Qualche specialista prima o poi indagherà sulla sindrome di Stoccolma che ha colpito i 5Stelle alla caduta di Conte. La forma più acuta si riscontra in Di Maio, che s’è scusato sul Foglio per aver avuto ragione sull’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, arrestato nel 2016 per aver truccato una gara d’appalto, minacciato l’ufficiale della Finanza che indagava, cancellato email dal suo pc e infine confessato al gup la turbativa d’asta (“a fin di bene”). Uggetti non si dimise perché glielo chiedevano le opposizioni (M5S e Lega), ma perché nessuno può fare il sindaco dal carcere: infatti, a norma di legge, fu sospeso dal prefetto e poi condannato in primo grado. Ora è stato assolto in appello: la giustizia così ridotta che assolve pure chi confessa. In pratica, il sant’uomo si credeva colpevole e poi, con sua grande sorpresa, ha scoperto di essere innocente. A sua insaputa. Resta da capire di cosa dovesse scusarsi Di Maio e che sia saltato in mente a Conte di lodare il suo autodafé. La Appendino si può capire: ha subìto due condanne in primo grado senz’aver fatto niente. Ma se non si possono più chiedere le dimissioni neppure di un sindaco in galera, che si fa: si riunisce la giunta nell’ora d’aria?
Già che c’era, Di Maio ha pure fatto mea culpa per la campagna contro la ministra Guidi, beccata a veicolare un emendamento pro petrolieri su richiesta dell’ex fidanzato lobbista. Ma la Guidi, neppure indagata, lasciò il Mise non perché glielo chiese Di Maio, ma il premier Renzi. Che ora la dipinge come una vittima dei 5Stelle dopo averla cacciata lui. Il 31 marzo 2016 fece sapere alla stampa che la riteneva “indifendibile”, era “furioso” (“È gravissimo che Federica non ci avesse detto chi fosse e che cosa facesse il fidanzato”) e le aveva chiesto di dimettersi. Cosa di cui si vantò al Tg2: “Il ministro Guidi ha fatto un errore. Non c’è niente di illecito ma ha fatto un errore e ne va preso atto. In Italia adesso chi sbaglia va a casa”. E nella sua newsletter: “Quando l’emendamento è stato formalmente presentato, il ministro l’ha comunicato in anticipo al suo compagno, che si è scoperto poi essere interessato al business. Così facendo Federica Guidi ha compiuto un errore e giustamente ha deciso subito di dare le dimissioni, per evidenti ragioni di opportunità”. Che avrebbe dovuto fare un movimento legalitario di opposizione: difendere una ministra cacciata dal premier? Se qualcuno, in altre occasioni, ha esagerato con toni fuori luogo e parole fuori posto, ledendo la dignità personale di indagati o arrestati, si scusi pure. Purché non dimentichi i fatti: l’unica bussola che deve orientare un politico sulla questione morale (da non confondere con quella penale).
Chi è raggiunto da prove schiaccianti o convincenti su fatti gravi e incompatibili con una carica pubblica (“disciplina e onore”) deve farsi da parte, sia che sia indagato sia che non lo sia, e se quei fatti alla fine vengono confermati deve lasciare la politica. Anche se viene assolto (o peggio ancora prescritto). Chi invece è sottoposto a indagine o a giudizio per fatti controversi o compatibili con la disciplina e l’onore, resta al suo posto fino al definitivo chiarimento. Ma il “primato della politica” non è delegare le decisioni ai giudici (visto, fra l’altro, come sono ridotti). Ogni leader deve esaminare i fatti, affidarsi a un collegio di probiviri autorevoli, dotarsi di un codice etico rigoroso e trasparente, prendere una decisione, assumersene la responsabilità e farla giudicare dagli elettori. Ora però, viste le fregole dei giornaloni arrapati per il mea culpa dimaiano, attendiamo a pie’ fermo le loro scuse a Virginia Raggi, dipinta come ladra e mignotta a proposito di processi basati sul nulla e finiti infatti nel nulla.
“Il bivio di Raggi: ammettere la bugia col patteggiamento o rischiare il posto”, “L’ultima spinta che avvicina di un’altra spanna la Raggi al suo abisso giudiziario e politico…” (Carlo Bonini, Repubblica, 26.1.17). “La Raggi teme l’arresto” (Giornale, 27.1.17). “La fatina e la menzogna”, “mesto déjà vu di una stagione lontana, quella di Mani Pulite”, “la Raggi è inseguita dallo schianto dell’ennesimo, miserabile segreto… una polizza sulla vita”, “Romeo ha un legame privato, privatissimo con la Raggi”, “tesoretti segreti e ricatti” (Rep, 3.2.17). “Spunta la pista dei fondi elettorali”, “Fondi coperti”, “L’ombra dei voti comprati” (Messaggero, 3.2.17). “La pista che porta alla compravendita di voti”, “Il sospetto di finanziamenti occulti giunti al M5S” (Corriere, 3.2.17). “Come in House of Cards”, “L’accusa di corruzione è vicina” (Stampa, 3.2.17). “Patata bollente. La sua storia ricorda l’epopea di Berlusconi con le Olgettine” (Libero, 10.2.17). “L’affare s’ingrossa: ‘Romeo e Virginia amanti’” (Libero, 12.2.17). “Berdini, nuovo audio: loro amanti” (Stampa, 20.2.17). “Una Forrest Gump con la fama di mantide” (Verità, 31.3.17). “Al Campidoglio il piacere dell’omertà” (Rep, 15.7.18). “La Raggi è riunita con i suoi legali per l’ultimo disperato tentativo di salvarsi” (Sky Tg24, 10.11.18). “La condanna di Raggi”, “E se l’unico modo per sbarrare la strada alla ricandidatura di Virginia Raggi fosse la condanna della sindaca nel processo d’Appello?… Di fatto sarebbe l’unica scappatoia dei rossogialli per togliersi di mezzo (forse) la grillina” (Simone Canettieri, Foglio, 2.9.20). Chi comincia? Daje
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