lunedì 9 maggio 2011

“Ho dato soldi alla fondazione di D’Alema In cambio speravo di ottenere appalti”. - di Marco Lillo


Il faccendiere Pio Piccini ed ex conproprietario dell'Ikarus Vincenzo Morichini: "Volevo avere gli appalti per le intercettazioni". Il racconto ai pm Ielo, Greco e Cascini: "Ho incontrato il presidente a cena, il rapporto diretto però l'avevo con il suo uomo". I numeri e i beneficiari: "Mi dissero che il 5 per cento del business sarebbe finito in parte anche al Pd"

Ci deve essere una maledizione sulla prima barca, il celebre Ikarus, di Massimo D’Alema. Dopo i guai pugliesi del suo compagno di regateMassimo De Santis, il presidente del Copasir si ritrova una seconda volta impigliato in una vicenda imbarazzante per colpa dell’altro socio di quell’avventura velica: Vincenzo Morichini.

Questo assicuratore 66enne, nato a Foligno e già agente generale dell’Ina Assitalia, è indagato a Roma dal pm Paolo Ielo per violazione in concorso dell’articolo 8 DLgs 74/2000, ovvero per una semplice emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Ovviamente il problema per Massimo D’Alema non nasce dall’indagine né dai finanziamenti delle aziende di Morichini alla sua Fondazione Italiani Europei ma da un verbale di interrogatorio nel quale sono emersi i rapporti spericolati tra il suo amico di vela e il faccendiere Pio Piccini, arrestato per il crack Omega-Eutelia. Il 15 settembre scorso Piccini è stato sentito in gran segreto da tre magistrati dai nomi pesanti: Francesco Greco di Milano,Paolo Ielo e Giuseppe Cascini di Roma. Il tema principale dell’interrogatorio, in larga parte omissato, sono i rapporti di Piccini con i politici e tra questi in particolare con Massimo D’Alema, per il tramite appunto di Morichini. Il triangolo disegnato davanti ai pm da Pio Piccini lega l’amico di D’Alema, Vincenzo Morichini, alla Fondazione Italiani europei (che prende finanziamenti dalle società di Piccini per una somma complessiva di 30 mila euro) e il gruppo Finmeccanica, che sigla un accordo quadro con lo stesso Piccini per il business delle intercettazioni telefoniche. Inoltre Piccini racconta che, sempre grazie a Morichini, aveva avviato un’intensa attività di lobby in Umbria e anche nelle Marche, per ottenere appalti nella sanità.

Piccini, inoltre, descrive tre incontri con D’Alema. Nulla di particolare: un pranzo a Roma vicino alla sede di Piazza Navona della Fondazione Italiani Europei, un pranzo a Foligno e uno a Pesaro durante la campagna elettorale, sempre insieme a Morichini. Piccini ha versato contributi registrati regolarmente alla Fondazione di Massimo D’Alema ma – come dice ai pm – “non ha cacciato un euro per il Pd”. Mentre ha pagato regolarmente la società di Morichini per i suoi servigi, tenendo i rapporti tramite un cugino di Massimo D’Alema che ne fa parte.

“La mia società Themis”, ha raccontato Piccini, “fatturava alla Sdb di Morichini. Alla stipula dell’affidamento per l’appalto delle intercettazioni da parte di Finmeccanica avrei pagato la percentuale pattuita del 5,5 per cento. Ma, avendo firmato solo un accordo quadro, ho pagato solo i compensi di 2.500 euro al mese. Intanto”, ha proseguito Piccini, “i rapporti con Sdb venivano tenuti con la parte amministrativa, che era rappresentata dal dottor Massimo Bologna che Morichini mi disse essere il cugino di D’Alema per parte di madre. L’ho conosciuto un paio di volte per la firma del contratto e poi l’ho sentito solo per i pagamenti”.
Secondo Piccini, “Morichini mi disse: posso aiutarti con Finmeccanica grazie ai suoi rapporti politici e quando ci siamo incontrati la prima volta con Guarguaglini, Morichini si premurò immediatamente di porgere i saluti dell’onorevole D’Alema”

Si tratta di accuse che devono ancora essere riscontrate e che comunque, come sottolineano in Procura, probabilmente non configurano comportamenti penalmente rilevanti poiché i soldi incassati dalla Fondazione presieduta da Massimo D’Alema sono stati correttamente dichiarati. A prescindere dalla qualificazione giuridica, sono fatti rilevanti dal punto di vista politico e meritano di essere raccontati. Piccini racconta così l’avvio della sua conoscenza con Morichini: “Morichini l’ho conosciuto a Roma alla fine del 2007, primi del 2008. Mi è stato presentato alla Fondazione Italiani Europei dove ero stato invitato. Lui diventa il mio assicuratore poi mi propone un rapporto diretto come consulente dal punto di vista delle relazioni/faccendiere , come diceva lei (il pm, ndr) per potere gestire tutta una serie di rapporti nel mondo romano, principalmente legato a società come Finmeccanica, diciamo, barra pubbliche e, avendo io parlato dei miei progetti che mi stavano molto a cuore nella sanità (mi propone) la possibilità di estenderli in quelle regioni dove ci fosse stata una guida Pd, essendo lui molto vicino a D’Alema e al Partito Democratico e quindi poteva facilitarmi tutte quelle Regioni che fossero state a guida Pd”. Il pm Francesco Greco chiede allora a Piccini quale fosse il rapporto tra Morichini e la Fondazione presieduta da Massimo D’Alema e il faccendiere arrestato non si tira indietro: “Oltre al lavoro principale di agente assicurativo a Fiumicino collaborava in maniera stretta con la Fondazione Italiani Europei tanto che la prima cosa che mi chiede di fare sarà un contributo di 15.000 euro alla Fondazione Italiani Europei, che noi faremo credo alla fine del 2008, primi del 2009 come Omega. Troverete una ricevuta in Omega, come la troverà nell’altra società Temis per altri 15 mila euro nel periodo successivo”. A questo punto, spiega Piccini, “cominciamo a discutere sul progetto che a me stava molto a cuore e che stavo cercando di riportare in auge da diversi anni: la gestione delle prestazioni obbligatorie per la Magistratura, le intercettazioni telefoniche che avevo gestito per anni in Wind”.

Ovviamente il canale è sempre lo stesso: “A questo punto Morichini mi chiede di consolidare un rapporto di consulenza con la Sdb di Morichini, Società di Business vuol dire l’acronimo, e mi chiede 2500 euro al mese per la prestazione e un contratto a parte per una percentuale del 5,5 per cento sull’eventuale progetto intercettazioni nel momento in cui fosse andato a buon fine”. L’appalto del quale sta parlando Piccini è quello per centralizzare su un unico server tutte le intercettazioni della magistratura. La società Selex Management del gruppo Finnmeccanica, diretta da Sabatino Stornelli, da anni cerca di ottenere l’appalto del quale si parlò per la prima volta con il sottosegretario Alberto Maritati, centrosinistra, e poi inserito nella relazione di accompagnamento del disegno di legge sulle intercettazioni del ministro Angelino Alfano nel 2008. Piccini, si muoveva per ottenere un subappalto da 9 milioni.

“Le intercettazioni a Finmeccanica gliele affidava il Ministero della Giustizia e io ho”, spiega il faccendiere, “ho parlato di questo con il presidente di Finmeccanica: Pierfrancesco Guarguaglini…e viene firmato un accordo quadro… perché non potevamo contrattualizzarlo finché non arrivava a loro (l’appalto principale, ndr) e viene fatto un accordo quadro tra Omega ET Themis, la mia nuova società e la Selex, che viene depositato con data certa…prevedeva l’accordo per il progetto sulle intercettazioni”. A questo punto il pm Cascini chiede a Piccini chi sia il manager del gruppo Finmeccanica con il quale ha concordato l’accordo e soprattutto chi sia il contatto che lo ha messo in contatto con lui e Piccini risponde: “Sabatino Stornelli di Selex Management, prima ho visto Guarguaglini e poi siamo andati con Morichini anche da Stornelli”.

E la destinazione della percentuale del 5,5? “il discorso delle percentuali prevedeva che io dirottassi sulla Sdb di Morichini e – nel caso in cui andassero a buon fine – sarebbero servite in parte per coprire Sdb, in parte per coprire la Fondazione Italiani Europei e in parte il Partito”. A questo punto Piccini comincia a sussurrare per la paura e si svolge questo siparietto con Francesco Greco:
Greco: “Alzi la voce”
Piccini: “E che non …”
Greco: “Lo so che è difficile dire certe cose, alzi la voce”.
Piccini: “E il partito”
Greco: “Quale partito?”
Piccini: “Il Partito Democratico”.
Il pm Cascini a questo punto chiede lumi sulla suddivisione interna: “Morichini mi disse: una parte va a me e una parte alle due strutture”, (Pd e Fondazione, ndr).
È evidente che si potrebbe trattare, anche se il racconto fosse confermato, di un caso di millantato credito ai danni del leader del Pd. Il pm Cascini chiede: “Ma che rapporto aveva Morichini con il Pd”. E Piccini: “Morichini era amico personale di Massimo D’Alema. Credo fosse quello che gli ha venduto il primo Ikarus (è stato cointestatario, ndr). Io ho incontrato D’Alema ad alcuni incontri e cene di Fondazione Italiana Europei, agli ultimi incontri elettorali sulle amministrative, però il rapporto diretto ce l’avevo con Morichini”. E qual era l’importo dell’affare? “Il contratto per noi nel tempo”, spiega il faccendiere, “si poteva sviluppare fino intorno agli otto – nove milioni di euro l’anno e su questi c’era il 5 per cento all’anno tra l’altro questo appalto non prevedeva la gara, sarebbe stata un’ operazione secretata per la problematica legata alle intercettazioni. Non era una gara era un affidamento diretto di Finmeccanica”.

Poi Piccini elenca gli altri orizzonti della collaborazione con l’amico di D’Alema, purtroppo stroncata dall’arresto: “gli parlo della sanità, gli parlo di altre attività e si cominciano rapporti anche col mondo Gse, (Gestore elettrico pubblico, ndr) per capire se si possono sviluppare attività anche presso Gse, ma la parte interessante era l’Umbria, dove si potevano portare a clonare le stesse attività che erano state fatte per la regione Lombardia”.



Berlusconi, poca gente al Palasharp Paura per l’esito delle amministrative


Il timore è quello di non farcela al primo turno e che Letizia Moratti sia costretta al ballottaggio. Il premier dal palco attacca i pm e la gente se ne va annoiata

La grande paura, il timore di non farcela a Milano al primo turno come chiesto a gran voce dal presidente del Consiglio, si materializza tra le file dei maggiorenti del Pdl lombardo, quando gli orologi segnano un quarto alle 18. Silvio Berlusconi sul palco del Palasharp, spostato in avanti di almeno un trentina di metri per far apparire il palazzetto più affollato, si è fatto serio. Dopo il consueto one man show dell’inizio, condotto a colpi di battute (poche) e di domande retoriche (molte), il premier per mezz’ora ha ritirato fuori tutti i vecchi cavalli di battaglia: i comunisti, i giudici, tasse, Gianfranco Fini. E, rispetto al solito, ha alzato di poco l’asticella arrivando a definire tutti “i pm di Milano un cancro da estirpare”, per poi prendersela con il presidente della Camera. È in quel momento che tra il pubblico si registrano le prime defezioni. Sarà stato per il fatto che Berlusconi stava parlando ormai da 45 minuti, o sarà stato perché un contestatore lo ha interrotto ed è stato portato via dalla security, ma all’improvviso il popolo azzurro si distrae. Annoiato. E così dagli spalti la gente comincia a sfollare. Escono subito in trecento, poi a poco a poco in tanti altri. Tra i sedili restano bandiere e foulard azzurri abbandonati alla rinfusa.

Un brutto segnale. Se davvero si dovesse giudicare da qui la campagna del Pdl a Milano, ci sarebbe da scommettere che il ballottaggio tra il sindaco uscente Letizia Moratti e il candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia, è sicuro. Del resto anche riempire (a metà) la tensostruttura di Lampugnano (un quartiere della periferia) era stata una faticaccia. Il 21 aprile, con una dichiarazione al Corriere, il coordinatore del Pdl lombardo, Mario Matovani, aveva annunciato l’arrivo di “diecimila persone sotto il tendone del Palasharp, lo stesso di Eco, Saviano e del Popolo Viola”. Insomma aveva lanciato un guanto di sfida a quelli di Libertà e Giustizia che il 5 febbraio da lì avevano gridato: “Berlusconi dimettiti”.
Risultato: la sfida è stata persa per 10 mila a 4 mila . E adesso anche la battaglia elettorale si fa davvero dura. Il leader del Pdl pure ieri ha caricato di valore politico le amministrative. “Dobbiamo convincere gli indecisi”, ha detto, “è importante spiegare come il voto di Milano sia fondamentale per dare sostegno e forza al governo del paese. Milano con Letizia Moratti farà da spinta alla nostra maggioranza per poter governare ancora due anni. Non possiamo nemmeno immaginare che Milano cada nelle mani delle opposizioni”. Ma all’ombra della Madonnina c’è chi ormai lo immagina. Sulla base dei numeri.

Nel 2006 Letizia Moratti ha vinto al primo turno con il 51,9 per cento dei voti contro il 47 per cento dell’anonimo sfidante, l’ex prefetto Bruno Ferrante, Tra i due c’erano 34 mila voti di differenza. Solo che oggi, anche a non voler considerare lo scarso appeal della Moratti nei confronti dei suoi concittadini e le tante inimicizie che si è fatta nel partito, il centrodestra corre senza l’appoggio dell’Udc e di un pezzo di An, quella che se ne è andata con Fini. Così Berlusconi ha un bel dire di voler superare la quota di 53 mila preferenze personali toccata cinque anni fa. L’impresa è difficile dicono i sondaggi. Forse ancor più che la vittoria della Moratti al primo turno. Per farcela, il premier ha rinforzato la scorsa settimana lo staff del suo quartier generale in viale Monza. Ha aperto i cordoni delle borsa aggiungendo 3 milioni di euro del partito ai circa 9 stanziati dal sindaco (Giuliano Pisapia complessivamente spende un milione e mezzo). Ha appositamente reclutato i portavoce dei suoi ministri lombardi e, all’ultimo momento, ha deciso di tentare di oscurare con un open bar non stop, il comizio di Pisapia – e relativo concerto di Roberto Vecchioni – previsto per venerdì in piazza del Duomo. “Quel giorno”, ha detto Ignazio La Russa, “occuperemo via Dante con tanti aperitivi e musica dal vivo dalle 18 alle 23”. Insomma, più alcol per tutti.
Nella speranza che gli avventori si spostino con il bicchiere in mano nella vicinissima piazza Castello dove, alle 18:30 , la Moratti parteciperà a un comizio di Umberto Bossi. Per il Pdl, del resto, una delle incognite vere è la Lega. Alle comunali del 2006 ha preso pochissimo (poco più del 3 per cento), ma alle provinciali di tre anni dopo è quadruplicata. E oggi minaccia di fare ancor di più.

Tanto che il suo uomo di punta, Matteo Salvini, attacca ogni giorno i cugini azzurri. “Escludo che i milanesi possano votare una persona del genere”, ha addirittura detto venerdì riferendosi a Marco Clemente, un candidato Pdl che, parlando con un presunto boss della ‘ndrangheta, augurava a un imprenditore vittima di estorsione “di morire come un cane”. E, sempre guardando alle ultime provinciale, l’altro timore degli azzurri è il risultato del centro-sinistra che nel 2009, con Filippo Penati riuscì a spuntarla di un soffio a Milano città. Certo oggi c’è una differenza. In molti scommettono che il Movimento 5 Stelle, con il giovanissimo aspirante sindaco Matteo Calise, farà il pieno di voti. Beppe Grillo mercoledì ha riempito piazza Duomo. Ma se Pisapia deve fare i conti con Calise, la Moratti teme Manfredi Palmeri, l’uomo del Terzo polo. In caso di ballottaggio è possibile che parte dei voti di entrambe i candidati (i due elettorati sono fortemente anti-berlusconiani) finiscano a Pisapia. E se i 5 Stelle rifiutano gli apparentamenti, con Palmeri il dialogo è già ampiamente avviato. Per questo Berlusconi lotta per vincere al primo turno. L’ordine di scuderia è convincere gli indecisi. E l’attacco forsennato alla magistratura serve anche a questo.

Per non parlare delle questioni locali, o degli incerti risultati di governo, e per riporre invece le elezioni come un referendum personale: o io, o loro, le toghe rosse. In viale Monza sostengono che il caso di Roberto Lassini (l’aspirante consigliere comunale sotto inchiesta per i manifesti in cui la magistratura era paragonata alle Brigate Rosse) abbia permesso di guadagnare 5 punti. Tanto che ieri Lassini (non presente al Palasharp) è stato lasciato libero di distribuire per la città i propri santini elettorali. Berlusconi punta insomma a ricompattare lo zoccolo duro dei suoi sostenitori. Solo che ieri, dopo 45 minuti discorso, identico agli interventi del passato, molti di loro hanno cominciato a dare evidenti segni stanchezza. E a poco, a poco, hanno lasciato il Palasharp.

di Peter Gomez e Davide Vecchi



Gli Sgommati - La Russa- _"Gli Italiani hanno preso Bin Laden"




Il contestatore di Berlusconi cacciato dal PalaSharp.






domenica 8 maggio 2011

Berlusconi e le donne, don Gallo contro la Chiesa.


Anche don Andrea Gallo, fondatore della comunità di San Benedetto al Porto, interviene sul caso Ruby. Il premier Silvio Berlusconi è sotto inchiesta: il prete genovese è arrabbiato, ma con il Papa. «Com’è possibile - si chiede don Gallo, intervistato dal Fatto Quotidiano - che dal Cardinal Ruini a Bagnasco, da Fisichella fino al Santo Padre nessuno si indigni per il comportamento di Silvio Berlusconi? Sono ripugnato. A 82 anni e mezzo mi sento autorizzato a dire che è insopportabile che non ci sia una presa di posizione contro queste sconcezze. Anzi - ha rincarato il religioso - le gerarchie ecclesiastiche continuano a sostenere Berlusconi».

«Alla Chiesa - ha continuato Don Gallo - non importa più nulla dei poveri e dei deboli. Vive di privilegi, vuole difenderli e ne vuole conquistare di nuovi. Basti pensare all’8 per mille o ai contributi alle scuole cattoliche, che poi di cattolico non hanno proprio nulla. C’è anche l’esenzione fiscale sugli immobili della Chiesa, che non pagano l’Ici, o le politiche bioetiche».

Don Gallo parla anche del presidente del Consiglio: «È un amorale, un uomo che agisce fuori dalla Costituzione, dalla giustizia, dalla legalità. E dalla civiltà - ha affondato - Dice che lavora tanto e che si toglie qualche sfizio, ma nella sua vita vedo solo sfacelo e tristezza».

http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/01/17/AN5o8PdE-berlusconi_contro_chiesa.shtml




Chi beve chi beve. - Edoardo Bennato




Sicilia, il paradosso dei forestali 841 ufficiali e solo 14 agenti.


PALERMO - È il corpo di polizia più pazzo d' Italia, dove tutti comandano ma non c' è nessuno che possa obbedire. È quello della forestale della Regione Siciliana, composto da ben 841 tra commissari e ispettori, cioè ufficiali e sottufficiali, che sulla carta dovrebbero coordinare una truppa di 14 agenti. Qui tutti hanno i gradi e le stellette, e nessuno è soldato semplice. Il risultato? Non solo in Sicilia non è rimasto più nessuno da "comandare", ma ci sono più commissari e ispettori che in tutto il corpo forestale dello Stato, dove gli ufficiali sono 428 a fronte di 7111 agenti. Un paradosso tutto siciliano, che la Regione guidata da Raffaele Lombardo ha appena scoperto facendo una ricognizione della pianta organica. E adesso, per metterci una pezza, si cerca disperatamente una truppa da far comandare ai tanti ufficiali, con l' amministrazione che vorrebbe riqualificare del personale interno, visto che la Regione ha appena assunto nei ruoli 5400 precari, chiaramente senza alcun concorso. «Per fortuna una norma prevede in questi casi l' assegnazione di mansioni anche inferiori ai graduati, in caso contrario avrei dovuto già chiudere il corpo, rischio che rimane tale perché in tutto ho un organico di 848 persone e ne ho bisogno di almeno 1.300», dice il neo direttore della Forestale, Pietro Tolomeo, che si è trovato sul tavolo i dati che hanno messo nero su bianco questa assurdità, iniziata durante gli anni dall' ex governo Cuffaro: precisamente il 20 aprile 2007, quando è stato consentito l' avvio di promozioni automatiche con la semplice anzianità di servizio. Il paradosso però adesso è sotto gli occhi di tutti. Nel dettaglio il direttore Tolomeo guida un comando nel quale ci sono 148 commissari che guadagnano circa 2.400 euro netti al mese (in organico dovrebbero essere solo 80), 693 ispettori con stipendio da 2.100 euro al mese (in organico dovrebbero essere 200) e solo 14 tra sovrintendenti e agenti con stipendio da 1.400 euro. Secondo la pianta organica, che sempre sulla scia dei paradossi siciliani è stata fissata con lo stesso decreto che promuoveva tutti, gli agenti in ruolo dovrebbero essere 1.100. Ed è proprio su quest' ultimo numero che l' amministrazione e perfino i sindacati si appigliano ora per incrementare l' organico. Gli ufficiali e i sotto ufficiali, infatti, si lamentano perché svolgono mansioni che non sono di loro competenza: «Io ho 50 anni è sono costretto da solo a fare il lavoro dell' agente e del sovrintendente - dice l' ispettore Gerlando Mazzà, del Cobas-Codir - Qui in passato sono stati fatti sprechi ed errori, ma le conseguenze le stiamo pagando noi, perché con un organico ridotto e così squilibrato nessuno può avere ambizioni di carriera». Numeri alla mano, comunque, anche con un organico "ridotto" a 848 unità, la Sicilia non si può lamentare rispetto ad altre regioni d' Italia che hanno una densità boschiva certamente superiore rispetto a quella dell' isola: a esempio, in Veneto i berretti verdi sono 425, tra graduati e agenti, in Toscana 630. Per non parlare della Valle d' Aosta o del Friuli Venezia Giulia, che nonostante le Alpi hanno corpi di polizia forestale composti rispettivamente da 157 e 298 unità.

- ANTONIO FRASCHILLA