Storica figuraccia di Matteo Salvini (Lega Nord) in collegamento da Pontida con il TgLa7. Alla domanda di Mentana “Il tema dei ministeri a Roma può costituire il casus belli?”, Salvini risponde: “Quanto belli, quanto grandi, quanto splendenti siano i ministeri a Roma onestamente mi interessa molto poco…”. L’espressione ‘casus belli’ (‘motivo di guerra, di scontro’) viene clamorosamente confusa da Salvini con l’aggettivo belli, riferito ai ministeri. Vabbè, che ci volete fare. Il latino lo parlavano i romani, mica i padani.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 20 giugno 2011
P4: Presidenza del Consiglio, Rai ed Eni Altri contatti nella rete di Bisignani.
Si allunga così anche la lista dei contatti del lobbysta, un tempo affiliato alla P2. Come l’ex direttore generale di viale Mazzini, Mauro Masi. Dalle intercettazioni contenute nel fascicolo degli inquirenti emergono gli stretti rapporti tra i due, che un giorno avrebbero discusso anche di Michele Santoro. E’ Bisignani a passare all’ex dg alcune notizie riguardo alle indagini della Procura di Trani sulle presunte pressioni di Silvio Berlusconi su Giancarlo Innocenzi, dipendente dell’Autorità garante per le comunicazioni, affinché facesse chiudere ‘Annozero’. Durante l’interrogatorio, entrambi hanno confermato. Ma Masi non sarebbe stato l’unico contatto di Bisignani adatto a influenzare la tv pubblica. Frequenti erano infatti i suoi rapporti anche con l’avvocato Salvatore Lo Giudice, consulente della presidenza del Consiglio in materia di giornali e tv. Attraverso di lui, Bisignani avrebbe tentato di trattare per i contratti di alcuni conduttori. I più scomodi per il Cavaliere, come Milena Gabanelli e Giovanni Floris.
Ma Palazzo Chigi è coinvolto anche in un altro capitolo dell’inchiesta passata a Roma dai magistrati campani che per primi indagano sulla presunta Loggia P4. Il nuovo filone riguarda anche le trattative, poi sfumate, per la vendita di un immobile alla presidenza del Consiglio da parte di Bisignani. Prezzo su cui accordarsi: circa cento milioni di euro. Contratto poi saltato forse proprio per l’apertura delle indagini. Ma il contatto c’è stato e la proposta di vendita pure: a confermarlo è lo stesso Bisignani durante il suo interrogatorio.
Ultimo filone di indagini, infine, i rapporti con diverse aziende pubbliche. Come l’appalto preso con la Ilte, società di Bisignani, per stampare la rivista dell’Eni. O la “concessione per la stampa delle bollette” delle Poste e “non soltanto”, tramite un’altra società, la Postel, crerata proprio con Poste italiane. E’ quanto riferisce nella sua testimonianza Alessandro Bondanini, collaboratore di una delle commercialiste del lobbysta. Rapporti, compresi quelli con i vertici dell’Enel, che emergono anche da altre testimonianze ascoltate dagli inquirenti. Che adesso voglio essere sicuri che si tratti di appalti puliti e che Bisignani, con le sue conoscenze, non abbia influenzato contratti o sponsorizzazioni in aziende pubbliche.
domenica 19 giugno 2011
L’hanno rimasto solo. - di Marco Travaglio.
Tristi anche gli avvistamenti di Zappadu, tornato nei pressi di villa Certosa sul luogo del relitto dopo un paio d’anni di assenza: quel luogo un tempo meta di goderecci pellegrinaggi di decine di ragazze, ministre, ballerine, mignotte, menestrelli di corte, pare improvvisamente troppo vasto, smisurato, sproporzionato per quell’omino flaccido e stanco in tuta blu da benzinaio, affiancato da appena due Papi girl sfuggite alla decimazione giudiziaria e piuttosto annoiate. Una mestizia infinita.
L’altro giorno, poi, l’agghiacciante immagine della saletta deserta di un hotel calabrese, una distesa di poltroncine bianche che ascoltano in religioso silenzio la benedizione telefonica del premier: “Pronto! Vi porto il saluto di tutto il governo, un saluto di cuore a tutti!”. Tecnici ed elettricisti che, dopo il raduno ormai concluso della Fondazione John Motta, stanno smontando gli impianti di amplificazione non credono alle loro orecchie quando sentono giungere dall’oltretomba una voce un tempo nota e ascoltata da folle osannanti. “Ma chi è? Un saluto a tutti chi?”. “Ma che, è proprio Berlusconi?”. “Ma sì, è proprio lui”. E giù a ridere. Chi glielo dice, al pover’uomo, che sono andati via tutti? Riconvocati d’urgenza alcuni relatori strappati al buffet, fra cui Nucara, quello che doveva reclutare folle di “responsabili” ma non ne acchiappò nemmeno uno (provvide poi Verdini, coi suoi metodi persuasivi, a scilipotare la fu maggioranza). Neanche Nucara ha il cuore di svelare al premier che è tutto finito, non c’è più nessuno, nemmeno uno Scilipoti. E allora gli passa un tale avvocato John Motta, uno zio d’America che parla come Stanlio e Ollio e ringrazia tanto il Presidente a nome di tutte le poltroncine bianche all’ascolto. Alcuni camerieri, portabagagli e addetti alle pulizie racimolati alla bell’e meglio si spellano le mani per simulare una platea brulicante. E lui, il Presidente Telefonista, parte in quarta col monologo-fiume. S’è anche preparato, poveretto: “Saluto il nostro Gianni Motta che ha cambiato nome in John Mott e dopo una vita difficile ce l’ha fatta…”. Poi, dopo una ventina di minuti, chiude il comizio tutto accaldato: “Viva gli Stati Uniti d’America che gl’italiani, i figli e i nipoti di italiani hanno contribuito a rendere grandi! Viva la Calabria! Viva l’Italia”. Clap clap. Ora Nucara accusa la solita informazione dell’odio di aver manipolato le immagini, ben sapendo ciò che l’attende al rientro a Roma.
Ieri poi il processo Mills: il primo senza scudo, il primo con un testimone – Attanasio – che osa parlargli contro. Fino a un mese fa ogni udienza richiamava folle di tifosi pro e contro. Ieri invece, a parte i giornalisti, alcuni poliziotti in assetto antisommossa e qualche passante incuriosito da cotanto spiegamento, il deserto. Nemmeno un Lassini sfuso, una cugina della Santanchè, nessuno. Stavolta una voce pietosa, forse quella dell’on. avv. Ghedini, ha avvertito l’insolito ignoto: “Presidente, inutile uscire dall’ingresso principale, ci sarebbe un pertugio secondario. Pazienza, è andata così, sarà meglio la prossima”. L’hanno rimasto solo anche lì, quei quattro cornuti.
Pontida, Bossi: “Guida di Berlusconi può finire. Rischio alleanza alle prossime elezioni”.
“Questa la risposta ai coglioni giornalisti: la Lega è rotta? Vi romperemo noi”. Così Umberto Bossi apre il suo comizio a Pontida. E a Silvio Berlusconi, dopo i ringraziamenti per il federalismo fiscale, manda a dire: “La tua leadership può finire”. Così come l’alleanza alle prossime elezioni. Insieme al giuramento dei 52 nuovi sindaci del Carroccio neoeletti, il discorso del Senatùr era il momento più atteso dal pubblico. ”La Lega è una, compatta, per il suo segretario federale – arringa il presentatore dal palco prima dell’intervento -. Facciamolo capire bene chi è il capo della Lega”. Che però parla guardando dal palco un grande striscione non dedicato a lui: “Maroni presidente del Consiglio”, recita. Un anticipo dell’ambiguità notata nel comportamento di Bossi, durante l’intervento, proprio nei confronti del ministro dell’Interno. Al fianco del leader stava il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Più defilata la posizione di Maroni, l’unico di tutto lo stato maggiore del Carroccio a indossare un abito anziché la tradizionale camicia verde.
Il primo passaggio del discorso di Bossi è dedicato al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Un seguito delle polemiche di ieri tra i colonnelli del Carroccio e il ministro riguardo all’urgenza di una riforma fiscale. ”Caro Giulio, se vuoi avere ancora i voti della Lega in parlamento ricordati che non puoi più toccare i comuni”. Il Senatùr contesta il patto di stabilità, che blocca diversi “miliardi” delle amministrazioni comunali. “Caro Giulio, va riscritto”, manda a dire Bossi. Perché “le persone sono più importanti del mercato” e “i soldi si possono trovare”. Qualche spunto lo fornisce lo stesso Bossi. Innanzitutto interrompere le missioni di pace all’estero, da cui si potrebbe recuperare “un bel miliardino”. Oppure tagliare i costi della politica, “gli sprechi”, li definisce il Senatùr. “Come le auto blu – dice -, io ho un’Audi, ma l’ho comprata io”. ”Secessione“, urlano intanto i militanti tra il pubblico. ”Se volete la secessione, ci si prepari – risponde Bossi dal palco -. La Lega verrà incontro ai popoli del nord che vogliono una pressione molto forte verso il centralismo, e lo avranno. L’altra volta ci ha fermato la magistratura, questa volta saremo ancora più incazzati”.
Ma se il leader leghista è polemico con Tremonti, dedica al premier parole di apprezzamento, prima dell’avvertimento. I padani, “schiavi del centralismo romano”, ricordano e ringraziano Berlusconi per l’aiuto sul federalismo fiscale che “non sarebbe passato senza i suoi voti”. Appena dopo, l’affondo: “La tua leadership è in discussione”, manda a dire Bossi al Cavaliere. “Può finire a partire dalle prossime elezioni – continua – se non ascolterà attentamente le proposte che facciamo”. E non darà risposte “in tempi certi”, fissati nei prossimi tre mesi. Elezioni, quelle ricordare dal leader del Carroccio, a cui comunque “non è detto” che la Lega sostenga il premier, precisa. “Qualcuno si illude e dice ‘Bossi non può più andare da solo’ – continua -. Invece noi possiamo andare da soli quando vogliamo”. Al momento però, precisa il Senatùr, l’idea non è quella di creare una crisi nella maggioranza. Non adesso almeno. “Questo è un momento favorevole alla sinistra – spiega Bossi – quindi far cadere il governo sarebbe fargli un favore”.
Ma se la leadership del premier può finire, quella di Bossi va dimostrata salda. “Il capo” lo chiama Calderoli durante il suo intervento sulle quote latte. In cui invita a “mangiare padano” e non “prendere gli escherichia coli degli altri”.”Questo sarà un anno in cui l’identità padana ritornerà a pigliare il volo – rassicura Bossi -. Sarà una grande battaglia e non ci saranno magistrati che potranno fermarla”. Né tanto meno la sinistra. “Bersani dice che abbiamo la spada moscia? – ricorda una provocazione del Pd, riferita al simbolo di Alberto da Giussano -. Lo sperano i nostri nemici, così non se lo prendono in quel posto”. Una battaglia che passa anche e soprattutto per ildecentramento dei ministeri. “Ci saremo io e Calderoli – ha spiegato – se viene anche Maroni, tutto di guadagnato”. Una frase non proprio incoraggiante. “Pensaci – ha insistito -, se vuoi venire lì c’è un tavolo anche per te”. Un’espressione che fa apparire il ministro distante dalla coppia Bossi-Calderoli, vicina anche sul palco. “Sui ministeri Berlusconi aveva già firmato il documento – conclude il Senatùr – poi si è cagato sotto”.
Maroni, defilato durante l’intervento del leader, parla per ultimo. E, al contrario di Calderoli, si riferisce a Bossi più spesso come “Umberto”. Tranne in apertura del suo discorso: “Il Capo ha già detto tutto, cose molto chiare e molto forti – prende la parola -. Chi ha orecchie per intendere, a Roma, ha già inteso”. Più che al Pdl e all’orgoglio padano, però, le parole del titolare dell’Interno sono rivolte ai risultati della sua attività di governo. Contro la criminalità organizzata e per arginare la crisi immigrazione, pur ostacolati “dalla magistratura che è tutta con i clandestini”, dalla Nato e dall’Unione Europea che non aiutano a bloccare i flussi dal nord Africa. A proposito di mafie, invece, poco prima era arrivata la punzecchiatura di Bossi: “Maroni, sai che la Brianza è piena di mafiosi? Dagli una soppressata”. Un passaggio è dedicato alla guerra in Libia, per cui il ministro chiede “uno stop”.”I missili non sono intelligenti – spiega – per fermare i profughi c’è solo un modo: fermare la guerra”.
Riunita ad ascoltare il Senatùr e i colonnelli c’è la base del partito, compresi i militanti “arrivati in bicicletta attraverso le strade dell’Insubria”. L’appello ai militanti è di andare al gazebo principale per firmare in favore del “decentramento dei ministeri”, una delle sorprese annunciate ieri da Bossi e ripresa nel suo intervento. “E’ un obbligo morale di tutti noi”, rimbomba la voce del presentatore del raduno nelle casse sparse per il prato di Pontida.
La linea del Piave di Tremonti "Subito la manovra da 40 miliardi". - di MASSIMO GIANNINI
La mossa del ministro dell'Economia dopo l'annuncio di Moody's. Fiducia nell'asse con Bossi: "Vedrete, verrà rinsaldato". Stasera vertice delicatissimo.
Chiuso in casa a Pavia, il ministro del Tesoro si prepara a una domenica di passione. Questa mattina, sul pratone di Pontida, c'è il raduno della Lega, che dovrà decidere le sorti del governo. Maroni e Calderoli alzano i toni, e coprono le pretese di Cisl e Uil, palesemente velleitarie perché colpevolmente tardive. Dopo aver ingoiato senza fiatare ogni tipo di rospo, in tre anni in cui i salari reali del privato sono crollati e gli stipendi del pubblico impiego sono stati congelati, Bonanni e Angeletti si ricordano che famiglie e lavoratori, precari e disoccupati, meritano adesso una "ricompensa" fiscale. Minacciano addirittura uno sciopero, dopo aver boicottato ogni genere di protesta organizzata dalla Cgil. I due ministri leghisti si accodano. Bossi tace. Parlerà solo lui, oggi, al popolo padano. E tutti aspettano di capire se romperà con Berlusconi (evitando di seguirlo nella deriva sfascista) o se romperà con Tremonti (smettendo di seguirlo sulla linea rigorista). Il ministro è tranquillo: il suo "asse" con il Senatur oggi "verrà anzi rinsaldato". Perché un conto è dire "serve la riforma fiscale subito" (come gridano Maroni e Calderoli), un altro conto è dire "serve una riforma fiscale, ma non ci sono i soldi per farla" (come dirà Bossi).
Questa sera, in Lussemburgo, c'è poi il vertice europeo che dovrà decidere le sorti di Atene. Nuovi aiuti, ristrutturazione del debito, né gli uni né l'altra. Tremonti non fa previsioni: "Tutto è possibile, nulla è scontato". La preoccupazione è altissima. L'effetto domino è dietro l'angolo. Per questo la riunione di stasera è fondamentale, in vista della riapertura dei mercati di domani, e più ancora del Consiglio Europeo di giovedì prossimo, quando la questione greca sarà all'ordine del giorno del vertice dei capi di Stato e di governo, e si tratterà di stringere ancora di più i cordoni della borsa, con buona pace del Cavaliere che si era illuso di convincere Sarkozy a chiedere un allentamento dei vincoli delle leggi di stabilità dei paesi membri nei prossimi due anni. Scorciatoie che solo la disperazione irresponsabile di Berlusconi può considerare ancora possibili, in un'Eurozona tormentata dal dissesto dei debiti sovrani e perciò tornata al centro degli attacchi della speculazione internazionale.
Come uscire da questa congiuntura, che somma in un'algebra impossibile l'urgenza di un forte stimolo interno con la cogenza di un fortissimo vincolo esterno? Tremonti non ha dubbi. E tanto a Pontida, quanto a Lussemburgo, offre la stessa risposta, che rimanda alla Legge di Stabilità e al Piano Nazionale di Riforma: "La politica di rigore fiscale non è un'opzione, non è temporanea, non è conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, ma è invece "la" politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire". La linea del governo non può cambiare: non c'è spazio per una riforma fiscale generale, né tanto meno per un calo immediato delle aliquote Irpef. L'Italia deve garantire in tutti i modi "il rispetto dei vincoli sull'indebitamento netto e sul rapporto debito/Pil". Dunque, ancora una volta, Tremonti non si sposta dalla sua linea del Piave: né manovre in deficit, né misure che ci allontanano dal pareggio di bilancio.
L'altolà di Moody's aiuta la resistenza del ministro dell'Economia. Tremonti si aspettava una mossa del genere. La considera "un riflesso generalizzato della crisi greca, più che una critica specifica alla tenuta dei conti italiani". E dunque "investe allo stesso modo tutti i paesi dell'Eurozona", sia pure con un'intensità diversa. "E' una fase critica e delicatissima per tutti". Ma non c'è dubbio che per Paesi come la Spagna e l'Italia (dopo la diffusione della crisi tra Irlanda, Grecia e Portogallo) lo sia ancora di più. L'avvertimento dell'agenzia di rating, secondo la lettura che se ne da a Via XX Settembre, nasce da qui. "La tensione sugli spread di questi giorni riguarda tutta la struttura dei titoli di Eurolandia, non certo solo quelli italiani".
L'Italia, da questo momento, torna ad essere un sorvegliato speciale. Ed è per questo che Tremonti, adesso, è più che mai irremovibile sulla disciplina di bilancio. E punta a lanciare un segnale ancora più netto di rigore. Il segnale è appunto "l'anticipo della manovra da 40 miliardi". Un altro schiaffo alla strategia berlusconiana, che voleva una "scossa" espansiva subito, fatta di sgravi fiscali massicci, e la "stangata" rinviata (semmai) all'autunno. Il ministro inverte l'ordine: prima dell'estate "l'impianto dell'intera manovra che dovrà portarci al pareggio di bilancio nel 2014 dovrà avere una struttura di legge". Dunque entro luglio conosceremo i contenuti della legge delega sulla riforma fiscale e i sacrifici necessari qui ed ora, e poi nell'arco dei prossimi due anni. Questione di giorni. Passata la verifica (sempre ammesso che passi) dalla settimana prossima Tremonti conta di portare i primi provvedimenti in Consiglio dei ministri, per arrivare alla discussione e al via libera del Parlamento prima della pausa di agosto.
Il solco è già tracciato, secondo il ministro dell'Economia. "E' il Piano Nazionale per la Riforma. Quello è il nostro "palinsesto". Nelle prime cinque pagine c'è scritto cosa dobbiamo fare per arrivare al pareggio di bilancio. E a pagina 6 c'è scritto cosa dobbiamo fare per portare a regime una seria riforma fiscale e assistenziale, basata sulla progressività, sulla solidarietà, sulla semplicità. Tarata sulla riduzione del numero sterminato di regimi fiscali di favore, almeno 400, e sul modello tedesco, che non è quello dello Stato costruttivista, che predetermina a tavolino le detrazioni e le deduzioni. Questo è il documento che abbiamo firmato in Europa. Questo è il patto che dobbiamo onorare. Non ci sono alternative". Il messaggio al Cavaliere, ancora una volta, è più chiaro che mai. Resta un'ultima questione, che tuttavia è cruciale sul piano del giudizio politico. Se adesso anche l'Italia rischia la tragedia greca, come dimostra l'allarme di Moody's, allora è un'intera politica economica che in questi tre anni è clamorosamente fallita. E di questo tutti, nello sgangherato "dream team" berlusconiano, portano allo stesso modo la loro quota di responsabilità. Questo governo ha tamponato il deficit, ma ha fatto riesplodere il debito, e ha dilapidato il tesoretto dell'avanzo primario. Il Paese non ha conosciuto vero né rigore contabile, né meno che mai vera crescita economica. Accorgersene, oggi, è una colpa etica imperdonabile. E rimediare, ormai, è una scommessa politica non più credibile.
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