giovedì 9 dicembre 2010

Putin: “L’arresto di Assange è un gesto antidemocratico”




Un arresto “ipocrita e antidemocratico”. Julian Assange incassa l’inaspettato sostegno Vladimir Putin, seppur indirizzato ad una più ampia polemica verso gli Stati Uniti. Per il presidente russo, l’arresto del fondatore di Wikileaks “dimostra l’ipocrisia dell’Occidente”. “Perché Assange viene tenuto nascosto in carcere? – si è chiesto Putin, parlando con i giornalisti – è forse democrazia, questa? Come si dice al paese, è il bue che dice cornuto all’asino”.

Nei dispacci rivelati da Wikileaks, il presidente russo veniva definito come “cane alpha”, maschio dominante in uno stato-mafia. Ora il presidente si prende il russo di ritorcere la critica al mittente, criticando i metodi con cui Assange è stato – almeno al momento – incarcerato. Intanto varie agenzie russe citano fonti del Cremlino, secondo cui “ad Assange dovrebbe esser consegnato il premio Nobel per la pace”.

Quale che sia la reale posizione di Putin e quali che siano le reali motivazioni con cui il presidente si è espresso, resta da capire come la diplomazia italiana commenterà l’uscita. Due giorni fa, alla notizia dell’arresto del fondatore di Wikileaks, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, era intervenuto con un liberatorio “era ora”. Che cosa diranno adesso il ministro e il premier Berlusconi, dopo che l’”amico Putin” si è pronunciato con un giudizio diametralmente opposto?


Governo, Bertone “offre” Casini a Berlusconi.


Il premier non si dimetterà. E' certo di avere i numeri alle Camere per incassare la fiducia, seppur di pochi voti. Poi salirà al Colle per il nuovo mandato e l'Udc entrerà nell'esecutivo. I finiani insistono: "Lasci o votiamo la sfiducia"

Tarcisio Bertone, Cardinale e Segretario di Stato

L’atto finale dello scontro tra Gianfranco Fini e il premier ha un protagonista assoluto:Pierferdinando Casini. La Santa Sede ha bloccato sul nascere l’alleanza tra il leader centrista e i finiani. Il Cardinal Ruini ha convocato a pranzo, la scorsa settimana, il presidente dell’Udc per dirgli di non sostenere in alcun modo Fini, considerato, per le sue posizioni sull’eutanasia, vicino a Pierluigi Bersani.

Il presidente della Camera è disposto a sostenere un Berlusconi bis a condizione che includa l’Udc e, soprattutto, che il Cavaliere si dimetta prima del passaggio in aula per la fiducia. Il presidente del Consiglio, invece, è disposto a coinvolgere nell’esecutivo gli uomini di Casini, ma a lasciare l’incarico prima del 14 dicembre non ci pensa neanche. Perché sarebbe la resa a Fli, significherebbe certificare che gli uomini di Futuro e Libertà sono determinanti. Il Cavaliere vuole incassare la fiducia per poi salire al Colle con una maggioranza risicata in mano, avendo così garanzie di ricevere dal Capo dello Stato il mandato esplorativo per individuare una nuova maggioranza. Che includerà anche l’Udc con almeno due ministeri e il sottosegretariato alla famiglia. Questa è la proposta che Silvio Berlusconi illustrerà al pranzo all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede dove incontrerà il Cardinale Tarcisio Bertone. I due si erano già visti settimana scorsa in Kazakhistan, ad Astana, in occasione del vertice dell’Ocse. In un incontro definito “casuale” avevano parlato di Casini. Il Cardinale vuole far riavvicinare l’Udc all’area di Governo. L’argomento era già stato affrontato da Gianni Letta quindici giorni fa durante una cena dal cardinale segretario di stato. E settimana scorsa il leader centrista è stato ricevuto dal cardinale Angelo Bagnasco che, seppur defilato, ha vagliato la disponibilità di Casini.

Il pranzo di oggi sarà dunque occasione per individuare definitivamente il percorso di riavvicinamento dell’Udc, caldeggiato dalla Santa Sede. Seppure l’occasione sia la nomina di dieci cardinali, Berlusconi sarà accompagnato da mezzo Governo: il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il ministro degli esteri Franco Frattini, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, unica donna presente all’incontro e i sottosegretari alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti. Subito dopo, Berlusconi porterà la proposta al vertice del Pdl nel primo pomeriggio. Il rientro di Casini nel Governo piace al Cavaliere perché così ucciderebbe sul nascere il terzo polo. Alfano ha anticipato l’unica certezza della giornata: “L’ipotesi di dimissioni di Berlusconi non è tra quelle contemplate né immaginate e conseguentemente l’ipotesi di un Berlusconi bis non esiste”, ha detto stamani. Mentre i finiani ribadiscono: “Prima di aprire qualsiasi discussione, Silvio Berlusconi deve dimettersi”. In caso contrario Futuro e libertà voterà la mozione di sfiducia già depositata a Montecitorio. Lo ha dettoil coordinatore di Fli, Adolfo Urso, al termine del vertice di stamani con Gianfranco Fini. Un incontro che il presidente del Consiglio ha aperto così: “Vedete cosa significa fidarsi di quest’uomo?”. Il riferimento è al premier e alla cena che ha avuto con Italo Bocchino, che, nonostante le smentite, c’è stata ma sulla quale Berlusconi aveva garantito assoluta segretezza. Fini aveva inviato il capogruppo a vagliare se ci fosse una disponibiltà di dialogo per evitare la crisi di Governo nel momento di grave difficoltà per il Paese ma il premier non è preoccupato dalla posizione di Fli: Berlusconi è convinto di farcela anche (e soprattutto) senza i finiani.

Se palazzo Madama è oggettivamente blindato (il Cavaliere conta su 163 voti contro una soglia di 158), la partita si combatte sui tavoli di Montecitorio. Dove pesa la doppia mozione di sfiducia (Pd-Idv e Fli-Udc-Api). Ad oggi l’ago pende a favore di Berlusconi con 314 voti a favore, 307 contrari e 3 astenuti. Situazione fluida, dunque. Il 14 dicembre (al Senato il premier parlerà il 13) in aula ci saranno anche due assenti. Causa gravidanza mancheranno Cosenza di Fli e Mogherini del Pd. Smentita, dunque, quanto annunciato da Bocchino due giorni fa: “Abbiamo 317 voti”. In realtà la conta finale ruota attorno a cinque nomi . Quattro sembrano ormai convinti. Si tratta di Massimo Calearo (ex Pd), Bruno Cesario (ex Api ora gruppo Misto), Maurizio Grassano (ex leghista, ora Lib-dem), Giampiero Catone (ex Fli ora gruppo Misto). Ultimo, ancora indeciso, è Scilipoti dell’Idv mentre è certo il sostegno del suo collega del partito di Antonio Di Pietro, Antonio Razzi che oggi ha annunciato di aver raggiunto la decisione “sofferta, di passare a Noi sud”. Dopodiché ci sono i sei deputati radicali (leggi l’articolo). Cosa faranno resta un mistero. Anche se l’incontro di ieri sera tra Marco Pannella e Silvio berlusconi fa pensare che una decisione sia già stata presa. A ratificare questa possibile scelta le parole del leader dei Radicali contro “logore e scredite ammucchiate, dette e riproposte come unità nazionale”.




EXIT - D'Alema 'braccato' su primarie e liste



L'ex presidente del consiglio braccato dal cronista Antonino Monteleone. Dalle politiche, alle primarie fino al conflitto md'interssi. Ne esce un'intervista straordinaria e piena di eloquenti imbarazzi.

Domande, domande e ancora domande. Precise, documentate, senza tregua. Nella rete resta impigliato un pezzo da novanta come l’ex presidente del consiglio Massimo D’Alema. Autore dell’intervista Antonino Monteleone mandata ieri in onda durante Exit la trasmissione di approfondimento giornalistico della Sette. All’inizio D’Alema tenta la fuga. O meglio ci prova. Ma poi si ferma e risponde. Anzi tenta di farlo. Tra espressioni imbarazzate, parole smozzicate. Dal carnet il giovane cronista esibisce la questione primarie. Dalla Puglia alla Lombardia. Con i cavalli del Pd che perdono inesorabilmente. Ma ci sono anche le elezioni politiche e il conflitto d’interesse. Ma, azzarda D’Alema, “una volta si vince una si perde”. E dunque, seguendo la logica cartesiana, alla prossima cosa succederà?.


Mazzette, coinvolto un milione d'italiani.




In Italia il 3,8% della popolazione adulta ha pagato tangenti. Mentre il 40% non si fida della politica. Il dato emerge dall'ultimo 'Barometro sulla corruzione' dal network globale Transparency International.

Dal Global Corruption Barometer nel 2010 emerge come una persona su quattro abbia pagato tangenti alle istituzioni. Oltre un milione gli italiani implicati. "Il dato va preso sul serio", dice la presidente italiano dell'Ong Maria Teresa Brassiolo.


Oltre un milione di persone in Italia sono coinvolte in episodi di corruzione e il fenomeno è in crescita nei partiti politici. E’ quanto emerge dal capitolo sull’Italia dell’edizione 2010 del rapporto‘Barometro della corruzione globale’ (Gcb) pubblicato oggi da Transparency International(Ti). Il Barometro, spiega l’ong, ‘mappa’, attraverso un’indagine demoscopica, la visione che i cittadini maturano del fenomeno della corruzione anno dopo anno. Lo studio si differenzia per questo dal più conosciuto Indice della percezione della corruzione (Cpi), che invece si basa sulla percezione dei fenomeni corruttivi nelle pubbliche amministrazioni da parte di esperti e operatori privati. Secondo il Gcb, in Italia “la percentuale di coloro che sono stati concussi o che hanno pagato tangenti si attesta sul 3,8%”. Gli esperti di Transparency International sottolineano che “si tratta di un dato assai serio, poiché comporta che, stando a questa percentuale, oltre un milione di persone sarebbe coinvolto in fatti corruttivi”.

All’interno di questo dato, prosegue il rapporto, la suddivisione per segmento indica che il 6,4% degli intervistati ha pagato tangenti per ottenere permessi, per le utilities il 8,7%, per le imposteil 6,9%. Inoltre, “un forte incremento si ha nelle transazioni immobiliari (12.9%) e doganali(13,9%) – sottolinea lo studio -. Di grande impatto sono infine i dati relativi al sistema sanitario(10%) e al sistema giudiziario, per cui le risposte affermative arrivano fino al 28,8%”. L’associazione spiega poi che “le categorie percepite come più corrotte in Italia sono imedia (voto 3,3 su 5), le imprese (3,7 su 5), il Parlamento (4 su 5) e il sistema giudiziario (3,4 su 5)”. Quelle meno corrotte sono invece “le organizzazioni non governative, l’esercito, il sistema educazione e la polizia”.

Per quanto riguarda i partiti politici, l’organizzazione scrive che “mentre per Germania e Francia la corruzione è meno presente” in questo campo, “nel 2010 rispetto al 2005, in Italia cresce dal 4,2 al 4,4 su 5” punti. Il Barometro della corruzione globale “è la vox populi e va preso molto sul serio – ha commentato la presidente di Transparency International Italia, Maria Teresa Brassiolo -. Il dato sconfortante che emerge è l’aumento della sfiducia in Italia: il 40% non si fida di nessuna delle istituzioni prese in esame”. Il costo della sfiducia “è un costo altissimo nelle società e nelle economie – ha proseguito la Brassiolo -. Anche a livello globale c’è una crescente generalizzata crisi di sfiducia”.

Corte dei Conti – In Italia è sempre allarme corruzione. A inizio febbraio, l’ex presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro aveva denunciato: “La corruzione è un tumore maligno contro il quale non ci sono anticorpi nella pubblica amministrazione e che con gli anni addirittura sembra peggiorare. Nel 2009 le denunce sono infatti aumentate del 229%”. “Se non c’è senso etico nell’agire – aveva detto Lazzaro – non bastano mai i giudici, i carabinieri o le altre forze dell’ordine a combattere questo male”. Il 19 ottobre anche il nuovo presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, nel giorno del suo insediamento, era tornato su quello che è diventato il “leitmotiv” della magistratura contabile. “Gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche, talvolta di provenienza comunitaria, persistono e preoccupano i cittadini ma anche le istituzioni il cui prestigio ed affidabilità sono messi a dura prova da condotte individuali riprovevoli - aveva detto Giampaolino – E anche questo aspetto dovrebbe fuoriuscire dalle competenze della Corte” perché di tratta di «materia penale» certo non verificabile con controlli preventivi. Controlli che, viceversa, andrebbero fatti sugli eventi eccezionali gestiti dalla Protezione Civile.

Medioriente e Nord Africa – Secondo il ‘barometro sulla corruzione’, il Medioriente e il Nord Africa rappresentano l’area del mondo più corrotta, con il 36 per cento della popolazione che ha pagato una tangente. Segue il 32 per cento di corrotti nelle repubbliche dell’ex Unione sovieta, il 23 per cento in Sud America, il 19 per cento nei Balcani e in Turchia, l’11 per cento nella regione dell’Asia-Pacifico e il cinque per cento nell’Unione europea e in Nord America. In cima alla lista dei Paesi dove è consueto pagare tangenti si trovano l’Afghanistan, la Cambogia, il Camerun, l’India, l’Iraq, la Liberia, la Nigeria, i Territori palestinesi, il Senegal, la Sierra Leone e l’Uganda, dove più di una persona su due ammette di aver dato soldi a funzionari pubblici. Circa la metà degli intervistati spiega di aver pagato per evitare problemi, mentre un quarto di loro dice di averlo fatto per velocizzare delle procedure.

Israele - La convinzione generale della quasi totalità degli israeliani è che i partiti politici siano gli organi più corrotti del paese. Dopo di loro ci sono il Parlamento e gli istituti religiosi, mentre le forze armate sono ritenute le meno corrotte. Secondo Transparency International, l’88% degli israeliani inclusi in un campione rappresentativo della popolazione ha espresso questa convinzione. Il 76% ha detto di ritenere che la corruzione nel paese sia aumentata nell’arco degli ultimi tre anni, mentre il 20% ha detto che non è cambiata e il 4% che è diminuita. In un indice che va da 1 a 5 (in cui il punteggio più alto indica un livello estremo di corruzione), gli israeliani hanno dato un punteggio di 4,5 ai partiti, di 4 alla Knesset e agli istituti religiosi, di 3,9 alla pubblica amministrazione, di 3,5 alla polizia, di 3,5 al mondo degli affari, di 3,2 ai media, di 2,8 alla magistratura, di 2,6 alle forze armate. La pessima opinione che gli israeliani hanno dei partiti risulta però essere in linea con un fenomeno globale, poichè quasi l’80% degli interpellati nel mondo, secondo i dati dell’Ong, hanno indicato i partiti politici come gli organi più corrotti. Il margine di errore del campione nei paesi indagati è tra il 2,8 e 4,4%.



Dopo Mastercard e Visa, attaccato il sito della Palin


Pirati informatici mettono fuori uso anche quello del Senatore conservatore Lieberman


NEW YORK - Anche i siti dell'ex governatore dell'Alaska Sarah Palin e del senatore ultra-conservatore Usa Joe Lieberman, dopo quelli di Mastercard e Visa, sono stati colpiti ieri da un attacco di hacker, che hanno voluto così manifestare il loro sostegno a Wikileaks e al suo fondatore, Julian Assange, detenuto in Gran Bretagna con l'accusa di stupro. L'attacco informatico è stato lanciato dal gruppo Anonymous, che ha ha promesso di colpire tutti coloro che avrebbero tenuto dei comportamenti «anti-WikiLeaks».
Mastercard e Visa, secondo gli hacker, sarebbero colpevoli di avere bloccato il trasferimento di fondi al sito di Assange, che sta pubblicando in questi giorni migliaia di documenti riservati che stanno mettendo a rischio la rete delle relazioni diplomatiche internazionali.
Sarah Palin, invece, aveva descritto il fondatore di Wikileaks come «un agente anti-americano con le mani sporche di sangue». Il suo sito internet, attaccato dagli hacker, è rimasto fuori uso per alcuni minuti, ha confermato un esperto di sicurezza informatica, Sean-Paul Carroll. Quanto a Joe Lieberman, il senatore Usa aveva chiesto alle aziende americane di ritirare il loro sostegno tecnico a Wikileaks

WikyLeaks.


*L'informazione non ha prezzo, per tutto il resto c'è "mastercard"*.

Questa è la frase che compariva sui display delle macchinette per le transazioni commerciali.

Il gruppo di hackers, denominati "'Anobymous", di tutto il mondo hanno messo in ginocchio il pianeta con l'"Operazione Payback" che ha bloccato le transazioni commerciali di Visa, Mastercard e Paypal per boicottare le società che hanno bloccato le donazioni in favore di WikyLeaks.


La trattativa e le lacrime di Massimo Ciancimino


di Rita Di Giovacchino - 7 dicembre 2010


Era impossibile non fare caso alle lacrime che scendevano copiose sulle guance diMassimo Ciancimino in apertura dell’indimenticabile puntata di Annozerodedicata alla mafia e ai misteri delle stragi. Mai sulla tv di Stato un simile argomento era stato affrontato senza i consueti veli. I misteri sono la materia opaca che avvolge le stragi, fumogeni lanciati nel corso delle indagini, non appena si delinea una pista che possa far risalire ai mandanti.

Qualcuno preferisce chiamarli segreti e in effetti il mistero è solo un derivato che prevale quando vengono occultate notizie indispensabili. Come conferma la conclusione del processo di Brescia che 36 anni dopo ha mandato assolti tutti gli imputati. E quando anche gli esecutori vengono condannati – siano i brigatisti rossi di via Fani o i corleonesi di Totò Riina – i mandanti la fanno comunque franca, e poco importa che sia condannato qualcuno di troppo, tanto si tratta di terroristi e mafiosi. Per anni ci siamo bevuti la storiella che era stato Prospero Gallinari ad uccidere Aldo Moro nell’affollata autorimessa di via Montalcini, per poi scoprire che era stato Moretti o chissà chi.

Da giorni mi chiedo, e certamente non sono la sola, quale sarà l’utilità dei boatos su Gianni De Gennaro, lo schizzo di fango (che non manca mai) sull’uomo che ha riportato in Italia Buscetta e che, consegnandolo – solo, disperato, reduce da un tentato suicidio per l’uccisione di figli e fratelli- aFalcone ha certamente avviato un processo di destabilizzazione del sistema politico (e mafioso), poi culminato nel 1992-93 con l’uccisione dello stesso Falcone e l’incriminazione di Andreotti. Un sistema marcio, ormai alla fine del suo percorso, da eliminare in nome della legalità. E se anche ciò facesse parte di un più vasto piano di destabilizzazione dell’Italia, decisa al piano attico del mondo, il ruolo di De Gennaro è stato questo e non poteva essere diversamente a meno che non si voglia dare la patente di ingenui fno alla morte non soltanto a Falcone e Borsellino, ma alle decine di poliziotti, magistrati – il fior fiore degli apparati investigativi antimafia – che a Palermo sono stati uccisi perseguendo lo stesso obiettivo.

Cosa abbia raccontato Massimo Ciancimino ai pm Ingroia e Di Matteo, se abbia davvero riconosciuto in foto il famigerato signor Franco, se De Gennaro fosse lui o il suo diretto superiore non si sa. Poi si è affrettato a precisare che ha rivelato soltanto quello che il padre mafioso insinuava, o forse si è lasciato condizionare da più recenti pressioni di usurai della ‘ndrangheta cui si era rivolto quando le banche gli hanno bloccato i fidi. In ogni caso il danno è fatto, Ciancimino ha delegittimato se stesso e così facendo ha danneggiato l’inchiesta sulla trattativa che a Palermo poggia sulle sue dichiarazioni. Istintivamente non credo che l’ex ragazzo sia manovrato, mi è più facile immaginarlo in preda alla paranoia che sempre si appropria di chi si trova a raccontare fatti devastanti, oppure ha dovuto fare marcia indietro su altri nomi.

La notizia è tanto improbabile quanto succulenta, un assaggio di prossimi, futuri veleni. Su Ciancimino jr, ma soprattutto su quella tormentata inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia che può portare a speculare sulle origini della Seconda Repubblica, sui nuovi intrecci politici mafiosi. E che da oggi sarà più difficile. Non si tratta di essere amici o nemici di Gianni De Gennaro, come già qualcuno distingue, la verità è che siamo di fronte a un canovaccio inconsistente in cui non c’è nulla che torni. La tipologia dei personaggi, i tempi, la stessa età dei protagonisti non coincide.

Che Ciancimino sia pilotato dall’esterno o sia soltanto vittima di un incidente di percorso poco importa. Una rivelazione del genere sarà comunque utilizzata come un fumogeno perchè in ballo ci sono le stragi. Le stragi di mafia sono diverse da tutte le altre, totalmente prive da alibi ideologici. Chi deve capire capisce, è una partita giocata all’interno di un sistema occulto. “Il labirinto degli dei” come lo definisce Ingroia nel suo libro. Una sentenza definitiva inchioda ad esempio Pippo Calò come mandante della strage di Natale del 1984, la prima. Quale fosse il movente ancora nessuno lo sa: un messaggio trasversale per il ritorno in Italia di Buscetta, una minaccia al Vaticano per i miliardi inghiottiti dal crack dell’Ambrosiano? Ma anche sulle stragi più recenti sono molti i pezzi che mancano.

Quella sera ad Annozero c’era anche Frank Di Carlo, l’unico boss ancora vivo presente all’incontro con Berlusconi e Dell’Utri a Milano e di questo si è parlato, perché è ciò che oggi interessa. Ma Di Carlo è anche l’unico che afferma di essere stato avvicinato nel carcere di Full Sutton in Inghilterra da agenti segreti che parlavano inglese e che volevano che lui indicasse qualcuno interessato a far fuori Falcone. Lui aveva fatto il nome di Nino Gioè, suo cugino, che poi in effetti ha imbottito di tritolo il tunnel di Capaci. Poi Gioè si è suicidato in carcere e Di Carlo, interrogato dal pm Tescaroli, a suo tempo dichiarò: “Non so se mio cugino si è suicidato, quando si hanno rapporti con i servizi bisogna stare attenti sempre…ti usano e poi ti lasciano”. Di Carlo racconta la verità? Penso di sì, ma chi può dirlo?

Gioè si suicidò a Rebibbia all’alba del 27 luglio 1993, poche ore prima che a Roma e Milano esplodessero le ultime bombe. Era stato lui a suggerire a Bagarella di colpire i monumenti, e a lui lo aveva suggerito tal Paolo Bellini, un tipo che da solo potrebbe riscrivere una decina di misteri d’Italia.

Ma vediamo i pezzi mancanti. Chi ha ucciso il procuratore generale della Cassazione Antonino Scopelliti nell’agosto 1991? Tutto è cominciato lì, ma nessun pentito sa niente di questo omicidio. Chi ha distolto i mafiosi dall’idea di uccidere Falcone a Roma per mettere in piedi la fantasmagorica scenografia di Capaci? Chi ha selezionato i luoghi delle stragi nell’estate 1993? Basta dare un’occhiata ai nomi: Via Fauro, via dei Georgofili, la basilica di San Giovanni, San Giorgio al Velabro, via Palestro. Una strategia di segnali incrociati che pochi sono in grado di leggere. In via Fauro c’era una sede coperta dal Sismi dove alloggiava quel Lorenzo Narracci, il cui nome appare e scompare dall’inchiesta su via d’Amelio. In piazza San Giovanni l’autobomba fu collocata davanti alla sede della Caritas presso il Vicariato, dove erano state coordinate tutte le spedizioni di denaro in favore di Solidarnosc. Nella chiesa di San Giorgio al Velabro, si sarebbero svolte riunioni dell’Ordine costantiniano di cui facevano parte Cossiga, il generale Tavormina (poi capo della Dia), il generale Siracusa (poi capo del Sismi). In via dei Georgofili la bomba venne collocata a 150 metri da un Centro massonico che faceva riferimento a Spadolini. In via Palestro l’ordigno scoppiò nei pressi dell’ufficio stampa della nuova obbedienza di Di Bernardo, maestro del Grande Oriente che “non voleva avere che fare con la campagna stragista”. E per finire l’ultima bomba, quella che non è esplosa nel gennaio 1994, era stata collocata in una Giulietta parcheggiata, vedi bene, in via dei Gladiatori.

Non so perché piangesse Massimo Ciancimino, forse avvertiva il peso dell’enormità di ciò che va raccontando, a prescindere dal signor Franco. E penso alla solitudine dei magistrati che lo ascoltano – a Palermo, Firenze, Caltanissetta – e che cercano di trarre dai suoi discorsi a volte sconclusionati, a volte reticenti, frammenti di verità. I pezzi mancanti.