sabato 26 giugno 2010

Flores d’Arcais a Napolitano: “Presidente, perchè ha nominato Brancher ministro?”


di Paolo Flores d’Arcais, il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2010


Caro Presidente, unanime è lo sdegno per il comportamento di spudorato dileggio delle istituzioni messo in atto dal neoministro Aldo Brancher, che ancora fresco di giuramento, utilizza la nuova carica non già per onorare “fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione” ma per sottrarsi a un tribunale della medesima Repubblica, cioè per calpestare e irridere il principio che è solennemente scolpito in tutte le aule di tale istituzione: “La legge è eguale per tutti”. Unanime lo sdegno, si può ben dire, visto che le critiche alla “fuga” dalla giustizia del neoministro Brancher sono esplicite anche in almeno due settori della maggioranza, quelli che fanno riferimento alla “Lega” e al presidente della Camera on. Fini e perfino in un “Giornale”.

Del resto, caro Presidente, lei sa bene che Aldo Brancher è noto alla giustizia penale italiana fin dal 1993, quando i magistrati del Pool di Milano trovano le prove di due “mazzette” da 300 milioni versate dal Brancher (braccio destro di Confalonieri alla Fininvest) al Partito socialista e al ministro liberale della sanità De Lorenzo. Lei sa bene, Presidente, che il Brancher fu condannato in primo grado e in appello, e riuscì a non scontare la condanna solo per via di una prescrizione e di una depenalizzazione nel frattempo intervenute, di cui la Cassazione dovette prendere atto. Intervenute non per grazia dello spirito santo, ma di un potere politico che aveva ormai nel proprietario della Fininvest (poi Mediaset) un “padrone” di crescente prepotenza.

Quello perciò che non possa fare a meno di chiederle, Presidente, è perché lei abbia nominato un personaggio del genere come ministro. E “ministro per l’Attuazione del federalismo”, oltretutto, ministero di pura invenzione, ministero sfacciatamente “ad personam”, visto che il ministro per il federalismo esiste già, è l’on. Bossi, il quale ha immediatamente ribadito il suo ruolo unico su tale tema.

Insomma, caro Presidente, era chiaro a lei come era chiaro a tutti che il ministero a cui Berlusconi le chiedeva di nominare Aldo Brancher era solo un “ministero di legittimo impedimento”, un ministero per potersi rifiutare – in barba alla “legge eguale per tutti” – di andare in un’aula di tribunale a difendersi da accuse assai pesanti (“appropriazione indebita”, non certo un delitto “politico” o di opinione ).

Perché, nonostante tutto ciò, lei ha deciso di nominare Brancher ministro? L’articolo 92 della Costituzione è infatti esplicito: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”. Il soggetto e protagonista costituzionale di tutto questo agire è il Presidente della Repubblica, cioè lei. Ovvio che le “proposte” che il Presidente del Consiglio avanza non si possono cassare per mero capriccio, ma ancora più ovvio che cassare si possono (e forse moralmente si devono) se per puro capriccio il capo del governo le ha avanzate, o per motivi tanto palesi quanto palesemente inconfessabili, perché costituzionalmente abietti.

Ora che Aldo Brancher fa della sua nomina l’uso per il quale quel ministero inesistente, doppio e fantasma, era stato da Berlusconi inventato (i suoi costi sono invece reali e materialissimi, prelevati “mettendo le mani in tasca agli italiani”), monta l’unanime indignazione. Tardiva, come la proverbiale chiusura delle stalle a buoi già scappati (così come apprezzabile, ma a detta degli esperti inattuabile, la nota con cui lei giudica non ammissibile questo ricorso del ministro al “legittimo impedimento”). E monca, visto che poi tutti si guardano bene dall’avanzare a lei la domanda che questo giornale, con assoluto rispetto, già le ha posto ieri con l’editoriale del direttore.

E su cui, sempre con lo stesso rispetto, crediamo doveroso insistere. È infatti sacrosanta, e adeguata alla “cosa stessa”, l’escalation lessicale che si leggeva ad esempio ieri sul più autorevole quotidiano italiano, il quale denunciava “con quali metodi e complici e violenze Silvio Berlusconi ha messo insieme il suo impero”, e “in quale abisso di degradazione sono state precipitate le nostre istituzioni”, e nel sito parlava di “uso privato delle istituzioni” e “ignominia di questa nomina”, che lei avrebbe “firmato con la morte nel cuore”.

Del resto, anche i più moderati definiscono “regime” quello berlusconiano e Umberto Eco addirittura di “colpo di Stato strisciante”. Di fronte a quella che viene dunque ormai descritta – giustamente – come vera e propria eversione, l’unica possibilità di salvezza – oltre all’impegno di milioni di cittadini, il cui “resistere, resistere, resistere” continua a manifestarsi nelle piazze, negli appelli, nei blog – è costituito dal “resistere” di tutte le istituzioni di garanzia, i cui poteri la nostra bellissima e invidiabile Costituzione ha voluto a salvaguardia delle libertà di tutti.

Tra questi, Presidente, in primo luogo i suoi poteri. Lei, tramite il suo ufficio stampa, non ha mancato di palesare irritazione profonda contro il richiamo critico che da queste pagine più volte è venuto nei suoi confronti, per l’uso a nostro giudizio minimalistico che lei ha fatto dell’articolo 74, secondo cui “il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione” (non solo dunque la palese anticostituzionalità: qualunque motivo che il Presidente ritenga seriamente argomentabile). Speriamo che in questa circostanza non risponda né con nuova irritazione né con un ancor più preoccupante silenzio.

Vede signor Presidente, a differenza di quanti dichiarano in pericolo la Repubblica, ma che ritengono che proprio per questo lei non vada in nessun modo chiamato in causa, perché costituisce l’estremo usbergo delle libertà repubblicane, io sono profondamente convinto che tacere non sarebbe sintomo di rispetto, ma semmai di disprezzo o comunque di colpevole noncuranza per ciò che lei rappresenta, l’istituzione più alta, “l’unità nazionale” nel vincolo della Costituzione. Quest’unità, questa Costituzione, sono quotidianamente profanate dall’attuale governo.

Contro tali profanazioni lei ha la possibilità di esercitare poteri spesso dalla immediata efficacia pratica, sempre dall’altissimo peso simbolico. E il peso simbolico è nella vita politica spesso decisivo. Perciò la logica, e ancor più il rispetto che porto alla sua Presidenza, mi fanno dire: o i discorsi che sempre più unanimemente sentiamo, e di cui ho citato sopra solo un autorevolissimo esempio, sono irresponsabile demagogia, oppure, se sono veri (e io credo che siano verissimi) la difesa della convivenza civile, garantita dalla nostra Repubblica grazie alla Costituzione nata dalla Resistenza, ha bisogno che lei usi pienamente dei poteri che tale Costituzione le assegna.

È già accaduto nella storia della nostra patria che il mancato esercizio di poteri legittimi abbia consentito a prepotenze illegittime di conquistare il potere, e di legalizzare così la loro illegalità – non ho certo bisogno di ricordarle l’inazione di Luigi Facta, da tutti i democratici retrospettivamente sempre condannata. Lei è di tempra completamente diversa, e per questo mi rivolgo a lei. Entro l’estate si pretenderà la sua firma ad una legge che, impedendo ai magistrati indagini efficaci su crimini gravissimi e mandando in galera i giornalisti che informano, costituisce – tecnicamente parlando – un primo elemento di fascismo vero e proprio.

Carlo Marx scriveva che nella storia le cose si ripetono sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Io non lo credo, perché sono meno ottimista. In Europa scrivono di continuo che l’Italia con Berlusconi sta vivendo nella farsa. Impedire che si trasformi in tragedia dipende da tutti noi, noi cittadini, in primo luogo, e da lei, Presidente, che per tutti gli italiani che ancora credono nella Costituzione è non a caso il “primo cittadino” .

Quando, all’inizio del suo mandato, le rivolsi una “lettera aperta” le chiesi, attraverso il suo addetto stampa, se dovessi usare il “tu” a cui eravamo abituati o il “lei” che mi sembrava più consono dato il suo nuovo ufficio. Mi fece sapere che preferiva continuassi a rivolgermi a lei con il “tu”. Così ho dunque sempre fatto.

Se ora trasgredisco, la prego di credermi che non è certo per sottolineare una distanza o una freddezza di affetto personale. Anzi, sono più che mai solidale con la fatica e l’angoscia che l’esercizio della più alta carica le costa in tempi tanto calamitosi per le libertà repubblicane. Lo faccio solo per sottolineare il rispetto con cui, da cittadino a “primo cittadino”, le rivolgo questo invito accorato e allarmato a fare uso pieno dei suoi poteri contro il “macero delle istituzioni” con cui il governo sta travolgendo il paese. Prima che sia troppo tardi.

(26 giugno 2010)


venerdì 25 giugno 2010

File audio e ricatti: il caso Favata – parte seconda



La conclusione dell'inchiesta sull'uomo che consegnò ai Berlusconi i nastri segreti di Fassino

La seconda puntata dell’inchiesta multimediale sul caso Favata. Ilfattoquotidiano.it in collaborazione con Current TV ha ricostruito il Watergate italiano: la storia del nastro dell’intercettazione segreta e non ancora depositata tra il DS Piero Fassino e l’ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte. Un file audio che sarebbe stato consegnato la viglilia di Natale del 2005 a Paolo e Silvio Berlusconi da Roberto Raffaelli, il patron dell’azienda di intercettazioni.

A raccontare con la sua voce questa storia è l’amico di Raffaelli e socio occulto di Paolo Berlusconi Fabrizio Favata, poi finito a San Vittore con l’accusa di estorsione.
Ilfattoquotidiano.it ha rimontato i colloqui tra Favata e Peter Gomez avvenuti prima dell’arresto. E la registrazione di un incontro tra il socio occulto di Paolo Berlusconi e l’avvocato
Piersilvio Cipollotti, assistente del legale del Premier Niccolò Ghedini, consegnata ai magistrati. Oggi per questi fatti Paolo Berlusconi è sotto inchiesta per ricettazione e mllantatato credito. Nulla invece si sa sulla posizione giudiziaria del Premier.

L’inchiesta è divisa in due puntate ed è a cura di Peter Gomez, Lorenzo Galeazzi, Giommaria Monti con le illustrazioni di Emanuele Fucecchi e le animazioni di Andrea Vignali.

Guarda la prima parte dell’inchiesta

Io e Favata. Di Peter Gomez

Scarica l’ordinanza di custodia cautelare ai danni di Fabrizio Favata.

L'AQUILA VOLA A ROMA



C'è anche un intervento di Giuseppe Giulietti di Atrticolo 21

Un sito internet da 8 milioni di euro, l’ultimo spreco del ministro Brambilla


Il budget per il ministero del Turismo inizialmente era stato fissato a 642.960 euro. Ne ha spesi 15,5. Tra questi 8,6 per il portale italia.it

È l’anno del turismo. Almeno per la Presidenza del Consiglio dei ministri che, nei mesi della crisi finanziaria internazionale, ha deciso l’8 maggio 2009 di creare un ministero ad hoc, farlo gestire aMichela Vittoria Brambilla, e rivedere le proprie previsioni di spesa: dagli iniziali 642.960 euro fissati con Tremonti, ai 15 milioni e mezzo finali, con un aumento di 14.892.052. Un vero e proprio successo per un ministro “senza portafoglio”. Tra le voci più interessanti per il solo “funzionamento” ci sono i 378.360 euro spesi per il solo trasporto in Italia e all’estero del ministro e dei responsabili del dicastero da maggio a dicembre (già più di metà del budget iniziale complessivo, e quattro volte gli 88.360 euro previsti), i 3 milioni di euro per “iniziative di rilancio dell’immagine dell’Italia” e i 2 milioni e 900mila susseguenti per la “struttura di missione per il rilancio dell’immagine dell’Italia”. A questi si aggiungono i 75mila euro per il funzionamento “della segreteria permanente del comitato mondiale per l’etica del turismo”, i 72.652,93 euro per uffici e interpreti, i 22mila euro per le “spese di rappresentanza” e gli 85mila per “esperti e incarichi speciali, ivi comprese le indennità e il rimborso spese di trasporto”.

La cifra maggiore, però, parliamo di 8 milioni e 600mila euro, è quella pagata per la resurrezione del sito www.italia.it, portale del Turismo, già inaugurato da Lucio Stanca con un investimento faraonico di 45 milioni di euro, e immediata pioggia di polemiche, e chiuso l’anno seguente da
Francesco Rutelli (all’epoca ministro ai Beni Culturali), che pure aveva provato a rilanciarlo da par suo, per l’evidente scarso rapporto tra costo e benefici. La nuova e dispendiosa vita di italia.it, portale che la rete non ama, collocandolo al posto 4562 del rank italiano e al 184.594 di quello internazionale, ben al di sotto dei portali turistici degli altri paesi e anche, sia detto, del sito www.enit.it, non sembra giustificarsi con il proprio contenuto. Anche perchè le quattro informazioni “turistiche” che fornisce si limitano a un “cosa vedere”, “cosa fare” e “cosa assaggiare”, senza dar conto, ad esempio, di “dove dormire” (sul sito dell’Enit ovviamente presente). A volte, inoltre, l’informazione si limita a qualcosa di meno che una cartolina. Imbarazzante, ad esempio, la voce dedicata allo “shopping in Italia”: dopo aver segnalato la presenza di via Condotti a Roma e via Montenapoleone a Milano, afferma, sprezzante del ridicolo “andare a fare shopping in Italia non significa soltanto negozi e boutique: esistono più di 3700 outlet e spacci aziendali”. E il sottotesto è: andateveli a cercare. Oltre al sito “fratello” dell’Enit (decisamente meglio costruito) , d’altronde, italia.it può contare anche su innumerevoli portali messi su da regioni, enti locali ed enti per il turismo territoriali. Il risultato è una inutile somma di informazioni che spesso non dialogano nemmeno tra loro. In fondo, però, non di soli siti internet si vive. Perché, se 15 milioni è la spesa per il solo funzionamento del dicastero, la spesa complessiva del ministero del Turismo quest’anno è costata alle casse dello Stato 189.611.361,56 euro, con una variazione complessiva rispetto alle previsioni di circa 113 milioni di euro.

La sproporzione dei conti è dovuta essenzialmente all’assistenza che il ministero ha dovuto dare a un settore che quest’anno ha dovuto fare i conti con la crisi. Oltre alla cifra fissa data all’Eni t (33.556.000 diventati 33.838.624), ci sono i 5.115.198 investiti per l’erogazione dei “buoni vacanze” e i 118 milioni investiti per “l’incentivazione dell’adeguamento dell’offerta delle imprese turistico-ricettive e della promozione di forme di turismo ecocompatibile”. La cifra prevista all’inizio per questo investimento in conto capitale era di 26.900.279 euro. Alla fine c’è stata una “leggera” variazione di 91.164.777 euro. Nel decreto di istituzione di questi fondi, si pensava al turismo montano, al turismo in bicicletta e al turismo legato all’attività sportiva e ricreativa del golf. Che si sia speso un po’ troppo?

La grande bugia di Bertolaso - Fabrizio Gatti

Ha speso 72 milioni di euro per bonificare La Maddalena. Affidando i lavori a suo cognato. Ma 'L'espresso' ha scoperto che due metri sott'acqua è ancora pieno di rifiuti tossici e materiali pericolosi per la salute

(23 giugno 2010)
Lastre di fibre di amianto nel mare tra l Arsenale e il Parco di CapreraLastre di fibre di amianto nel mare
tra l'Arsenale e il Parco di Caprera
Una discarica di rifiuti tossici nell'arcipelago della Maddalena. Fanghi neri impregnati di idrocarburi pesanti sbuffano come nuvole di vulcani sottomarini. Contaminano i pesci, i molluschi, i crostacei. E forse anche la vita degli uomini, delle donne e dei bambini che li mangeranno. La sabbia è così inquinata che le alghe non crescono in un raggio di centinaia di metri. Un deserto subacqueo. Bisogna scendere sul fondo del mare per vedere come hanno lasciato morire la natura e al tempo stesso preso in giro milioni di italiani. Bisogna infilarsi la muta, le pinne, una maschera da sub e nuotare quasi tre chilometri tra andata e ritorno.

Ed ecco, fra i due e i dieci metri di profondità, la bugia colossale di una bonifica che qui sotto non è mai cominciata. Perché la discarica è nel mezzo di Porto Arsenale, nel bacino su cui si specchiano i cristalli e i marmi pregiati della Main conference, la palazzina che l'anno scorso avrebbe dovuto ospitare gli onori del G8. Basta immergersi in apnea sotto le grandi vetrate, infilare la mano nella melma e filmare. Nubi color antracite salgono dense, piroettano e ricadono trascinate dal loro peso specifico verso fondali più lontani. Eppure, tra scandali, costi fuori controllo, indagini per corruzione e arresti, la bonifica era l'unica operazione considerata necessaria. Almeno, l'avevano dichiarata conclusa. Ora nemmeno quella si salva. «Un intervento esemplare», hanno detto.

L'aveva confermato il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, 60 anni, commissario delegato di queste grandi opere. L'aveva certificato il suo sponsor nel governo, il sottosegretario Gianni Letta, 75 anni. Invece no. Forse sono stati male informati. Forse qualcuno della struttura di missione nominata da Palazzo Chigi e spedita alla Maddalena a suon di stipendi d'oro, ha raggirato perfino loro. Oppure non hanno ancora raccontato tutto su questo brutto intrigo. Ma qui sotto, nel grande quadrilatero che dovrebbe diventare un porto turistico per Vip, gli effetti della bonifica non si vedono. E chissà, magari è per questo che il vertice del G8 è stato spostato a L'Aquila. Perché le eliche delle barche a motore avrebbero sollevato gli idrocarburi e trasformato l'acqua in un ammasso oleoso a visibilità zero. I sommozzatori dell'antiterrorismo non avrebbero potuto garantire la vigilanza. E per il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sarebbe stata una pessima figura ricevere i presidenti dietro vetrate affacciate su un mare che in alcuni giorni diventa nero come la pece. Cambi di colore imprevedibili che dipendono dalla risalita dei veleni nascosti sul fondo.


Questa storia comincia lunedì 22 marzo. Quella sera davanti alle telecamere di "Porta a Porta" Bertolaso difende il cognato, Francesco Piermarini, 52 anni, fratello di sua moglie. «Avete pure messo in mezzo mio cognato», dice a chi gli contesta gli incarichi familiari alla Maddalena: «Io a mio cognato non gli ho dato assolutamente nessun incarico. Mio cognato è stato scelto perché è un grande esperto di bonifiche ambientali. Ha lavorato con il guru delle bonifiche ambientali, che è Gianfranco Mascazzini. E per questa ragione è stato impiegato». Mascazzini, nel 2008, è direttore generale del ministero dell'Ambiente. Il cognato di Bertolaso viene inserito con un incarico ad personam nello staff di Palazzo Chigi. E assegnato alla struttura di missione in Sardegna che coordina la bonifica e l'avvio dei cantieri del G8. Alla Maddalena però Piermarini racconta una storia un po' diversa. Dice di avere una laurea in economia e di essere rientrato da poco in Italia dopo aver terminato un'attività finanziaria all'estero. Comunque secondo Bertolaso, responsabile di tutta l'operazione G8, suo cognato viene scelto solo perché è un grande esperto di bonifiche.

Passano le settimane e Porto Arsenale apre finalmente i cancelli. Dal 22 maggio al 6 giugno La Maddalena ospita le regate della Louis Vuitton Trophy. L'occasione, pure questa finanziata con soldi pubblici, per il lancio ufficiale del "porto spettacolare del futuro", come pubblicizzano i manifesti. Infatti, concluse le gare, le strutture a cinque stelle saranno disponibili soltanto in futuro. Non prima di un anno. E' un inizio un po' zoppo del nuovo polo turistico affidato in concessione per 40 anni alla Mita resort della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Il canale e il bacino interno sono interdetti alla navigazione. I pochi yacht, le barche a vela e a motore devono ormeggiare nel bacino esterno, davanti alla Main conference. E la mattina di martedì primo giugno succede qualcosa di strano. L'acqua in cui si riflette l'opera simbolo progettata dall'architetto Stefano Boeri diventa nera. La partenza di uno yacht di appoggio alla regata fa risalire dai fondali nuvole dense che colorano il mare. Non è solo sabbia, che nell'arcipelago è ovunque chiara. Questi turbini sono oleosi, molto scuri e tendono a rimanere sul fondo.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-grande-bugia-di-bertolaso/2129536

Per la Regione Campania anche il consigliere condannato per mafia ha diritto allo stipendio




Sono due politici del Pdl membri del Consiglio regionale condannati per associazione camorristica e peculato. I due percepiscono metà dell'indennità di carica.

Se per Daniela Santanchè pure il mafioso ha diritto alla sua privacy, per la Regione Campania pure il consigliere condannato e sospeso dalla carica ha diritto al suo stipendio. Pazienza se si tratta di soldi intascati per fare niente di niente. Bei soldini, peraltro: la metà dell’indennità di carica, pari a circa 5.400 euro lordi mensili. Cifre che verranno intascate dai due consiglieri eletti nel centrodestra guidato dal governatore Stefano Caldoro, ma sospesi dal governo Berlusconi in applicazione di una legge nazionale perché condannati per reati che prevedono l’istituto del congelamento dalla carica anche in assenza di sentenze definitive. Si tratta di Roberto Conte (Alleanza di Popolo), 2 anni e 8 mesi in primo grado per concorso esterno in associazione camorrista, accusato di aver stretto un patto con il clan dei Misso ricevendone sostegno alle elezioni campane del 2000, e Alberico Gambino (Pdl), 1 anno e 5 mesi in appello per peculato dovuto all’uso improprio della carta di credito del Comune di Pagani (Salerno), di cui era sindaco.

La notizia arriva dal palazzone dell’isola F 13 del Centro Direzionale di Napoli, sede istituzionale del consiglio regionale della Campania. Ed è nascosta nelle pieghe di un ordine del giorno dell’assemblea che riporta in maniera burocratica la normativa di riferimento: l’articolo 29 della legge regionale 13 del 1996. Senza il passaggio in aula, l’operazione sarebbe avvenuta in silenzio. In base a questa vecchia legge regionale, il consiglio non può far altro che deliberare l’assegno, e trasmettere l’atto all’ufficio dell’economato affinché provveda a produrre i cedolini e inoltrare i bonifici. Non solo. La legge prevede che in caso di assoluzione definitiva, i sospesi oltre ad essere reintegrati in carica potranno reclamare “con riferimento al periodo di sospensione, l’intera indennità di carica, detratto l’assegno già corrisposto”. In pratica,
Conte (nella foto in alto) eGambino riceverebbero gli arretrati. Nel frattempo, vengono pagati con indennità piena i consiglieri ‘sostituti’, ovvero i primi dei non eletti nelle liste Adp di Napoli e Pdl di Salerno, Carmine Sommese e Monica Paolino. I quali, ovviamente, in caso di reintegro dei sospesi, non saranno tenuti a restituire nulla.

La campagna elettorale delle regionali campane fu infarcita di polemiche per la presenza nelle liste Pdl e dei suoi alleati di inquisiti, pregiudicati, rinviati a giudizio. L’emorragia di decine di migliaia di euro di denaro pubblico per stipendiare persone costrette per decreto all’inattività, è una delle conseguenze di quelle scelte. Conte e Gambino già nel 2009 erano stati sospesi da consigliere regionale e da sindaco, ma la circostanza non fu ritenuta un ostacolo alle loro candidature. E tuttora non si è alzata una voce che chieda l’abrogazione di una legge strampalata che premia i condannati e danneggia le casse della Campania.



mercoledì 23 giugno 2010

Scuola di giornalismo



Il fatto che io sia costretto per l'ennesima volta a difendermi da questioni già ampiamente provate nelle aule dei tribunali non mi stupisce. Ho passato metà della vita a difendermi dai tentativi di screditare la mia persona. Antonio Di Pietro è una figura invisa alla politica del Palazzo, poiché in questo ambiente vige una strana regola secondo la quale se non sei ricattabile, sei fuori dal branco. Io sono fuori dal branco e ne sono fiero.
Quello che più mi preoccupa, in realtà, è lo
stato comatoso dell'informazione in Italia, che riguarda trasversalmente i maggiori quotidiani e tg nazionali. Una situazione che non saprei descrivere meglio di quanto non abbia fatto Marco Travaglio, nel suo editoriale odierno de "Il Fatto Quotidiano" che riporto di seguito.


Scuola di giornalismo
Più che per il fatto in sé, già masticato e ruminato da sei anni di indagini tutte archiviate, l'iscrizione sul registro degl'indagati di Di Pietro per l'annosa polemica sui rimborsi elettorali del 2004 è illuminante per come la trattano i giornali "garantisti": quelli che escono ogni mattina non per dare notizie, ma per coprire le vergogne dei loro editori pregiudicati o imputati. Partiamo dal Giornale (Berlusconi) e da Libero (Angelucci). Feltri l'altroieri lacrimava per il rinvio a giudizio di don Gelmini per molestie sessuali: "Finire sui giornali quale protagonista di torbide vicende è una sofferenza atroce per tutti" (e lui ne sa qualcosa, avendo sbattuto in prima pagina una falsa informativa di polizia sull'omosessualità di Boffo). Infatti ora titola: "COSÌ IMPARI". "L'ex pm nei guai. Se fosse coerente dovrebbe lasciare il Parlamento". "Neanche l'ennesimo scandalo (sic, ndr) convincerà Tonino a smettere di atteggiarsi a modello di legalità".
Ecco: i fatti non contano nulla, l'importante è poter mettere sullo stesso piano Di Pietro e Berlusconi in una notte dove tutte le vacche sono nere ed espellere la questione morale dal dibattito politico. Libero, l'inserto satirico del Giornale. titola in prima: "DOVE HA MESSO I SOLDI?". Parla delle tangenti degli Angelucci e di Berlusconi? No, dei rimborsi elettorali Idv. Belpietro (avete capito bene: Belpietro) si lagna perché Di Pietro "è uscito candido come un giglio" da tutte le inchieste, anzi osa pure “atteggiarsi a vittima di calunniatori e avversati politici": in effetti 30 procedimenti a Brescia basati sul nulla e finiti nel nulla sono pochi. Per atteggiarsi a vittima bisogna depenalizzare i propri reati o farla franca per amnistia, prescrizione, Cirielli, lodo Schifani o Al Fano, legittimo impedimento. Ma stavolta il garantista Belpietro ha buone speranze che Di Pietro verrà arrestato: "Aspettiamo la fase 2, quella delle manette pulite, un giorno arriverà", purché si trovi "un giudice vero". E Libero ne ha trovati addirittura due. Alla Procura di Roma. Il pm Caperna che indaga su Di Pietro "è un bell'uomo, alto e distinto", mentre l'altro, Pisani, "è minuto e affabile". Finalmente due pm che piacciono a Libero. Anche fisicamente. Il Pompiere della Sera, dall'alto delle sue campagne moralizzatrici sui suoi editori pregiudicati (Ligresti) e imputati (Geronzi), si domanda se il Fatto darà la notizia dell'indagine su Di Pietro o la nasconderà. Spettacolare la "Nota" di Massimo Franco, il pompiere capo ieri moderatamente piromane: dicendo che la sua iscrizione è un "atto dovuto" in seguito alla denuncia di Veltri, cioè la pura verità, Di Pietro "tenta di screditare in anticipo qualunque possibilità che l'indagine possa metterlo nei guai". Molto meglio gridare al complotto delle toghe azzurre pilotate dai nemici politici, invocare l'immunità e la privacy, attaccare la Costituzione, depenalizzare la truffa, invocare un lodo Di Pietro. Gran finale di Franco: " ‘Male non fare, paura non avere', dice ai militanti il leader nella sua memoria.
Ma la scelta di rovesciare valanghe di documenti sul proprio sito è la conferma di un imbarazzo palpabile". Ma certo: se uno non risponde alle domande, strilla al complotto e sfugge alla giustizia, vuoi dire che non ha nulla da temere. Se invece risponde subito nel merito con "valanghe di documenti" per dimostrare che non ha nulla da nascondere, vuoi dire che è imbarazzato. Chissà cosa c'è sotto.
Ps. Nell'editoriale "L'enigma Brancher", Pigi Battista si domanda perché mai Brancher sia diventato ministro, visto che non lo voleva neppure Bossi e, nel suo piccolo, nemmeno Gasparri. "Una scelta estrosa", insomma. A un certo punto accenna al legittimo impedimento che lo mette al riparo dal processo Antonveneta, ma subito lo liquida come "un sospetto ingiusto". La notizia che Brancher pagava tangenti per la Fininvest e, in tre mesi di carcere, tenne la bocca chiusa, non gli è pervenuta. Lui del resto è ancora convinto che i bambini li porti la cicogna o si trovino sotto un cavolo. La mamma non gli ha ancora detto nulla.

Marco Travaglio

http://www.antoniodipietro.com/2010/06/scuola_di_giornalismo.html?notifica