lunedì 21 marzo 2011

La santa alleanza dei “no war” - di Francesco Persili

Pacifisti e bastian contrari. Da Sgarbi a Di Pietro, passando per Feltri, tutti quelli che l’Italia in guerra contro il Colonnello è meglio di no.

C’è chi dice no, senza se e con qualche “ma anche”. Il fronte contrario all’intervento Nato in Libia mette insieme i nemici di ieri, Sgarbi e Di Pietro, la Lega neutralista alla tedesca e la sinistra radicale. Pacifisti di rito antagonista e bastian contrari di professione saltano sulla carovana del dissenso, comandante in capo Vittorio Feltri, che su Libero ha dato la linea: «Con tutti i guai che abbiamo ci mancava solo la guerra al beduino».
L’ex direttore del Giornale scava nei «rischi altissimi» di un conflitto in cui si fatica a distinguere «buoni e cattivi», e sembra, addirittura, indossare l’eskimo per dire di un «Occidente che interviene a corrente alternata contro i despoti». Certo, pone domande non retoriche sul dopo Gheddafi mentre plaude alla Merkel, come, del resto, fanno anche leghisti che sottoscrivono l’astensione di Frau Angela sulla decisione dell’Onu, «non ponderata al cento per cento». Il Carroccio si (ri)allinea a Berlino, dopo le polemiche che qualche anno fa accompagnarono l’intemerata, dalle colonne della Padania, dell’attuale presidente della commissione esteri di Montecitorio, Stefano Stefani, contro i tedeschi «biondi, iper-nazionalisti, stereotipati, ubriachi di tronfie certezze» invasori delle spiagge italiane.
Nessun effetto Turigliatto sulla maggioranza, la Lega tiene il punto e una strategia non interventista politica estera. Fin dai tempi della guerra in Kosovo, le camicie verdi hanno mostrato di preferire la via dell’appeasement e di un disimpegno militare italiano dalle zone calde: Libano e Afghanistan. «Bossi, poi, assomiglia un po’ a Gheddafi», ha scherzato, alle Invasioni barbariche, Vittorio Sgarbi. Il sindaco di Salemi ha invitato il governo a non concedere le nostre basi militari agli americani: «Gheddafi uccide il suo popolo ma gli americani chi uccideranno? Massacreranno il popolo libico anche loro».
L’estetizzante critico d’arte ha ricordato il volo su Tripoli, la violazione dell’embargo aereo, la missione umanitaria in stile dannunziano, lo stupor mundi tra le rovine di Leptis Magna, e poi, sotto la tenda, con il Colonnello e la mamma Rina, a concionare di incontro di civiltà, politica, libertà e diritti umani. Lo stesso afflato ideale che ispirò un’altra beffa libertaria: la violazione dello spazio aereo in Iraq per protestare contro le sanzioni Onu che infliggevano patimenti alla popolazione. Sgarbi prende le distanze dalla cultura a stelle e strisce («Noi abbiamo avuto Beccaria e Manzoni, loro hanno ancora la pena di morte») e avendo visto da vicino «la miseria e la povertà» della Libia mostra di avere scarsa fiducia su una transizione democratica: «Il popolo si ribella perché presume che il prossimo governo sia meglio, credono che arriverà un salvatore che non ha la faccia di Gheddafi. Non ci sarà la democrazia ma un altro gruppo di potere altrettanto criminale».
Mota quietare, sì ma come? Il carattere equi-vicino che ha caratterizzato la politica italiana nel Mediterraneo, fin dai tempi di Moro e Andreotti, consiglia prudenza. «Saremo i primi a pagare con gli sbarchi», ammonisce Sgarbi, che dice no alla “no fly zone” e ai raid aerei. «Avremo tutto da perdere e nessun vantaggio». Anche se la pace – come ha detto Napolitano – oggi significa andare incontro alle popolazioni perseguitate, l’invito a sostenere il risorgimento del popolo libico fa i conti con la posizione di non belligeranza di Sgarbi e Lega e l’intransigenza del pacifismo barricadero.
Dal Pdci-Federazione della sinistra Oliviero Diliberto tuona: «Siamo in guerra con la Libia, in sfregio alla Costituzione italiana», mentre il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero teme «una escalation militare che trasformi la Libia in un nuovo Afghanistan». Sceglie la navigazione ferma l’Idv che chiede l’annullamento del Trattato di amicizia Italia-Libia, ma è contro «la presenza attiva» di militari armati. Stefano Pedica, capogruppo commissione Esteri del Senato, spiega che l’astensione vuol dire «non esportare la guerra, né partecipare a un intervento che non abbia scopi militari, in nome dell’articolo 11 della Costituzione». Anche il segretario della Cgil, Susanna Camusso, infila il passaggio stretto della «necessità di fermare il genocidio, senza però usare strumenti di guerra».
Un’azione sì, ma senza l’uso della forza. Lo spettro del “ma anche” si allunga anche sul leader di Sel Vendola: «Impedire la macelleria civile ma vigilare con cautela perché l’opzione militare non si trasformi in qualcosa d’altro». Ecco, allora, che la soluzione per impedire il massacro ed evitare il pantano può essere l’intervento«limitato e chirurgico», con molti se e altrettanti ma. Pacifisti critici? Diversamente interventisti, via
.




«Questo mafioso finanziò Berlusconi» - di Lirio Abbate





Si chiama Giovannello Greco, era un killer fedelissimo di Bontate. E secondo le accuse di Giovanni Brusca avrebbe prestato centinaia di milioni al Cavaliere. Uscito dal carcere, è ancora vivo, non si sa dove.

Decine di miliardi di vecchie lire: quello che negli anni Settanta era un vero tesoro, pari a centinaia di milioni di euro odierni. E' l'investimento che una cordata di mafiosi palermitani avrebbe affidato allora a Silvio Berlusconi: denaro raccolto con i proventi del narcotraffico. In prima fila in questa operazione ci sarebbe stato Stefano Bontate. Assieme a lui, un pool di altri boss avrebbe consegnato pacchi di milioni di lire al fondatore dell'Edilnord. Boss sterminati nella spietata guerra lanciata dai killer corleonesi di Totò Riina all'inizio degli anni Ottanta. Tutti morti, tranne uno. Almeno a dare fiducia alle ultimissime dichiarazioni di Giovanni Brusca: uno dei presunti finanziatori di Berlusconi sarebbe ancora vivo. E libero, perché è anche l'unico mafioso che ha ottenuto la revisione del celebre maxiprocesso.

Il nome messo a verbale da Brusca lo scorso 25 novembre è quello di Giovannello Greco, un sopravvissuto: scampato alla strage corleonese, fuggito in Spagna, arrestato 16 anni dopo e poi tornato in libertà grazie alla revisione della condanna definitiva. A 14 anni dal suo arresto si è scoperto che Brusca aveva custodito nel silenzio molte conoscenze. A partire dalla storia del presunto tesoro mafioso affidato a Berlusconi.

Il racconto – scrive l'Espresso nel numero in edicola domani - messo nero su bianco negli ultimi mesi secondo gli inquirenti è importante perché descrive nel dettaglio tutti i tentativi da parte dei boss di recuperare il capitale consegnato all'imprenditore milanese.

Brusca sostiene che ogni anno il Cavaliere avrebbe pagato 600 milioni di lire ai finanziatori siciliani. Poi la guerra corleonese tra il 1981 e il 1982 ha falcidiato Bontate e il suo gruppo, facendo interrompere i rapporti.

Oggi Brusca ha fornito nuovi racconti sui boss che negli anni Settanta avrebbero puntato sul Cavaliere. Tra loro ci sarebbe stato Pietro Marchese, ucciso in carcere nel 1982. E soprattutto Giovannello Greco, un fedelissimo di Bontate, accusato di aver commesso numerosi omicidi: uno dei pochi uomini del padrino palermitano sopravvissuto alla mattanza corleonese. Brusca racconta come Greco riuscì a spiazzare i sicari di Riina con un'azione improvvisa: sarebbe piombato nell'abitazione del mafioso Gaetano Cinà, amico di Dell'Utri e in quel momento alleato dei corleonesi. «Giovannello Greco torna da dove si trovava e fa una specie di sorpresa a questo Cinà, per recuperare i soldi». Cinà, secondo Brusca, è l'uomo che all'epoca poteva arrivare direttamente al braccio destro del Cavaliere. E tramite questo canale sarebbe riuscito a farsi riconsegnare la sua quota dell'investimento. Fuggito dalla Sicilia dopo la morte del suo capomafia, Giovannello Greco è stato arrestato dopo 16 anni di latitanza a Ibiza e – dopo una lunga resistenza all'estradizione – ha poi accettato di tornare in carcere in Italia. Nel 2001 Gaetano Grado, un altro degli alleati di Bontate che secondo i pentiti frequentava Arcore, ha deciso di collaborare e si è autoaccusato dell'unico tentato omicidio per cui Greco era stato condannato nel maxiprocesso.

Su questa base Greco ha ottenuto la revisione della sentenza, con l'assoluzione riconosciuta dalla Corte d'appello di Catania. Dopo avere scontato un'altra pena per associazione mafiosa, oggi Giovannello è libero e vive lontano dalla Sicilia insieme alla moglie e alle figlie.




domenica 20 marzo 2011

Una guerra è sempre piena di incognite - Viviana Vivarelli




Arrivati a questo punto, possiamo solo sperare che Gheddafi si dimetta al più presto, perché una guerra si sa quando si comincia ma non si sa quando finirà. E non conviene a nessuno, meno che mai agli Italiani, avere una guerra internazionale ai confini. Già partecipano Stati uniti, Francia, Inghilterra, Italia e pure il Canada. Ma le basi militari da cui partiranno i caccia le abbiamo noi e i bersagli principali, dunque, siamo noi.
In questa Italia priva di informazione e gettata alla deriva da un governo inetto e irresponsabile, gli interrogativi sono tanti. Il 18 giugno 1014 l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria e Ungheria scatenò la seconda guerra mondiale. Nessuno ci dice cosa comporterà la guerra alla Libia. Verrà qualcuno a difenderla? Arriverà la Cina? La Russia? Il Venezuela? Bombardare la Libia resterà un’operazione chirurgica o scatenerà conseguenze spiacevoli? Nessun rais è solo sulla faccia della terra. Nemmeno un pezzo da forca come Gheddafi. E anche se restasse il solo Gheddafi, siamo proprio sicuri che lo sgarro cocente fattogli dall’”Amico” Berlusconi resterà senza conseguenze? Io, se fossi Berlusconi, smetterei di passeggiare come un vanesio tra la gente, potrebbe ricevere qualcosa di diverso da una salve di fischi.
Il primo Duce ci trascinò in una sanguinosa quanto inutile guerra d’Africa. Il ducetto D’Alema ci mescolò alla guerra del Kossovo. Nel frattempo abbiamo partecipato alla guerra irachena e a quella afgana. Sempre contro il dettato costituzionale che ci vieta di portare guerre offensive. Ma il terzo duce sta facendo lo stesso. E, tanto per sottolineare le analogie, Mussolini attaccò come un traditore Grecia e Francia per seguire l’alleato più forte, Berlusconi fa lo stesso ubbidendo all’America attaccando l’alleato libico, quello a cui appena ieri ha venduto le armi di Finmeccanica, con cui è ancora caldo un patto di non belligeranza, a cui ha baciato le mani, tanto per seguire il più forte alleato americano. Il tradimento i nostri dittatori ce l’hanno nel sangue e anche la viltà.
Siamo a un passo da una nuova e sanguinosa “guerra umanitaria”?
E il mondo arabo starà a guardare l’ingresso delle armi americane? E se attaccare la Libia innescasse una violenta guerra col mondo islamico?

E ancora:
Tutti schierati sulla guerra, anche Di Pietro – Una guerra è sempre piena di incognite – La pistola dell’Occidente – Democrazia e rinnovabili – Il decreto di stop del Governi – Noi e le prossime generazioni – La guerra vista dalle vittime – Corrotti, corruttori, corruttibili e il potere che li salva dai processi- Prescrizione breve, anzi brevissima- Dopo il fallimento della banca padana, fallisce anche la società aerea padana.

Potrete leggere tutto su:



Crisi libica, l’incognita delle “ritorsioni” contro l’Italia.




Sono molti gli italiani che in questo momento si stanno chiedendo quali rischi corre realmente il nostro Pease dando appoggio all’intervento militare contro la Libia. Questa mattina Gheddafi, nel suo intervento audio trasmesso da varie televisioni, è stato chiaro: “Colpiremo nel Mediterraneo obiettivi civili e militari, l’Italia ci ha tradito”. Che cosa dobbiamo quindi aspoettarci da parte del Colonnello? Come spiega Il Corriere della Sera alcuni analisti e lo stesso presidente Silvio Berlusconi affermano pubblicamente che i missili a disposizione non hanno la gittata sufficiente per raggiungere il suolo italiano. In realtà nessuno è in grado di fornire certezze sugli armamenti accumulati dopo la revoca dell’embargo e dunque sull’eventualità che Gheddafi sia in grado di colpire Lampedusa, Linosa e addirittura arrivare fino a Pantelleria. Del resto gli accordi economici stretti negli ultimi anni da numerosi Stati occidentali riguardano anche l’industria bellica. Manca però una lista ufficiale delle apparecchiature consegnate. Gli apparati di sicurezza sono in regime di massima allerta e nessuna ipotesi viene scartata quando si analizzano le possibili «ritorsioni» già annunciate dal Raìs contro quegli Stati che gli hanno voltato le spalle, in testa proprio il nostro Paese.

Allerta alle frontiere di terra e mare
Un dispositivo particolare è scattato a protezione delle ambasciate e più in generale di tutte le sedi diplomatiche degli Stati coinvolti nei raid, così come sempre avviene in caso di una crisi internazionale tanto grave. Non risulta che i servizi di intelligence abbiano trasmesso al governo segnalazioni specifiche su possibili azioni progettate sul territorio. Ma due anni fa nessuno previde che Mohamed Game, cittadino libico residente da anni in Italia, si sarebbe fatto esplodere di fronte alla caserma Santa Barbara di Milano per protesta «contro il governo e Silvio Berlusconi responsabile della politica estera». Ed è proprio un eventuale gesto isolato ad allarmare, come è stato ribadito due giorni fa durante la riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato al Viminale dal ministro dell’Interno Roberto Maroni.

La circolare firmata dal capo della polizia Antonio Manganelli e indirizzata a prefetti e questori al momento si limita a sollecitare «la massima attenzione per gli obiettivi sensibili e soprattutto per le frontiere marittime e terrestri», ma la decisione di convocare in maniera permanente il Comitato di analisi strategica conferma le preoccupazioni relative all’evolversi di «una situazione di guerra che può diventare simile all’Iraq e all’Afghanistan però questa volta in un Paese che si trova a poche centinaia di miglia da noi». In queste ore si cerca di scoprire se negli arsenali del Raìs ci siano armi chimiche. Le voci sono contrastanti, ma è pur vero che l’analisi su quanto stava accadendo nel Paese è apparsa da tempo carente se si tiene conto che nessun servizio segreto occidentale aveva previsto che cosa sarebbe accaduto in Libia: né la rivolta degli oppositori partita dalla Cirenaica, né tantomeno la capacità di Gheddafi di riconquistare la maggior parte del Paese come ha mostrato di poter fare negli ultimi giorni, prima della risoluzione dell’Onu di due giorni fa che ha deciso l’intervento militare a protezione della popolazione.

La rete degli ambasciatori
Per cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni i servizi di intelligence occidentale si affidano dunque a quegli ambasciatori libici che il 21 febbraio hanno deciso di abbandonare il regime e schierarsi con i ribelli. Un documento congiunto diramato quattro giorni dopo si rivolgeva al «popolo in lotta» con un messaggio esplicito: «Popolo nostro, in questi momenti noi siamo con te, noi non ti abbandoneremo e ci impegneremo al massimo per servirti come soldati leali al servizio dell’unità nazionale, della libertà e della sicurezza. Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo, nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico».

La nota era stata sottoscritta anche dai loro colleghi in Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Grecia e Malta. Adesso sono tutti loro a poter fornire un aiuto prezioso per comprendere dove e come possa essere indirizzata la vendetta di Gheddafi. Il pericolo maggiore riguarda gli italiani e gli altri occidentali che si trovano ancora in Libia e potrebbero essere catturati per essere utilizzati poi come merce di scambio o comunque in un’azione di propaganda contro l’Occidente. Ma la paura per quanto potrà accadere ormai supera i confini dello Stato africano.




Le basi Nato in Italia.


Guardate bene, magari ce n'è una vicino casa vostra e non lo sapevate!

Busag

Elenco per Regioni

Le sigle

Usaf: aviazione
Navy: marina
Army: esercito
Nsa: National security agency [Agenzia di sicurezza nazionale]
Setaf: Southern european task force [Task force sudeuropea]

Trentino Alto Adige
1. Cima Gallina [Bz]. Stazione telecomunicazioni e radar dell'Usaf.
2. Monte Paganella [Tn]. Stazione telecomunicazioni Usaf.


Friuli Venezia Giulia
3. Aviano [Pn]. La più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni dell'Usaf in Italia [almeno tremila militari e civili americani ]. Nella base sono dislocate le forze operative pronte al combattimento dell'Usaf [un gruppo di cacciabombardieri ] utilizzate in passato nei bombardamenti in Bosnia. Inoltre la Sedicesima Forza Aerea ed il Trentunesimo Gruppo da caccia dell'aviazione Usa, nonché uno squadrone di F-18 dei Marines. Si presume che la base ospiti, in bunker sotterranei la cui costruzione è stata autorizzata dal Congresso, bombe nucleari. Nella base aerea di Aviano (Pordenone) sono permanentemente schierate, dal 1994, la 31st Fighter Wing, dotata di due squadriglie di F-16 [nella guerra contro la Jugoslavia nel 1999, effettuo' in 78 giorni 9.000 missioni di combattimento: un vero e proprio record] e la 16th Air Force. Quest'ultima è dotata di caccia F-16 e F-15, e ha il compito, sotto lo U. S. European Command, di pianificare e condurre operazioni di combattimento aereo non solo nell'Europa meridionale, ma anche in Medio Oriente e Nordafrica. Essa opera, con un personale di 11.500 militari e civili, da due basi principali: Aviano, dove si trova il suo quartier generale, e la base turca di Incirlik. Sara' appunto quest'ultima la principale base per l'offensiva aerea contro l'Iraq del nord, ma l'impiego degli aerei della 16th Air Force sara' pianificato e diretto dal quartier generale di Aviano.

4. Roveredo [Pn]. Deposito armi Usa.
5. Rivolto [Ud]. Base USAF.
6. Maniago [Ud]. Poligono di tiro dell'Usaf.
7. San Bernardo [Ud]. Deposito munizioni dell'Us Army.
8. Trieste. Base navale Usa.

Veneto
9. Camp Ederle [Vi]. Quartier generale della Nato e comando della Setaf della Us Army, che controlla le forze americane in Italia, Turchia e Grecia. In questa base vi sono le forze da combattimento terrestri normalmente in Italia: un battaglione aviotrasportato, un battaglione di artiglieri con capacità nucleare, tre compagnie del genio. Importante stazione di telecomunicazioni. I militari e i civili americani che operano a Camp Ederle dovrebbero essere circa duemila.

10. Vicenza: Comando Setaf. Quinta Forza aerea tattica [Usaf]. Probabile deposito di testate nucleari.
11. Tormeno [San Giovanni a Monte, Vi]. Depositi di armi e munizioni.
12. Longare [Vi]. Importante deposito d'armamenti.
13. Oderzo [Tv]. Deposito di armi e munizioni
14. Codognè [Tv]. Deposito di armi e munizioni
15. Istrana [Tv]. Base Usaf.
16. Ciano [Tv]. Centro telecomunicazioni e radar Usa.
17. Verona. Air Operations Center [Usaf ]. e base Nato delle Forze di Terra del Sud Europa; Centro di elecomunicazioni [Usaf].
18. Affi [Vr]. Centro telecomunicazioni Usa.
19. Lunghezzano [Vr]. Centro radar Usa.
20. Erbezzo [Vr]. Antenna radar Nsa.
21. Conselve [Pd ]. Base radar Usa.
22. Monte Venda [Pd]. Antenna telecomunicazioni e radar Usa.
23. Venezia. Base navale Usa.
24. Sant'Anna di Alfaedo [Pd]. Base radar Usa.
25. Lame di Concordia [Ve]. Base di telecomunicazioni e radar Usa.
26. San Gottardo, Boscomantivo [Ve]. Centro telecomunicazioni Usa.
27. Ceggia [Ve]. Centro radar Usa.

Lombardia
28. Ghedi [Bs]. Base dell'Usaf, stazione di comunicazione e deposito di bombe nucleari.
29. Montichiari [Bs]. Base aerea [Usaf ].
30. Remondò [Pv]. Base Us Army.
108. Sorico [Co]. Antenna Nsa.

Piemonte
31. Cameri [No]. Base aerea Usa con copertura Nato.
32. Candelo-Masazza [Vc]. Addestramento Usaf e Us Army, copertura Nato.

Liguria
33. La Spezia. Centro antisommergibili di Saclant [vedi 35 ].
34. Finale Ligure [Sv]. Stazione di telecomunicazioni della Us Army.
35. San Bartolomeo [Sp]: Centro ricerche per la guerra sottomarina. Composta da tre strutture. Innanzitutto l Saclant, una filiale della Nato che non è indicata in nessuna mappa dell'Alleanza atlantica. Il Saclant svolgerebbe non meglio precisate ricerche marine: in un dossier preparato dalla federazione di Rifondazione Comunista si parla di "occupazione di aree dello specchio d'acqua per esigenze militari dello stato italiano e non [ricovero della VI flotta Usa]". Poi c'è Maricocesco, un ente che fornisce pezzi di ricambio alle navi. E infine Mariperman, la Commissione permanente per gli esperimenti sui materiali da guerra, composta da cinquecento persone e undici istituti [dall'artiglieria, munizioni e missili, alle armi subacquee].

Emilia Romagna
36. Monte San Damiano [Pc]. Base dell'Usaf con copertura Nato.
37. Monte Cimone [Mo]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato.
38. Parma. Deposito dell'Usaf con copertura Nato.
39. Bologna. Stazione di telecomunicazioni del Dipartimento di Stato.
40. Rimini. Gruppo logistico Usa per l'attivazione di bombe nucleari.
41. Rimini-Miramare. Centro telecomunicazioni Usa.

Marche
42. Potenza Picena [Mc]. Centro radar Usa con copertura Nato.


Toscana
43. Camp Darby [Pi]. Il Setaf ha il più grande deposito logistico del Mediterraneo [tra Pisa e Livorno], con circa 1.400 uomini, dove si trova il 31st Munitions Squadron. Qui, in 125 bunker sotterranei, e' stoccata una riserva strategica per l'esercito e l'aeronautica statunitensi, stimata in oltre un milione e mezzo di munizioni. Strettamente collegato tramite una rete di canali al vicino porto di Livorno, attraverso il Canale dei Navicelli, è base di rifornimento delle unità navali di stanza nel Mediterraneo. Ottavo Gruppo di supporto Usa e Base dell'US Army per l'appoggio alle forze statunitensi al Sud del Po, nel Mediterraneo, nel Golfo, nell'Africa del Nord e la Turchia.
44. Coltano [Pi]. Importante base Usa-Nsa per le telecomunicazioni: da qui sono gestite tutte le informazioni raccolte dai centri di telecomunicazione siti nel Mediterraneo. Deposito munizioni Us Army; Base Nsa.
45. Pisa [aeroporto militare]. Base saltuaria dell'Usaf.
46. Talamone [Gr]. Base saltuaria dell'Us Navy.
47. Poggio Ballone [Gr]. Tra Follonica, Castiglione della Pescaia e Tirli: Centro radar Usa con copertura Nato.
48. Livorno. Base navale Usa.
49. Monte Giogo [Ms]. Centro di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

Sardegna
50. La Maddalena - Santo Stefano [Ss]. Base atomica Usa, base di sommergibili, squadra navale di supporto alla portaerei americana "Simon Lake".
51. Monte Limbara [tra Oschiri e Tempio, Ss]. Base missilistica Usa.
52. Sinis di Cabras [Or]. Centro elaborazioni dati [Nsa].
53. Isola di Tavolara [Ss]. Stazione radiotelegrafica di supporto ai sommergibili della Us Navy.
54. Torre Grande di Oristano. Base radar Nsa.
55. Monte Arci [Or]. Stazione di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.
56. Capo Frasca [Or]. Eliporto ed impianto radar Usa.
57. Santulussurgiu [Or]. Stazione telecomunicazioni Usaf con copertura Nato.
58. Perdasdefogu [Nu]. Base missilistica sperimentale.
59. Capo Teulada [Ca]. Da Capo Teulada a Capo Frasca [Or ], all'incirca 100 chilometri di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70 mila ettari di zone "off limits": poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della Sesta flotta americana e della Nato.
60. Cagliari. Base navale Usa.
61. Decimomannu [Ca]. Aeroporto Usa con copertura Nato.
62. Aeroporto di Elmas [Ca]. Base aerea Usaf.
63. Salto di Quirra [Ca]. poligoni missilistici.
64. Capo San Lorenzo [Ca]. Zona di addestramento per la Sesta flotta Usa.
65. Monte Urpino [Ca]. Depositi munizioni Usa e Nato.

Lazio
66. Roma. Comando per il Mediterraneo centrale della Nato e il coordinamento logistico interforze Usa. Stazione Nato
67. Roma Ciampino [aeroporto militare]. Base saltuaria Usaf.
68. Rocca di Papa [Rm]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato, in probabile collegamento con le installazioni sotterranee di Monte Cavo
69. Monte Romano [Vt]. Poligono saltuario di tiro dell'Us Army.
70. Gaeta [Lt]. Base permanente della Sesta flotta e della Squadra navale di scorta alla portaerei "La Salle".
71. Casale delle Palme [Lt]. Scuola telecomunicazioni Nato sotto controllo Usa.

Campania
72. Napoli. Comando del Security Force dei Marines. Base di sommergibili Usa. Comando delle Forze Aeree Usa per il Mediterraneo. Porto normalmente impiegato dalle unità civili e militari Usa. Si calcola che da Napoli e Livorno transitino annualmente circa cinquemila contenitori di materiale militare.
73. Aeroporto Napoli Capodichino. Base aerea Usaf.
74. Monte Camaldoli [Na]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
75. Ischia [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.
76. Nisida [Na]. Base Us Army.
77. Bagnoli [Na]. Sede del più grande centro di coordinamento dell'Us Navy di tutte le attività di telecomunicazioni, comando e controllo del Mediterraneo.
78. Agnano [nelle vicinanze del famoso ippodromo]. Base dell'Us Army.
80. Licola [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa.
81. Lago Patria [Ce]. Stazione telecomunicazioni Usa.
82. Giugliano [vicinanze del lago Patria, Na]. Comando Statcom.
83. Grazzanise [Ce]. Base saltuaria Usaf.
84. Mondragone [Ce]: Centro di Comando Usa e Nato sotterraneo antiatomico, dove verrebbero spostati i comandi Usa e Nato in caso di guerra
85. Montevergine [Av]: Stazione di comunicazioni Usa.

Basilicata
79. Cirigliano [Mt]. Comando delle Forze Navali Usa in Europa.
86. Pietraficcata [Mt]. Centro telecomunicazioni Usa e Nato.

Puglia
87. Gioia del Colle [Ba]. Base aerea Usa di supporto tecnico.
88. Brindisi. Base navale Usa.
89. Punta della Contessa [Br]. Poligono di tiro Usa e Nato.
90. San Vito dei Normanni [Br]. Vi sarebbero di stanza un migliaio di militari americani del 499° Expeditionary Squadron;.Base dei Servizi Segreti. Electronics Security Group [Nsa ].
91. Monte Iacotenente [Fg]. Base del complesso radar Nadge.
92. Otranto. Stazione radar Usa.
93. Taranto. Base navale Usa. Deposito Usa e Nato.
94. Martinafranca [Ta]. Base radar Usa.

Calabria
95. Crotone. Stazione di telecomunicazioni e radar Usa e Nato.
96. Monte Mancuso [Cz]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
97. Sellia Marina [Cz]. Centro telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

Sicilia
98. Sigonella [Ct]. Principale base terrestre dell'Us Navy nel Mediterraneo centrale, supporto logistico della Sesta flotta [circa 3.400 tra militari e civili americani ]. Oltre ad unità della Us Navy, ospita diversi squadroni tattici dell'Usaf: elicotteri del tipo HC-4, caccia Tomcat F14 e A6 Intruder, gruppi di F-16 e F-111 equipaggiati con bombe nucleari del tipo B-43, da più di 100 kilotoni l'una.
99. Motta S. Anastasia [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
100. Caltagirone [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
101. Vizzini [Ct]. Diversi depositi Usa. Nota: un sottufficiale dell'aereonautica militare ci ha scritto, precisando che non vi sono installazioni USA in questa base militare italiana.
102. Palermo Punta Raisi [aeroporto]. Base saltuaria dell'Usaf.
103. Isola delle Femmine [Pa]. Deposito munizioni Usa e Nato.
104. Comiso [Rg]. La base risulterebbe smantellata.
105. Marina di Marza [Rg]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
106. Augusta [Sr]. Base della Sesta flotta e deposito munizioni.
107. Monte Lauro [Sr]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
109. Centuripe [En]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
110. Niscemi [Cl]. Base del NavComTelSta [comunicazione Us Navy ].
111. Trapani. Base Usaf con copertura Nato.
112. Isola di Pantelleria [Tp]: Centro telecomunicazioni Us Navy, base aerea e radar Nato.
113. Isola di Lampedusa [Ag]: Base della Guardia costiera Usa. Centro d'ascolto e di comunicazioni Nsa.




Un Berlusconi da Guinness!




Un Berlusconi da Guinness! 6 stronzate epocali sul nucleare in 35 secondi !!!

Rostagno e la coperta di Linus di una generazione con i paraocchi.


L'inchiesta giornalistica de I QUADERNI DE L'ORA fa saltare i nervi ad un gruppo di ex simpatizzanti di Lotta Continua.

Mauro Rostagno, giornalista di RtcNell’Italia mediatica di oggi non c’è niente di più rassicurante e quindi di sicuro -meritevole del timbro della “verità indiscutibile” - di una tesi che mette d’accordo due antichi antagonisti sul palcoscenico della cronaca: le indagini di uno Stato che scopre i colpevoli mafiosi dell’omicidio Rostagno e il coro stonato dei nipotini di una stagione esaltante sul piano delle emozioni, ma fallimentare su quello politico, perché strizzava l’occhio alla violenza e definiva “giustizia” l’omicidio. Rassicurante a tal punto da coprire di insulti il lavoro giornalistico, lo stesso per il quale, secondo questa tesi, è morto Mauro Rostagno.

Quello che colpisce è il livore dei toni e la violenza verbale, ben oltre i confini della diffamazione. Ci hanno definiti "sciacalli","fiancheggiatori" della mafia, hanno chiamato "merda" il nostro lavoro, ci hanno persino accusati di prendere soldi – non si sa bene da chi – per depistare le indagini. Accuse di cui ciascun crociato di questa guerra santa della disinformazione on-line dovra’ – al piu’ presto - rispondere in Tribunale. Tutto questo perche’?

Noi de I Quaderni de L’Ora abbiamo provato semplicemente a mettere in fila dubbi e interrogativi, riproponendo ai nostri lettori un percorso giornalistico a 360 gradi per ricostruire un caso controverso della cronaca con le sue luci ed ombre, con tutte le sue sfaccettature. Non un fatto, un episodio, un verbale, non un solo dato della ricostruzione è stato contestato dal coro di nostalgici indignati: saremmo “depistatori” solo perché osiamo stimolare la riflessione su un movente e su mandanti ancora oscuri, come sostengono, allargando le braccia, gli stessi pubblici ministeri.

Il paradosso e’ che Maddalena Rostagno, figlia di Mauro, e’ tra coloro che gridano ‘’merda’’ contro di noi per l’unica ragione che -dietro l’esecuzione di mafia - ipotizziamo una committenza piu’ alta nell’uccisione di suo padre. In trent’anni di mestiere e’ la prima volta che veniamo accusati dai familiari di una vittima di mafia per aver chiesto luce sui mandanti occulti. E’ come se il padre dell’agente Nino Agostino, che da undici anni non taglia la sua barba per testimoniare la sua aspettativa di giustizia, ci insultasse per aver scritto un articolo che chiede la verita’ completa sulla matrice, non solo mafiosa, dell’uccisione di suo figlio. E’ come se Giovanna Maggiani Chelli, madre di una delle ragazze ferite nella strage dei Georgofili, e presidente dell’associazione familiari delle vittime di quell’eccidio, ci bacchettasse ricorrendo addirittura al turpiloquio per aver posto domande sui committenti ancora misteriosi del tritolo del ’93. Noi rispettiamo il dolore di tutti i parenti di tutte le vittime di mafia, terrorismo, servizi "deviati" e di qualunque agenzia della violenza abbia seminato morte e lutti nel paese, ma non comprendiamo la ratio di questa aggressione violenta e immotivata. Le contumelie, gli insulti, le parolacce non sono certo l’espressione di una divergenza di opinioni – ovviamente legittima, anche se diventa una radicale contrapposizione di idee – serena e democratica.

Ma allora? Di che sono espressione? Perche’ questi toni scomposti? C'e' un'indagine aperta alla Dda di Palermo ancora oggi a caccia del movente e dei retroscena nascosti dell’omicidio Rostagno. Si scava dietro un delitto che riassume, in modo paradigmatico, tutti i misteri di una stagione ancora irrisolta dei rapporti tra mafia, terrorismo e servizi segreti. E' lecito -in assenza di certezze -porsi tutte le domande e i dubbi del caso? Agitare ancora lo striscione con lo slogan “la mafia è una montagna di merda” (azione utilissima negli anni ’70), oggi, nel 2011, può non bastare più e rischia di essere, questo sì, riduttivo e davvero depistante.

Significa non avere compreso struttura ed evoluzione di una Cosa Nostra trasformata, in questi anni, in una “Cosa Nuova”, nelle sue relazioni con apparati dello Stato - come tante indagini sulle stragi hanno portato a galla - individuando l’origine di questa mutazione proprio nella fine degli anni ’80, lo stesso periodo in cui il piombo mafioso ha ucciso Rostagno. Significa, per un giornalismo sensibile alle onde mediatiche diffuse da un’oggettiva saldatura di obiettivi, dimenticare che la prima regola del giornalista è riferire i fatti coltivando i dubbi.

Specie in presenza di un’indagine sui mandanti occulti del delitto Rostagno, che va oltre la mafia, come adesso scrivono anche numerosi colleghi nelle loro cronache. Nessuno mette in dubbio il livello mafioso, nell’ideazione e nell’esecuzione dell’omicidio Rostagno, ma il dubbio che per qualcuno possa trasformarsi in una coperta di Linus che riscalda le coscienze e copre tutti i buchi neri di un passato in cui Mauro fu protagonista, dopo quest’offensiva mediatica di insulti e contumelie, si rafforza.

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