L'ex sottosegretario era stato costretto alle dimissioni dal governo Monti per il soggiorno all'Argentario pagato da Piscicelli (l'imprenditore che rideva del terremoto aquilano). Ora l'esecutivo lo mette a capo della fondazione Valore Italia, affidandogli 25 milioni di euro pubblici. E con un atto illegale.
Voci di corridoio. Boati sulla stampa. Nomine, rinunce, commissariamenti. Dubbi instillati e timori sottaciuti. Soldi? Sì, ovvio, in questo caso parliamo di quasi 25 milioni di euro. Puliti. Da assegnare. Ma, paradossalmente, non fondamentali. Il “gioco” potrebbe essere altro. Al centro: la Fondazione Valore Italia. Genesi: nel 2005 il ministero delle Attività produttive decide che è giunto il momento di promuovere il design italiano e il Made in Italy attraverso (anche) la nascita di un’Esposizione Permanente. Per arrivarci è necessario selezionare il luogo giusto, i marchi d’eccellenza, incentivare, appoggiare, magari un’opera di lobbying all’estero. Ecco la nascita della Fondazione. Alla sua guida un Consiglio di amministrazione composto da cinque persone, con Massimo Arlechino nominato presidente.
Dentro anche Umberto Croppi nel ruolo di Direttore Scientifico. Particolare: sia Arlechino sia Croppi sono di stretta osservanza finiana. Al gruppo di lavoro vengono assegnati, come base, circa 15 milioni di euro a fondo perduto, senza alcun vincolo nello statuto. Tradotto: fateci quello che ritenete più opportuno.
Nei sei anni successivi la cifra non viene intaccata, ma incrementata. Da tutti il giudizio ricevuto è quello di “virtuosi”. Così il ministero per lo Sviluppo economico gli affida un fondo di altri 15 milioni per incentivi alle piccole e medie imprese. Fine della favola. Inizio dei guai, pari agli interrogativi.
A settembre l’allora ministro per lo Sviluppo, Paolo Romani, rinnova il Consiglio di amministrazione e inserisce un uomo a lui vicino. Di fiducia. Entra Camillo Zuccoli, 54 anni, ex democristiano, già portavoce dell’ ex ministro per i Lavori pubblici Gianni Prandini, nel 1993 in carcere con l’accusa di corruzione aggravata (reato prescritto nel 2001). È molto legato ad Alberto Di Luca, altro componente del cda, milanese in Forza Italia dalla prima ora. Cosa fanno appena nominati? Chiedono più soldi per il loro ruolo, esattamente il doppio, pretendono incarichi professionali non consentiti dalla normativa e assegnazioni di poteri non previsti dallo statuto. Nel frattempo cambia il governo. Arrivano i tecnici. Delle frizioni all’interno della Fondazione, Arlecchino ne parla in più occasioni con Mario Torsello, attuale capo di gabinetto del ministro Corrado Passera, con un passato al ministero dei Beni culturali. Da qui tutto diventa nebbia. Con una Stella polare: il bilancio del 2011 è chiuso in pareggio.
All’improvviso, però, il ministero dello Sviluppo decide di commissariare la Fondazione (pochi giorni prima il Mibac aveva fatto lo stesso con il Maxxi): via il cda, via il presidente. L’accusa è quella di immobilismo. Ma l’atto è illegale: la Fondazione è un ente di diritto privato, soggetta soltanto all’autorità del prefetto. Solo quest’ultimo può commissariare, non il ministro. Nonostante questo, al loro posto arriva Carlo Malinconico. Piccola, recente, biografia di quest’ultimo: uomo di fiducia di Mario Monti, fino al 10 gennaio di quest’anno ricopriva il ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria. Costretto alle dimissioni dopo che il Fatto ha denunciato le sue vacanze, gratis, all’Argentario a spese dell’imprenditore Francesco Piscicelli lo stesso che urlava felice al telefono durante il terremoto dell’Aquila.
Per ricapitolare: il ministero dello Sviluppo caccia una direzione giudicata unanimemente positiva, lo fa in modo illegale e la dà in gestione all’unico dimissionario del governo tecnico.
Curiosità: i primi a raccontarlo, con toni di allarme e vergogna, sono state due testate poco vicine ai Monti boys, Panorama e Libero. A denunciare la vicenda anche un’interrogazione parlamentare di Flavia Perina (Fli) e Stefano Pedica (Idv), più una lunga serie di lettere e appelli rivolti a Passera(compresa l’Università La Sapienza). Nel frattempo tutto si è fermato. Venticique milioni sono in ballo. Malinconico è entrato nel suo nuovo ufficio. E una delegazione di cinesi, giunta a Milano per firmare degli importanti accordi bilaterali, è rimasta in albergo senza interlocutori. Pare si siano accontentati di una visita per la città…
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