venerdì 18 marzo 2022

Come l’energia eolica potrebbe alimentare la Terra…18 volte. - Dan Jørgense

 

di Dan Jørgense  “Quante volte deve un uomo guardare in alto prima che possa vedere il cielo?” È una citazione da una famosa canzone di Bob Dylan. Amo questa frase perché mi ricorda che a volte ciò di cui abbiamo bisogno è in realtà proprio davanti ai nostri occhi. Sosterrò che è anche il caso del cambiamento climatico. In realtà possiamo sostituire alcune delle più grandi fonti del problema, petrolio, carbone e gas, con qualcosa che abbiamo in abbondanza: il vento.

Nel mio paese, la Danimarca, stiamo facendo proprio questo. Siamo un piccolo paese con una piccola popolazione. Se non l’avete ancora visitato, per favore fatelo. Siamo tutti persone amichevoli. Purché non critichiate la nostra nazionale di calcio.

Nulla rende un danese orgoglioso come sapere che qualcosa che abbiamo fatto fa una differenza positiva nel mondo. Storicamente parlando, abbiamo fatto la differenza in passato. 1000 anni fa, i miei connazionali controllavano la maggior parte del nord Europa. Sono sicuro ne abbiate sentito parlare. Uomini grandi e grossi, elmetti, barbe, capelli lunghi. I Vichinghi.

Ora porto avanti l’idea oggi che per combattere il cambiamento climatico, dobbiamo in realtà imparare dai vichinghi. Ma prima di arrivare a questo, dobbiamo andare da un’altra parte. Direi andare indietro nel tempo. Non fino all’epoca dei vichinghi ai tempi d’oro di Aroldo I “Dente Azzurro” Gormsson, ma agli anni ’70 durante la crisi petrolifera in Danimarca. Non a una fortezza vichinga, ma a una piccola bottega, in un fienile, in una fattoria, in un villaggio in Danimarca.

Vi presento Henrik Stiesdal. Non è ancora un ingegnere esperto e di successo. Ha 19 anni, è un giovane. Si è posto una sfida. Ha pensato, “E se potessi costruire una turbina eolica che produce elettricità?” E sapete cosa? L’ha costruita.

Più tardi, è riuscito a costruirne una grande che poteva rifornire la sua famiglia di elettricità economica e a buon mercato nel mezzo della crisi. E poco dopo, altre fattorie hanno chiesto a Henrik di costruire una turbina anche per loro. E lui l’ha fatto. E alla fine ha in effetti venduto il progetto a una compagnia chiamata Vestas. Potreste averne sentito parlare perché sono i più grandi produttori di turbine nel mondo oggi.

Molte cose sono successe da quanto Henrik e altri pionieri hanno fatto i primi passi negli anni 70. Nel 1991, abbiamo costruito il primo parco eolico in alto mare del mondo chiamato Vindeby. Undici turbine, alte 54 metri. Era considerata una pietra miliare. Erano enormi. Oggi, ovviamente, sembrano piccolissime.

Questo, in foto, è Kriegers Flak. È il più grande parco eolico offshore in Danimarca adesso. 72 turbine, alte 188 metri, ciascuna di esse. Per darvi un paragone, è il doppio dell’altezza della Statua della Libertà.

Ogni volta che una di quelle turbine ha una rotazione delle pale, crea abbastanza elettricità da caricare più di 1400 telefoni cellulari. Il parco stesso copre la domanda di energia elettrica di 600.000 case.

Quindi la storia dell’energia eolica in Danimarca è la storia di come una turbina, in una fattoria, ha innescato una trasformazione che ha influenzato l’intero paese. Noi, certamente, ora speriamo, per quanto piccoli siamo, di poter innescare una trasformazione che interesserà anche altri paesi. Siamo un capofila verde, ma dobbiamo fare di più perché allo stesso tempo, ci classifichiamo al primo posto in UE, o almeno tra uno dei più grandi produttori di petrolio, in UE. Questo deve cambiare. L’anno scorso, il governo danese e il parlamento danese hanno preso una decisione importante. Abbiamo deciso di fissare una data finale all’estrazione di petrolio e gas nel 2050 e cancellare immediatamente tutte le future tornate di concessione di licenza.

Non è stata una decisione facile. Quando abbiamo preso la decisione, eravamo il più grande produttore di petrolio in UE. Ma la ragione per cui lo abbiamo fatto, anche se era costoso, era che dovevamo mostrare al mondo che ci sono davvero alternative al petrolio e al gas.

Alcuni di voi staranno pensando che sembra ottimo, ma come lo farete? Cosa fate i giorni nei quali non soffia il vento? E per quanto riguarda le parti del nostro sistema energetico che non possono essere elettrificate? Sicuramente non si può far volare un aereo jet senza carburante? Sicuramente non si può far navigare una grande nave container senza bunker oil? Ma in realtà, si può.

Questo è un elettrolizzatore.

La foto viene da una visita che ho fatto a una fabbrica in Danimarca qualche settimana fa. Quindi non è un prototipo, non è un modello in un laboratorio. È una macchina funzionante, è un prodotto commerciale. Che cosa fa? Trasforma l’elettricità in idrogeno. E questo, amici, è un punto di svolta. Perché ci rende possibile risolvere due problemi che abbiamo con l’energia eolica. Uno, possiamo ora immagazzinare l’energia per quando il vento non soffia. E due, possiamo ora decarbonizzare parti del nostro sistema energetico che non potevamo decarbonizzare prima. Perché l’idrogeno può essere trasformato in carburanti verdi. Immaginatelo. Il vento nel Mare del Nord è trasformato da una turbina in elettricità. L’elettrolizzatore la trasforma in idrogeno, e l’idrogeno è allora trasformato in carburanti verdi sostenibili che possiamo usare per far navigare le navi e volare gli aerei. So che sembra fantascienza, ma è in realtà solo scienza.

Per fare ciò nella scala che ci serve, avremo bisogno di molta energia rinnovabile. Avremo bisogno di espandere enormemente la nostra capacità di vento offshore. E in Danimarca, stiamo facendo proprio quello. Una parte molto importante di quella strategia è costruire la prima isola energetica del mondo.

80 chilometri al largo nel mare, le dimensioni di 64 campi da calcio, il più grande investimento in infrastrutture nella storia danese. Stiamo letteralmente cambiando la mappa del nostro paese. Centinaia di turbine eoliche. Quando completamente costruito, sarà in grado di generare 10 gigawatt di elettricità verde. 10 gigawatt, è abbastanza per coprire la domanda di 10 milioni di famiglie. È molto più di quanto serva in Danimarca, che è positivo, perché allora li possiamo usare per produrre l’idrogeno, per produrre i carburanti verdi, e li possiamo esportare in altri paesi e così aiutarli a decarbonizzare il loro sistema energetico.

Alcuni di voi stanno probabilmente pensando, “Che cosa c’entra questo con i vichinghi?” Ma sapete a cosa è dovuto il successo dei vichinghi? Come sono riusciti ad arrivare in Groenlandia? Come sono riusciti a navigare fino in America 500 anni prima di Colombo? Il loro segreto? Hanno sfruttato il vento. Hanno impiegato uno sforzo tremendo per creare vele efficienti, e impiegavano per fare una vela lo stesso tempo che per costruire una nave, e era altrettanto importante. E questo mi porta al mio punto principale. Dobbiamo, come hanno fatto i vichinghi 1000 anni fa, cambiare il mondo trovando nuovi e più efficienti metodi per sfruttare l’energia. Questa volta, con dei tagli di capelli leggermente migliori…e la motivazione che risiede nel fatto che questa potrebbe essere la nostra più grande opportunità di fare una differenza positiva nel combattere il cambiamento climatico.

Alcuni vi diranno che un piccolo paese non può fare una grande differenza. Non sono d’accordo. Quando un giovane come Henrik ha potuto fare la differenza per un intero paese, perché non credere anche che un paese come la Danimarca possa fare la differenza per il mondo intero? Non possiamo farlo da soli, ma possiamo fare molto. Innovando, creando nuove tecnologie e nuove soluzioni, sfruttando qualcosa che è molto più grande di noi, le forze della natura.

Se chiedete all’Agenzia Internazionale dell’Energia, vi diranno che il vento al largo ha il potenziale per coprire l’attuale domanda di elettricità del mondo intero, non una, non due, 18 volte. Quindi quando andrete in Danimarca, incontrerete una danese. Dopo aver detto qualcosa di carino sulla nostra nazionale di calcio, provate a chiederle, “Come pensi che dovremmo risolvere la crisi climatica?” È probabile che risponda, “La risposta, amico, sta letteralmente soffiando nel vento.”

Tedx di Dan Jørgensen, Ministro per il clima, l’energia e i servizi pubblici della Danimarca, incaricato di ridurre le emissioni del paese del 70% entro il 2030 e di chiudere la sua industria petrolifera.

Laura Coronella, Translator, Anna Cristiana Minoli, Reviewer

https://beppegrillo.it/come-lenergia-eolica-potrebbe-alimentare-la-terra-18-volte/?fbclid=IwAR1iWfwFjCvUJZtFa5Uom7DUz5oGMwHh4NRo3KT8YmGb9dk-AvLGShCpVCE

Fiori galleggianti per il più grande progetto solare del mondo.

 

Più di 92.000 pannelli solari a forma di fiori galleggiano sulla superficie di un bacino idrico in Corea del Sud. Si tratta di uno dei più grandi impianti solari galleggianti del mondo, ed è in una nazione che è in notevole ritardo nell’adozione di energie rinnovabili – anche se l’economia industrializzata della Corea del Sud si basa pesantemente sui combustibili fossili importati.

I 17 fiori giganti sul bacino lungo 19 chilometri nella contea meridionale di Hapcheon sono in grado di generare 41 megawatt, abbastanza per alimentare 20.000 case.

“La Corea del Sud ha bisogno di una massiccia quantità di energia rinnovabile per raggiungere il suo obiettivo climatico, e il solare galleggiante può essere una parte della soluzione”, perché è più accettato da parte dei residenti e non usa la terra, ha dichiarato Kim Jiseok, uno specialista di clima ed energia di Greenpeace Corea.

Alla cerimonia di inaugurazione dell’impianto a novembre, il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in ha detto che il solare galleggiante può aiutare la nazione a raggiungere il suo obiettivo di diventare neutrale per il carbonio entro il 2050, con il potenziale di aggiungere 9,4 gigawatt – o l’equivalente di nove reattori nucleari.

Gli impianti solari galleggianti stanno guadagnando importanza, soprattutto in Asia, in nazioni come la Corea del Sud e Singapore, dove la maggior parte dei terreni disponibili per i parchi solari su larga scala è già destinata a edifici o all’agricoltura.

La Thailandia ha costruito l’anno scorso il più grande sistema solare-ibrido galleggiante del mondo sul bacino di Sirindhorn, e Singapore ha iniziato un impianto da 60 megawatt-picco sul suo bacino di Tengeh. L’India prevede di completare il suo enorme impianto da 600 MW sopra la diga di Omkareshwar entro il 2023.

“Il solare galleggiante è sempre più un’opzione popolare in paesi come la Corea del Sud, dove i regolamenti e i prezzi dei terreni e l’opposizione locale hanno reso sempre più difficile costruire progetti su scala industriale”, secondo Ali Izadi-Najafabadi, un analista di BloombergNEF. “Per i proprietari di serbatoi d’acqua, il solare galleggiante è doppiamente attraente in quanto aggiunge un nuovo flusso di entrate e allo stesso tempo riduce l’evaporazione”.

I progetti galleggianti in genere beneficiano di un collegamento più semplice alla rete elettrica, sia attraverso un collegamento esistente da una centrale idroelettrica o perché il serbatoio è vicino a un’area urbana. I pannelli fotovoltaici possono anche aiutare a limitare la fioritura delle alghe, mentre l’acqua aiuta a mantenere i pannelli freschi nei climi caldi, aumentando la loro efficienza.

Sono più costosi da costruire, però. A causa della necessità di galleggianti, ormeggi e componenti elettrici più resistenti, i sistemi galleggianti sono considerati circa il 18% più costosi di quelli a terra, secondo la Banca Mondiale.

1,4 milioni di dollari, ovvero circa il 4% del finanziamento totale per il progetto, è stato sostenuto dalla gente del posto di Hapcheon. Sono stati i primi a cui è stata offerta la possibilità di aderire a un programma di investimento ventennale con ritorno del 10% annuo, che dovrebbe aiutare a generare reddito utile per i residenti anziani in un’area in cui l’età media è di quasi 60 anni.

https://beppegrillo.it/fiori-galleggianti-per-il-piu-grande-progetto-solare-della-corea-del-sud/?fbclid=IwAR3BHNxVXw0798T5U1SJcMptnrp1B2B9sc7uj-oq_5jy_W_Si-GrRfbUUWE

Sì, ma come? - Massimo Erbetti


 

Arriviamo mai a farci questa domanda?
Pensioni minime a 1000 euro.
Togliamo le accise.
Abbassiamo le tasse.
Creeremo un milione di posti di lavoro.
Ma anche…e questo sta succedendo nella mia città in vista delle prossime elezioni amministrative…
Più sicurezza
Più lavoro
Più turismo
Più pulizia
Più decoro urbano
Più cultura…  Più…più…più…

E tutti a battere le mani…e mentre tutti guardano adoranti il pifferaio magico di turno…a me viene in mente sempre la solita domanda…come un tarlo…sempre e solo:
Sì, ma come?

Ci avete fatto caso? La storia si ripete all'infinito, dalla notte dei tempi…promesse, promesse, promesse…e poi alla fine nulla cambia…e riparte il giro di giostra…arriva un altro illusionista che ripete sempre la stessa identica storia…più più più…
E noi come pesci abbocchiamo all'amo.
Se solo cominciassimo a farci quella banale domanda: "Sì, ma come?"

Se ce la fossimo fatta in passato, quanti Berlusconi ci saremmo risparmiati? Quanti incantatori di serpenti avremmo evitato?
Campagne elettorali faraoniche, spese folli…cene…regali…ma con quali soldi? E soprattutto di chi? E perché?
Più che idee si "vendono" sogni…sogni irrealizzabili…ma a noi piace sognare…e evitiamo sempre quella banalissima domanda: "sì, ma come?"
Non svegliatemi…lasciatemi sognare…lasciatemi credere che arrivi il principe azzurro sul suo cavallo bianco e mi salvi da questo schifo in cui sono costretto a vivere…
Ma le favole sono favole…il lieto fine (quello vero) non arriva mai su un cavallo bianco…il vero principe azzurro siamo noi, solo noi possiamo salvarci…e possiamo farlo solo facendoci quella stupida domanda: "sì, ma come?

Ma ve lo ricordate" il contratto con gli italiani"?
Il contratto con gli italiani è un documento presentato e firmato da Silvio Berlusconi l'8 maggio 2001, cinque giorni prima delle elezioni politiche, nel corso della trasmissione televisiva Porta a Porta condotta da Bruno Vespa…
E io ve lo ripropongo sto benedetto Contratto con gli italiani, perché tutto nacque li…Berlusconi sdoganó un modo di far politica che è sopravvissuto a lui e ha generato una miriade di piccoli berlusconi…che ancora oggi a distanza di venti anni continuano a promettere…ogni giorno uno nuovo…ogni giorno uno diverso…cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa…

Eccolo:
"Contratto Tra Silvio Berlusconi nato a Milano il 29 settembre 1936 leader di Forza Italia e della Casa delle Libertà, che agisce in accordo con tutti gli alleati della coalizione, e i cittadini italiani si conviene e si stipula quanto segue.
Silvio Berlusconi, nel caso di una vittoria elettorale della Casa delle Libertà, si impegna, in qualità di Presidente del Consiglio, a realizzare nei cinque anni i seguenti obiettivi:
1. Abbattimento della pressione fiscale:
o con l'esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui;
o con la riduzione al 23% per i redditi fino a 200 milioni di lire annui;
o con la riduzione al 33% per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui;
o con l'abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.
2. Attuazione del "Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini" che prevede, tra l'altro, l'introduzione dell'istituto del "poliziotto o carabiniere o vigile di
quartiere" nelle città, con un risultato di una forte riduzione del numero dei reati rispetto agli attuali 3 milioni.
3. Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese.
4. Dimezzamento dell'attuale tasso di disoccupazione con la creazione di almeno 1 milione e mezzo di posti di lavoro.
5. Apertura dei cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal "Piano decennale per le Grandi Opere" considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche, e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni.
Nel caso che al termine di questi 5 anni di governo almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero stati raggiunti, Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche.
In fede,
Silvio Berlusconi
Il contratto sarà reso valido e operativo il 13 maggio 2001 con il voto degli elettori italiani."

Ha rispettato niente di quello che aveva promesso? No vero? Eppure sta ancora lì…vogliamo parlare di Renzi? Se perdo il referendum mi ritiro…ma sta ancora lì…e le accise di quell'altro? E potrei continuare a fare mille esempi di persone conosciute, o meno conosciute…a livello nazionale, ma anche a quello locale…

Ve lo chiedo per favore…fatevi quella stupida domanda: "sì, ma come?" e se riceverete una risposta, verificatela, controllate, andate a vedere se è vero quello che vi si dice…"toglierò gli sprechi"...ok, ma a quanto ammontano? Bastano per pagare quello che mi prometti? Fatevi due conti, perché i soldi non nascono nell'orto dei miracoli, non si moltiplicano come i pani e i pesci.

Volete un futuro migliore? Non aspettate il messia…fatevi domande…

Raccontare non è mai stato così difficile. - Ettore Zanca

 

Ci troviamo di fronte a una narrativa degli avvenimenti che andrebbe preservata come in un’oasi protetta.
Abbiamo assistito a un cambio radicale dell’oggetto narrativo che per chi scrive per mestiere è un banco di prova non da poco.
Pensate ad esempio a chi considerava la “narrativa pandemica” come possibile una volta che il Covid fosse stato se non dimenticato, almeno metabolizzato. Se uscisse adesso un romanzo sulla pandemia avrebbe poco impatto. La realtà ha doppiato in curva la narrativa.
Tutto il narrabile di due anni è stato spinto fuori a calci da una nuova “narrativa del conflitto”. La guerra ha chiesto a chi vive di parole di essere raccontata. Ma l’impegno non si è fermato lì. Chi racconta ha visto nascere una guerra di parole crudeli nate da una guerra cruenta.
La disinformazione, le finte notizie prese dai social e artatamente diffuse. Il cortocircuito pericoloso dell’ideologia da divano che ha rallentato l’emotività in luogo delle giustificazioni.
Esempio principe della disinformazione e delle difficoltà di dare connotazione autorevole è stato l’esempio della Botteri che parla di un ospedale abbandonato in Iraq e viene immediatamente frainteso come l’ospedale di Mariupol.
Ricordo quello che disse Jurgen Klopp, allenatore del Liverpool quando scoppiò la pandemia: nessuno chiederebbe a un virologo di fare la formazione di una squadra, io ho opinioni sul Covid, mi informo ma non sono un virologo. Ecco. Il compito di chi narra è quello di raccontare vite, di lasciare sul terreno delle parole il proprio cuore per episodi che danno voce agli sconfitti. E gli sconfitti in guerra sono trasversali. Sono i soldati al fronte che combattono e muoiono senza bandiera per gli utili altrui, i civili uccisi o che scappano. Gli animali che partono svantaggiati già in tempo di pace, figuriamoci in guerra.
Chi narra deve confrontare le informazioni, leggere soprattutto la stampa straniera che spesso arriva prima. Oppure come mi ha suggerito qualcuno autorevole “guardare sempre se l’articolo è scritto da chi è in zona di guerra”. Verificare subito anche con motori di ricerca stranieri se una notizia corrisponde. Il morbo del dito caldo pur di acchiappare like non deve essere nelle corde. Chi narra deve respirare profondamente e sentire le vibrazioni che lo portano a raccontare con la spina dorsale tesa sapendo che quel racconto, quella vita, saranno nella propria pelle, come chiodi di croce, spine o petali di fiori.
Per me sono di famiglia una pantera che vive in Siberia, due bambini che il neuroblastoma ha portato via, due genitori che hanno perso un bambino in un bombardamento, tre ragazzine che fanno rock. E poi ci sono le persone che amo, da cui parto per raccontare tutto. Si parte sempre dal giardino di casa.
Il resto, le deviazioni, le manipolazioni e il livore, non devono appartenerci. Se riusciamo a non entrare in nessun tipo di guerra, abbiamo già vinto. verso noi stessi e chi ci ascolta. Cosa abbiamo vinto? Il loro tempo passato a leggerci. Un tempo che non restituisce nessuno.
Foto rielaborata da una originale AP
Soundtrack: Esseri umani - Marco Mengoni

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giovedì 17 marzo 2022

Guerra Russia-Ucraina, dalla normalizzazione fallita alla nuova crisi: i 5 mesi di colloqui Mosca-Washington prima dell’invasione.

 

L'inizio di questo processo, che ha anticipato di pochi mesi l'escalation militare con l'invasione russa dell'Ucraina, può essere individuato nell'incontro di metà giugno a Ginevra tra Joe Biden e Vladimir Putin. A questo sono seguiti il viaggio a Mosca del 'falco' Victoria Nuland e del direttore della Cia, William Burns. E' in questo lasso di tempo che, forse, il conflitto poteva essere evitato: ma i colloqui non hanno portato a risultati concreti.

16 giugno, 11 ottobre, 2 novembre 2021. Tre date che corrispondono ad altrettanti incontri di vario livello tra rappresentanti americani e russi e che, in poco meno di 5 mesi descrivono la breve parabola di un tentativo di riavvicinamento tra Washington e Mosca conclusosi, però, con un’escalation militare senza precedenti in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È una storia di meeting di alto livello tra presidenti che non hanno mai nascosto la reciproca avversione, tra ‘falchi’ ai quali è stato chiesto di trasformarsi, senza successo, improvvisamente in ‘colombe’ e di spie inviate come ultimo tentativo di riallacciare rapporti (o a lanciare un ultimatum) con quello che, nel frattempo, era diventato, di nuovo, il principale avversario a livello internazionale.

L’inizio di questo processo, che ha anticipato di pochi mesi l’escalation militare con l’invasione russa dell’Ucraina, può essere individuato nell’incontro di metà giugno a Ginevra tra Joe Biden e Vladimir Putin. Il presidente americano era in carica da appena 6 mesi, ma i rapporti con Mosca si erano deteriorati già dall’inizio del suo mandato, dopo la stagione di distensione nell’era Trump. A marzo, il capo della Casa Bianca aveva definito il suo omologo “un killer”, mentre tra i due Paesi si stava ormai consumando una crisi diplomatica che aveva portato a espulsioni di diplomatici e soprattutto a un pericoloso, dal punto di vista americano, avvicinamento della Russia alla Cina di Xi Jinping. Un incontro che portava sul tavolo anche altri temi fondamentali, dal Nord Stream 2 alla vicenda Navalny, dall’Ucraina, appunto, agli attacchi cibernetici fino, ovviamente, alle sanzioni alla Russia imposte da Washington. Un tentativo di iniziare a ricucire i rapporti gravemente deteriorati, dopo il ritorno al governo dei Dem americani, che da quanto era trapelato al tempo si era concluso senza trionfalismi.

Appuntamento a 4 mesi dopo, l’11 ottobre, quando a Mosca vola la sottosegretaria di Stato Usa, Victoria Nuland. Non un nome qualsiasi. Nuland è considerata un ‘falco’ tra le file democratiche, sostenitrice della linea della fermezza nei confronti della Federazione russa. Fu lei, da Assistant Secretary of State dell’amministrazione Obama con incarico diplomatico in Ucraina, nel 2014, a pronunciare quelle parole poi finite in un leak diffuso poco dopo in cui sbottò con un “Fuck Eu”“fanculo la Ue”, parlando con l’allora ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt. Il riferimento era proprio all’indecisione, dovuta alle divisioni interne, dell’Europa sull’assumere un atteggiamento duro nei confronti di Mosca nell’ambito della crisi politica in Ucraina seguita alle proteste di EuroMaidan.

Ma il suo arrivo nella capitale russa venne visto in quei giorni come un importante segnale di distensione. Dal 2019, infatti, Nuland era stata inserita nella blacklist del Cremlino che le era costata un divieto di viaggio nel Paese. Questo travel ban è stato cancellato proprio per permetterle di recarsi in Russia a novembre, dove nell’arco di tre giorni ha incontrato Yuri Ushakov, ex ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergei Ryabkov, viceministro degli Esteri, e Dmitrij Kozak, vicecapo dello staff presidenziale. Gli Stati Uniti, dal canto loro, avevano compiuto il proprio passo in avanti togliendo dalla lista dei russi colpiti dalle sanzioni diversi cittadini della Federazione proprio pochi giorni prima dell’arrivo di Nuland nel Paese, come comunicò al tempo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

Le premesse erano, quindi, tutt’altro che negative, ma sull’esito dei vertici, ancora una volta, le dichiarazioni finali erano state di basso profilo. Da Washington si era parlato di incontro positivo, ma progressi concreti, di fatto, non sembrano essercene stati. Anzi, secondo alcuni osservatori è stato proprio in quell’occasione che i tentativi di pacificazione tra i due Paesi sarebbero di nuovo naufragati. Lo testimonierebbe anche il terzo e ultimo incontro, di un valore ben diverso, del 2 novembre, nemmeno un mese dopo. In quell’occasione, a volare a Mosca non è stato un diplomatico, bensì il direttore della Cia in persona, William Burns, che, facendo valere il suo passato da alto diplomatico, ha incontrato un alto consigliere del presidente Putin, Nikolai Patrushev, insieme al sottosegretario di Stato per gli Affari Europei ed Eurasiatici Usa, Karen Donfried. Anche in questo caso, i funzionari Usa fecero sapere in maniera informale che si trattava di un incontro sulla scia del processo di normalizzazione avviato a giugno a Ginevra.

Da lì in poi, però, la situazione si è rapidamente deteriorata. Biden e Putin si parleranno un’altra volta il 7 dicembre, ma a quel punto la situazione era probabilmente già arrivata a un punto di non ritorno: la Russia aveva iniziato ad ammassare le truppe al confine con l’Ucraina, lo scambio di messaggi tra i due leader si era fatto più teso col passare dei giorni, fino all’ultimo vertice mai avvenuto tra i due. Joe Biden si era detto disponibile a incontrare di nuovo il presidente russo se questi non avesse invaso il Paese di Volodymyr Zelensky. Era il 21 febbraio, i carri armati russi stavano entrando nei territori autoproclamati indipendenti del Donbass: tre giorni dopo i razzi di Mosca colpivano Kiev e altre città ucraine dando così inizio all’invasione su larga scala del Paese.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/17/guerra-russia-ucraina-dalla-normalizzazione-fallita-alla-nuova-crisi-i-5-mesi-di-colloqui-mosca-washington-prima-dellinvasione/6527893/?utm_content=petergomez&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR1-64grvp-5FoSOZVF97gJ5sQeUau1NAxx1Cn7XP19B_PZJPDKHpypfFkY#Echobox=1647501697-1

Mangino bombe. - Marco Travaglio

 

Tre giorni fa abbiamo ricevuto un comunicato stampa di Fao, Unicef e World Food Programme (Wfp), che si aggiunge a quelli di Oxfam, sulla situazione in Yemen. Lì dal 2015 si combatte una presunta “guerra civile”, che in realtà è il tipico conflitto per procura che le grandi potenze affidano ai Paesi più poveri. Come in Ucraina. Solo che lì le grandi potenze sono l’Arabia Saudita (quella del Nuovo Rinascimento renziano) e l’Iran. E i morti sono infinitamente più numerosi di quelli ucraini (370 mila, fra vittime di guerra, malnutrizione e malattie non curate): sia perché si combatte da sette anni, sia perché nessuno ne parla (a parte il Papa) né invoca la Corte dell’Aja per crimini contro l’umanità, dunque si può massacrare indisturbati. Tanto oblio si deve al fatto che gli yemeniti sono un po’ più scuretti degli europei e che gli sterminatori più feroci, la coalizione a guida saudita, sono amici nostri e usano armi nostre, anche italiane (bloccate nel 2020 dal governo Conte-2). Risultato: 4 milioni di profughi (su una popolazione di 29) e 17,4 milioni di affamati, che a fine anno saranno saliti a 19. Le donne incinte e le neomamme che allattano “gravemente malnutrite sono 1,3 milioni” e i bambini addirittura 2,2, di cui quasi mezzo milione in “grave malnutrizione acuta, che mette a rischio la vita”. Quindi – urlano le tre organizzazioni – “dobbiamo agire ora con sostegno alimentare e nutrizionale, acqua pulita, assistenza sanitaria di base, protezione e altre necessità. La pace è fondamentale, ma si possono fare progressi ora. Le parti in conflitto dovrebbero revocare tutte le restrizioni al commercio e agli investimenti per le merci non soggette a sanzioni”. Tantopiù che “la guerra in Ucraina porterà allo choc delle importazioni, spingendo ulteriormente in alto i prezzi dei generi alimentari: il 30% del grano lo Yemen lo importa dall’Ucraina”. Ergo, “senza immediati finanziamenti, avremo carestia e fame generalizzata. Ma, se agiamo ora, c’è ancora la possibilità di evitare un disastro e salvare milioni di persone. Il Wfp è stato costretto a ridurre le razioni di cibo per 8 milioni di persone all’inizio dell’anno per mancanza di fondi”.

Per questo ieri abbiamo aperto il Fatto su questa guerra dimenticata: nella speranza che se ne accorgessero gli indignati selettivi e intermittenti della cosiddetta Europa, così solerte a inviare armi per 1 miliardo a imprecisati “ucraini” (non certo ai civili in lotta, ma a milizie di locali e di mercenari). Fortuna che il cuore d’oro del Parlamento e del governo italiani ha subito raccolto il grido di dolore, aumentando le spese militari fino al 2% del Pil, da 26 a 38 miliardi l’anno. Per la gioia dei bambini ucraini e yemeniti, che non vedevano l’ora.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/17/mangino-bombe/6528350/

CHI E' DAVVERO ZALENSKY? - Saverio Masi

 

Chi è davvero il comico ucraino divenuto beniamino della stampa occidentale e decantato come un eroe sulle copertine dei nostri settimanali e nei nostri Telegiornali?
Chi è il personaggio che sabato scorso si è palesato in divisa militare comparendo in diretta a Firenze tra gli applausi e le ovazioni della piazza dei Pacifisti a mano armata del PD?
Sappiamo che nasce nel 1978 da una famiglia di origini ebraiche e che la sua prima lingua non è l'ucraino, ma il russo.
Sceglie la carriera di attore e comico , fonda il 𝗞𝘃𝗮𝗿𝘁𝗮𝗹 𝟵𝟱 𝗦𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼 e produce la Telenovela "Sluha Narodu" (Servitore del Popolo) in cui lo stesso Zelensky interpreta l'uomo qualunque che stanco della corruzione politica che imperversa in Ucraina, viene inaspettatamente eletto presidente.
Pare che a Igor Kolomoyskyi - potente uomo d'affari dal triplo passaporto ucraino, cipriota e israeliano, fiduciario degli USA e principale oligarca di Ucraina - guardando la popolare telenovela venga la magnifica idea di trasformare la fiction in realtà e di far interpretare all'attore comico Zelenzky la parte del Presidente non soltanto in video ma anche nella realtà.
Subito dopo Zelensky annuncia la fondazione di un partito che porta lo stesso nome della popolare telenovela: "Servitore del popolo" e, all'apice della sua popolarità televisiva, annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali dell'anno successivo.
Da quel momento la sua società, la Kvartal 95, registrerà un anomalo flusso di finanziamenti, gestiti attraverso società off-shore con sedi in paradisi fiscali, per un ammontare di 𝟰𝟬 𝗺𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗱𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝗶.
Il principale sovvenzionatore della campagna di Zelensky è proprio il discusso oligarca Kolomoyskyi, proprietario di 𝗣𝗿𝗶𝘃𝗮𝘁𝗕𝗮𝗻𝗸, la più importante banca in Ucraina, coinvolta in diversi casi di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti.
𝗜𝗴𝗼𝗿 𝗞𝗼𝗹𝗼𝗺𝗼𝘆𝘀𝗸𝘆 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗶𝗻𝗰𝗶𝗽𝗮𝗹𝗶 𝗳𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗺𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶 𝗻𝗲𝗼𝗻𝗮𝘇𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗲𝗱 𝘂𝗹𝘁𝗿𝗮-𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶 che nel 2014 hanno prodotto il colpo di stato che ha rovesciato il legittimo governo del Presidente Janukovic innescando 8 anni di instabilità e guerra civile nella regione.
Nell'Aprile del 2019 Zelensky appena eletto Presidente provvede subito a distribuire incarichi governativi ai soci della sua società, la Kvartal 95.
Ivan Bakanov, già Amministratore Delegato della società, diventa il capo dei Servizi Segreti, mentre il Vice Direttore Serhiy Shefir diventa il portavoce ufficiale del presidente.
L'oligarca Igor Kolomoysky, padrino e finanziatore di Zelensky, ha forti interessi economici sul Donbass, motivo per cui il suo esercito privato di organizzazioni neonaziste, in parte inquadrate nell'Esercito ucraino, dal 2015 𝗵𝗮 𝘀𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗮 𝟭𝟲 𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗿𝘂𝘀𝘀𝗼𝗳𝗼𝗻𝗶 𝗻𝗲𝗹 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲.
Questo è anche il motivo per cui Zelensky alle trattative di pace rifiuta le richieste russe di riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass ed è disposto a continuare la guerra con ogni mezzo, cercando in tutti i modi di coinvolgere la NATO e allargarla al resto d'Europa.
In base a quanto emerso nei Pandora Papers e riportato dal "𝗧𝗵𝗲 𝗚𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶𝗮𝗻" 𝗱𝗲𝗹 𝟯 𝗼𝘁𝘁𝗼𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟭, Zelensky detiene quote azionarie di tre società off-shore, ha legami con diversi oligarchi da cui riceve finanziamenti illeciti e introiti miliardari ed è coinvolto direttamente in un giro di armi e soldi ai neonazisti.
Alla luce di ciò e del suo 𝗱𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗿𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗲𝘀𝘀𝗲 𝗮 𝗳𝗮𝗿 𝗮𝗱𝗲𝗿𝗶𝗿𝗲 𝗹'𝗨𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗡𝗔𝗧𝗢, piazzando basi missilistiche americane ai confini della Russia, invocando la no-fly zone e l'uso della bomba atomica, viene da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’eroe che i mass media europei stanno rappresentando.
Ci domandiamo se i politici e i mezzi di informazione occidentali si rendano davvero conto di quale grumo di affarismo e corruzione si celino dietro questo turpe personaggio e di quanto ci stiano facendo rischiare nell'assecondare i deliri bellici di questo faccendiere squilibrato.