelli svolti in passato sono stati comunque considerati poco etici. Tutti possono avere, sia nel breve sia nel lungo periodo, conseguenze che vanno al di là delle previsioni degli stessi ricercatori, e che possono essere positive o negative.
Ora, immaginate la scala di questo esperimento sociale che tutti noi stiamo vivendo, e l’impatto che può avere, al di là delle pesantissime conseguenze economiche, sui comportamenti, sulle priorità e sui valori, e sui modi di pensare e di agire di una consistente fetta dell’umanità.
La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a confrontarsi con la propria fragilità individuale. Disvelano e, con ciò, mettono in crisi, come sottolinea la psicoanalista Julia Kristeva, le caratteristiche dell’essere umano globalizzato: solitudine, intolleranza ai limiti e rimozione della mortalità. “Possiamo diventare più prudenti, forse più teneri, e in questo modo anche più durevoli, resistenti. La vita è sopravvivenza permanente”, dice Kristeva.
La globalità e l’impatto della pandemia, d’altra parte, invitano a ristrutturare radicalmente gerarchie di valori e di aspirazioni che apparivano consolidate e permanenti. Per esempio, c’è la presa di coscienza del fatto che “la salute, quella di ciascuno di noi, non possa essere pensata come un bene privato, come una faccenda individuale, ma abbia, piuttosto, tutte le caratteristiche di un bene comune, di un bene comune globale”. Ne parla Vittorio Pelligra in un articolo illuminante, che vi invito a leggere per intero.
La scuola dimenticata.
E ancora: quante persone, in quanti paesi compreso il nostro, hanno sempre considerato il sistema scolastico come una struttura ancillare e molto meno centrale del sistema produttivo? Ed ecco: si fermano le scuole e tutto il resto si inceppa. Ma non solo: improvvisamente ci si rende conto che senza il malconcio e tuttavia resiliente e tenace sostegno della scuola un’intera generazione rischia di ritrovarsi abbandonata a sé stessa nel mezzo dello tsunami pandemico.
Come crescerà, e con quali consapevolezze e quali paure, la generazione covid-19? Quanti rischiano di restare indietro, con quanto danno sociale, e sì, anche economico?
E quanto è cruciale, se vogliamo che questo non succeda, restituire alla scuola tutta la centralità e il protagonismo sociale che le spettano per ruolo?
E poi: ci siamo finalmente convinti che un atteggiamento di rapina nei confronti dell’ambiente può impattare in modi rapidi, drammatici e imprevisti sulle singole vite di ciascuno di noi? E che ridurre le disuguaglianze non è un’opzione da buonisti smidollati, ma l’unico modo efficace non solo per poter vivere decentemente in pace, ma anche per mettere in sicurezza tutti quanti?
“La gente deve capire che abbiamo molte scelte. E le decisioni molto importanti saranno prese nel prossimo mese o due. È una breve finestra di opportunità in cui la storia si sta spostando, e molto in fretta”, conclude Harari.
C’è un dato incoraggiante: in questo periodo che ha travolto le nostre vite ci siamo potuti rendere conto di avere una flessibilità comportamentale e una capacità di adattamento che mai avremmo immaginato.
E dunque, sperèm, come dicevano i vecchi della mia estenuata città.
Ma restiamo anche vigili, e teniamo gli occhi bene aperti, perché l’esperimento sociale si sta svolgendo sulla pelle di tutti noi.

I cittadini sono meglio di certi politicanti. - Tommaso Merlo

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La stragrande maggioranza dei cittadini ha capito la gravità della pandemia, ha capito il perché non si possa riaprire tutto e subito e concordano in massa con Conte. A far capricci e piantar casino in Italia non sono i cittadini, sono certi politicanti a partire dal trio Renzi, Salvini e Meloni. Più giovani di Conte, ma politicamente giurassici. Politicanti di professione che nel corso della loro carriera hanno appreso il peggio della politica nostrana e lo offrono al paese anche in tempi di pandemia. Basta stare ai fatti. Con ancora centinaia di morti al giorno e gravi incognite sul futuro, Renzi accusa il suo stesso governo di calpestare nientepopodimeno che la Costituzione con l’unico risultato di piantar cagnara e farsi il solito giro di comparsate televisive. Salvini butta benzina sul fuoco fin dal paziente uno di Codogno, sognava i pieni poteri e si trova col muso davanti ad una webcam a delirare di rivolte e di svolte mentre perfino i suoi tifosi lo stanno mollando. Quanto alla Meloni, dopo settimane che camuffava il suo sciacallaggio è scesa addirittura in piazza contro il governo e a difesa dei “reclusi” e delle vittime del lockdown. Un’irresponsabilità e un’incoscienza che rimarrà nella storia italiana quando tutto sarà finito. Menomale che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani sono molto meglio di certi vecchi politicanti e seguono le disposizioni del governo. Altrimenti scoppierebbe il caos che in tempi di pandemia significherebbe la catastrofe. Ma in Italia la politica è stata sempre peggio dei cittadini. Abbiamo perso decenni dietro a classi dirigenti indegne. La vecchia politica è sempre stata incapace di fare squadra. Ha sempre anteposto i propri interessi rispetto a quello generale. Ci è riuscita col solito trucco. Riducendo la politica a becera faziosità e guerra tra bande. Coi cittadini a scannarsi tra loro sul nulla mentre i politicanti si godevano carriere e prebende e mentre nel paese non cambiava mai nulla. Ma la pandemia non è una emergenza come le altre. È una crisi globale che minaccia il bene più prezioso, la vita. In uno scenario di tale gravità, i giochetti sporchi della vecchia politica appaiono in tutta la loro insensatezza, in tutta la loro futile meschinità. Il successo di Conte si spiega anche così. Conte non è un politicante di professione che ha passato la vita a far comizi saltando da una poltrona all’altra. Conte è un cittadino prestato alla politica che sta servendo il proprio paese dando il meglio di se stesso. Un alieno e come tale detestato dal trio Renzi, Salvini e Meloni e da tutte le loro truppe. Questo perché dimostra che un diverso modo di fare politica non solo esiste ma funziona molto meglio. Verità che la pandemia ha reso ancora più palese. Per fortuna la stragrande maggioranza dei cittadini sono molto meglio di certi vecchi politicanti ed hanno capito che dalla pandemia ne usciremo solo cooperando con senso di responsabilità. Per fortuna che la stragrande maggioranza dei cittadini sono molto meglio di certi vecchi politicanti ed hanno capito chi è Conte.

https://repubblicaeuropea.com/2020/04/29/i-cittadini-sono-meglio-di-certi-politicanti/

Alessandro Di Battista

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Cos'hanno in comune La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, Il Tirreno, la Nuova Sardegna, Il Mattino di Padova, Il Messaggero veneto, Il Piccolo di Trieste, La Gazzetta di Mantova, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, L'Huffington Post, Business Insider Italia, Mashable Italia, La Nuova Ferrara, La Nuova Venezia, Il Corriere delle Alpi e ancora L'Espresso, Limes, Micromega e poi Radio Deejay, Radio Capital e altre testate, radio, webTv e siti internet? Semplice, lo stesso PADRONE: John Elkann.

Elkann è a capo di EXOR, la holding finanziaria olandese proprietaria, tra le altre cose, di FCA (Fiat Chrysler Automobiles, sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra), Ferrari, Juventus, The Economist (un prestigioso settimanale inglese) la quale si è appena assicurata il controllo del gruppo editoriale GEDI, un tempo in mano a De Benedetti.


Credo che un tale accentramento di potere mediatico non si sia mai visto nel nostro Paese. E' vero, abbiamo vissuto l'era berlusconiana ma allora, un minimo di opposizione (più che politica mediatica) a B. veniva fatta. Proprio Repubblica tuonava contro i conflitti di interesse di B. e contro il suo intollerabile potere sull'informazione.


Ma adesso chi lo fa? Chi si indigna di fronte ad uno scenario così pericoloso? Pensate che Repubblica farà battaglie sui conflitti di interesse tra grande impresa (quindi politica perchè Elkann è un politico anche se non si candida) e media?
E' vero, i giornali sono in crisi, perdono lettori, ma occhio, ancora influenzano il dibattito pubblico. Come? Telegiornali, talk-show, trasmissioni di approfondimento politico, spesso costruiscono le loro scalette in base alle prime pagine dei giornali usciti la mattina. In TV si parla di quel che pubblicano i giornali anche se i lettori calano. Per non parlare del web.
E' vero, Berlusconi aveva le televisioni. Tuttavia provate a sommare i follower di tutti i prodotti editoriali che hanno oggi Elkann come padrone. Ne ho calcolati (per difetto) oltre 12 milioni. Anche molti di voi, senza saperlo, avrete messo un like ad una pagina che appartiene, di fatto, ad un gruppo finanziario, EXOR, con sede in Olanda e con a capo John Elkann. E' evidente, non si tratta di un potere inferiore a quello che aveva Berlusconi!


Pensate davvero che al Dott. Elkann interessi la libertà di informazione (che interessa, sia chiaro, alla stragrande maggioranza dei giornalisti che lavorano nel suo gruppo, anche loro vittime di questo sistema)?


Io me ne infischio degli attacchi mediatici, delle menzogne che vengono scritte ogni giorno su di me, delle ingiurie politiche che arrivano, puntualmente, appena apro bocca. Non me ne infischio, grazie a Dio, delle ingiustizie. Ed è profondamente ingiusto che un potere così grande sia nelle mani di un solo uomo (tra l'altro a capo di una holding estera). In molti Paesi è proibito dalla legge.


Che dobbiamo fare, smetterla di lottare su questo perché Berlusconi ormai ha 83 anni? Ancora non è stata fatta una legge sul conflitto di interessi e mai si farà se la pubblica opinione non tornerà a comprendere che l'accentramento di potere (soprattutto mediatico) è uno dei principali pericoli per la democrazia e per la giustizia sociale.


Capisci che il “sistema” sta vincendo quando senti pronunciare la parola “fake-news” più di quella “conflitto di interessi”. Le balle della politica e dei giornali ci sono sempre state, ma un tale sistema di potere no!


Siamo chiusi in casa, bombardati da notizie, pensiamo ai nostri cari, sogniamo la libertà, ci preoccupiamo, giustamente, della nostra salute, del nostro posto di lavoro, della nostra azienda in crisi e forse, adesso, non abbiamo la testa per pensare ad altro.


Ma dobbiamo sforzarci, dobbiamo vigilare, informarci prima di mettere un like, prima di prendere per oro colato quel che leggiamo. E dobbiamo farlo soprattutto adesso che si avvicina la fase della ricostruzione.


L'establishment, un certo establishment, è in crisi. Aveva scommesso sulla disgregazione degli Stati tuttavia oggi, l’emergenza coronavirus ha mostrato al mondo intero quanto sia solo lo Stato l’istituzione capace di proteggere i cittadini. La crisi del “sistema” liberista non farà altro che acuirne l'aggressività. Nei prossimi mesi vanno riprese alcune battaglie con tutte le conseguenze del caso. Meglio un cittadino tormentato, sotto attacco ma vigile che un asservito consumatore di notizie.(Alessandro Di Battista)


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