venerdì 24 luglio 2020

Manca Totò alla tavola dei Fondi Ue. - Gaetano Pedullà



La pappa non è ancora arrivata ma un sacco di gente si è già seduta a tavola. E vista la fame di questi tempi, il finale di Miseria e nobiltà, con Totò che si infila in tasca gli spaghetti, sarà nulla a confronto. Parliamo del Recovery Fund, la montagna di miliardi che il premier Giuseppe Conte si è sudato in una delle trattative europee più faticose di sempre. A sentire Salvini si tratta di soldi del Monopoli, ma al segretario leghista non crede più neppure lui stesso, e dunque figuriamoci la solita folla di capitalisti “de noantri”, boiardi, prenditori, Confindustrie varie, persino i partiti e le manine che fanno e disfano nei ministeri. Il Pd, per dire, ha appena proposto una Commissione parlamentare per metter becco sui quattrini, mentre in una Roma semi deserta per il caldo e la paura del Covid si assembrano aspiranti componenti di task force ed esperti nella spesa (tanto quelli capaci di farci guadagnare si trovano quanto gli idraulici a ferragosto). Per mettersi in vista, c’è da scommetterci, questi pavoni faranno a gara nell’esporre le loro piume in lunghe articolesse sui giornali, incuranti del fatto che su quelle stesse colonne fino a pochi giorni fa si diceva peste e corna del capo del Governo e delle sue possibilità di spuntarla al tavolo negoziale con l’Europa. Per chi ha a cuore l’interesse del Paese e non le tasche di Lorsignori parte perciò una missione decisiva: vigilare affinché gli aiuti europei non si trasformino da grande chance per l’Italia in una beffa, col danno di aumentare il debito pubblico e perdere quel briciolo di credibilità internazionale che ci resta.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/manca-toto-alla-tavola-dei-fondi-ue/

Maroni s’arrocca dinanzi al saccheggio leghista. - Gad Lerner

Lombardia - Tangenti sanità: Salvini pronto a scaricare Maroni ...
Politico navigato e figura di cerniera tra diversi ambienti del potere, Roberto Maroni torna a tesserarsi al partito di Salvini, da cui si era ritirato, perché sulla Lombardia leghista si addensano nuvoloni minacciosi; e da qualche parte bisogna pur ripararsi. A sentir lui, la prossima sfida politica in cui varrebbe la pena d’impegnarsi sarebbe quella per riportare la magistratura nei suoi ambiti. Le numerose inchieste per malversazioni in cui sono coinvolti esponenti del sottogoverno leghista, nasconderebbero un disegno persecutorio contro il partito che Maroni lasciò nel gennaio 2018, “sulla base di valutazioni personali”.
Disse proprio così, rinunciando a sorpresa a ricandidarsi presidente della Regione Lombardia tre mesi prima delle elezioni. Salvo aggiungere: “Metto a disposizione la mia esperienza di governo, se sarà necessaria”. All’epoca molti scommettevano sulla prossima nascita di un governissimo fondato sull’alleanza fra Berlusconi e Renzi. Maroni si distanziava dall’estremismo di Salvini, convinto che sarebbe andato a sbattere, mentre lui, il leghista moderato, poteva venir buono finanche a Palazzo Chigi. Come è noto, le cose andarono diversamente. Si consolò facendo il consulente aziendale e il consigliere d’amministrazione. Sembrava che potesse disinteressarsi anche dell’imponente distrazione di milioni del finanziamento pubblico occultati quando, per il solo 2012, era stato lui il segretario della Lega.
Con il senno di poi, la sua mai davvero chiarita rinuncia a un secondo mandato in Lombardia comincia a trovare spiegazioni meno vaghe. Maroni è uomo troppo esperto per non aver colto in tempo gli esiti nefasti del ricambio di classe dirigente da lui stesso propiziato nel dopo Formigoni. Un insieme famelico di nuovi venuti, attratti dal Pirellone come bancomat, che non hanno mai dato vita a un sistema di potere coeso al pari di quello ciellino. Fin dal suo nascere l’intelaiatura territoriale della Lega assegnava un ruolo importante ai commercialisti, spesso portavoce del malcontento dovuto alla pressione fiscale, oltre che praticanti dell’elusione. Ma adesso un’altra generazione di commercialisti poteva introdursi dritta nel sottogoverno, operando al tempo stesso per sé e per i politici che li proteggevano. In sua vece, con il beneplacito di Salvini che doveva saziare la componente varesina della Lega, Maroni promosse Attilio Fontana, rivelatosi debole e maldestro. Il sistema reggeva bene; anzi, la Lega sembrava destinata a completare il suo disegno di partito pigliatutto in Lombardia. Solo che l’estate scorsa Salvini si è dato la zappa sui piedi e, come se non bastasse, nel 2020 è esplosa la pandemia del Covid.
Nel disastro della sanità lombarda, anche Roberto Maroni suo malgrado è tornato a far parlare di sé. Un attacco frontale gli è pervenuto, lo scorso maggio, dal detenuto agli arresti domiciliari Roberto Formigoni. Che ha accusato Maroni di essere stato lui, pochi mesi dopo la sua elezione nel 2013, a smantellare la medicina di territorio. Maroni, stranamente, non gli ha replicato. E anzi il successore Fontana s’è affrettato ad annunciare provvedimenti correttivi, con ciò riconoscendo la validità delle critiche. Per poi riportare un ciellino alla direzione generale della sanità lombarda.
Nel frattempo illegalità e incompetenze di gestione stavano emergendo da tutte le parti. Il responsabile della centrale acquisti della regione ha chiesto di essere spostato ad altro incarico dopo la rivelazione del contratto stipulato per l’acquisto di camici con l’azienda del cognato di Fontana. La gestione della raccolta fondi per l’inutile reparto di terapia intensiva al Portello è finita nel mirino della magistratura. Per non parlare della riapertura frettolosa del pronto soccorso di Alzano Lombardo in piena epidemia. Della circolare che autorizzava a trasferire i pazienti Covid nelle residenze per anziani. E dell’indagine per peculato relativa all’accordo tra Diasorin e ospedale San Matteo di Pavia sui test sierologici, dove tanto per cambiare emerge la regia di esponenti leghisti. Nessuno negli anni scorsi ha avuto da ridire se il commissario politico della Lega di Varese, Andrea Gambini, era contemporaneamente al vertice, come presidente, dell’istituto neurologico Besta di Milano (e di altri enti preposti alla ricerca biotecnologica). L’occupazione del potere avanzava infischiandosene dello spessore dei curriculum. Come già al Pio Albergo Trivulzio, il più grande polo geriatrico italiano, la cui direzione generale è stata affidata a un laureato in Filosofia.
Maroni ora minaccia di querelare chi lo tira in mezzo allo scandalo del capannone della Lombardia Film Commission. Torna militante della Lega e si mette in posizione di arrocco. Ha capito che qui rischia di venire giù tutto. La Lega nazionalista di Salvini ha saccheggiato la sua roccaforte lombarda e ora ne paga le conseguenze.

Quel piacere sofisticato di rileggere i romanzi: “L’arte è sempre difficile”. - Daniele Luttazzi

Libri: fantascienza e distopie tra i bestseller in giro per il ...

Un’indagine dell’Aie (Associazione italiana editori) certifica che durante i due mesi di lockdown la metà degli italiani non ha letto libri. Di solito è il 42 per cento. Fra i commentatori, c’è chi ha motivato il calo della lettura sostenendo che la pandemia era più appassionante di qualunque romanzo, perché rendeva ciascuno di noi protagonista di una vicenda spettacolare dove erano in gioco la vita e la morte. Questa spiegazione è suggestiva, ma poggia su un pregiudizio diffuso, quello secondo cui un romanzo deve dare emozioni come un film. Esiste tutta un’editoria al servizio di questa idea, e il pubblico più numeroso legge libri in questo modo: per appassionarsi alla vicenda e sapere come va a finire. La narrativa popolare (fumetti, gialli, fantascienza, romanzi rosa & C.) soddisfa questo piacere semplice, e ci sono vizi peggiori; ma i lettori professionisti leggono i testi in un altro modo, ricavandone un piacere più sofisticato. Leggono un romanzo almeno due volte: la prima, per sbarazzarsi della trama, la cosa meno importante; poi lo rileggono per scoprire con quali inganni l’autore ha costruito il mondo di quel romanzo. La letteratura, infatti, comunica le sue cose più importanti non col testo (la presunta vicenda), ma con la texture (il modo con cui la vicenda è raccontata, il suo tessuto di pattern intra e inter-testuali). Per esempio, nella sua versione in russo di Lolita, Nabokov arricchisce i numerosi riferimenti originari a Poe e Verlaine di nuove connotazioni, con l’allusione alla loro versione russa dei simbolisti Balmont e Briusov. Leggere a questo secondo livello richiede cultura e metodo, ma la ricompensa è ineffabile: capire un’opera d’arte dona al lettore l’inesauribile gioia del contatto fra la mente e il mondo, la gioia della consapevolezza; e gli permette di partecipare della gioia della creazione.
L’arte dialoga sempre con l’arte che l’ha preceduta, della quale è approfondimento, critica, sviluppo. “Se il lettore deve lavorare a sua volta, tanto meglio. L’arte è difficile” (Nabokov, in un’intervista alla Bbc, 1968). Finché il pubblico resta al primo livello, troverà più interessanti i videogiochi, che lo rendono protagonista del loro plot adrenalinico. Videogiochi e film d’azione competono perché si limitano a promettere lo stesso tipo di coinvolgimento; mentre nulla possono contro la scrittura, che permette la metafora e l’analisi, a loro precluse. L’analisi, per dire, distingue due tipi di energia narrativa: energeia (tipica delle storie d’azione, è l’incalzante succedersi degli eventi) ed enargeia (dominante nella narrativa alta, è la riflessione sugli eventi). Quando, un anno fa, Scorsese criticò i blockbuster della Marvel perché “non sono cinema”, come invece i film di “Bergman, Fuller, Donen, Godard, Hitchcock”, che “riguardano la complessità dei personaggi e la loro natura contraddittoria”, e attraverso un “autentico pericolo emotivo” portano a una “rivelazione estetica, emotiva, spirituale”, mentre in quelli Marvel “niente è a rischio, sono prodotti per il consumo immediato… dopo test sul pubblico”; quando diceva questo, Scorsese stava dicendo che i film Marvel sono sola energeia. Perfetti per un quattordicenne, poco nutrienti per un adulto. “La maturità è tutto” (Pavese, citando Shakespeare).
Incipit famosi. Moby Dick, di Herman Melville. “Il capitano Achab non poteva immaginare che una cappella larga 40 cm sarebbe stata così dolorosa”.

Aiutate Salvini, Calenda e la Santanchè. - Antonio Padellaro

Salvini: «La Lucarelli sfrutta il figlio per fare politica ...  Carlo Calenda a Non è l'Arena: "Conte dice che i paesi europei ci ...  2 giugno, Santanchè (Fdi): "Domani in piazza per dar voce all ...
Ho visto una Daniela Santanchè nervosissima, ieri mattina a Omnibus su La7, e un po’ mi dispiace perché lei che si lamentava di essere interrotta dalla conduttrice è sempre stata un modello di correttezza televisiva, mai una parola di troppo e assai rispettosa delle opinioni altrui. Ho letto di un Matteo Salvini al Senato che leggermente scosso dagli applausi della maggioranza a Giuseppe Conte, si associava con una faccia un po’ così e ripeteva “e so’ contento”, come il Vittorio Gassman pugile suonato nel film "I mostri".
Un discorso, il suo, coerente e lineare come una pista di ciclocross nella Foresta Amazzonica, con un picco assoluto quando rivolto alla sua sinistra ha sibilato: “Non è abbastanza nobile per i frequentatori di Capalbio parlare di agricoltura?”. Vivo turbamento tra i banchi governativi al pensiero che, invece, sulla spiaggia di Milano Marittima l’ex capitano leghista intrattenga i compagni di racchettoni e le cubiste sulla quantità di latte prodotto dalle mucche frisone e sulle performance delle galline ovaiole nella Pianura Padana. Poi il colpo del ko, contro i “cento parlamentari di Pd e 5 Stelle che ritengono che per rilanciare l’agricoltura italiana occorra legalizzare e spacciare droga in nome e per conto dello Stato”. Nessun nesso logico con il dibattito in corso, ma lui è fatto così: quando perde il filo, improvvisa con argomenti per così dire “ad minchiam”. Ho ascoltato Carlo Calenda esprimere giubilo, sprizzare euforiche bollicine come un Dom Perignon appena stappato e complimentarsi con il premier per l’esito del negoziato europeo. Salvo subito dopo spiegarci che i miliardi a fondo perduto in realtà ce li verseremo noi a noi stessi. Mentre quelli che avremo in prestito dovremo restituirli con le stesse modalità imposte alle laboriose popolazioni di Ostia e Coccia di Morto da “don Ciccio lo strozzino” e dal suo fidato collaboratore slavo “Dejan mani di pietra”. Una cortesia, cari patrioti sempre chini sui supremi interessi del Paese: la prossima volta esultate un cicinin di meno.

Il pistola fumante. - Marco Travaglio

Magistrati, giornalisti e processi alla "Storia" - Il Foglio

Nella mia lunga carriera di denunciato, ne ho viste tante. Pure la famiglia Angelucci, compresa una nidiata di figli e nipoti di 8 e 5 anni, che mi chiedevano non so quanti milioni per averli chiamati “gli Angelucci”. Poi, quando Stefano Folli mi querelò per il paragone fra il suo bel riportino e un nido di cinciallegra, pensavo di averle viste tutte. Invece l’altroieri ho aperto la rituale busta verde e ho trovato una citazione civile dell’Innominabile (la quindicesima in otto mesi) che, con l’aria di prendersela con me, denuncia un rotolo di carta igienica. Avete capito bene: il corpo del reato, di cui presto dovrà occuparsi il Tribunale di Firenze fra un processo e l’altro ai suoi cari, sono 20 piani di morbidezza. I giudici, annoiati da cause pallosissime, questa se la strapperanno di mano. Il criminoso fattaccio è del 13.2.2019, quando mi collego con Tagadà, il programma di Tiziana Panella su La7. E, siccome la sala riunioni che uso per i collegamenti è occupata, vengo ripreso alla scrivania del mio ufficio. Si parla del Tav e di Conte al Parlamento Ue. Nei giorni seguenti qualche feticista del web ingrandisce un fermo-immagine e scopre ciò che nessuno in diretta aveva notato per l’impossibilità di vederlo a occhio nudo: nella libreria alle mie spalle, fra libri e oggetti vari (un gufo e varie foto incorniciate), appare – cito dall’atto – “un rotolo di carta igienica con sopra stampato il volto del Senatore Dott. Matteo Renzi accanto a una cartolina che ritraeva anch’essa il volto del senatore insieme a un segnale di ‘pericolo generico’ e a un’immagine di feci umane ‘fumanti’”. A parte “umane” e “fumanti” (a vederle così parrebbero feci generiche, non saprei di quale animale, ma certamente né fumanti né fumatrici), è tutto vero.
Confesso di aver ricevuto da un’abbonata molto spiritosa e molto poco renziana, subito dopo la nostra battaglia vinta in difesa della Costituzione al referendum del 2016, quel gadget prodotto a Napoli e piuttosto diffuso (l’Innominabile non si monti la testa: sul web, a 3,90 euro, si vendono rotoli con altri politici stimati quanto lui, “Berlusconi vai a zappare” ecc.). E, quel che è peggio, l’ho poggiato sullo scaffale accanto al gufo e al libro Perché no sul referendum. Non solo: mi sono scordato della sua esistenza, come accade di solito per i soprammobili. Tutto immaginavo fuorché di ritrovarmi quel rotolino, invisibile a occhio nudo in tv, ingrandito sul web e poi su un atto di citazione che mi dipinge come un criminale, autore di un “comportamento gravissimo”. Un orrendo delitto, ma non di chi ha confezionato e messo in vendita il turpe oggetto nella bizzarra convinzione che i politici bugiardi abbiano la faccia come il culo.
Bensì del sottoscritto, animato dall’“evidente fine di attribuire l’epiteto offensivo di ‘PERICOLOSA’ ‘MERDA’ alla persona di Renzi, nelle diverse comuni accezioni quali ‘uomo di…’, ‘politico di…’, pericoloso perché una…’”. E qui gli avvocati s’interrompono, avendo già suggerito abbastanza. Poi tentano di dimostrare che il gadget sia opera mia, così come la sua collocazione in bella vista (anzi “in prima vista”). In effetti è molto plausibile che io, dovendo parlare di Conte e del Tav in tv, abbia strappato un rotolo dal bagno, gli abbia appiccicato la faccia del Sen. Dott. su ogni foglio, l’abbia riarrotolato e incellophanato, abbia ordinato allo stampatore la cartolina con segnale stradale di pericolo, foto della cacca non fumante e del Sen. Dott.. Del resto, questa è “una vera e propria tecnica comunicativa, studiata ad hoc dal Travaglio… abituato a inviare messaggi offendendo esponenti politici”. Come no, non faccio altro: lo dimostrano “alcuni esempi chiarificatori”.
Alla MaratonaMentana sul referendum 2016, “Travaglio espone alle sue spalle una prima pagina incorniciata di un quotidiano di fantasia, con la scritta in prima vista (ridàgli, ndr) ‘Hanno la faccia come il culo’” (si tratta di una celebre prima pagina di un settimanale vero, Cuore, con cui collaboravo, ma è del 1991, quando l’Innominabile aveva 16 anni; però è bello che ci si riconosca). E 15 anni fa “su Youtube il Travaglio esponeva una statuetta rappresentante un ‘maiale antropomorfico’ con le fattezze di Berlusconi” (si tratta del pupazzo Silviolo, che non ha nulla di suino e che B., molto più spiritoso, si guardò bene dal denunciare). “Pertanto non ci sono dubbi che, considerato il posizionamento degli oggetti e l’abitualità della modalità comunicativa – il Travaglio abbia deliberatamente e volontariamente veicolato tali immagini diffamatorie” contro lo Statista Rignanese. Ora il giudice dovrà visionare “l’immagine-ingrandimento degli oggetti diffamatori esposti” e tutti gli altri “soprammobili a sfondo e carattere diffamatorio in altre trasmissioni e video”. Manca solo un’istanza per l’invio del Nap, il Nucleo Arredatori della Polizia, per bonificare i miei uffici onde evitare la reiterazione del reato. C’è invece la richiesta di “danni morali, esistenziali, patrimoniali e non patrimoniali”, aggravati dall’“assenza di rettifica o dichiarazione correttiva” (testuale) e dalla “notevole risonanza mediatica suscitata dalla notizia”, di cui nessuno s’era accorto finché il Sen. Dott. non ha annunciato coram populo la denuncia al rotolo. Ma alla fine si contenta di poco: “la somma di euro 500.000,00”. Che poi sarebbero 250.000, se la carta igienica non fosse doppio velo.

giovedì 23 luglio 2020

Conte tra MES e 4 marzo bis. - Tommaso Merlo


Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 22-07-2020 Roma Politica Senato – Informativa del Presidente del Consiglio sugli esiti del Consiglio europeoDISTRIBUTION FREE OF CHARGE – NOT FOR SALE – Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Vecchi politicanti e stampaccia speravano che Conte tornasse scornato in modo da attaccarlo ancora più ferocemente. Il loro scopo ormai é risaputo. Far saltare Conte e il suo governo e tornare alla cuccagna di un tempo. A quella che si godevano prima della tempesta del 4 marzo. Vedendo Conte tornare clamorosamente vincitore, vecchi politicanti e stampaccia gli hanno riservato il solito vile trattamento. Minimizzando, imbrattando di menzogne il trionfo del nemico o addirittura cercando di appropriarsene. Mai nessuno che ammette i propri errori. Mai nessuno che riconosce i meriti altrui. Una sottocultura retaggio di decenni di malaffare anche politico per cui fair play e onestà intellettuale sono un disvalore, roba da deboli e perdenti. Una sottocultura che inquina la politica di propaganda tossica e la riduce ad una rissa tra bande che giova solo agli ingordi di potere. Uno dei mali più infimi di questo paese e che si sta rivelando davvero arduo debellare. Conte non era nemmeno tornato che già rimbalzava ovunque lo spauracchio del MES. 

A vecchi politicanti e stampaccia del MES non importa un fico secco. Volevano solo sviare l’attenzione dell’opinione pubblica e rimettersi a piantar zizzania nella maggioranza. Sperano di spaccarla in modo da liberarsi di Conte e piazzare finalmente i propri beniamini nelle poltrone che contano. Un gioco sporco a cui si è prestato anche Zingaretti che si è messo subito a blaterare di MES nonostante Conte abbia portato a casa soldi sufficienti per farne a meno. L’obiettivo di certe interiora pidine è costringere il Movimento a rimangiarsi la parola e quindi fargli perdere consenso e stabilire nuovi rapporti di forza. Logiche giurassiche in attesa che qualcuno si degni di fare una seria operazione verità sulle condizionalità del MES visto che quel baraccone finanziario opera secondo leggi e trattati e non aleatori punti di vista. A piantar zizzania si è messo di mezzo anche il giallognolo spettro berlusconiano che ha ripreso ad aleggiare per i palazzi del potere. Oltre a tifare MES trama affinché il governo e quindi il Movimento si appoggi a lui in Senato dove i voti scarseggiano. Il classico abbraccio col diavolo. L’ennesima furbata che farebbe implodere l’odiato Movimento e spianerebbe la strada ad un governo a lui amico che magari cestini il conflitto d’interessi, dia garanzie eterne alle aziende di famiglia e soprattutto manometta la storia degli ultimi decenni in modo da lavargli la reputazione con la candeggina consentendogli un congedo sereno da nobile padre della patria invece che da sciagura epocale. Il vecchio regime non si è arreso ed agita tutti i suoi tentacoli. Essendo privo di fair play ed onestà intellettuale non lascerà mai spazio al cambiamento voluto a gran voce dai cittadini il 4 marzo. È due anni che resiste strenuamente e l’arrivo di una valanga di soldi dall’Europa lo ha ringalluzzito. Vogliono tornare a godersi la cuccagna ma c’è un imprevisto sulla scena politica che vecchi politicanti e stampaccia non colgono, il forte consenso conquistato da Giuseppe Conte nel paese. Loro lo detestano, ma i cittadini lo ammirano in massa grazie alla sua condotta inedita per la circense politica italiana e grazie a clamorosi risultati di cui l’ottima gestione della pandemia e il Recovery Fund sono solo i più eclatanti. Il consenso di Conte va ben oltre l’ambito del Movimento che lo ha espresso e perfino oltre la maggioranza. Se Conte decidesse di ricandidarsi, vecchi politicanti e stampaccia verrebbero travolti da una tempesta ancora peggiore del 4 marzo e la storia italiana potrebbe girare pagina per sempre.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/23/conte-tra-mes-e-4-marzo-bis/

Recovery festival delle bugie. - Gaetano Pedullà

CARLO CALENDA

Non ne azzeccano una neanche per sbaglio, ma più sono smentiti dai fatti più girovagano per le tv a confondere le acque su quello che è appena successo in Europa. La quasi totalità dei giornalisti fissi nei talk show anziché chiedere scusa per aver sballato tutte le previsioni sul Recovery Fund, da ieri ci spiegano che quella di Conte è stata una vittoria di Pirro, se non addirittura una fregatura. Ora se portare a casa 209 miliardi, per quanto divisi in prestiti e contributi a fondo perduto, è una fregatura, speriamo che il Signore ce ne rifili altri di questi raggiri. 
Tuttavia il racconto prevalente, certificato dai giudizi a senso unico ora di un leghista, dopo da un direttore a caso della Triplice del buon umore – LiberoIl Giornale e La Verità – e infine da un Calenda qualunque, è che l’Italia al tavolo europeo ha perso perché Conte non conta, i miliardi li vedremo il giorno del poi dell’anno del mai e semmai qualcosa arriverà non sapremo spenderla. Roba da correre a prendere un bel corno rosso da strofinare a ogni apparizione di tanti menagramo. Niente da fare se invece capitasse di incrociare Salvini, praticamente in ogni dove a cercar voti. In questo caso oltre a non riconoscere di aver fatto male i conti sulla risposta europea alla pandemia, oltre a spacciare impunemente il successo di Conte per un disastro, il pittoresco leader della Lega non scuce una parola sui suoi amici sovranisti che hanno condizionato l’Olanda e provato a negarci gli aiuti con cui abbiamo la possibilità di far ripartire il Paese. Malgrado iettatori, leghisti e i loro scendiletto giornalisti.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/recovery-festival-delle-bugie/