lunedì 13 settembre 2021

Una pagina del “Corriere” per gli 80 anni di Dell’Utri. - Valeria Pacelli

 

“Un omaggio a un vecchio amico”, che prende la forma di un’intera pagina sul Corriere della Sera, perché quello di ieri non era un compleanno qualunque. Marcello Dell’Utri, ex dirigente di Publitalia, ex fondatore di Forza Italia, ex senatore con nel curriculum una condanna definitiva (e già scontata) per concorso esterno, ha compiuto 80 anni.

E proprio da coloro che lo hanno conosciuto e ne hanno condiviso una parte del percorso in Publitalia è arrivata l’iniziativa: un augurio che ha preso le sembianze di un avviso a pagamento sul quotidiano di via Solferino. Circa 200 firme intorno alla scritta “Auguri caro Marcello” a caratteri cubitali.

L’idea è partita da una pagina Facebook che raccoglie ex dirigenti e lavoratori di Publitalia. “Sono tutti ex dipendenti dell’azienda rimasti amici di Marcello – spiega uno dei firmatari –. Sono vecchi dirigenti, impiegati e qualche segretaria che hanno deciso di fargli gli auguri in maniera abbastanza visibile”. Ma, viene ribadito più volte, “l’azienda non c’entra nulla e allo stesso modo il partito”. E quanto è costato questo regalo? “La cifra da versare non mi è stata ancora comunicata. Mi risulta che costi parecchio, però sono sempre 200 firme, eh”. E via dunque con la colletta, ma ci tiene a sottolineare chi ha firmato “è solo una cosa fra amici, non c’è bisogno di strumentalizzare”. Non è la prima volta che il Corriere pubblica avvisi a pagamento (come quello di ieri) su Dell’Utri. Era già successo nel giugno del 2014 quando era apparsa una pagina “Al tuo fianco, Marcello”, costellata da messaggi. All’epoca l’ex senatore era detenuto a Parma e ci fu una reazione del Comitato di redazione, con i giornalisti che criticarono la scelta della direzione di accettare la pagina. Ieri di nuovo, e tra tra i firmatari del “tanti auguri” non sono mancati Giancarlo Galan, ex governatore veneto ed ex ministro (che ha patteggiato una pena a due anni e 10 mesi nell’inchiesta Mose). E ancora: l’ex sottosegretario Giancarlo Innocenzi Botti e l’ex senatore Massimo Palmizio. Volevano far sentire la propria vicinanza a Dell’Utri, il quale – racconta chi lo sente spesso – “da tempo non ha rapporti né con il partito né con l’azienda”. Condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno, a dicembre 2019 l’ex senatore è tornato in libertà dopo aver scontato poco meno di sei anni grazie alla liberazione anticipata. Ora vive a Milano, “si occupa solo delle vere passioni: i libri antichi. È un vero collezionista e lo hanno anche assolto…” racconta un ex collega di partito facendo riferimento a un’indagine napoletana: Dell’Utri accusato di una presunta appropriazione di tredici volumi della Biblioteca dei Girolamini di Napoli a gennaio è stato assolto. C’è poi la grana della condanna a 12 anni in primo grado nell’ambito del processo sulla Trattativa. La sentenza d’appello è attesa per il 20 settembre, nel frattempo l’ex senatore ha potuto trascorrere un compleanno sereno.

ILFQ

domenica 12 settembre 2021

Colti sul Fatto. - Marco Travaglio


Noi giornalisti, si sa, siamo capaci di tutto. Infatti ieri ho letto l’anticipazione sul Corriere del prossimo libro di Sabino Cassese (ma me la pagherà). La prima reazione è stata domandarmi perché gli americani a Guantanamo, tra le varie forme di tortura per far cantare i loro prigionieri, non abbiano mai provato a leggergli qualche brano scelto di Cassese: quelli confesserebbero pure la Shoah. La seconda attiene alla tesi del libro, davvero sorprendente, per non dire sconvolgente, tanto è originale. Si domanda Cassese: se “gli intellettuali nutrono la democrazia”, e io modestamente lo nacqui, perché non mi si fila più nessuno? Si risponde Cassese: colpa dell’“epidemia dell’ignoranza” e del “trionfo dei populisti” che “pensano di poter fare a meno degli esperti”. Conclude Cassese: se la gente non mi dà retta, sfido che poi si sbaglia a votare; insomma “tempi bui, sia per gli intellettuali sia per i mezzi di cui si valgono”; dove andremo a finire, signora mia. Noi, pur notoriamente populisti e dunque ignoranti, siamo vicini al prof. Cassese nell’ora della prova. Ma segnaliamo sommessamente un piccolo equivoco sul concetto di intellettuale: che, da che mondo è mondo (e non Italia), è persona abbastanza colta da mettere in crisi le imposture del potere. Se invece è sempre dalla parte del potere per certificarne le bugie, è un giullare di corte, al massimo un servo erudito.

Se il prof. Cassese siede nel Cda di Atlantia (Benetton, Autostrade), ne esce con 700mila euro in saccoccia e poi scrive soffietti ai concessionari autostradali a edicole unificate, anche dopo i 43 morti sotto il ponte di Genova, ridergli in faccia non è ignoranza o populismo: è il minimo sindacale. Se il prof. Cassese paragona Conte a Orbán perché proroga lo stato d’emergenza Covid, paventando la dittatura sanitaria perché “senza emergenza non c’è stato di emergenza” e poi, quando lo proroga e riproroga Draghi, lo esalta come un sincero democratico e lo sprona financo a imporre l’obbligo vaccinale, che è un Tso per 5 milioni di persone, cosa deve pensare la gente, colta o ignorante che sia: che è un intellettuale o che è un voltagabbana un filo meno autorevole del divino Otelma? Si dirà: ma è un giudice emerito della Consulta! Sì, ma non è un’attenuante: è un’aggravante. È grazie a presunti intellettuali come lui che la gente preferisce i “populisti”. Fossero vivi Flaiano, Montanelli, Pasolini e Carmelo Bene, per citarne alcuni fra i più geniali e disparati, la categoria non sarebbe così sputtanata: il guaio è che sono rimasti i Cassese, talmente abituati a dividere il mondo fra chi dà retta ai Cassese e chi no, da non vedere che nessuno si fila più gli intellettuali da quando gli intellettuali sono loro. Per carità, tutta gente colta. Sul fatto.

ILFQ

sabato 11 settembre 2021

Matteo Salvini, il virologo da Papeete, per piacere, no. - Gianni Del Vecchio

 

Siamo abituati ad ascoltare e osservare Matteo Salvini in tutte le sue interpretazioni: il ministro poliziotto, l’apostolo col rosario, il politico gourmet, il tifoso sfegatato, il papà amorevole, l’amante appassionato e via dicendo. Basta dare un’occhiata alle sue pagine social e potrete aggiungere tanti altri personaggi alla mini-galleria qui descritta. Però il virologo Salvini, per piacere, anche no. Il leader leghista infatti è appena caduto nella trappola dei milioni di virologi da tastiera che ogni giorno sparano verità assolute su virus e vaccini, salvo poi ritrovarsi come propagatori, inconsapevoli o meno, di fake news. Trappola che avrebbe dovuto evitare con grande destrezza uno che sui social ha costruito gran parte del suo consenso. E invece la Bestia dà, la Bestia toglie.

“Le varianti nascono come reazione al vaccino. Se io provo ad ammazzare il virus lui prova a reagire variando, mutando”, ha detto collegato con gli studi di L’Aria che Tira, diffondendo così la sua verità a qualche milionata di telespettatori. Peccato però che la verità, quella vera e non quella propagandata, stia da tutt’altra parte. Non è un caso che a distanza di qualche minuto tutta la comunità dei virologi (quelli veri) è insorta per correggere il tiro totalmente sballato del Capitano. Matteo Bassetti ha dato fuoco alle polveri ricordando come “le varianti nascono quando le persone non sono vaccinate e il virus si muove liberamente, vedi la Delta in India dove la popolazione non era immunizzata e così si è sviluppata anche la Mu”. A dargli man forte poi è arrivato Massimo Galli che precisa come le varianti si generano tanto più facilmente quanto più il virus si diffonde. Quindi non c’è nessun legame con la vaccinazione. “Voi capite perché sono scoraggiato?” conclude con un laconico tweet Roberto Burioni.

Il Capitano delle fake news quindi ha appena preso una topica clamorosa, come avviene spesso alle persone che parlano più per strizzare l’occhio a una parte della popolazione che per amor di verità. E pensare che tutto ciò Salvini avrebbe potuto evitarlo nel tempo di un clic: gli sarebbe bastato andare sulla pagina “Dottore, ma è vero che?” della Federazione nazionale dei medici italiani e dare una veloce letta all’articolo nato proprio per smontare la bufala del vaccino che genera varianti. Sintetico, chiaro, a portata di tutti. Tempo di lettura 3 minuti. Tre minuti che avrebbero evitato al leghista la solita prestazione da Papeete.

Huffpost

Sciogliamo il popolo. - Marco Travaglio

 

Il 17 giugno 1953 gli operai affamati di Berlino Est scendono in piazza contro il regime della Germania Est, che grida alla provocazione fascista e invoca l’Armata Rossa. E il segretario dell’Unione degli scrittori gli dà manforte: “La classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito aveva riposto in essa. Ora dovrà molto faticare per riconquistarla”. Anni dopo Bertolt Brecht ribalterà quelle parole per evidenziarne l’assurdità: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, il governo deve scioglierlo e nominarne uno nuovo”. Fateci caso: è ciò che oggi sostengono, restando seri, i cantori del piano Draghi Forever. Han faticato così tanto a rovesciare il Conte-2, figlio legittimo delle elezioni del 2018 (M5S primo, Pd secondo) e poi a incensare l’ammucchiata rissosa e inconcludente dei Migliori, che ora tremano all’idea di ricominciare daccapo. O, peggio, di affidare la scelta del prossimo governo agli elettori. Pretendono di decidere loro coi loro padroni, qui e ora. Solo che non sanno come dirlo né come farlo, sempre per via di quel guastafeste del popolo sovrano, che da una decina d’anni si ostina a votare chi non vogliono loro. Premia, pensate un po’, i “populisti” e, a giudicare dai sondaggi dell’estate che han visto crescere solo Meloni e Conte, persevera. Che fare?

Stefano Folli, col riportino a nido di cinciallegra sempre più spettinato, ci si arrovella ogni giorno su Rep. I bei tempi in cui incensava i governi B. e Renzi non tornano più: l’uno è al 5-6%, l’altro al 2. Salvini, che lui dava per acquisito alla causa “moderata” solo perché votava per Draghi, viene traviato ogni giorno dalla Meloni. I 5Stelle, dati da sempre per morti, godono discreta salute. E nel Pd, renziani a parte, l’amore per SuperMario non sboccia. Ma Folli non demorde: sogna “coalizioni più omogenee” che “taglino fuori i ‘populisti’ di destra e di sinistra” e “una maggioranza ridisegnata col ‘taglio delle ali’” contro il “bipopulismo” di Meloni&Salvini e del M5S. Ridisegnata da chi? Da lui e dai suoi compari, ça va sans dire. Sì, ma come? Cambiando la legge elettorale. Il Rosatellum, che tanto gli piaceva quando lo votarono Renzi, B. e Salvini, non gli garba più: ora serve “il proporzionale” o “il modello francese” che è “il modo migliore per plasmare alleanze abbastanza omogenee senza ritorni al passato”. Cioè a quella brutta usanza di far governare chi vince le elezioni. Noi non vediamo l’ora che si voti per goderci la scena: i “bipopulisti di destra e di sinistra” prenderanno il 60% e lui ci spiegherà come e qualmente spedirli all’opposizione “col taglio delle ali” per far governare gli sconfitti col 40%: sciogliendo il popolo e nominandone uno nuovo.

ILFQ

Facciamo un test a chi ha scritto i test di Medicina. - Francesco Prisco

 

Quattro domande non ammettono risposta: errore del ministero? O volevano ricordarci che i medici tutti i giorni si confrontano con quesiti irrisolvibili?

A che servono le università a numero chiuso? Ce lo chiediamo da sempre, ma puntualmente arriva qualcuno a tirarci le orecchie: servono a non sovraffollare le aule rendendo invivibili le lezioni, a non alimentare le illusioni di chi non studia, a non creare i disoccupati di domani. Come se un percorso di laurea di quattro/cinque anni, più eventuali specializzazioni, non fosse naturalmente selettivo. E invece no: la prima selezione pretendiamo di farla in entrata. Lo Stato, attraverso lo strumento dei test d’ingresso, «programma» i futuri professionisti, assicurando il lavoro ai migliori, ai più motivati.

E così, dal 1987, Medicina rappresenta l’idea platonica stessa del numero chiuso, la facoltà per definizione più esclusiva, quella che entrarci è una parola ma, una volta che sei entrato, hai svoltato per sempre. Ed entrarci significa innanzitutto sottoporsi a un test d’ingresso che è l’unico posto dell’Italia contemporanea in cui si pretende di dare senso compiuto all’espressione cultura generale. Di più: devi risolvere quattro quesiti irrisolvibili.

Nel test di quest’anno, infatti, c’erano una domanda di logica, una di cultura generale, una di biologia e una di matematica che non ammettevano risposte giuste, perché formulate male o perché chi le aveva formulate non aveva inserito la risposta giusta tra le possibili soluzioni al quesito. Enigmi da sfinge tebana di fronte ai quali la ministra dell’Università Maria Cristina Messa se l’è cavata con un giudizio salomonico: «Annulleremo le domande contestate e non ne terremo conto». Quindi arriva la nota ufficiale del Mur che ci informa che la domanda di matematica sarà «neutralizzata» per la «mancanza, nella stampa, di un segno grafico rilevante». Mentre «per le domande 2, 21 e 23, diversamente da quanto indicato, la risposta corretta non era la “A” ma, rispettivamente, la “E”, la “E” e la “D”». Tradotto in volgare: una domanda la abbiamo proprio cannata di brutto, mentre delle altre tre non sapevamo neanche noi la risposta corretta.

Sulle prime eravamo tentati di utilizzare queste poche righe per avanzare una modesta proposta: facciamo un bel test a chi ha scritto i test d’ingresso a Medicina. Non ci sembra molto sportivo infatti che da un lato della barricata ci siano 76mila ragazzi che rischiano il proprio futuro professionale e dall’altro un manipolo di oscuri burocrati ministeriali che non rischiano mai nulla. Ma forse, riflettendoci in maniera più approfondita, abbiamo capito il senso del loro operato: tutti i giorni, nell’esercizio della professione, un medico è costretto a confrontarsi con domande che non ammettono risposta. In qualità di medico, la ministra Messa non potrà che confermare.

IlSole24Ore

Reddito di cittadinanza sotto assedio: ecco come potrebbe cambiare. - Andrea Carli

 

Si va verso un tagliando: un reddito di cittadinanza rafforzato sotto il profilo dell’azione di contrasto alla povertà e strettamente collegato alle politiche attive del lavoro.

Il restyling del reddito di cittadinanza, misura di sostegno che costa 7-8 miliardi l'anno, è un mosaico i cui tasselli vengono inseriti gradualmente, uno dopo l’altro. L’ultimo è quello emerso durante l’incontro tra iI ministro del Lavoro Andrea Orlando e le parti sociali sul tema della riforma delle politiche attive. Una riforma che punta sul programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) strutturando un percorso verso l’impiego, fatto di formazione, riqualificazione professionale, per l’inserimento o la ricollocazione al lavoro, e lega il nuovo strumento al Rdc. Perché l’aiuto economico - che il governo non intende superare ma rivedere -, per le persone occupabili, sia collegato con maggiore efficacia al mondo del lavoro. Le misure di Gol pertanto ne rappresenteranno una condizione.

Solo tre percettori su dieci hanno sottoscritto un patto per il lavoro.

Il Governo intende rivedere e non superare il reddito di cittadinanza, dunque. Sullo sfondo i numeri prodotti dall’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro: al 30 giugno i percettori del beneficio tenuti a sottoscrivere un patto per il lavoro erano oltre un milione e 150mila, ma solo il 34,1% di questa platea lo aveva fatto.In un recente rapporto sull’Italia l’Ocse ha messo in evidenza che ha attutito la povertà indotta dalla pandemia ma con uno scarso numero di percettori che ha trovato impiego a causa delle politiche attive carenti (l’Organizzazione ha posto sotto la lente anche Quota 100). A giugno in occasione della Requisitoria orale il procuratore generale della Corte dei Conti Fausta Di Grazia è intervenuto sul sostegno, e ha parlato di « uno stanziamento definitivo di 5.728,6 milioni di euro, dei quali ne sono stati impegnati 3.878,7 milioni. Dai dati degli uffici di controllo - ha aggiunto in quella occasione - risultano essere state accolte circa 1 milione di domande, a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste, delle quali, secondo elaborazioni di questo Istituto, soltanto il 2% ha poi dato luogo ad un rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego».

Reddito di cittadinanza sotto la minaccia di modifiche alla manovra e referendum.

È questa la ragione per cui il reddito di cittadinanza si è ritrovato sotto il fuoco incrociato di forze politiche che fanno parte della maggioranza (Lega e Italia Viva), e della principale forza di opposizione (Fratelli d’Italia). Tanto che il leader della Lega Matteo Salvini ha confessato che non vede l’ora che arrivi il giorno della manovra economica (entro il 20 ottobre il governo presenta in Parlamento il disegno di legge di Bilancio) per presentare un emendamento sulla misura. «L’ impegno - ha spiegato - è presentare, in sede di Bilancio, un emendamento a mia firma, in cui chiederemo di rivedere o cancellare il reddito di cittadinanza. Non è un attacco a qualcuno - ha poi aggiunto -: è che sono 10 miliardi di euro che hanno creato solo lavoro nero. Non funziona. La misura bisogna modificarla in modo tale da essere richiesta solo da chi non può lavorare, per il resto dobbiamo cancellarla». E se Salvini guarda alla manovra per “tendere un’imboscata” al reddito di cittadinanza, il senatore di Italia Viva Matteo Renzi ha lanciato un aut aut: o cambia o ci sarà un referendum. «Il fatto di aver permesso di aprire la discussione sul reddito di cittadinanza ha portato al fatto che Draghi lo cambierà - ha detto -. Io le firme le raccolgo, e sul reddito di cittadinanza ne raccoglieremo molte di firme...», poi «se il reddito non cambia il referendum si farà».

Verso maggiore contrasto alla povertà e connessione con le politiche attive.

Se la linea è quella di mantenere la misura di sostegno al reddito, ma al contempo di apportare delle modifiche, si tratta di capire come il governo intende intervenire. Entro fine mese sono attese le proposte del Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza, presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno. Le soluzioni delineate segneranno un punto di partenza, ma sarà il confronto politico tra le forze di maggioranza a disegnare il nuovo volto del sostegno. Se la Lega, seppur con toni diversi (l ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha proposto che «si cominci a ragionare di lavoro di cittadinanza») chiede che venga cancellato o radicalmente trasformato, Giuseppe Conte e tutto il Movimento Cinque Stelle fanno muro ribadendo che questa misura non si tocca. Anche il Pd difende il Rdc dicendo che è una misura «condivisibile che va migliorata». Sulla stessa linea LeU. Di certo si va verso un tagliando: un reddito di cittadinanza rafforzato sotto il profilo dell’azione di contrasto alla povertà e, come si scriveva in precedenza, strettamente collegato alle politiche attive del lavoro, ovvero la seconda gamba per sostenere l’occupazione dopo la riforma degli ammortizzatori sociali (anch’essa in fase di definizione). Un’ulteriore tassello del mosaico.

IlSole24Ore

Sandro Pertini

 


Settimo presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1978 al 1985.