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domenica 28 ottobre 2012

Siciliani! Nel nome di Luigi, Salvatore e Leonardo: regalateci un'utopia. - Sergio Di Cori Modigliani


Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
(Salvatore Quasimodo)




Va presa molto alla lontana, perché noi italiani veniamo da lontano.
La novità geo-politica del momento viene dal continente americano, dall’altra parte  dell’Oceano Atlantico, soprattutto dal Sudamerica.
Noi europei, e soprattutto noi italiani, siamo in netto ritardo con gli appuntamenti della Storia. Gli americani (dal Canada al polo sud) hanno un grande vantaggio su di noi: sono giovani, dinamici, vivono proiettati nel futuro. Sono più leggeri, e quindi più coraggiosi, sfrontati, azzardano di più, cercano meno sicurezze, perché vogliono crescere in maniera spensierata. Noi, invece, ci portiamo appresso l’inevitabile peso del fardello dei millenni che ci hanno preceduto. Ma abbiamo un unico grandioso vantaggio, ed è su quello che dobbiamo puntare: il grandioso rovescio dovizioso di quella pesante medaglia. Perché dalla Storia, o ci si fa travolgere dal suo impietoso peso, oppure se ne traggono delle succose verità, esperienze, precedenti, suggestioni, bussole, mappe psico-geografiche collaudate nei lungi secoli che ci hanno preceduto.
Su questa prospettiva, ancora una volta, la Storia d’Europa si ripresenta fedele a se stessa. Parliamo qui dell’esito delle elezioni regionali in Sicilia il 28 ottobre.
Perché tutto ciò che ha determinato il destino dell’Italia è nato sempre prima in Sicilia.
Davvero un affascinante destino. Forse questo è il “Senso di essere un’isola”.
Come la Gran Bretagna per ciò che riguarda l’Europa continentale del settentrione.
La Sicilia è stata sempre l’avanguardia dei più importanti sommovimenti politici e culturali non soltanto negli ultimi 50 anni, bensì negli ultimi 2500 anni.
Quando l’Europa era ancora semi abitata, nel V. secolo avanti Cristo, e le popolazioni erano per lo più composte da piccole tribù locali la cui attività principale consisteva nel sopravvivere alla meglio, nell’isola siciliana,  gli abitanti, il giovedì sera, si radunavano a Segesta e Selinunte per  andare a godersi lo spettacolo colto della rappresentazione teatrale delle tragedie scritte da Eschilo e Sofocle. Dopo essersi sfogati in disperati pianti collettivi, ritornavano nelle piazze affollate a mangiare e ballare insieme,  dove rimanevano alzati fino a notte fonda a discutere sul Senso dell’esistenza. E da lì, poco a poco, famiglie dinamiche con il gusto del viaggio e dell’esplorazione, cominciarono a risalire la penisola, portandosi appresso i primi germi del dna culturale depositato in quella terra feconda che gli storici chiamano, da sempre, Magna Grecia.
La Sicilia, dopo l’affermazione dell’impero romano, divenne il centro propulsivo dell’incontro e scambio, sia commerciale che culturale, delle etnie e mercanti che provenivano dall’Africa, dall’Asia Minore e dagli imperi persiani e indiani. La Sicilia fu l’avamposto strategico, sia militare che culturale, dell’imperialismo romano. E fu la prima zona d’Europa a essere contaminata dal cristianesimo, già intorno al 50  dopo Cristo. Lì avvennero le prime grandi rivolte contro l’impero centrale di Roma per la ribellione e rivolta degli esattori locali che intorno alla fine del III secolo cominciarono a protestare con sempre maggiore virulenza. E quando crollò l’impero, nel 476, la Sicilia fu l’unica a non essere invasa dai barbari che provenivano dall’Europa dell’est, mantenendo la propria autonomia e indipendenza, posizionandosi come una delle zone più ricche e dinamiche dell’intero bacino del Mediterraneo. Per centinaia di anni, l’Europa venne attraversata da orde di barbari aggressivi che distrussero e devastarono tutto ciò che trovavano. A Roma, intorno all’anno mille, abitavano non più di 20.000 persone, per lo più pastori di greggi, piccoli contadini, e non esisteva nessun tipo di attività, nessun rapporto con il mondo esterno, mentre in Sicilia il fermento dei nuovi tempi produceva già i primi cambiamenti di una nuova epoca e di lì a breve avrebbe prodotto quella che i sociologi e gli antropologi inglesi definiscono “la più grande rivoluzione culturale mai verificatisi in Europa negli ultimi 1000 anni” prodotta e guidata da una poderosa nuova classe intellettuale siciliana. E’ stato in Sicilia che è nato l’Umanesimo, poi diffuso in Toscana. E’ stato in Sicilia, intorno al 1260, che è stato gettato il germe del “dolce stil novo” che ha completamente capovolto l’immaginario collettivo dell’epoca, dando vita alla costruzione di una civiltà europea evoluta e colta. Lo stesso Dante Alighieri riconobbe la paternità siciliana del movimento, piazzando il suo leader e fondatore nel Purgatorio, dove ne parla in maniera davvero eccelsa. Fu un siciliano a gestire e cambiare completamente la prospettiva dell’idea del mondo in quell’epoca. Si chiamava Jacopo da Lentini e di professione faceva il notaio, ma in Sicilia era stato “formalmente” eletto come responsabile rappresentante di Federico II di Svevia, l’unica personalità che allora contava, in un’Europa spenta e addormentata. Grande viaggiatore curioso, aveva portato in Sicilia la tradizione del canto provenzale, e aveva introdotto tra i nobili dell’epoca il ritorno all’esercizio della cultura e delle arti lanciando il primo programma mai inventato sulla Terra di istruzione di massa. Cambiò la coscienza collettiva perché modificò gli status symbol: il più nobile e rispettato non era più colui che aveva più terre e più ricchezze, bensì colui che riusciva a diffondere il più alto grado di istruzione tra i propri schiavi dipendenti, i quali avevano la possibilità di guadagnarsi la promozione sociale sulla base di un merito culturale e scientifico acquisito. Se andate a Stratford on Avon, all’ingresso del museo locale destinato al Grande Bardo, trovate una curiosa placca accanto a un foglio originale dell’epoca “A Jacopo da Lentini, con eterna gratitudine, per avere inventato il sonetto d’amore”, firmato William Shakespeare. Risale a quei tempi l’amore per la Sicilia da parte degli inglesi.
Jacopo da Lentini inventò la poesia moderna, il sonetto, la ballata, la canzone d’amore, e codificò il concetto di galanteria “inventando” la seduzione tra maschio e femmina e quindi penalizzando lo stupro – in una lettera al Papa lo definì un attributo del diavolo e un insulto all’umanità di ogni cristiano - denunciando l’applicazione dello jus primae noctis, e l’imposizione del matrimonio come norma giuridica che non presupponeva l’approvazione da parte della femmina, considerata priva di anima e di capacità legale di comprendonio. Essendo il notaio del Papa e di Federico II di Svevia, era il custode della Norma: cambiò i contratti di matrimonio istituendo l’attribuzione di facoltà sentimentali alle donne, creando un nuovo modello d’immaginario collettivo maschile: la donna andava conquistata con la poesia e non con la forza. Tutte le accademie europee sono d’accordo già da molto tempo nell’aver identificato in lui il più importante “rivoluzionario mediatico” (tanto per capirsi) dell’epoca, vera e propria avanguardia di un movimento di pensiero che avrebbe prodotto i primi germi dell’Italia. Non è azzardato sostenere oggi che “L’Italia è nata nel 1265 in Sicilia”. Jacopo scriveva in siculo (i sonetti e le canzoni) e in latino la corrispondenza con papi e re. Ma ben presto “inventò” una nuova lingua di comunicazione per aumentare la relazionalità tra popolo e aristocrazia: la vulgata, cioè la lingua italiana. La prima sintassi della nostra lingua è nata lì, sulle spiagge siciliane, 747 anni fa. Dante Alighieri e le corti toscane furono i grandi raccoglitori, i divulgatori di quel preziosissimo seme che il grande fiorentino ebbe la geniale intuizione, e l’indubitabile talento, di raccogliere e farlo proprio..
Pensare a un’Italia senza la Sicilia è inconcepibile: è la nostra patria legittima.
Siamo tutti figli della Sicilia, in quanto italiani.
Lì è nato militarmente il Risorgimento verso l’unità d’Italia, lì è nato il primo nucleo originario del movimento fascista, nel 1919, attraverso la costituzione dei primi nuclei di contadini che combattevano contro la prepotenza dei latifondisti sotto la sigla “fasci siciliani di combattimento”, e lì è nato anche il primo nucleo di resistenza contro i nazisti; lì è nato l’attuale mondo moderno governato dalla cupola planetaria, quando nel 1943 Franklin Delano Roosevelt, raccogliendo le pressioni del generale Eisenhower, chiuse un accordo strategico con Lucky Luciano per garantirsi la copertura territoriale da parte della mafia locale nello sbarco dei marines, per liberare l’Europa dai nazisti. Lì si misero le fondamenta dell’accordo Stato-Mafie, e la criminalità organizzata venne promossa e accolta all’interno del mondo finanziario globale delle banche. Tutto ciò che oggi succede, e a noi sembra una novità, è semplicemente una logica conseguenza di scelte strategiche planetarie condotte e realizzate allora. Da lì, dalla Sicilia, a metà degli anni ’40 si posero le prime pietre del nuovo ordine mondiale che si sarebbe dovuto costruire sulle ceneri dell’impero tedesco hitleriano: un mondo suddiviso in zone di influenza e di competenza, gestito da un’oligarchia nascosta e clandestina che avrebbe potuto usare la criminalità organizzata come proprio braccio armato, vero e proprio esercito consolidato nel territorio, in rappresentanza dei colossi finanziari appartenenti alle grandi dinastie del privilegio.    Ma già nel 1946, i siciliani, tutto ciò l’avevano capito. Così come avevano capito che l’avanguardia della lotta passava attraverso la lotta cruenta contro il latifondo e lo sfruttamento da parte dei padroni agrari. E lì, il nuovo potere democristiano al servizio dell’America business che investiva sull’Italia serva (il piano Marshall) usò subito la mafia come proprio braccio armato anti-sindacale. La strage di Portella delle Ginestre rimarrà sempre impressa nella memoria collettiva della nazione Italia, come la punta dell’iceberg delle intenzioni dei nuovi custodi dello status quo. Eppure, quelle vittime innocenti, autentici martiri di una lotta appena agli albori, non fu vana. Perché partì proprio dalla Sicilia l’inizio istituzionale del miracolo economico italiano. Fu nel febbraio del 1951, dopo un lunghissimo e franco colloquio tra Alcide De Gasperi e il sindacalista Giuseppe Di Vittorio, che il leader democristiano si rese conto che l’Italia non sarebbe mai potuta entrare nella modernità se prima non fosse stata varata una gigantesca (e autentica) riforma agraria. E decise di accogliere il piano prospettato dai siciliani. Furono le lotte dei contadini siciliani e dei lavoratori edili a Gela, nel siracusano, nel messinese, che protestavano contro lo strapotere della nuova industria del cemento e del mattone, a dare il via alle grandi rivolte sindacali che poi infiammarono il paese, portando la nazione alla conquista di evoluti risultati nel campo del sacrosanto Diritto del Lavoro e Diritto al Lavoro. E fu sempre in Sicilia che iniziò la denuncia del consociativismo tra classe politica e mafia, di cui Pio La Torre prima, e Claudio Fava poi, divennero gli emblemi, entrambi assassinati. E fu lì, in Sicilia, il luogo in cui il nuovo ordine mondiale chiarì subito agli albori degli anni’70 –come mònito alla classe degli intellettuali e ai professionisti dei media- che i giornalisti ficcanaso che invece di aderire alle consegne dei partiti intendevano denunciarne la complicità con la mafia, sarebbero tutti finiti come Mauro de Mauro e nel decennio susseguente come Mauro Rostagno.  Lì avvenne la prima rivolta contro la dittatura del partitismo, già a metà degli anni’80, e per l’ennesima volta fu la mafia a prestare il proprio braccio militare per soffocare la rivolta nel sangue. E in Sicilia nacque l’humus che avrebbe poi determinato l’esplosione di tangentopoli, perché lì si inceppò il sistema, grazie alla centinaia di inchieste aperte dai siculi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che dal 1982 cominciarono a pestare senza tregua la corruzione locale, di cui scoprirono i tentacoli nelle affluenze derivate del settentrione, e ancora oltre. Senza i faldoni e i dossier delle loro precedenti inchieste, la Procura della Repubblica di Milano avrebbe potuto fare poco o nulla. Non è certo un caso fortuito che per Licio Gelli e la mala pianta dei piduisti fosse di strategica rilevanza promuovere subito ai più alti livelli “certi siciliani”.
Perché la Sicilia deve essere sempre “bonificata” prima, e i siciliani devono stare sotto il tallone di ferro proprio per impedire che germoglino, che prolifichino, che producano Cultura: è troppo forte la ricchezza del dna culturale locale, viene troppo da lontano e non può più essere sradicata, va semplicemente repressa e addormentata. E così, si sono susseguiti negli ultimi venti anni dei semplici ragionieri caporali, veri e propri “comandamenti” il cui compito consisteva nell’espoliare l’isola di ogni risorsa,  promuovere la nuova generazione criminale dentro al polmone finanziario settentrionale ed entrare in parlamento con gli avvocati siciliani per disossarlo di ogni funzione, in pratica abolendo ogni attività utile alla collettività.
Fino alla primavera del 2012.
Lì è di nuovo cambiato tutto.

Quando Mario Draghi ha ricevuto –in strettissimo riserbo- il rapporto confidenziale di Fitch e Standard & Poor’s in cui gli spiegavano che la Sicilia stava fallendo e la dichiarazione ufficiale del suo default avrebbe comportato una immediata reazione a catena sui mercati finanziari, prima quelli italiani,  la settimana dopo sarebbe toccato all’intera Europa. In poche settimane avrebbe finito per travolgere il continente: un buco di ben 9 miliardi di euro non sanabile.
Non sono riusciti a metterci una pezza.

Non è più possibile metterla, la pezza.
Hanno semplicemente rimandato la data.
La Sicilia, dallo scorso marzo, è già “tecnicamente” andata in default molto più profondamente della stessa Grecia, e gli analisti finanziari ne sono ben consapevoli.

E’ per questo che hanno indetto le elezioni: sono un referendum per cercare di capire “quanto” e “come” e “fino a dove” il popolo che vota ha capito il reale stato della situazione reale. Per sapere fino a dove possono arrivare impunemente.

Chiunque vinca tra Miccichè, Musumeci e Crocetta, sarà irrilevante, sono intercambiabili. Vincerà sempre e comunque Lombardo, il Grande Tessitore di sintesi in grado di saper interpretare e gestire gli interessi della BCE, dei grandi colossi finanziari, dell’attuale governo, dell’oligarchia fondiaria, dei rentier  parassitari siciliani e la criminalità organizzata delle grandi famiglie mafiose.

Ma se vince Grillo, l’onda d’urto la si sentirà fino alla Marmolada e fino alla cima del Monte Bianco.
Non perché Grillo, nel caso vincesse, abbia la benché minima possibilità di risolvere subito gli irrisolvibili problemi della Sicilia attuale, quanto piuttosto per il fatto che farà da diga, e l’ennesima emorragia sarà evitata, ai siciliani prima, e dopo qualche mese al resto del paese.
Non tanto per ciò che c’è nel programma di Beppe Grillo, quanto piuttosto per ciò che non c’è. Quello, davvero conta, e fa la differenza. Perché è la prima volta nella storia della Sicilia moderna che un leader politico e il movimento che lui rappresenta non offrono nulla. Perché sanno che non c’è nulla da offrire.
Chi vota per Grillo non otterrà mai neppure uno straccio di lavoro, nessun grillino, infatti, ha proposto lo scambio attraverso i suoi clientes. Ma se vincono gli altri, non ci sarà comunque uno straccio di lavoro per nessuno, perché nessuno tra Musumerci, Miccichè e Crocetta è in grado di mantenere neppure una delle promesse fatte in campagna elettorale, e niente di ciò che loro dicono ha un qualsivoglia legame con l’autentica realtà siciliana.
Da questo punto di vista, la crisi economica gioca a favore di un clamoroso esito elettorale. A Roma, e a Bruxelles, i soliti soldi a perdere, in cambio di voti, non ci sono più.
Non solo.
Inizieranno i licenziamenti a raffica, pena l’ufficiale commissariamento da parte dell’Europa, nel caso non lo voglia fare il governo nazionale.
E’ un’occasione storica da non perdere.
Chi pensa che votando per un certo candidato riuscirà comunque a ottenere anche un esiguo profitto o qualche vantaggio di posizione o un lavoro, ha fatto molto male i suoi conti. Nessuno avrà nulla.
I candidati, ad esclusione di Beppe Grillo, sono semplici esecutori fallimentari che devono esercitare una loro precisa e specifica competenza ai danni della popolazione siciliana.

Se il popolo siciliano avrà questa consapevolezza, potrà godere di una libertà che non ha mai potuto esercitare dal 1946, sempre ricattati nel nome del bisogno, sempre illusi nel nome di una prospettiva, sempre ammaliati con il ricatto di una possibilità, di una speranza, di un forse domani. Non c’è nessun domani.
Lo scorso giugno Lombardo ha ottenuto 456 milioni di euro che sono serviti soltanto a pagare il 56% degli interessi passivi aggiunti e garantire la tenuta degli stipendi.
I conti veri (e su questo la BCE è molto attenta) son ben altri. E li dovranno trovare a Roma, dove useranno il solito giochino dell’odio anti-meridionalista per giustificare una necessaria manovra suppletiva per scadenze inderogabili, dato che ci sono almeno dieci colossi finanziari che vantano crediti per miliardi di euro e non intendono certo rinunciarci.

E’ una occasione unica per i siciliani per dare una spallata e regalare al resto d’Italia il “la” al paese continentale. Perché la Sicilia è sempre avanguardia in Italia. Perché la Sicilia ci ha regalato nel secolo scorso, certamente non a caso, tre giganti del pensiero e della Cultura, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo e Leonardo Sciascia. La poesia e la narrativa esistenziale è nata in Sicilia, prima con la tragedia greca, poi attraverso Jacopo nel medioevo e infine attraverso la rifondazione del romanzo e della poesia. La Sicilia è inoltre l’unica regione italiana dove c’è stato un imprenditore indipendente nel campo editoriale che ha messo su (dal nulla) un’impresa autonoma con i propri soldi e ha sfondato sul mercato senza mai cedere: Elvira Sellerio. In tutte le altre regioni, quelli che hanno avuto successo, dopo un po’ hanno ceduto, mantenendo soltanto il marchio ma vendendo le quote a Rizzoli o a Mondadori, la grande industria culturale responsabile della narcolessia massificata omologata.

E’ l’argomentazione sloganistica usata da Beppe Grillo nel corso della sua campagna elettorale, che fa la differenza.

Se n’è andato in giro per l’isola a dire a tutti “votate per voi”, ricordando che chi vota per lui non otterrà un bel nulla, se non la soddisfazione di aver recuperato la propria autonomia e sapere che sta facendo tremare il quartiere generale di chi gestisce il privilegio.
I siciliani hanno sempre votato per qualcuno che non faceva i loro interessi perché si sono ammalati di amnesia, dimenticando di essere sempre stati l’avanguardia della nazione, vittime della paura, della rassegnazione, dimèntichi di sé. E’ sulla paura che vince l’oligarchia. E’ su questa paura che investono, speculano e lucrano passando all’incasso.
Se in Sicilia vince uno dei soliti, il risultato verrà interpretato, gestito, e usato come semaforo verde per seguitare a organizzare un sistema scientifico di espoliazione di ogni minima risorsa rimasta ancora disponibile. E verrà considerato come un grande applauso nei confronti della classe “superiore” (così pensano di essere) da parte della classe “inferiore” (così pensano che i siciliani siano).

I siciliani hanno la possibilità di lanciare un segnale forte.
Di regalare un’utopia e un progetto al resto dell’Italia, di illuminare la strada per il resto degli italiani, come hanno sempre fatto.

Siciliani,  voi sapete come si fa, visto che fa parte della vostra Cultura.

E illuminateci a tutti.

L’Italia sta veramente nel buio pesto.
Si ascoltano voci delle più strane categorie urlare dentro un tunnel oscuro, ammaliati e ipnotizzati dal miraggio di una luce in fondo, che sanno tutti non è mai esistita e non c’è.

Abbiamo bisogno di un terremoto culturale, come quello che ci avete regalato a suo tempo con Luigi, Salvatore e Leonardo.

Restiamo in attesa.

Ne abbiamo davvero bisogno tutti, come nazione e come Stato.