Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 12 settembre 2025
il vaccino contro il cancro EnteroMix.
martedì 9 settembre 2025
La Luna.
Orbita a una distanza media di circa 384400 km dalla Terra[1], sufficientemente vicina da essere osservabile a occhio nudo, così che sulla sua superficie è possibile distinguere delle macchie scure e delle macchie chiare. Le prime, dette mari, sono regioni quasi piatte coperte da rocce basaltiche e detriti di colore scuro. Le regioni lunari chiare, chiamate terre alte o altopiani, sono elevate di vari chilometri rispetto ai mari e presentano rilievi alti anche 8000-9000 metri. Essendo in rotazione sincrona rivolge sempre la stessa faccia verso la Terra e il suo lato nascosto è rimasto sconosciuto fino al periodo delle esplorazioni spaziali[4].
Durante il suo moto orbitale, il diverso aspetto causato dall'orientazione rispetto al Sole genera delle fasi chiaramente visibili e che hanno influenzato il comportamento dell'uomo fin dall'antichità. Impersonata dai greci nella dea Selene[5], fu da tempo remoto considerata influente sui raccolti, le carestie e la fertilità. Condiziona la vita sulla Terra di molte specie viventi[6], regolandone il ciclo riproduttivo e i periodi di caccia; agisce sulle maree e sulla stabilità dell'asse di rotazione terrestre[7].
Si pensa che la Luna si sia formata 4,5 miliardi di anni fa, non molto tempo dopo la nascita della Terra. Esistono diverse teorie riguardo alla sua formazione; la più accreditata è che si sia formata dall'aggregazione dei detriti rimasti in orbita dopo la collisione tra la Terra e un oggetto delle dimensioni di Marte chiamato Theia[8].
Il suo simbolo astronomico ☾[9] è una rappresentazione stilizzata di una sua fase (compresa tra l'ultimo quarto e il novilunio visto dall'emisfero boreale, oppure tra il novilunio e il primo quarto visto dall'emisfero australe).
La faccia visibile della Luna è caratterizzata dalla presenza di circa 300 000 crateri da impatto (contando quelli con un diametro di almeno 1 km)[10]. Il cratere lunare più grande è il bacino Polo Sud-Aitken[11], che ha un diametro di circa 2500 km, è profondo 13 km e occupa la parte meridionale della faccia nascosta.
Continua su: https://it.wikipedia.org/wiki/Luna
giovedì 28 agosto 2025
La fisica quantistica compie un balzo epocale: Risolto l'enigma del secolo.
mercoledì 27 agosto 2025
La manovra che verrà. - Daria Paoletti
I partiti aprono il cantiere delle richieste, con un occhio alle prossime scadenze elettorali.
Nell’estate delle spiagge vuote, del caro vacanze che pare aver colpito il mitologico ceto medio, nel Ferragosto dei saldi negli stabilimenti balneari, la politica fa i conti. Quelli della manovra che arriva con l’autunno, come sempre, ma pure con il voto delle regionali: uno stillicidio di urne che si aprono quando sulla riviera marchigiana si staranno mettendo via gli ombrelloni e i tedeschi, se ci fossero, avrebbero ancora fatto il bagno, e che potrebbero chiudersi non prima di novembre. Persino inoltrato. All'incirca un voto al mese, giusto per accompagnare la messa a punto della prossima legge di bilancio. Che dunque più di altri anni rischia di finire preda degli appetiti elettorali dei partiti.
Ed ecco dunque che la prima richiesta che arriva punta proprio a quel ceto medio che mai come quest’anno pare soffrire il caro tutto, e gli stipendi fermi al palo da anni. Ed è Forza Italia a battere sul tempo tutti: vuole abbassare l’aliquota intermedia dell’Irpef dal 35% al 33% cercando di ampliare lo scaglione fino a 60mila euro. Un’operazione che a via XX Settembre potrebbe costare circa 4 miliardi ma che potrebbe aiutare i consumi.
L'altro grande nodo da sciogliere è quello della rottamazione. La quinta. A cui Matteo Salvini non vuole rinunciare: obiettivo consentire la rateizzazione dei debiti con il fisco in dieci anni senza sanzioni e senza interessi. Tace per ora il ministro, leghista, Giorgetti. Mentre si fanno i conti, che raccontano di un impatto immediato di circa 5 miliardi di euro sul primo anno di bilancio, anche se diluito negli esercizi successivi. Il ritorno elettorale, quello, è invece imponderabile.
E non sarebbe estate – e manovra – senza il capitolo pensioni, anzi “la vera soglia di libertà pensionistica” come la chiamano dalle parti del sottosegretario Durigon: 64 anni e 25 anni di contributi. Le risorse? Quello che conta - dice - è la volontà politica.
Tacciono dalle parti di via XX Settembre, dove il ministro Giorgetti ha la priorità di tenere conto del vincolo dei saldi di bilancio da mantenere in linea con gli impegni europei. La strategia adottata sinora ha conquistato un miglioramento del rating sul debito pubblico e un abbassamento dello spread con il Bund in area 80 punti base. E se è vero che meno interessi da pagare significano, con un’equazione grossolana, minore necessità di prelievo fiscale al ministero sanno che bisogna far quadrare la riduzione della prima aliquota Irpef e il taglio del cuneo fino a 40mila euro, che assorbono già quasi 18 miliardi, con quelle che saranno richieste e necessità. Un punto di equilibrio sempre fragile.
Gira quasi tutto intorno ai partiti di maggioranza. A quelli di opposizione resta raccontare del Paese con i lettini deserti e i salari erosi dall’inflazione e dai rincari. E macinare chilometri di campagna elettorale. In attesa di limare alleanze e intese, chiudere sui candidati, una battaglia comune resta quella sul salario minimo. Che dunque assume una nuova declinazione e diventa la promessa della variante regionale: dove si vince, è la sfida della stagione estate/autunno 2025, lo faremo. Almeno lì.
Cosa non torna dell'accordo sui dazi: tre punti che non coincidono. - Carlo Cottarelli
L'intesa tra Trump e von der Leyen viene vista in modi diversi dai documenti diffusi da Ue e Usa. E anche se si prende in considerazione solo la dichiarazione della Commissione europea, a emergere è la posizione di debolezza di Bruxelles nei confronti di Washington.
L’Unione Europea ha finalmente raggiunto un accordo con gli Stati Uniti sui dazi. O no? Il fatto è che c’è ancora parecchia incertezza sui termini dell’accordo, compreso su importanti aspetti. Verba volant, scripta manent e di scripta per ora non ne abbiamo molti. C’è la dichiarazione di Ursula von der Leyen pubblicata sul sito della Commissione Europea e c’è il “Fact Sheet” pubblicato sul sito della Casa Bianca. E i due documenti non coincidono in diversi punti:
Il documento americano dice che l’Ue importerà prodotti energetici per 750 miliardi di dollari dagli Usa da qui al 2028; quello dell’Ue dice che gli acquisti diversificheranno le nostre fonti di approvvigionamento” e che “sostituiremo il gas e il petrolio russo con acquisti significativi di GNL, petrolio e combustibili nucleari statunitensi”.
Quello americano dice che l’Ue investirà negli Stati Uniti, in aggiunta ai 100 miliardi attuali da parte di imprese europee, 600 miliardi di dollari, sempre da qui al 2028. Di questo non c’è traccia nel documento Ue.
Quello americano dice che i dazi su acciaio e alluminio resteranno al 50%; quello europeo che “per ridurre le barriere tra di noi, i dazi saranno tagliati e un sistema di quote sarà introdotto”. L’incertezza è aumentata dal fatto che, nonostante entrambi i documenti indichino che ci sarà una lista di beni a dazi zero in vari settori, tale lista non è pubblica se non in termini molto generici e, probabilmente, non è stata ancora negoziata.
Insomma, se questo accordo doveva servire a eliminare l’incertezza e consentire alle imprese di pianificare la propria attività, siamo ancora lontani dall’obiettivo.
Dazi, trova le differenze: tutti gli squilibri nell'accordo tra Ue-Usa - Carlo Cottarelli
Il documento congiunto tra Stati Uniti e Ue sui rapporti commerciali tra i due Paesi è stato pubblicato: molti aspetti sono stati chiariti, ma altrettanti rimandati a data da destinarsi. Proviamo a fare chiarezza.
La scorsa settimana è stato pubblicato il documento congiunto tra gli Stati Uniti e l’Ue sui rapporti commerciali tra le due aree. Al termine dell’incontro del 27 luglio in Scozia tra Ursula Von der Leyen e Trump erano stati pubblicati sul sito della Commissione e su quello della Casa Bianca, due diversi documenti. Ci sono volute tre settimane e mezzo per giungere a un documento congiunto. Questo documento chiarisce i principali aspetti dell’accordo, ma rinvia comunque al futuro punti non irrilevanti. A dire il vero, il documento sembra essere stato chiuso in modo frettoloso. Per quanto sia un aspetto solo formale, stupisce che un testo di questa importanza, peraltro di sole tre pagine, contenga un ovvio refuso: al punto 5, nella penultima frase, dopo “United States” doveva esserci una virgola invece di un punto. Una pignoleria? Certo, ma in un documento ufficiale, per giunta breve, è inusuale trovare un tale refuso. Partiamo dalle cose più chiare, quelle sui dazi veri e propri. L’accordo è, come noto, squilibrato: il paragrafo 1 dice che l’Ue intende eliminare tutti i dazi sui prodotti industriali americani e dare un trattamento preferenziale a un ampio elenco di prodotti agricoli e ittici. Il paragrafo 2, invece, dice che gli Stati Uniti si impegnano ad applicare un dazio, omnicomprensivo, del 15% su tutti i beni provenienti dall’Europa, salvo nel caso inusuale di prodotti per cui il cosiddetto dazio applicato alla Most Favored Nation (MFN) non sia più alto. Per alcuni prodotti (risorse naturali non disponibili negli Stati Uniti, aerei e relative parti, farmaceutici generici e relativi precursori chimici) si applica invece il MFN, che varia da prodotto a prodotto, ma che è molto più basso del 15%. Il paragrafo 3 dice che, una volta azzerati i dazi europei citati nel paragrafo 1, i dazi americani su auto e relative componenti saranno pure ridotti al 15%. Lo stesso paragrafo dice che UE e USA “intendono considerare la possibilità di cooperare” per separare le loro economie dalla sovraccapacità nei settori dell'acciaio e dell'alluminio, anche attraverso una “soluzione di contingente tariffario” (espressione peraltro vaga). Nel frattempo, i dazi restano al 50%. Che ci sia uno squilibrio è ovvio. Superior stabat lupus, verrebbe da dire, anche se lo squilibrio è minore di quello applicato da Trump ad altri Paesi. E, come sottolineato dalla Commissione, il 15% complessivo non peggiora la situazione rispetto a quella attuale per alcuni prodotti (il sito della Commissione cita i formaggi su cui già gravavano dazi del 14,90%). Il resto è “work in progress”. I paragrafi 5-7 elencano gli impegni di acquisto di prodotti americani da parte dell’UE, ma i termini non sono chiari. Per l’energia (gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti relativi all’energia nucleare) si dice che l’Ue “intends to procure” beni per 750 miliardi di dollari entro il 2028. Cosa significa “intends to procure”? Un documento sul sito della Commissione piega che “gli acquisti non sono realizzati dall’UE o dalla Commissione. La Commissione agisce come facilitatore per aiutare ad assicurare che gli Stati Membri abbiano abbastanza risorse energetiche”. Insomma, non si sa come questo impegno sarà rispettato. E, in linea di principio, è un impegno rilevante. Secondo Reuters, nel 2024 l’UE ha importato dagli USA combustibili fossili per 76 miliardi, ben al di sotto dei 250 miliardi all’anno ora previsti (assumendo che la data d’inizio del conteggio sia il gennaio del 2026). Si tratta di una “intenzione” però, non di un vincolo legale, anche se, politicamente, importare molto di meno sarebbe problematico. C’è un problema anche per gli Stati Uniti. Il loro totale delle esportazioni di combustibili fossili in tutto il mondo è stato di 318 miliardi nel 2024. Se iniziano a esportarne 250 nell’Ue, che succede agli altri Paesi? Ancora più vago è l’impegno relativo agli investimenti di imprese europee negli USA. In realtà, non è neppure un impegno, ma una semplice previsione della Commissione, basata su colloqui con le principali imprese europee: 600 miliardi di dollari entro il 2028. L’impressione è che questi investimenti sarebbero avvenuti comunque. Infine, c’è un generico impegno di “aumentare sostanzialmente” gli acquisti di materiale per la difesa. Il che è la conseguenza logica dell’impegno che ci siamo presi in sede Nato di aumentare la spesa militare (negli ultimi dieci anni oltre tre quarti della spesa relativa ad armamenti è venuta dagli Usa).