mercoledì 22 luglio 2009

Luigi Amicone, uno di noi. - Di Andrea Scanzi.


Durante questa settimana non è successo molto.
Dario Franceschini si è accorto che esiste il conflitto di interessi, Debora Serracchiani si è accorta di essere la Serracchiani e Antonio Socci si è frantumato l’ulna con un piccone (per sentirsi più vicino a Papa Ratzinger).
A parte questo, la mia vita è stata illuminata da Luigi Amicone.
Quanto tempo ho sprecato. Per anni - me tapino - ho creduto di dovermi ispirare a Indro Montanelli, a Enzo Biagi, a Pio Pompa. Che stupido. Adesso so dove conduce il mio cammino: alla redazione di Tempi.
Frequentando - mio malgrado - persone come voi, giustizialiste e manichee, sovversive e illiberali, null’altro che grumosi insufflatori di verità liberticide, non conoscevo Luigi Amicone. Per colmare tale assenza, decisamente imperdonabile, ho mandato una mia controfigura qualche giorno fa a La7. Sapevo che, in studio, ci sarebbe stato anche lui. Intendevo conoscerlo, toccarlo con mano. Luigi Amicone, la mia Madonna di Medjugorie; il mio Zeus del giornalismo; il mio Big Jim del Nuovo Testamento.
Ora tutto mi è chiaro: la Luce risiede in me. Ho il terzo occhio e pure la quarta gonade. Amicone è per me come la Forza per Luke Skywalker. Sarà il mio Vessillo contro il comunismo, il baluardo ultimo in difesa dei valori cristiani: la muraglia cinese eretta a salvezza delle anime.
Chi è Luigi Amicone, chiederanno alcuni di voi, colpevolmente saturi di criminosità. La vostra ignoranza mi offende, ma è giusto che perfino voi sappiate. Anzitutto andate qui:
Amicone si illumina di immenso, punendo come una locusta biblica gli afflati fastidiosamente manettari di Marco Lillo (un anonimo portaborse di Magistratura Democratica).Ve ne innamorerete.
Chi è Luigi Amicone, dicevamo. E’ molto semplice. Luigi Amicone è il nuovo volto del centrodestra. E’ garbato, misurato, accomodante. E’ bello. E’ buono, è bravo.
Luigi Amicone è un refuso di Gianni Baget Bozzo.
Furoreggia a Telelombardia, compare a La7. Nella vita di tutti i giorni, oltre a giocare all’Inquisitore Immaginario con Giuliano Ferrara, è direttore di Tempi. A questo punto potreste domandarmi cosa sia Tempi. Risposta: boh. Non lo ha mai letto nessuno. Credo sia un settimanale cattolico, involontariamente comico. Una sorta di manifesto dei cristianisti scritto sotto i fumi di Khomeini.Titolo-tipo: “God Save Silvio”. Una rivista sobria, ecco.Ogni tanto la vendono allegata al Giornale: due miserie in un corpo solo (cit).
Luigi Amicone è un opinion maker abbacinante. La sua biografia ammalia. A 14 anni si iscrisse ad Avanguardia Operaia. Lì toccò con mano “la violenza dell’utopia, fu per me il segnale che qualcosa non funzionava”.Il suo maestro è Pier Paolo Pasolini, a cui somiglia come Hugo Maradona al fratello.
A La7 mi ha rapito con tre asserzioni:
1 - Il Pd deve rimpiangere la Bicamerale2 - Grillo e Travaglio sono birichini3 - No ai “bastoni metaforici”.
Parole colme di saggezza. Ascoltandolo ho maledetto tutti questi anni. Li ho buttati via, pigramente criogenizzato in un loft di Nicola Latorre, cresciuto con la chimera massimalista secondo cui l’erede di Che Guevara fosse Cesare Salvi.
Quanto tempo ho perduto.
Ho analizzato, con approccio idolatrante, il Verbo di Luigi Amicone. L’ho fatto mio. E intendo condividerlo con voi (anche se non lo meritereste).Studiatelo a scuola, vestitevi come lui, pensate come lui.
Siate amiconi di voi stessi.

Sia fatta la sua volontà.

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/07/20/luigi-amicone-uno-di-noi/

CHI E' TARAK BEN AMMAR, LA"FONTE" DI BERLUSCONI?

Chi è Tarak Ben Ammar, la "fonte" delle informazioni che Berlusconi ha dato alla magistratura sull'affare Unipol/BNL? E' un amico di Berlusconi, ha fatto affari con il Cavaliere, è stato anche nel Consiglio di amministrazione della Mediaset ed è stato definito dalla Presidenza del Consiglio il "personaggio del mese" nell'aprile del 2005 (vedi il documento). Quello che segue è un dossier minimo.

Notiziario speciale per la Presidenza del Consiglio IL PERSONAGGIO DEL MESE APRILE 2005
TARAK BEN AMMAR, IL GRANDE NEGOZIATORE CHE FA PARLARE IL MONDO DELLA FINANZA E DELL'IMPRESA .
Produttore cinematografico, imprenditore televisivo nel digitale terrestre, distributore di film d'autore, tra cui ''The Passion'' di Mel Gibson, consigliere d'amministrazione di istituti di assoluto prestigio quali Mediobanca. Tarak Ben Ammar, l'imprenditore franco-tunisino che divide il suo tempo tra Parigi, Roma e Milano e' diventato un punto di riferimento anche per l'industria che gravita sul Lazio da quando e' entrato a far parte della giunta della Confindustria regionale come personaggio rappresentantivo della realta' economica legata alla comunicazione. Ed e' appena tornato alla ribalta mediatica in ragione della sua antica amicizia con Silvio Berlusconi, che lo ha portato per un periodo anche nel cda di Mediaset: E' intervenuto infatti nella ricerca di investitori stranieri interessati alla recente offerta del 16,68% delle azioni del gruppo televisivo privato messe sul mercato da Fininvest. ''Si' ho avuto un ruolo nell'operazione'', ha detto spiegando di avere individuato ''un paio di investitori nei paesi dove opero'' e cioe' Francia e America. ''Non ho fatto altro -racconta- che proseguire lungo una strada nella quale ho creduto dal 1995'' quando cioe' l'azienda televisiva sbarco' in Borsa. ''Chi ha investito in Mediaset ha fatto un buon affare: 1 euro investito nel 1995, oggi ne vale 5''.
Del resto intessere rapporti con imprenditori e finanzieri e il farli parlare tra loro e' nel dna di un uomo che per alcuni, al di la' della sua esperienza nel cinema, e' la sintesi perfetta del 'negoziatore'. Porto' in Italia e in Mediaset il principe saudita Bin Talal Al Waalid, il magnate tedesco Leo Kirch e anche il tycoon australiano Rupert Murdoch, di cui e' stato a lungo consigliere per l'Europa e che ha aiutato a chiudere la partita di Sky Italia, la pay tv nata sotto le insegne di News Corporation dalla fusione di Stream e Telepiu'. E, ancora, due anni fa ha condotto in porto l'ingresso del finanziere bretone Vincent Bollore' in Mediobanca chiudendo di fatto quella che e' stata chiamata senza mezzi termini la 'guerra' di Piazzetta Cuccia. Il tutto creando ''valore per gli azionisti'', come ama ripetere...


Continua......

http://www.uonna.it/tarak-ben-ammar-scheda.htm

martedì 21 luglio 2009

A qualcuno fa ancora paura.



Paolo Borsellino, a qualcuno, fa ancora paura.

Il messaggio lanciato da quell’agenda rossa che in tanti terranno in pugno il 18 e 19 Luglio, sfilando nel cuore di Palermo nel nome del magistrato assassinato 17 anni fa con i cinque agenti di scorta, è insieme un simbolo e una richiesta di verità. Quell’agenda rossa, sulla quale Paolo Borsellino annotava giorno per giorno appuntamenti, riflessioni, nomi, nella sua spasmodica corsa contro il tempo e la morte, che sentiva vicina, per riuscire a scoprire gli autori del massacro di Capaci, ma soprattutto se e chi a ogni livello, anche esterno a Cosa Nostra, aveva voluto distruggere il genio investigativo, l’esperienza del suo amico Giovanni, insieme con l’eredità pur “normalizzata” del pool antimafia di Palermo. Quell’agenda da cui non si separava mai, che aveva con sé in una borsa rimasta intatta nella devastante esplosione in Via D’Amelio, fotografata nelle mani di un ufficiale dei carabinieri e poi misteriosamente svanita, senza che la Giustizia abbia fatto luce sul dove e perché sia scomparsa, in quale cassaforte sia finita.Ora le procure di Caltanissetta e di Palermo hanno riaperto ufficialmente le indagini su quelle stragi, ipotizzando ciò che in ben tre processi si era intravisto, cioè il coinvolgimento diretto negli attentati di uomini degli apparati di sicurezza dello Stato, con moventi ancora non definiti, ma risalenti ad ambienti esterni e con motivazioni diverse da quelle che mossero Riina e i capi di Cosa Nostra. La condanna definitiva all’ergastolo di organizzatori ed esecutori non ha messo dunque la parola “fine” alle inchieste giudiziarie, che si saldano invece con le inchieste in corso sulla trattativa che apparati dello Stato aprirono con i capi di Cosa Nostra, confermata ora da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo che di quella trattativa fu tramite e testimone.Chi ha in mano quell’agenda, come gli appunti informatici di Giovanni Falcone mai venuti interamente alla luce, ora ha un motivo in più per preoccuparsi, ben oltre l’instancabile impegno di denuncia e di richiesta della verità da parte della famiglia Borsellino, delle associazioni antimafia, di magistrati in prima linea che condivisero la battaglia di Falcone e Borsellino.Nonostante l’indifferenza dei media, stampati e televisivi, che per anni, come peraltro sta di nuovo avvenendo, hanno distrattamente acceso la luce sui sanguinosi eventi siciliani, che hanno segnato la storia della Repubblica e determinato almeno in parte l’attuale quadro politico e civile, solo in occasione delle commemorazioni , senza scavare sui tanti punti oscuri delle indagini. Che giornali e TG abbiano lasciato nel silenzio e nell’indifferenza l’opinione pubblica, preferendo la facile alternativa dei delitti di cronaca nera, su una scia emozionale e consumistica che ha riempito i televisori e l’immaginario degli italiani da Cogne a Erba, a Garlasco, a Perugia, fino agli stupri di modello “etnico” che tanto hanno pesato nel dibattito sulla sicurezza e sull’opinione pubblica, è una vergogna che peserà a lungo sul Paese, ma anche sulla dignità professionale e sulla formazione etica del giornalismo italiano…Ora è arrivato il momento di andare fino in fondo, di riprendere i tanti fili finora mai seguiti, le contraddizioni e le coperture nelle indagini sulle stragi e sul patto scellerato che, almeno nella interpretazione dei “corleonesi”, doveva essere realizzato con lo Stato o chi diceva di rappresentarlo. Vicende in cui compare l’ombra, ma anche la fisica presenza dei Servizi. A nome di chi agivano quegli uomini, che interessi coprivano, quali erano i loro obiettivi? Quale il loro vero ruolo nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, come in quelle successive che insanguinarono Roma, Firenze e Milano? Rai News 24, che dirigevo, cercò nel 2000 di fare il proprio dovere e quello del Servizio Pubblico, trasmettendo in splendida (e aziendalmente forzata) solitudine l’ultima intervista televisiva di Paolo Borsellino. Due giorni dopo di quella intervista Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta saltarono in aria a Capaci e due mesi dopo, con una incredibile e tuttora inspiegabile accelerazione, fu la volta di Paolo Borsellino. Quella cassetta, che ci era stata data da Fiammetta, figlia di Paolo Borsellino, è stata vista e discussa nei processi sulle stragi. Il suo contenuto è dunque di straordinario interesse giudiziario, giornalistico e umano, oggi anzi ancora più attuale, ma la Rai non l’ha più trasmessa.

Non è l’ora che il Servizio Pubblico ci ripensi?


MAFIA: STRAGI DEL '92-'93, COMMISSIONE ANTIMAFIA DECIDE UN'INCHIESTA

- Dopo più di due ore di discussione, l'ufficio di presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia ha deciso di avviare un'inchiesta sulle stragi del '92-'93 alla luce dei nuovi fatti e delle acquisizioni recentemente emerse con particolare riferimento al possibile "patto" tra Stato e mafia. Relatore dell'inchiesta - secondo quanto si è appreso - dovrebbe essere lo stesso presidente della commissione, Beppe Pisanu (Pdl). Nei giorni scorsi erano stati il vicepresidente dell' Antimafia Fabio Granata (Pdl) e il capogruppo del Pd Laura Garavini a formalizzare la richiesta di avviare un'inchiesta e di attivare i poteri previsti nella legge istitutiva. La riunione per definire un primo calendario delle audizioni dovrebbe tenersi prima della pausa estiva. Orientativamente i primi ad essere ascoltati dovrebbero essere i magistrati che seguono le inchieste e cioé il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e il procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta Sergio Lari.
MARTELLI, RIINA? PARADOSSALE, MA CI SONO ELEMENTI VERI - E' "paradossale" che Totò Riina scarichi su pezzi dello Stato responsabilità che sono sue, ma la strategia dell'ex capomafia è "insidiosa" poiché contiene elementi di verità. Claudio Martelli, ministro della della Giustizia al tempo delle stragi di Capaci e di via d'Amelio, ripercorre quel periodo in una intervista al periodico 'Liberal'. "C'é un aspetto paradossale - dice Martelli - nel fatto che il capo dei capi di Cosa nostra" accusi lo Stato di "eccidi che vengono imputati a lui". Qualcosa "che dovrebbe indurre a pensare che la fonte di questi sospetti è più che sospetta". Fatta questa premessa, sottolinea l'ex esponente socialista, "riconosco che la strategia di Riina è insidiosa, perché ricostruisce un insieme utilizzando elementi parziali, collocandoli in modo da indurre ragionevoli sospetti". Nel '92, all'indomani della strage di Capaci, ricorda Martelli, "il governo e in particolare il ministro della Giustizia, ossia il sottoscritto e il ministro degli Interni, Enzo Scotti sono impegnati in uno scontro frontale con la mafia". Ma, aggiunge, "c'erano altre parti di Stato che viceversa pensavano che le cose si potevano aggiustare se per un verso la mafia rinunciava alla strategia terroristica e dall'altro parte lo Stato si toglieva dalla testa di portare il colpo decisivo a Cosa nostra". A dimostrazione di ciò, prosegue Martelli, c'é il fatto che "Ciancimino, un pezzo di mafia, si muove in questa direzione. Parla con il colonnello Mori e col capitano De Donno. Elaborano degli scenari per ottenere l'arresto di Totò Riina". La "sfumatura scivolosa", per l'ex ministro, sta nel fatto che "c'é un elemento politico" che fa "drizzare le orecchie" e cioé il fatto che "in quel clima qualcuno pensa di togliere Scotti dagli Interni" riuscendovi visto che "va alla Farnesina", ma anche di "togliere Martelli dalla Giustizia, ma Martelli dice di no". Insomma, in quelle settimane "movimenti ce ne sono, ma - sostiene l'ex Guardasigilli - Riina usa in modo infame e strumentale questi fatti perché si dimentica che Martelli, Scotti e dopo di lui Mancino e i carabinieri, Ros compreso, avevano un piccolo particolare in comune: la sua cattura. Che ottengono dopo vent'anni di latitanza". In questo contesto, aggiunge, "che carabinieri e servizi segreti abbiano fatto sventolare le ipotesi di trattativa con la mafia fingendo di patteggiare ci può stare, fa parte della strategia". Ecco perché, sottolinea, parlare di una "contrapposizione frontale del partito della trattativa e di quello della durezza mi sembra un andare fuori strada". Martelli, infine, scarta l'ipotesi di un complotto internazionale dietro la strategia degli attentati; tesi sostenuta da Paolo Cirino Pomicino. "La mafia - sostiene l'ex ministro socialista - è stata attrice di quella stagione politica" che arriva fino alla scomparsa della Prima Repubblica. "Non c'é stato un indistinto complotto internazionale: chi crede a queste ipotesi sono persone come Cirino Pomicino, che non si dà pace di quello che è accaduto e sente il bisogno di evocare un'entità sempre più strana internazionale".

http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_1619551344.html

lunedì 20 luglio 2009

Mancò poco che spezzassi il polso a Papi .

Sul Sunday Times è stato pubblicato un paragrafo (rilanciato da Dagospia) del nuovo pamphlet di Gomez, Lillo e Travaglio, l'instant book "Papi" (ed. Chiarelettere). A parlare è una di quelle decine di ragazze che la confraternita di papponi che accerchia il premier Berlusconi procurava per il diletto del Capo, in questo caso in occasione del Capodanno 2008. Il suo nome fittizio è Sandra, ma anche lei è campana, come Noemi e tante altre ragazze del "giro". Se questa è la premessa, sia che si sia amanti del "gossip" estivo, sia che si ritenga che Papi Silvio in qualità di ricattato politico debba dimettersi, il libro sembra davvero imperdibile.
«MANCÒ POCO CHE GLI SPEZZASSI IL POLSO...»
Una delle ragazze presenti ai party di Papi ce li ha raccontati, visti dall'interno. La chiameremo Sandra, perché ci ha chiesto l'anonimato. Sandra lo ricorda bene il Capodanno del 2008 a Villa Certosa.
L'anno vecchio se ne andava via senza lasciare in lei grandi ricordi. Liscio e incolore come una tavola di plexiglass, senza picchi né increspature. A ventiquattro anni, questa bella ragazza campana ansiosa di sfondare nel mondo dello spettacolo restava ancora a metà del guado. La solita palude di concorsi di bellezza e piccoli lavoretti come hostess.
E l'anno nuovo non prometteva granché: altri mesi di umilianti anticamere sull'uscio dello show business. Sandra rimaneva e sarebbe rimasta una delle tante «ragazze immagine» che accendono di luce effimera le notti dei potenti italiani. Forse per sempre. In televisione aveva strappato qualche comparsata, ma non era certo con i compensi simbolici di una piccola emittente locale che poteva mantenersi.
Nel suo bilancio la voce più sostanziosa restava quella delle serate. La chiamavano per ballare nei templi del divertimento, dal «Billionaire» di Briatore, in Costa Smeralda, al «Pascià» di Rimini: 1500 euro a serata per essere «carina» con i ragazzi che le offrivano da bere o la invitavano a ballare. Niente di più e niente di meno. Tutto previsto nella sua paga. Qualche extra arrivava dalle feste private, dove magari capitava di conoscere qualche tipo utile o interessante, che poi in fondo è la stessa cosa per quelle come lei.
Così, quando le propongono di trascorrere il Capodanno del 2008 in Sardegna, Sandra accetta subito entusiasta, annullando un precedente impegno. L'offerta è allettante: «Una serata al Billionaire, una festa privata per 1500 euro, viaggio aereo incluso. Non ti capiterà più un'occasione simile». Parole sante. Vorrebbe saperne di più, ma in questi casi è meglio non fare troppe domande. E poi non c'è molto tempo per fare la schizzinosa. Prendere o lasciare.
Tutto è stato organizzato in fretta e furia. Le hanno pure chiesto di portare un paio di «colleghe» per fare numero: «Perché lì più ragazze porti e meglio è». E così fa. Nessuna selezione, un po' come un appuntamento al buio. Ma se la sente di coinvolgere le amiche, perché l'offerta viene da una del giro alto: sempre lei l'Ape Regina, la Began.
Quando ha chiesto a Sandra di seguirla in Sardegna, Sabina non le ha rivelato il nome del padrone di casa. Ma le modalità della trasferta fanno pensare a qualcuno di molto, ma davvero molto importante: a occhio e croce, un sultano o almeno un oligarca russo. Sandra comincia a intuire qualcosa quando arriva a Ciampino.
All'aeroporto la indirizzano verso un aereo con impresse le insegne del Biscione. A bordo ci sono decine di ragazze, molte arruolate come lei con un compenso giornaliero. Altre, invece, sembrano habituées e si muovono a proprio agio: «L'unica che mi rivolse la parola fu la vincitrice del reality Uno, due, tre... stalla! Imma Di Ninni: "È la prima volta che vieni?". Le risposi di sì, ma pensavo ancora al Billionaire...».
All'arrivo a Olbia, la mattina del 31 dicembre 2007, le auto del servizio di sicurezza prelevano le decine di ragazze per accompagnarle direttamente nei loro alloggi. Intorno alla Villa Certosa, il Cavaliere dispone di una serie di villette. Qui vengono dislocate le ragazze, in gruppi di cinque o sei. Le più coccolate finiscono nella residenza di Paolo Berlusconi, che trascorre altrove il Capodanno.
Ma tutto questo Sandra ancora non lo sa. Le uniche presenze maschili, oltre agli uomini dello staff del presidente, sono Mariano Apicella e Guido De Angelis, l'ex cantante degli Oliver Onions (famosi per la sigla del Sandokan televisivo) divenuto produttore cinematografico.
La dépendance di Sandra è davvero elegante: la ragazza ammira i soffitti in legno, l'argenteria disseminata per tutta la casa, l'arredamento fresco e raffinato, la piscina riscaldata, il parco tutt'intorno, e pensa di essere finita nella villa di un uomo davvero molto ricco.
La notte precedente ha fatto le ore piccole in discoteca e si butta sul letto per un pisolino. Ma, quando sta per addormentarsi, viene ridestata da una voce molto nota. Dalla porta si affaccia: è Silvio Berlusconi. Lei non crede ai suoi occhi, sulle prime pensa a un bravo imitatore. L'uomo ha i lineamenti, i modi e la voce del leader di Forza Italia, ma tutto più marcato rispetto al personaggio che ha conosciuto e talvolta apprezzato guardandolo in televisione:
"Aveva il volto colorato da una crema che sembrava autoabbronzante e gli tingeva anche le mani, facendole sembrare unte. I tacchi erano alti davvero come dicono quelli che lo prendono in giro. E aveva in mano una busta piena di gioielli".
Sorridente come una befana generosa con le bambine all'Epifania, Papi Silvio dona subito a ciascuna ragazza un anello d'argento forato con incastonata una grossa pietra di onice, e due bracciali con la tartarughina: «È il simbolo di Villa Certosa», ci disse allargando il suo sorriso e togliendosi gli occhiali da sole: aveva gli occhi molto piccoli rispetto aquello che avevo visto in tv, ma era proprio lui".
Le cronache di quei giorni, in effetti, raccontano di una fastidiosa congiuntivite che ha colpito il Cavaliere. Più tardi, ancora regali: un anello e un bracciale d'oro sottile e una collana con una farfalla di pietre come pendaglio. A quelle che si dimostrano «più carine» con lui, il futuro premier dona altri gioielli più consistenti.
A tutte le ospiti, subito dopo i convenevoli di rito, dice: «Preparatevi presto: si va a mangiare e ballare in pizzeria». In un'ala del parco di Villa Certosa è già tutto pronto. Il cuoco Michele sforna prelibatezze à gogo e Silvio canta accompagnato dal fido Apicella. A un tratto, come morse da una tarantola collettiva, tutte le ragazze si alzano e cominciano a ballare intorno al Cavaliere. Lui, al settimo cielo, canta, balla e familiarizza.
Sandra, dapprincipio, deve stargli proprio simpatica, tant'è che lui la fa accomodare accanto a sé sulla sua macchinetta elettrica, tipica dei golfisti. Dietro al corteo surreale delle minicar, il grande capo Papi mostra alle ragazze i segreti del parco: l'anfiteatro, la collezione di cactus, le migliaia di hibiscus, il lago delle palme, le 85 diverse erbe officinali dell'«orto della salute».
Le ragazze tra di loro non parlano. Non c'era molto tempo e poi «gli uomini della sicurezza, che giravano sempre con le armi in mano, ti si avvicinavano appena facevi capannello». Ma Sandra ricorda bene alcuni volti: "Oltre a Imma Di Ninni, c'erano molte delle partecipanti al reality che lei ha vinto, come le gemelline Ferrera. C'era anche Siria del GrandeFratello, allora non era famosa, e mi ricordo che si alzò a tavola per fare un ringraziamento a Silvio Berlusconi per la sua generosità. C'era pure Camilla Ferranti, quella che lui raccomandava a Saccà per farla lavorare in Rai".
Sono trascorse poche settimane dallo scandalo sollevato dall'inchiesta di Napoli sulle telefonate Berlusconi-Saccà: «A Villa Certosa si rideva di questa cosa. Lui ci disse: "Visto che mi tocca fare per farvi lavorare?". E giù tutte a ridere». Qualcuna addirittura applaude.
Tra le ospiti, ovviamente, c'è l'Ape Regina. Ma Villa Certosa non è soltanto luogo di bagordi e baldorie, donne in topless e premier nudi immortalati dal fotografo Zappadu. C'è il momento del piacere, ma anche quello del dovere. Così, quel 31 dicembre 2007, dalle ore 15 alle 17, ecco la lezione di politica, tenuta dal Cavalier Papi in persona.
Le ragazze vengono accompagnate con le auto elettriche dalle loro casette fino al salone centrale della villa. Due ore scarse zeppe di battutine e barzellette: «Tutte ridevamo per farlo contento», ricorda Sandra. Di veramente politico, la ragazza rammenta soltanto le immancabili critiche del Cavaliere al Pd, le parole sulle «prossime elezioni» perché «ora faremo cadere Prodi» e il disprezzo per l'alleato Gianfranco Fini, «un fascistone incapace di mediare». E poi lunghi intermezzi con Berlusconi che si trastulla con uno strano temperamatite parlante e gemente:
"Era un omino di gomma colorata con i pantaloni abbassati sul di dietro. La matita si infilava proprio lì: quando lui ruotava il lapis, il pupazzetto si lamentava e lui rideva come un pazzo. Sembrava di essere in una puntata di Csi con il classico schizofrenico...".
Subito dopo la «politica secondo Berlusconi», per le ragazze arriva il momento tanto atteso dello shopping, in vista del cenone e dei fuochi d'artificio. Gli uomini della sicurezza le accompagnano tutte a Olbia in un centro commerciale, dove le aspiranti Pretty Woman si scatenano: una corsa all'acquisto del capo esclusivo fino a 2000 euro, succhiando direttamente dalla carta di credito di Papi Silvio.
Lo chiamano quasi tutte così, come racconterà Barbara Montereale, la «ragazza immagine» barese che sbarcherà in Sardegna nel gennaio del 2009 e se ne tornerà a Bari tutta soddisfatta, con la sua busta imbottita di banconote: 10mila euro in contanti, gentile omaggio di Papi.
Invece Sandra, un anno prima, ci rimane proprio male. Le avevano promesso 1500 euro al giorno, ma gliene danno solo 1000, perché ha chiesto di andarsene via subito: "La Began mi disse che lui si era lamentato perché ero stata «scortese,poco carina nei suoi confronti». Penso si riferisse al fatto che, appena ha tentato di allungare le mani, come aveva appena fatto con le altre, io l'ho respinto bruscamente. Stavo quasi per fratturargli il polso...".
Perché lui è fatto così, affettuoso con le sue ospiti che ballano intorno a lui, felice di respirare, sfiorare e talvolta anche toccare la loro giovinezza. Come durante la cena di fine anno, quando tutti gli ospiti, cinquanta donne più Apicella e il cantante-produttore De Angelis, siedono tutti attorno allo stesso tavolo. A turno le ragazze in abiti mozzafiato si esibiscono - direbbe Veronica - per il «divertimento dell'Imperatore». Prima prendono il microfono per una dedica a Papi, poi ciascuna si scatena con la propria performance:
"Mi sono rimaste impresse tutte quante: c'erano quelle che ballavano e si strusciavano, quelle che lo baciavano, quelle che si spogliavano, quelle che si buttavano in piscina quasi nude".
Difficile dimenticare quelle scene. Non che durante le ospitate in discoteca e le serate nei privé quegli atteggiamenti fossero una rarità, anzi: "Ma quello che è successo a Villa Certosa non mi era mai capitato prima: ne ho viste di tutti i colori. Ogni tanto lui ne prendeva per mano una e si allontanava. A me è venuta l'ansia, perché nessuno sapeva chestavo là. Al cellulare non ti facevano parlare. La sicurezza era dappertutto con quei bazooka puntati sempre addosso mentre passeggiavi, mentre ballavi, mentre cenavi. È un ricordo bruttissimo. Il più brutto della mia vita".
Dopo cena, dunque, tutte a ballare in attesa dei venticinque minuti di fuochi pirotecnici che illuminano a giorno il golfo di Portorotondo nelle primissime ore del 2008. Tutte col naso all'insù a scattare foto con macchinette e telefonini. Nessuno le ha requisite. Ma poi le immagini, come per incanto, sono sparite dalla memoria digitale il giorno dopo. Qualcuno dev'essersi intrufolato nottetempo nelle stanze delle ragazze per cancellare ogni prova della notte con l'Imperatore, o, più probabilmente, a garantire la privacy del premier ci pensa qualche contromisura elettronica.
L'eccezione però c'è sempre. Così, sul telefono di una delle ospiti, è rimasta impressa la foto di un trenino al ritmo di samba: al centro il presidente del Consiglio, con cappellino e trombetta, stretto in mezzo a due eccitanti modelle in abiti succinti. Ma sono le scene lesbo a disgustare Sandra: ragazze che si baciano, si toccano, si spogliano. Sedici mesi prima di Veronica, è lei a indignarsi per tutte quelle «vergini che si offrono al drago»:
"Più che scandalizzata, mi son sentita proprio male: prima di andare a letto ho anche vomitato. Sapevo che il giorno dopo sarebbe partito un volo per riportare a Roma Guido De Angelis, me lo aveva confidato uno della sicurezza, un ragazzo genovese, durante gli spostamenti nel parco. Così ho detto: «O mi riportate a casa o faccio un macello»...".
E così Sandra riesce a salire su quell'aereo con le amiche che aveva portato con sé e con De Angelis, che le dà anche il suo numero di telefono. Ma quella sua fuga da Villa Certosa non passerà inosservata: segnerà la fine delle sue ambizioni nel mondo dello spettacolo. «Ho capito - dice oggi con un velo di tristezza - che la televisione è roba Sua. Da quel giorno, per me, mi sono rassegnata. Per me sarebbe stato inutile fare qualsiasi casting, perché avevo osato dirgli di no».Poco importa che sia alta e bella, che sappia ballare e parli correttamente tre lingue. Non ha esaudito i desideri del Sultano, ha gettato al vento la grande occasione, peggio per lei.
Le altre ragazze invece rimangono in villa un altro giorno ancora: stesso programma, stesso cachet. Le più care a Papi, come Sabina Began, si vantano di avere il raro privilegio di seguirlo ad Antigua, dove lui ha un'altra villa, lontano da occhi e teleobiettivi indiscreti.
Due mesi dopo, il cellulare di Sandra suona ancora. È la prova d'appello, l'ultima. Stavolta la invitano a una festa a Cortina, proprio dove uno degli altri fornitori di ragazze, Giampaolo Tarantini (lo conosceremo tra breve), è di casa. Ma lei di quel mondo non vuole più saperne. E risponde «no grazie». Addio sogni di gloria.

http://www.sconfini.eu/Politica/manco-poco-che-spezzassi-il-polso-a-papi.html

La ricostruzione in Abruzzo.

giovedì 16 Luglio 2009 (22h47) : L’Aquila - La ricostruzione parte con un dirigente indagato in Lombardia dAlessandra Lotti.

http://bellaciao.org/it/spip.php?article24533

Speculazioni e incuria dietro i crolli sospetti dell’Aquila?
LA SCHEDA: IL CURRICULUM DELL’IMPREGILO.

Manuela Rosa 09/04/2009

da:

http://www.primadanoi.it/modules/bdnews/article.php?storyid=21699

Per non dimenticare.

sabato 18 luglio 2009

Uòlter Veltroni, in arte Hammamet.


di Marco Travaglio - 17 luglio 2009

Notizie buone e meno buone dal fronte della legalità. Cominciamo da quella brutta: Paolo Cirino Pomicino non ce l’ha fatta a entrare nel Cda del Policlinico San Matteo di Pavia. Il decreto di nomina da parte del sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio pareva pronto, anche per risarcire il pover’uomo dall’inopinata esclusione dalle liste europee del Pdl in quanto sprovvisto di tette. Invece all’ultimo momento, forse per le proteste dei grillini e financo della Lega Nord, gli hanno preferito un incensurato.
Veniamo ora alle buone notizie.
La prima riguarda il vicepresidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Giuseppe Chiaravalloti, ex procuratore generale in Calabria di cui poi divenne governatore col centrodestra, quello che in una telefonata intercettata tre anni fa con la sua segretaria diceva del pm Luigi de Magistris che indagava su di lui: “Questa gliela facciamo pagare… Lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo cause civili per danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana...Saprà con chi ha a che fare... C’è quella sorta di principio di Archimede: a ogni azione corrisponde una reazione... Siamo così tanti ad avere subìto l’azione che, quando esploderà, la reazione sarà adeguata!… Vedrai, passerà gli anni suoi a difendersi”. Bene, ora Chiaravalloti è di nuovo indagato (insieme all’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, all’onorevole Pdl Giuseppe Galati e a vari politici locali) per associazione per delinquere finalizzata alla concussione, falso, riciclaggio e abuso d’ufficio per una storia di presunte tangenti e ruberie di fondi pubblici destinati a due centrali elettriche. Ma nessuno ha chiesto le sue dimissioni dalla cosiddetta Authority guidata dal professor Pizzetti, quello che ogni giorno difende il povero Berlusconi dagli attentati a mezzo flash del criminoso fotoreporter Antonello Zappadu. La Privacy resta in buone mani.Le altre buone notizie riguardano il Pd, sempre all’avanguardia quando si tratta di legalità. Massimo D’Alema, che si accinge a riprendersi il partito travestito da Bersani, gli ha allestito una bella tavolata alla Fondazione Italianieuropei con campioni di trasparenza come il presidente di Mediobanca Cesare Geronzi, imputato sia per il crac Parmalat sia per il crac Cirio; e, secondo Repubblica, sta tentando di convincere l’amico banchiere Vincenzo De Bustis - condannato a 6 mesi in primo grado nel 2006 a Teramo per la truffa della Banca 121 – per comprare la Roma Calcio. Intanto il Pd ha concesso l’iscrizione al partito a Tommaso Conte, medico napoletano residente a Stoccarda, condannato in primo e secondo grado in Germania per abusi sessuali su una giovane paziente, che poi s’è suicidata. Una cosina da niente, mica come gli ostacoli insormontabili che impediscono di dare la tessera a Beppe Grillo. In perfetta coerenza, anche Walter Veltroni ha voluto sottolineare il grande impegno del partito per la legalità: riabilitando Bottino Craxi in un convegno organizzato dalla figlia d’arte, Stefania, che ne ha subito approfittato per insolentire Veltroni (così impara). Secondo Uòlter, Craxi fu “un grande innovatore” perchè “interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando. La sua politica estera fu grande. Ci fu l’episodio di Sigonella, ma anche la scelta di tenere l’Italia nella sfera occidentale, senza intaccare l’autonomia e la dignità del Paese”. Invece Enrico Berlinguer fece “sforzi insufficienti al processo di innovazione che bisognava mettere in campo”. Ad applaudire Veltroni c’era fra gli altri l’ex ministro della Malasanità Francesco de Lorenzo, ovviamente pregiudicato. Ora, è singolare che Uòlter preferisca Craxi a Berlinguer, visto che il primo distrusse il Partito socialista (il più antico partito italiano, a cent’anni dalla nascita), mentre se il secondo è ancora in piedi, pur ridotto ai minimi termini e col nome cambiato, lo si deve a Berlinguer e non certo ai suoi indegni successori. Ed è altrettanto singolare che non abbia trovato il tempo di ricordare, così, en passant, che Berlinguer morì durante un comizio davanti a migliaia di militanti, mentre Craxi morì in Tunisia, latitante, con due mandati di cattura pendenti sul capo e due condanne definitive a 10 anni complessivi per corruzione e finanziamento illecito, più varie provvisorie. Insomma, che Berlinguer non rubava, mentre Craxi sì. Ma, anche a volersi limitare alla figura politica di Craxi, la lettura veltroniana fa acqua da tutte le parti. “Grande innovatore”? Sotto il governo Craxi (1983-‘87) il debito pubblico balzò da 400 mila a 1 milione di miliardi di lire e il rapporto debito-pil dal 70 al 92 per cento. L’industria di Stato delle Partecipazioni Statali seguitò a succhiare ettolitri di denaro pubblico, accumulando passivi da migliaia di miliardi. Anche perché Craxi bloccò la privatizzazione della Sme avviata dal presidente dell’Iri Romano Prodi, difendendo a spada tratta i “panettoni di Stato”. E impedì poi a Prodi di cedere l’Alfa Romeo alla Ford (che l’avrebbe pagata), regalandola alla Fiat. Nel 1978, durante il sequestro Moro, Craxi caldeggiò - fortunatamente invano - la trattativa tra lo Stato e le Brigate rosse, mentre Berlinguer giustamente si guidò il fronte della fermezza. “La sua politica estera fu grande”? Nel 1985 Craxi sottrasse al blitz americano di Sigonella i terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; si impegnò a farli processare in Italia; poi fece caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi e lo lasciò fuggire prima nella Jugoslavia del maresciallo Tito e di lì in Irak, gradito omaggio a Saddam Hussein. “La scelta di tenere l’Italia nella sfera occidentale, senza intaccare l’autonomia e la dignità del Paese”? Ancor più filoarabo e levantino dei democristiani, Craxi appoggiò acriticamente l’Olp, ancora ben lontana dalla svolta moderata, paragonando Arafat a Giuseppe Mazzini; spalleggiò e foraggiò il dittatore sanguinario somalo Siad Barre; e nel 1982, durante la crisi delle Falkland, si schierò addirittura con i generali argentini contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto il resto dell’Occidente. “Interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando”? Craxi fu il primo a picconare la Costituzione in vista della “grande riforma” presidenzialista e ad attaccare la magistratura, proponendo di assoggettarla al governo. Prima con i decreti Berlusconi e poi con la legge Mammì consacrò il monopolio televisivo incostituzionale dell’amico Cavaliere, che fra l’altro pagava bene, cash. Insofferente al dissenso interno, insultò Norberto Bobbio (“ha perso il senno”) ed espulse dal Psi galantuomini come Bassanini, Codignola, Enriquez Agnoletti, Leon e Veltri, per circondarsi di faccendieri come Larini, Troielli, Giallombardo, Mach di Palmstein, Parretti, Fiorini, Chiesa e Cardella, e trafficare con Licio Gelli e Roberto Calvi, amorevolmente assistito dal suo consulente giuridico Renato Squillante. Oltre a decine di “nani e ballerine”, Craxi riuscì a candidare al Parlamento Gerry Scotti e Massimo Boldi, anticipando di vent’anni il velinismo berlusconiano. E’ questa l’innovazione che Veltroni attribuisce a Craxi, anziché a Berlinguer?Nell’attesa di saperne di più, abbiamo finalmente capito in quale Africa voleva traslocare Uòlter qualche anno fa, prima di cambiare idea: ad Hammamet, in pellegrinaggio

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