Vittorio Sgarbi in prima serata ieri su Raiuno ha raccolto davanti alla tv appena 2,064 milioni di telespettatori, pari all’8,27% di share. Non un flop, di più. La trasmissione costa 1,5 milioni a puntata. Chi l’ha visto, che ne costa 85mila, ha registrato il doppio dello share: più del 16%. Cinque puntate di Sgarbi costano alla Rai otto milioni di euro. Per raggiungere la stessa cifra si devono sommare 30 puntate di Ballarò (81mila euro ciascuna), 40 di Chi l’ha visto e 18 di Report(111mila euro). Ma Sgarbi fa flop. E a guardarla, la prima puntata di Sgarbi, qualche dubbio che non potesse essere un successo si aveva.
Vittorio Sgarbi ha bisogno di un’oretta per ambientarsi sul palco di Rai1, durante un’introduzione infinita su se stesso, prima di sferrare l’annunciato attacco al Fatto Quotidiano: “Arriverà la mia vendetta, falsari!”. Il critico d’arte era furioso per l’articolo di ieri che spiegava l’influenza a Salemi di Giuseppe Giammarinaro, un politico locale con interessi nella sanità e amicizie pericolose: Pino terremoto ordina, Sgarbi esegue e la mafia ringrazia. Storie di terre sottratte a Cosa nostra, che il puparo voleva togliere a “quelli di don Ciotti”, storie di un controllo sul Comune amministrato da Sgarbi, che racconta l’ex assessore Oliviero Toscani. Ecco, preso a celebrare il suo mito, Sgarbi sovviene: “Non consentirò di umiliare Salemi dai magistrati”. E chi ha sequestrato 35 milioni di beni a Giammarinaro: “Cose vecchie, chiarite. Quei terreni andranno a Slow Food e Toscani ha poco senso dell’amicizia”.
Ecco, il sindaco di Salemi che si mostra a un pubblico entusiasta con politici e giornalisti: Anna Maria Bernini del Pdl, Ida Colucci del Tg2, Anna Falchi. Il programma è incartato in una lunga copertina con la registrazione di una telefonata, in viva voce, tra Sgarbi e un giornalista del Fatto con la sua memorabile definizione di “Fidel Castro per una redazione televisiva”. Una capra nera l’accompagna in scena, e libera il suo urlo: “Capra, capra, capra”. È in diretta, rivendica la vittoria con il direttore generale, Lorenza Lei: “Non esiste. Non si può andare in onda con una trasmissione registrata”. E invece il sontuoso programma di Sgarbi, 1,4 milioni di euro a sera, è proprio una collezione di filmati vecchi con un unico protagonista: Sgarbi medesimo. Dopo l’opposizione di viale Mazzini su dio, il tema era il padre, ma il sindaco è insieme padre, figlio, sorella. Tutto. C’è solo lui. Che racconta ai telespettatori, chissà quanto interessati, perché il regista Martinez l’ha mollato, perché il titolo è diverso: non è più “Il mio canto libero” in onore diLucio Battisti, forse la vedova non avrebbe apprezzato.
Guai a cambiare canale, passano sempre immagini di repertorio, sembra una caricatura di Blob eppure, parole sue, “c’è dietro un lavoro di sei mesi”. Il programma non inizia mai: non esistono tempi o scalette, solo improvvisazione. Creatività, certo. Quella con Sgarbi che inneggia al suo egocentrismo e, pur cercando di aspettare un briciolo di senso, le palpebre si chiudono. Ecco, l’effetto del tanto costoso ritorno in televisione del critico in televisione: l’effetto sonnifero. Una noia micidiale a suon di milioni di euro (pubblici).