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martedì 21 gennaio 2014

Giustizia, il ministro Cancellieri: “Oltre otto milioni di processi pendenti”.

Annamaria Cancellieri

Il Guardasigilli legge alla Camera la relazione annuale sull'amministrazione della Giustizia. "Siamo in presenza di un fenomeno imponente di dilatazione, in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, del lavoro giudiziario provocato non solo da un aumento della litigiosità nel campo civile o della attività criminale in campo penale", ma anche dalle "trasformazioni della società".

“Il funzionamento del sistema giudiziario” continua a essere “in sofferenza” “pur a seguito dei numerosi interventi introdotti negli ultimi anni. È sotto gli occhi di tutti l’eccessivo carico di lavoro che affligge gli uffici giudiziari. Alla data del 30 giugno 2013 si contano 5.257.693 di processi pendenti in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale”.
Il Guardasigilli Annamaria Cancellieri legge alla Camera la relazione annuale sull’amministrazione della Giustizia. “Siamo in presenza di un fenomeno imponente di dilatazione, in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, del lavoro giudiziario provocato non solo da un aumento della litigiosità nel campo civile o della attività criminale in campo penale”, ma anche dalle “trasformazioni della società“. 
Con la riforma della geografia giudiziaria “non solo sono state eliminate le strutture di modeste dimensioni, dove in alcuni casi era evidente la sproporzione tra il numero di persone addette all’ufficio ed il basso carico di lavoro, ma è stata anche alleggerita la pressione sugli uffici metropolitani di maggiori dimensioni, come Milano, Torino e Napoli” spiega il ministro della Giustizia. 
“Le inefficienze della giustizia hanno pesanti ricadute anche sul debito pubblico. I ricorsi per il riconoscimento della responsabilità dello Stato per i ritardi in materia giudiziaria, regolati dalla legge Pinto, costituiscono larga parte del contenzioso seguito dal ministero. Numero ed entità delle condannerappresentano annualmente ancora una voce importante del passivo del bilancio della Giustizia, la cui eliminazione va posta come prioritario obiettivo –  dice il ministro -. L’alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, hanno comportato un forte accumulo di arretrato del cosiddetto debito Pinto che, ad ottobre 2013, ammontava ad oltre 387 milioni di euro” aggiungendo che sono “circa1000 i ricorsi proposti alla Corte Europea dei Diritti Umani per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi, che comporteranno ulteriori esborsi a carico dello Stato”. 
“Al 9 gennaio 2014 i detenuti in carcere erano 62.326, in progressivo decremento rispetto alla rilevazione del 4 dicembre 2013 quando il numero era di 64.056. Si registra inoltre un sostanziale dimezzamento degli ingressi mensili” spiega la Cancellieri  facendo un bilancio degli esiti del decreto carceri varato a dicembre, parlando di “primi risultati incoraggianti”.
Egregia ministra, l'imponente dilatazione dei termini, l'aumento della litigiosità, la trasformazione della società, sono solo le cause della vostra pessima amministrazione del paese.
Se solo vi decideste e dare il buon esempio, a fare leggi intelligenti che non siano in conflitto tra loro creando caos, forse, e dico forse, qualcosa cambierebbe. Ma siamo in Italia, dove si dà l'opportunità ad un pregiudicato di partecipare alla creazione di una legge elettorale che rispetti la costituzione e la volontà dei cittadini, che si trasmettano in tv trasmissioni feccia in cui il litigio è doveroso, dove la classe dirigente dà di se un pessimo esempio, sperare che qualcosa cambi è utopistico.

mercoledì 6 novembre 2013

Cancellieri e caso Ligresti: quando in cella finì il marito del ministro. - Marco Lillo

Annamaria Cancellieri


Più di trent'anni fa il marito del prefetto, Sebastiano Peluso, restò in carcere alcuni giorni per una truffa sui prezzi dei medicinali. Aveva una farmacia a Milano vicina allo studio del medico Antonino Ligresti, suo amico.

Quando Anna Maria Cancellieri il 17 luglio ha telefonato alla compagna di Salvatore LigrestiGabriella Fragni, per darle solidarietà dopo gli arresti, forse avrà ripensato a una triste giornata di 32 anni fa. Quel giorno dell’autunno del 1981 a finire in carcere non era stato l’uomo di Gabriella ma il suo: Sebastiano Peluso, 75 anni, oggi in pensione, allora farmacista con una avviata attività in via Val di Sole 22. Sono storie di trentadue anni fa. Che però i vecchi abitanti del quartiere Vigentino, periferia sud di Milano, ricordano bene.
Quando Anna Maria Cancellieri risponde al messaggio inviato via sms il 21 agosto dallo zio di Giulia Maria Ligresti, probabilmente avrà tenuto bene in mente il comportamento del dottor Antonino Ligresti quando a trovarsi in condizione di debolezza era la famiglia Peluso.
Antonino Ligresti era un medico della mutua con studio anche lui in via Val di Sole. Nasce lì l’amicizia tra le due famiglie che abitavano in via Ripamonti, a poca distanza. Anna Maria e Sebastiano Peluso si sposano nel 1966. Due anni dopo nasce Piergiorgio, cinque anni dopo Peluso apre la farmacia a Milano. Nel 1977 i coniugi comprano casa al secondo piano di via Ripamonti 166 e firmano 59 milioni di vecchie lire di cambiali al proprietario, tutte pagate entro il 1982. In quegli anni i Peluso crescono e i Ligresti decollano. Già erano ricchi ma Antonino non guidava ancora un impero della sanità e il costruttore Salvatore non spadroneggiava su giornali, banche e assicurazioni.
Nuccio Peluso, nato in Libia e cresciuto in Sicilia come il medico Nino Ligresti, si vedevano sotto i portici di via Val di Sole e poi andavano a giocare a tennis insieme. Nel 1981 è la famiglia Peluso a essere scossa da un terremotto giudiziario: Sebastiano è arrestato nell’ottobre per lo “scandalo delle fustelle false”. Le cronache di allora raccontano che la truffa funzionava così: i medici compiacenti emettevano le ricette e i farmacisti applicavano le “fustelle” false. I talloncini, che teoricamente dovevano essere staccati dalle confezioni dei farmaci, erano invece fabbricati ad hoc da grossisti del falso e poi presentati all’incasso.
Nella retata furono arrestate 23 persone, al processo nel 1983 furono 94 gli imputati. Tra questi c’era anche Sebastiano Peluso che nel 1981 finì in carcere a Lodi. Solo per pochi giorni, poi il pm Armando Perrone e il giudice istruttore Elena Riva Crugnola si resero conto che la sua posizione era marginale. Anche se il pm Perrone nel 1982 iscrisse un’ipoteca giudiziale di 50 milioni di vecchie lire sulla casa di Anna Maria Cancellieri e Sebastiano Peluso per ottenere il pagamento delle spese legali del marito. Il processo penale si concluse nei vari gradi con una progressiva riduzione delle pene, per tutti gli imputati e per Peluso in particolare. “Alla fine in Cassazione fu condannato per un reato ridicolo, mi sembra fosse l’incauto acquisto”, ricorda un farmacista coimputato che è stato difeso dagli stessi legali dello studio Astolfi. Né lo studio né il ministro Cancellieri (contattata tramite il suo portavoce) hanno voluto fornire dettagli.
Bisogna affidarsi ai ricordi di alcuni arrestati, poi condannati con Peluso, che hanno accettato di parlare con Il Fatto. Ricordano bene le riunioni tra imputati nei retrobottega delle farmacie negli anni Ottanta per far fronte al vero rischio del procedimento: la decadenza della licenza da farmacista, con il suo valore. A quegli incontri talvolta si vedeva anche Anna Maria Cancellieri, che accompagnava il marito. Se è difficile ricostruire l’esito penale della posizione di Peluso, è più semplice sul piano amministrativo. Peluso e i suoi colleghi sono riusciti a evitare la decadenza dalla licenza di farmacista grazie a una sentenza del Consiglio di Stato del 2006 che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tar della Lombardia.
I farmacisti erano difesi dal professor Carlo Malinconico (poi ministro tecnico con Monti assieme alla Cancellieri, finito nei guai per le vacanze all’hotel Pellicano, pagate da Piscicelli e per l’inchiesta sul Sistri Napoli) che riuscì a ottenere l’annullamento di un decreto del presidente della giunta lombarda del 1992 che aveva disposto la “decadenza sanzionatoria” dalla titolarità della farmacia. Secondo il decreto del presidente della Lombardia “tutti (i farmacisti, ndr) hanno acquistato medicinali a più riprese, a prezzi inferiori a quelli praticati dai produttori, con ‘fustelle segnaprezzo’ false”, con “reiterate irregolarità nella conduzione dell’esercizio”. Secondo il Consiglio di Stato però quel provvedimento era basato su una “formula generica” che non distingueva le responsabilità dei singoli farmacisti. Quindi non c’era alcuna ragione per disporre la decadenza della licenza per Peluso come per gli altri. I Ligresti però non hanno atteso il 2006 per assolvere e frequentare i Peluso. E per capire perché un ministro decide di telefonare a due magistrati mettendo a rischio una carriera politica con ambizioni illimitate dal Viminale al Quirinale, bisogna tornare alle sensazioni provate a ruoli invertiti 32 anni fa.

martedì 5 novembre 2013

Caso Ligresti: Anna Maria Cancellieri, un Guardasigilli ricattabile? - Peter Gomez

A dimostrazione di come in Italia, una volta toccato il fondo, sia sempre possibile mettersi a scavare arrivano le annunciate non dimissioni di Anna Maria Cancellieri. La ministra della Giustizia a poche ore dall’arresto di un noto pregiudicato per tangenti (don Salvatore Ligresti) ha telefonato alla sua compagna. E, dopo essersi scusata per non aver chiamato prima (il minimo, visto che lo storico mazzettaro era sotto inchiesta da mesi per falso in bilancio e aggiotaggio), ha espresso solidarietà alla donna. Poi, per la gioia degli azionisti della FonSai rovinati dalle scorribande dell’indagato e della sua famiglia, le ha ripetuto per due volte che quanto era accaduto non era “giusto”. Infine ha chiuso e ha detto: “Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me, non lo so cosa possa fare, però guarda son veramente dispiaciuta”.
In qualunque democrazia degna di questo nome una telefonata come questa sarebbe bastata da sola per spingere qualsiasi governo a dare alla Cancellieri il ben servito. Qui no. Nel Belpaese arriva invece la fiducia a prescindere ancor prima che la Guardasigilli chiarisca dettagliatamente in Parlamento i suoi rapporti con il pregiudicato.
Vedremo cosa accadrà alle Camere (poco immaginiamo). Per ora si può solo dire che, pure dopo le numerose interviste, i fati da spiegare restano ancora molti. Qualche esempio: don Salvatore era il proprietario della casa dove viveva e vive il figlio della ministra ed era l’azionista di maggioranza della società per cui il giovane manager lavorava (ne è uscito con una liquidazione da 3,6 milioni di euro). Tutto questo ha influito sulla decisione della Guardasigilli di chiamare una persona che non sentiva da mesi? E ancora: perché la Cancellieri dopo l’inchiesta Mani Pulite che aveva portato in carcere sia Salvatore che suo fratello Antonino (quest’ultimo ha confessato tangenti alla Guardia di Finanza per 150 milioni di lire) ha continuato a frequentarli? Era opportuno e giusto per un funzionario dello Stato?
Non pensa la ministra che così facendo ha permesso a don Salvatore di sostenere, in un interrogatorio di pochi mesi fa, di averla sponsorizzata con Silvio Berlusconi in occasione di un passaggio importante della sua carriera prefettizia? Affermazione che se è vera (ma lei smentisce) racconta come la Cancellieri avesse dei debiti di gratitudine nei confronti del pregiudicato siciliano. E che se è falsa conferma invece la grave imprudenza dimostrata nel coltivare l’amicizia con dei personaggi come i Ligresti e nel continuare a rivendicarla (“con Antonino abbiamo un rapporto trentennale”, dice ora).
Di tutto questo però in un paese messo in ginocchio dai tengo famiglia e degli amici degli amici si discute assai poco. Si sprecano invece gli elogi perché la Guardasigilli ha di fatto mantenuto la parola data alla compagna di don Salvatore: un mese dopo la telefonata del “conta su di me” la Cancellieri parla infatti con l’altro mazzettaro di famiglia (Antonino) e poi segnala alla direzione delle carceri le cattive condizioni di salute di una delle figlie di don Salvatore, Giulia, detenuta nonostante una fortissima anoressia e per questo poi scarcerata dalla magistratura.
Così oggi, con il sostegno di quasi tutte le larghe intese, la ministra ripete di essere orgogliosa di come si è comportata e spiega di essersi mossa solo per “umanità”, esattamente come aveva fatto con altri 110 carcerati. A suo dire il fatto che la procura di Torino abbia ricordato come la giovane Ligresti sia uscita di prigione senza che sui pm fossero avvenute pressioni di sorta, conferma la correttezza del suo operato.
L’autodifesa, va detto chiaro, è però solo una squallida furbata. È un inganno che finisce per infangare anche le parti buone della carriera – prima come prefetto e poi come governante – di Anna Maria Cancellieri.  Ma c’è poco da stupirsi. Per preoccuparsi della propria reputazione è necessario averne una. Ma ormai la Guardasigilli dei Ligresti una reputazione non ce l’ha più.
In questa storia, infatti, il punto non sono i poteri del ministro che, come responsabile delle carceri, segnala ai vertici del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) i casi di detenuti a rischio di cui viene a conoscenza . In discussione ci sono invece i suoi doveri.
Un esponente di governo non telefona alla compagna di un pregiudicato appena riarrestato e men che meno si mette a disposizione. Se lo fa, immaginando oltretutto che la linea sia sotto controllo, accetta il rischio di infangare se stesso e l’istituzione che rappresenta. Un prefetto come la Cancellieri può benissimo essere amica e frequentare, senza saperlo, dei corruttori, ma quando scattano le manette e poi arrivano le condanne interrompe i rapporti. Oppure cambia mestiere.
Se non lo fa spalanca la porta a qualsiasi sospetto. Persino a quello infamante di essere in qualche modo ricattabile: o dai Ligresti o dal blocco di potere da sempre presente alle loro spalle. Se non tronca subito ogni relazione permette ai cittadini di pensare che anzi è stata messa lì proprio per quello. Seduta a Roma su una poltrona chiave, la Giustizia, che ora non per caso nessuno, o quasi, le vuole togliere.

sabato 2 novembre 2013

Cancellieri, e Giulia Ligresti disse: “Il figlio ha distrutto tutto ma è talmente protetto”. - Giovanna Trinchella

Cancellieri, e Giulia Ligresti disse: “Il figlio ha distrutto tutto ma è talmente protetto”

La figlia di don Salvatore al telefono: "E' stato messo dalle banche e si è preso cinque milioni". Sulla buonuscita di Peluso l'ex ad Marchionni Fonsai (oltre 10 milioni per lui, ndr) intercettato e preoccupato perché Report sta preparando una puntata sulle onorificenze dice: "E per me verrà fuori l'azienda ha fatto crack, lui si è messo in tasca questi soldi magari il figlio della ministra se n'è messi in tasca di più di me...". Procura di Milano e Torino valutano ruolo.

Uno “messo lì dalle banche”, uno “che ha distrutto tutto”, uno “talmente protetto” che dopo aver incassato “cinque milioni e mezzo” da FonSai “figurati cosa gli daranno in Telecom”. E’ il ritratto che Giulia Maria Ligresti, ex vice presidente del CdA della società assicurativa, fa di Piergiorgio Peluso, figlio del ministro Anna Maria Cancellieriche per 14 mesi di lavoro da direttore generale aveva incassato nell’ottobre dell’anno scorso 3,6 milioni di euro solo di buonuscita.
Chissà cosa penserà la Guardasigilli finita nella bufera proprio per essersi messa a disposizione della famiglia siciliana per aiutare Giulia (detenuta e malata ma poi scarcerata) di questa fotografia del figlio. Certo è che il manager, 45 anni, bocconiano, ora dirigente finanziario Telecom, ha proseguito “a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie” anche molto dopo il suo addio d’oro. Il report delle Fiamme Gialle in cui si sottolineano questi contatti è del 29 agosto, Giulia viene scarcerata il 28. 
Eppure il 19 ottobre dell’anno prima la Ligresti parlava così del figlio della ministra “…omissis… sto Peluso che è entrato da noi un anno, è uscito con cinque  - rivela al telefono a una amica – ieri gli hanno deliberato in consiglio la buona uscita di cinque milioni e mezzo capito? Tutto è stato deciso dalla banche, noi ci fanno il mazzo, infatti c’era lì una persona che lì con mio papà, diceva, se quel nome o quei soldi fossero stati deliberati per te o per me o per Paolo, per qualcuno, il giorno dopo dal consiglio veniva fuori una denuncia, per questo qui che è entrato, ha distrutto tutto eh, è venuto ha avuto il mandato come se tu entri in una azienda svalorizzi tutto, distruggi tutto, fai in modo che, che uno se la può prendere zero, e pi si vedeva che era uno mandato, è uscito appena fatta con cinque milioni e mezzo”.  A inviare Peluso per un tentativo di salvataggio è Unicredit detentrice del 6,6 per cento della compagnia assicurativa. Una operazione impossibile o quasi visto che lo stesso top manager confessa ai pm che lo chiamano a testimoniare che la compagnia non ha abbastanza riserve. La fusione con Unipol va avanti nonostante tutto. Poi Peluso va via con un piccolo tesoretto considerato che la società aveva 800 milioni di buco.
Sul compenso di Peluso ha qualcosa da dire anche l’ex ad di FonSai, Fausto Marchionni. Al telefono con Alberto Alderisio, vicino alla famiglia Ligresti, si sfoga raccontandogli che di aver declinato l’invito della trasmissione Report sulle onorificenze. Il cavaliere del Lavoro Marchionni (che ha incassato come buonuscita 10 milioni stando alle cronache dell’epoca, ndr) ha paura che intervenire possa essere boomerang: “E per me verrà fuori l’azienda ha fatto crack, lui si è messo in tasca questi soldi magari il figlio della ministra se n’è messi in tasca di più di me ma ce lo dimentichiamo e… verrà fuori qualcuno! Ma te lo faccio sapere! Bah insomma, speriamo, speriamo!”. L’interlocutore non ha dubbi: “Na sai il figlio della ministra, ma intanto questo lo sanno cani e porci, tanto gliel’ha dati non certo eh….ma glieli ha dati Unpiol…eh sì Unipol”.
Su Peluso si concentrano anche i dubbi della pm di Torino quando disponendo l’intercettazione del suo cellulare si chiedono se sia stato “il promotore di quella che è stata una vera e propria "pulizia di bilancio" oppure abbia agito “con l’intento di escludere l’azionista di riferimento (famiglia Ligresti) ovvero abbia fatto emergere lacune (e quindi falsità) relative ai bilanci relativi agli esercizi precedenti”. Il manager ha ricoperto il ruolo di dg nel periodo “più delicato” attraversato da FonSai, coinciso con la chiusura di bilancio 2011 che ha registrato una perdita di oltre un miliardo di euro. Nel documento i pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio spiegano è necessario intercettarlo in considerazione del suo ruolo ruolo e “anche alla luce delle relazioni che Peluso ancora intrattiene con alcuni indagati (ed in particolare con Emanuele Erbetta, ad di Fonsai nel periodo di interesse”. Non solo la Procura di Torino si interessa a Peluso; il pm di Milano Luigi Orsi  sta vagliando il suo ruolo nell’ingresso del fondo Amber nel capitale della compagnia assicurativa. 

giovedì 31 ottobre 2013

Ligresti, la Cancellieri al telefono: “Qualsiasi cosa possa fare conta su di me”.

Anna Maria Cancellieri


Telefonate del ministro con i fratelli della famiglia siciliana. Poi chiamate al dipartimento per l'amministrazione penitenziaria per "sensibilizzarli" sulla scarcerazione della figlia dell'ingegnere. Il Movimento 5 Stelle contro la Guardasigilli: "Smentisca o si dimetta". Torna a far discutere la buonuscita d'oro che il figlio incassò da Fondiaria Sai.

“Comunque guarda, qualsiasi cosa io possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta”. Così Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia, si è rivolta a Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, in una telefonata il 17 luglio scorso, a poche ore dall’arresto nei confronti dell’ingegnere e dei suoi tre figli coinvolti nell’inchiesta della Procura di Torino. “Se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti guarda non è giusto, non è giusto”, ha aggiunto la Cancellieri al telefono con Fragni.
Il ministro “sensibilizza” per la scarcerazione
Per chiedere la scarcerazione di Giulia Maria Ligrestiin carcere da luglio nell’inchiesta FonSai, è intervenuto poi lo zio Antonio, con una nuova chiamata al ministro. Non si è fatta attendere la risposta della Cancellieri, che – come lei stessa ha ammesso ai magistrati – ha parlato a due vice capi del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria per “sensibilizzarli” sul fatto che Giulia soffriva di anoressia. E il 28 agosto si sono aperte le porte del carcere per fare uscire la figlia dell’ingegnere, undici giorni dopo la telefonata di Antonio Ligresti.
“Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”, ha spiegato il ministro davanti al procuratore aggiunto, Vittorio Nessi, per giustificarsi. E ha aggiunto: “Essendo io una buona amica della Fragni da parecchi anni ho ritenuto, in concomitanza degli arresti, di farle una telefonata di solidarietà sotto l’aspetto umano”.
Il Movimento 5 Stelle: “Smentisca o si dimetta”
La prima reazione politica è dei senatori di Sel Loredana De Petris e Peppe De Cristofaro, che hanno chiesto al ministro di presentarsi al più presto nell’aula del Senato per fare chiarezza. “L’intervento della Cancellieri a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti per anoressia presenta aspetti molto discutibili e inquietanti che devono essere chiariti sul piano politico e non solo su quello giudiziario”, hanno affermato in una nota, ritenendo “grave che l’intervento in questione sia stato richiesto da una telefonata privata e che abbia riguardato una classica detenuta eccellente”.
E’ intervenuto poi anche il Movimento 5 Stelle. “I membri della commissione Giustizia del M5S chiedono alla Cancellieri di smentire la notizia. Diversamente, nel caso in cui, quindi, abbia effettivamente fatto pressione sul Dap per la scarcerazione di un detenuto eccellente, il ministro deve assumersi le proprie responsabilità e rassegnare immediatamente le dimissioni da Guardasigilli”.
La buonuscita d’oro del figlio Peluso da FonSai
La vicinanza tra il ministro e la famiglia Ligresti, d’altronde, è un fatto noto. Il figlio della Cancellieri, Piergiorgio Peluso, ha incassato nel 2012 una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un anno di lavoro come direttore generale della compagnia assicurativa Fondiaria Sai. L’attuale direttore finanziario di Telecom, vissuto a lungo in una casa del centro di Milano di proprietà del gruppo Fondiaria, era entrato nella società nel maggio del 2011, dopo essere stato responsabile del Corporate & Investment banking di Unicredit per l’Italia, posizione dalla quale aveva trattato l’esposizione delle società della famiglia siciliana verso l’istituto di Piazza Cordusio.
E ora i nodi tornano al pettine. La Procura di Torino, secondo la ricostruzione di Repubblica, si è accorta esaminando i tabulati telefonici della famiglia Ligresti che ci sono stati diversi contatti con la Cancellieri, fin dal giorno degli arresti di Giulia. In una di queste telefonate la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, ha suggerito al cognato di contattare il ministro come ultimo tentativo, visto che la situazione della figlia Giulia non trovava soluzione. E la stessa Fragni ha confermato la chiamata, rimasta impigliata nella rete delle intercettazioni.
La Cancellieri ha quindi ammesso di avere “sensibilizzato i due vice capi del Dap, Francesco Cascini eLuigi Pagano, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”, chiarendo in un secondo momento che il suo interessamento era stato per un carcerato soltanto, Giulia Maria Ligresti, che pochi giorni dopo è andata agli arresti domiciliari. Il tribunale di Torino aveva accolto all’inizio di settembre il patteggiamento a due anni e otto mesi di reclusione e 20mila euro di multa, un mese dopo che, nonostante il parere favorevole dei pm alla scarcerazione di Giulia alla luce delle sue condizioni di salute, il gip Silvia Salvadori aveva confermato la custodia cautelare per il pericolo di fuga.
Intanto il legale di Giulia Ligresti, l’avvocato Alberto Mittone, ha fatto sapere che “fu la stessa Procura di Torino a interessarsi alle condizioni di salute della donna, tanto che aveva disposto un accertamento medico“, ricordando che anche il procuratore capo Gian Carlo Caselli si preoccupò delle condizioni di salute.
I prefetti a busta paga nella storia dei Ligresti
Non è la prima volta che i riflettori sono puntati sui legami dei Ligresti con il mondo della politica. E non solo. La famiglia siciliana è stata un punto di riferimento negli anni per amici e parenti. Banchieri, avvocati, professionisti vari, perfino prefetti della Repubblica, che dall’ingegnere di Paternò hanno ricevuto case, incarichi professionali e societari con tanto di lauti compensi, a volte milionari. Ne sa qualcosa il catanese Filippo Milone, che ha sempre lavorato nelle società immobiliari dei Ligresti. Il padre di Milone, Antonino, era viceprefetto a Milano una cinquantina di anni fa, quando il futuro padrone di Fondiaria concluse i primi affari immobiliari nella città.
Da Milone padre si arriva fino alla Cancellieri, che ha lavorato a lungo alla prefettura della metropoli, collaborando anche con l’allora prefetto Enzo Vicari, che una volta lasciati gli incarichi pubblici, diventò amministratore di alcune società del gruppo Ligresti. Dopo Vicari, morto nel 2004, un altro ex prefetto milanese, Bruno Ferrante, trovò lavoro nella galassia Ligresti. E anche Gian Valerio Lombardi, ex prefetto di Milano e oggi commissario di Aler Milano, ha ottimi rapporti con la famiglia. In particolare suo figlio Stefano, avvocato, è grande amico dei figli di Ligresti. Si arriva così all’anno scorso, con la liquidazione d’oro incassata dal figlio della Cancellieri dopo l’uscita da FonSai.

venerdì 25 ottobre 2013

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca. - Gianni Barbacetto

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca

Alberto Nagel

Oggi le assemblee dei soci che dovranno approvare l'unione tra il gruppo assicurativo delle coop e quello che fu spolpato dai Ligresti, sotto gli occhi di Piazzetta Cuccia che ora vuole l'operazione per risolvere il propri guai. Le zone d'ombra sono molte.

Oggi si aprono le assemblee societarie da cui nascerà la Grande Unipol. Con la fusione per incorporazione di Unipol, Premafin e Milano Assicurazioni in FonSai, dal cappello a cilindro della compagnia delle coop “rosse” uscirà UnipolSai, un colosso, la seconda impresa assicurativa italiana dopo Generali. Chissà come la prenderà Gianni Consorte, che era arrivato ai vertici di Unipol quando questa era “l’assicurazione dei comunisti”, l’aveva fatta entrare nel giro della grande finanza e poi nel 2005 aveva provato a conquistare una banca (la Bnl). Fu fermato, come gli altri “furbetti del quartierino” che senza andare troppo per il sottile avevano tentato di scalare a debito Antonveneta e Corriere della sera.
Oggi l’aria è cambiata e il colpaccio provato dal suo successore, Carlo Cimbri, sta per riuscire, malgrado i dubbi sui conti di Unipol, inzeppati di derivati, e i comportamenti delle autorità di vigilanza, che sembrano la fotocopia aggiornata di quello che successe nel 2005. Questa volta però Mediobanca è della partita e l’aria di larghe intese ha steso un velo di silenzio sui buchi neri dell’operazione.
Confessione per lettera. È una lunga storia che inizia nel 2001, quando la Mediobanca di Vincenzo Maranghi si mette in moto per impedire alla Fiat, che si era lanciata alla conquista di Montedison, di mettere le mani su Fondiaria, una bella compagnia d’assicurazione con base a Firenze che era controllata da Montedison. Il successore di Enrico Cuccia non voleva farla uscire dalla sua sfera d’influenza. La mette allora nelle mani di un amico silenzioso e fedele che ha molti motivi di riconoscenza nei confronti di Mediobanca: Salvatore Ligresti, che possedeva già la torinese Sai. Nasce così Fonsai, non senza trucchi da brivido per aggirare le regole che proteggono il mercato ed evitare l’Opa.
Maranghi sa di aver fatto delle forzature e lo ammette in una lettera del 30 maggio 2002 a Ligresti resa nota ieri dal Corriere, in cui dice che l’operazione Fonsai è stata un “obiettivo raggiunto pagando un prezzo assai elevato in termini di immagine e di rapporti personali”. Chiede poi proprio per questo un “cambio di passo” nella conduzione del gruppo, che non potrà più avere, si raccomanda Maranghi, “un taglio famigliare”. Resterà una predica senza risultati. Ligresti governerà la Fonsai per un decennio proprio come fosse un bene di famiglia, mettendo ai vertici manager di sua assoluta fiducia. E spolpandola via via fino al buco che lo ha portato al crollo.
Mediobanca è sempre stata al suo fianco: è stato Maranghi a concedergli il prestito subordinato di 400 milioni di euro per permettergli di impossessarsi di Fondiaria. E già nel 2001 il debito totale di Ligresti nei confronti di Mediobanca era di 930 milioni. Uscito di scena Maranghi, arriva Alberto Nagel, ma Mediobanca continua a seguire passo passo Ligresti, che si lancia in bagni di sangue come le acquisizioni di Liguria assicurazioni o della compagnia serba Ddor. Nel 2008, arriva l’ultimo regalo di Mediobanca,350 milioni. Poi il rubinetto si chiude. In un decennio l’istituto di Nagel ha buttato ben 1,2 miliardi di euro in Fonsai. Comincia allora a cercare una via d’uscita da una situazione ormai ingestibile.
Ligresti tenta un’alleanza con i francesi di Groupama, ma senza risultati. Nel 2011 Unicredit (che aveva messo un mucchio di soldi in Premafin, la holding dei Ligresti che controllava Fonsai) tenta di salvare la baracca con un aumento di capitale da 450 milioni. Operazione oggi sotto inchiesta a Torino, dove ha sede Fonsai, perché la ricapitalizzazione sarebbe stata realizzata barando sulla riserva sinistri, taroccata di 538 milioni. Seguirà l’arresto di Salvatore Ligresti e delle figlie Jonella e Giulia. Ma già prima Mediobanca aveva trovato come sostituirli: che cosa c’è di meglio, in Italia, che unire due debolezze, mantenendo Fonsai in mani amiche?
Il prescelto questa volta è Carlo Cimbri. La sua Unipol, indebitata con Mediobanca, dal matrimonio con Fonsai potrà uscire rafforzata e rigenerata. Ecco allora, dal gennaio 2012, le grandi manovre per arrivare alle nozze. 
Il ruolo di Consob. Il piano iniziale prevede che Unipol compri (a buon prezzo) la maggioranza di Premafin (che vale poco o niente, avendo più debiti che attivo): così Ligresti può uscire di scena contento e con un po’ di soldi; e Unipol se la cava con un’opa facile e concordata, perché le azioni di Premafin sono quasi per l’80 per cento nelle mani dei Ligresti. Una volta acquisita la holding, è conquistata anche la vera preda, cioè le sottostanti Fonsai e Milano Assicurazioni, senza bisogno di Opa e alla faccia degli azionisti di minoranza e del mercato. C’era un’offerta alternativa, che era stata avanzata nel dicembre 2011 dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e da Matteo Arpe.
Ma questi volevano comprare Fondiaria, non Premafin, che era una scatola vuota, anzi piena di debiti, che sarebbero restati sul groppone di Mediobanca. Ecco allora che la loro offerta è stoppata, anche grazie alla puntigliosità della Consob di Giuseppe Vegas, che invece è molto più “fluido” nei confronti della soluzione Unipol, voluta da Nagel. Il primo progetto (Opa su Premafin) è chiaramente al di sotto delle soglie minime di decenza, così Nagel a gennaio riunisce nella sede di Mediobanca i protagonisti della vicenda e mette a punto il piano definitivo. Alla presenza di Vegas: l’arbitro si presta a fare da “consulente privato” per un’operazione su cui dovrebbe vigilare. Manca soltanto il bacio in fronte che il banchiere Gianpiero Fiorani, evidentemente più espansivo, nel 2005 scoccò in fronte a un altro arbitro non proprio sopra le parti, l’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Il nuovo piano prevede non l’acquisto, ma un aumento di capitale riservato di Premafin, sottoscritto da Unipol, senza obbligo di opa sulle società sottostanti: così la compagnia bolognese conquista il controllo della holding e, a cascata, delle vere prede sottostanti, cioè Fonsai e Milano Assicurazioni. Eppure ai francesi di Groupama era stato detto, pochi mesi prima, che se volevano Fonsai dovevano fare l’Opa. Unipol no: lo certifica la Consob nella sua delibera del 24 maggio 2012, sostenendo che la sua è considerata un’operazione di salvataggio, dunque esente da Opa. Anche se poi dovrà essere l’Ivass (l’autorità di controllo sulle assicurazioni) a formulare il giudizio finale sulla questione.
Questo è arrivato, ma non si esprime in modo chiaro. Unipol, con la fusione, salirà dal 42 al 50 per cento nella nuova Fonsai: con questo salto, è d’obbligo l’Opa “di consolidamento”. Ma noi non la dobbiamo fare, ribatte Cimbri, perché stiamo completando, con la fusione e gli aumenti di capitale, un’unica, anche se lunga e complessa, “operazione di salvataggio” già autorizzata dalle autorità di vigilanza ed esente da Opa. Dunque niente “consolidamento”? Il problema resta aperto e Ivass dovrebbe sciogliere le ambiguità.
La bomba a orologeria. Invece finora si è limitata a raccomandare a Cimbri di non occupare troppe poltrone nella catena di società che controlleranno Fonsai. Più delicata l’altra “raccomandazione” di Ivass, che riguarda il portafoglio derivati: per alcuni analisti una vera e propria bomba a orologeria nei bilanci della società. A proposito dei derivati in pancia a Unipol, la Consob di Vegas, più che vigilare, sembra aver finora proseguito quella azione di “consulenza privata” che ha già prodotto alcune rettifiche di bilancio, per circa 280 milioni. Ma la chiarezza su quanto pesino i titoli strutturati non è ancora stata raggiunta, anche perché Vegas ha rallentato in tutti i modi le verifiche della struttura interna alla Consob diretta da Marcello Minenna.
L’unica cosa certa è che i Ligresti sono usciti di scena. Non prima però di aver tentato di portare a casa quello che ritenevano fosse loro dovuto. Sfumato il piano iniziale (Opa su Premafin), pensavano di aver comunque ottenuto, nella riunione con Nagel e Vegas a Mediobanca, garanzie su buonauscita e manleva legale (la rinuncia a cause civili per danni nei loro confronti). Dovute, secondo i Ligresti, perché convinti che Mediobanca e Unicredit abbiano sempre “eterodiretto” Fonsai. Ma nel maggio 2012 la Consob aggiunge i “paletti”: per concedere a Unipol l’esenzione dall’opa, devono essere escluse manleve e buonuscite. Ecco allora saltar fuori il “papello”: l’elenco delle cose a cui ritenevano di aver diritto, 45 milioni di euro, consulenze, auto, segretarie, posti al villaggio vacanze…
Nagel nega, sostenendo che la sua firma su quel foglio a quadretti scritto a mano da Jonella non era un patto segreto con i Ligresti, ma soltanto una sigla per presa visione, un modo per far star buono don Salvatore. “Volevamo salvare la compagnia e non Ligresti”, dice Nagel ai magistrati di Torino. Ma i progetti iniziali tentavano di “salvare” entrambi: con un’operazione che, come dice l’amministratore delegato di Mediobanca a proposito del primo aumento di capitale Premafin, “proteggeva la nostra esposizione”. Quanto a proteggere il mercato e gli azionisti di minoranza, pochi in questa storia sembrano pensarci.
Nagel nega, ma non sa che la dicitura "per presa visione" deve essere scritta perchè venga ritenuta valida? Son stupidi loro o ritengono che siamo stupidi tutti?


Unipol-FonSai, ecco i documenti dei finanzieri che non interessano alla Consob. - Gaia Scacciavillani


Unipol-FonSai, ecco i documenti dei finanzieri che non interessano alla Consob
Giuliano Amato e Giuseppe Vegas

Il metodo dell'ad di Bologna, Carlo Cimbri? La "mutualità dei bilanci" secondo il responsabile dei documenti contabili di Fondiaria Sai ascoltato dalla Guardia di Finanza mentre lavorava al prezzo del "matrimonio" con il gruppo delle Coop. Sullo sfondo l'analisi del malandato stato di salute di via Stalingrado effettuata da Piergiorgio Peluso.

A meno di 24 ore dal via libera alle nozze tra Unipol e l’ex impero assicurativo dei Ligresti, l’elenco delle criticità dell’operazione finanziaria italiana più rilevante degli ultimi anni continua ad allungarsi. Dopo il revisore dei conti indagato per falso in bilancio, nei giorni scorsi sono spuntate delle intercettazioni telefoniche della Guardia di Finanza di Torino che aprono uno spaccato inedito su come è stato messo a punto il piano di fusione oggi al voto degli azionisti, che sarebbe stato meritevole quanto meno di un approfondimento.
Consob non è interessata. Eppure davanti alla loro parziale pubblicazione da parte dell’agenzia di stampa Adnkronos, la Consob di Giuseppe Vegas non si fa né in qua né in là. “Sono frammenti di conversazioni abbastanza confusi, trascritti malamente e da cui si capisce poco, per di più a proposito di una materia sulla quale Consob non vigila – è stata la replica della vigilanza interpellata in merito dal Fatto Quotidiano -. Consob quello che poteva fare l’ha fatto. E comunque la Commissione non può fare riferimento a queste cose, fa riferimento ai documenti contabili, ai registri pubblici”. Poco importa, quindi, se sui documenti contabili c’è l’ombra di qualche maneggio come emerge dalla trascrizione integrale delle intercettazioni vidimate dalle Fiamme Gialle che Il Fatto Quotidiano ha potuto visionare e che si riferiscono alle settimane in cui il progetto di fusione varato a dicembre 2012, era in fase di elaborazione.

Le svalutazioni a cazzo. “I due interlocutori discutono di svalutazioni di alcune poste di bilancio probabilmente riconducibili a Banca Sai. In particolare si segnalano alcune “ingerenze” sulla valutazione contabile di alcune specifiche voci (es. immobili) da parte dell’amministratore delegato di Unipol e, dal 5 novembre scorso, di Fondiaria Sai, Carlo Cimbri”, annota la Guardia di Finanza a proposito di una conversazione del 31 ottobre 2012 tra il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, Massimo Dalfelli e Riccardo Quagliana, consigliere di Popolare Vita, altra società del gruppo.
“Ho parlato con Raimondi, ma sono dei pazzi indopatici gravi”, esordisce Quagliana secondo il quale “facendo in questo modo (come chiede Cimbri, ndr) la ragione della Banca per erogare nuova finanza viene completamente meno. Ora, premesso che i vecchi consiglieri non te lo fanno, lo fanno dei nuovi che un minuto dopo vengono arrestati perché sono pazzi”. E poi chiede: “Ma non ho capito, questi hanno chiamato insieme lì il povero Raimondi dicendo riapri i conti della Banca svaluta tutto?”. Non proprio. “No, no, Cimbri ha chiamato Colombini e gli ha fatto lo sciaquone – spiega Dalfelli e poi dettaglia meglio – Colombini ha chiamato il suo interlocutore in Banca Unipol, hai capito? […] Ha sciacquato lui, contemporaneamente Erbetta, sai com’è fatto Emanuele, in maniera un po’ più posata ha provato a chiamare Raimondi, gli ha detto qualche cosa lì, un po’ di sottecchi, Raimondi ha capito bene, però, era poco convinto, poi ha chiamato me [...] lui ha detto io lo riapro pure, però voglio una lettera della controllante”. “Certo, che per altro gli dice azzera il credito, ma con l’altra mano facciamo una bella operazione di … per preservare i nostri di check, ma guarda che è veramente da pazzi”, commenta l’altro per il quale “avranno fatto i piani e dal tavolo dei piani emerge che sessantuno e settanta non ci sta, quindi staranno grattando il barile per farci svalutare l’impossibile”. A quel punto i due si lanciano in un coro sul fatto che “non è che si puoi svalutare a cazzo così” e che “la situazione è complicata”.
“Viene fuori una di quelle magie!”. Film analogo quando la stessa sera a parlare con un interlocutore rimasto anonimo, è Claudia Motta, dirigente responsabile del ramo pianificazione strategica e controllo di gestione di FonSai che premette di essere da due giorni a Bologna e di aver dovuto chiudere al più presto dei piani previsionali riguardanti delle valutazioni ancora non ufficiali da proporre alle banche nell’ottica di una prima stima del prezzo della fusione, ossia i concambi. “Insomma … dove magicamente sono un pò tornati anche i numeri che loro volevano che tornassero tra stand alone, risultato congiunto, valore delle sinergie e l’ipotesi è che su carta bianca, quindi niente di ufficiale, niente email, niente pezzi dal carta intestata … li danno … danno questi piani alle banche lunedì … con lo scopo di cominciare a farli ragionare … per capire con questi numeri dove porterebbero i concambi, nel senso che se portano nel senso giusto ottimo, se portano nel senso sbagliato come se non glieli avessimo dati”.
“Ho capito tutto – replica l’interlocutore -, le banche al momento non hanno avuto nessun tipo di indicazione se è così meglio, secondo me, poi alla fine con quello che stanno combinando sul Dif probabilmente si arriverà dove vogliono loro comunque, perchè adesso sul fatto … con questo ricalcolo del Dif che include tutte le minusvalenze sui titoli allocati a vita … cioè viene fuori una di quelle magie che …”, mentre la Motta conclude parlando di “convergenza perfetta”.
La scoperta di Peluso: “Loro non stanno peggio di noi”. Ancora tutto da esplorare, poi, un altro fascicolo agli atti della Procura di Torino dove spunta una mail del 2012 di Pergiorgio Peluso, il figlio del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che all’epoca era direttore generale della compagnia che ha lasciato con 3,6 milioni di buonuscita, con allegate le “ Considerazioni su criticità bilancio civilistico Unipol 2010” dove si sottolinea ai colleghi e ai consulenti finanziari e legali che “a quanto pare non siamo gli unici ad avere problemi di solvibilità …” e si suggerisce di organizzzare una riunione per fare il punto su “quanto stiamo scoprendo”.

I dubbi sui conti Unipol 2010. Nel documento allegato sono indicate le criticità del bilancio Unipol 2010 sollevate da alcuni analisti interpellati, a partire dall’avviamento (200 milioni) per il quale “non sono fornite indicazioni sulla recuperabilità”. Dubbi sono espressi anche sulle valutazioni del mattone con “il valore corrente degli immobili è maggiore del 7% rispetto al valore di carico. Fondiaria Sai nel 2011 esprime a livello civilistico un +30% nonostante le forti svalutazioni contabilizzate”. Si suggeriscono poi approfondimenti (“Indubbiamente anche in questo ambito servirebbero ulteriori informazioni per una più approfondita analisi”) sulle due società di sviluppo immobiliare Midi srl e Unifimm: la prima sta costruendo uffici per il gruppo, la seconda sta realizzando una torre ad uso teriazio nella periferia di Bologna.
Il vuoto informativo su Unipol Banca. Per quanto concerne gli investimenti in imprese del gruppo, “manca il prospetto che mette a confronto per le controllate il valore di carico con le corrispondenti quote di patrimonio netto al fine di quantificare e motivare la differenza (….). Assenza di informazioni su UGF banca (511 milioni di euro di valore di carico) e Vivium (148 milioni). Sugli altri investimenti finanziari, “ si denota una significativa presenza di titoli valutati al fair value livello 3 cioé calcolati tramite tecniche di valutazione che prendono come riferimento parametri non osservabili sul mercato (1,2 miliardi di euro il 13,6% sul totale Fair Value, dato consolidato in quando non disponibile dettaglio a livello civilistico – da confrontarsi con i 77 milioni di FonSai 2010”.
L’esposizione miliardaria all’estero su finanziarie quasi insolventi. Il documento evidenzia poi come dai colloqui con gli analisti sia emersa una esposizione verso Corsair Finance Ireland Ltd per 1,3 miliardi che sommate ad altri due veicoli speciali, Art Five e Willow, porta l’esposizione nei confronti di società veicolo di Jp Morgan per più di 2,2 miliardi. Il veicolo Corsair ha per altro ricevuto da S&P e Moody’s un taglio del rating a un livello vicino alla CCC che significa che il pericolo di insolvenza è realistico. “ I tre veicoli sono stati segnalati alla Finanza e ricompresi nel minipaniere di 10 titoli oggetto di approfondimento ai fini del conteggio a fair value per la determinazione dei valori di concambio”.
Serve un aumento di capitale. Per i derivati, da una prima analisi, si evidenziano minusvalenze latenti per 285 milioni. C’è poi in Unipol una significativa esposizione ai titoli governativi spagnoli (534 milioni al 31 dicembre 2010) contro i 97 milioni di FonSai. “Altrettanto significativa è l’esposizione verso obbligazioni subordinate (1.897 milioni di euro al 31/12/2010), mentre FonSai ne ha in portafoglio 613 milioni: ciò può essere visto come un segnale di maggiore illiquidità degli asset posseduti”, si legge nel documento. Infine rispetto al margine di solvibilità, gli esperti notano come per Ugf è “eccedente rispetto al margine richiesto”, mentre è carente quella di Holmo spa che avrebbe già “posto in essere le azioni al fine di consentire al conglomerato di ripristinare entro il 2011 le condizioni di adeguatezza patrimoniale richieste dalla normativa vigente”. Infine, nel verbale del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni del 22 dicembre 2011 emerge “l’esigenza di rafforzare la struttura patrimoniale attraverso un incremento dei mezzi propri di massimo 200 milioni richiedendo alla controllante UGF un versamento in Conto futuro aumento di capitale sociale da eseguirsi in una o più tranche”. Nel caso di Fondiaria-Sai, a livello civilistico, il bilancio esprime una “eccedenza del 153%”.
La mutualità di bilancio secondo Cimbri. La situazione non dev’essere migliorata di molto se, tornando alla trascrizione delle intercettazioni di Torino, si legge quanto riportato dai finanzieri a proposito di un’altra conversazione registrata il 31 ottobre 2012 tra Daffelli e Massimo Aliverti. “Comunque il messaggio del nuovo ad (Cimbri, ndr) è stato chiaro, della serie: qui siamo tutti per uno, mo si fa mutualità, punto. Ha copiato il mio, la mia locuzione, perché ho detto, vabbè che le assicurazioni sono mutualistiche, mi sa che mi tocca fare mutualità di bilancio, mi spiego”, esordisce il dirigente a capo della redazione dei documenti contabili. “Ma oggi c’era Cimbri? [...] E ha detto questo?”, replica l’altro. “Sì, sì, mi son divertito eh, perché è uno veramente istrione”, è stata la conferma. E poi largo ai motteggi tra un “qua se c’è da fare mutualità siamo a posto!” E un: “Infatto, per le loro (di Unipol, ndrriserve Rca“, esclamazioni chiosate da un “minchia, vabbè, non avevo dubbi che fosse così, dai!” di Aliverti, cui Dalfelli replica: “Sì, lo hanno anche ammesso, che non gliela fanno su quel duecento e che noi siamo andati molto oltre e quindi se le ritrovano comode. Però sai, il messaggio è tutto un altro, con me è stato molto chiaro eh!”.