sabato 9 luglio 2011

Lodo Mondadori con sconto Berlusconi pagherà 560 milioni.


La sentenza dei giudici civili abbassa esattamente di un quarto la cifra che il Cavaliere dovrà versare alla Cir di Carlo De Benedetti. In primo grado era stato fissato un risarcimento di 750 milioni di euro

Sentenza con maxi-sconto. Poco meno di 200 milioni. Di tanto è stato abbassato il conto (comunque salatissimo) che Silvio Berlusconi dovrà pagare al suo storico avversario Carlo De Benedetti. La sentenza d’Appello, le cui motivazioni sono state depositate questa mattina, è immediatamente esecutiva. Si conclude così la vicenda del cosiddetto lodo Mondadori. In primo grado la Fininvest del Cavaliere era stato condannata a pagare 750 milioni di risarcimento. L’intera vicenda in sede civile prende spunto dall’iter penale che ha visto le condanne di Previti, Metta, Pacificio e Acampora per corruzione dello stesso giudice Metta che, fu provato dall’accusa, ricevette denaro per modellare a favore del Cavaliere la disputa con Formenton prima e con la Cir di De Benedetti poi per la conquista della maggiore casa editrice italiana.

“La sentenza Metta fu ingiusta”. Questo scrivono oggi i giudici. Per i quali “con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato”. Il riferimento è alla decisione del 24 gennaio del 1981 della Corte d’Appello di Roma che stabili’ invece nulli gli accordi intervenuti in precedenza tra la famiglia Formenton e la stessa Cir riconsegnando così la Mondadori a Berlusconi. Inoltre, nelle 300 pagine del documento si sostiene che la Cir subì un danno immediato e diretto dalla sentenza Metta. Si tratta di una tesi diversa da quella prospettata dal giudice di primo grado, Raimondo Mesiano, il quale invece parlò di “perdita di chance”, nel senso che la sentenza frutto della corruzione indebolì la posizione negoziale di Cir nei confronti di Fininvest.

L’inchiesta penale è iniziata nel 1996 dopo le dichiarazioni di Stefania Ariosto. Il processo, arrivato in Cassazione nel 2007, ha stabilito che Cesare Previti fece arrivare a Metta 400 milioni di lire. Un bel tesoretto veicolato grazie alla collaborazione degli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Il pagamento, ricostruiscono i giudici, è servito a pagare il verdetto con il quale lo stesso Metta annullò il lodo Mondadori di allora. In primo grado, infatti, la contesa per la casa editrice, inizialmente nelle mani della famiglia Formenton, era andata a De Benedetti. E solo in secondo grado, e grazie alla corruzione, la partita è girata a favore del presidente del Consiglio. Che, trovatosi in una posizione di forza, ha potuto condurre la mediazione con Cir. E lo ha fatto grazie all’intervento dell’allora andreottiano e oggi deputato Pdl Giuseppe Ciarrapico. La spartizione conclusiva ha visto il Cavaliere incassare il gruppo editoriale con i libri, il settimanale Panorama e 365 miliardi in contanti. A De Bendetti invece sono andati l’Espresso, Repubblica e i quotidiani locali Finegil.

La somma fissata oggi dai magistrati prevede il risarcimento in 540 milioni. Quindi gli interessi legali pari al 2,5% e contabilizzati a partire dall’emissione della sentenza di primo grado, vale a dire dall’ottobre 2009. Quindi le spese legali fissata a 8 milioni. Alla base, poi, del maxi-sconto ci sono le conclusioni della consulenza tecnica. Obiettivo capire “se fra giugno 1990 e aprile 1991 siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti”. Risultato: i periti hanno calcolato una riduzione del 18,8%.

La questione ora è capire quali saranno i tempi del risarcimento. Nella giustizia civile le sentenze diventano subito esecutive. In questo caso, però, le due parti, il giorno dopo la sentenza di primo grado, raggiunsero un accordo per congelare il pagamento in cambio di una fidejussione da 800 milioni prestati da quattro banche alla Fininvest in favore della Cir. Ottenuto questo, la corte si impegnò a concludere l’Appello (iniziato nel febbraio 2010) in tempi brevi. A questo punto, ancora pochi giorni utili a ritirare la sentenza e la Cir di De Bendetti potrà andare all’incasso dei 560 milioni di euro. Ed è proprio questo passaggio che il Cavaliere voleva evitare. E per farlo ha infilato un codicillo (poi ritirato) nella manovra per bloccare il pagamento in attesa del giudizio della Cassazione.

Mafia, il gip nega l'archiviazione: Romano verso il rinvio a giudizio.




La procura aveva chiesto l'archiviazione per l'attuale ministro delle Politiche Agricole, Ma il gip Giuliano Castiglia ha rigettato la richiesta, ordinando l' imputazione coatta. Adesso i pm hanno dieci giorni per scrivere la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa. "Questo procedimento mi ha visto indagato per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007".

Il giudice per le indagini preliminari di Palermo Giuliano Castiglia ha rigettato la richiesta di archiviazione dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche Agricole Saverio Romano: Castiglia ha avanzato richiesta di imputazione coatta. I pm, che avevano chiesto nei mesi scorsi l'archiviazione, hanno dieci giorni per scrivere la richiesta di rinvio a giudizio. Romano è sospettato di collusioni con elementi appartenenti a Cosa Nostra, descritte dai collaboratori di giustizia Angelo Siino e Francesco Campanella. Quest'ultimo raccontò come nel 2001 in una trattoria di Campo de' Fiori a Roma, Romano, che era candidato alla Camera, lo apostrofò dicendo "Francesco vota per me perchè siamo della stessa famiglia. Scinni a Villabate e t'informi!".

Non si è fatto tardare il commento di Saverio Romano sulla decisione del gip.

"Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007 - ha dichiarato -

Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni".

Proprio due giorni fa la Procura di Palermo ha depositato anche le intercettazioni di Romano con Lapis e Vizzini, inerenti all'affare della Gas spa. Indagine in cui l'ex presidente dell'Ircac è indagato per corruzione aggravata dall'avere favorito Cosa nostra.

ARTICOLI CORRELATI

Depositate le intercettazioni tra Romano, Vizzini e Lapis

venerdì 8 luglio 2011

La terra non si inchina alla terra.




Perché mai si dovrebbe obbedire al potente? La domanda è di quelle fondamentali, o almeno così dovrebbe essere. Ma ancora di più, perché mai non si dovrebbe contestare il potente, anche se è “della tua parte politica“? Anche questo è un tema decisivo. E’ chiaro che l’incoerenza tra parole e fatti di chi ha il potere è pratica quotidiana (ci sono lodevoli eccezioni), dunque perché mai si dovrebbe rinunciare alla denuncia e alla smitizzazione del Potente?

Eugenio Scalfari, in un famoso articolo, giustamente scrisse che “Berlinguer non è la Madonna“, in merito ad alcune sdegnate reazioni del Pci alle critiche che il proprio leader aveva ricevuto dagli studenti. E Berlinguer era per indole personale, spessore politico e levatura morale l’opposto di quel ritratto di arroganza, prepotenza e strafottenza del politico di allora (e di oggi). Dunque, il principio qui è fondamentale: non ci sono mostri sacri e, soprattutto, ricevere una critica (a fronte di centinaia di lodi) non è un dramma, nè dovrebbe essere interpretato come un atto di ostilità.

Ed è questo che insegna la storia di Bertoldo, antico buffone della nostra tradizione popolare. Con il suo Re Alboino Bertoldo affronta l’antica questione se un uomo possa o debba inchinarsi ad un altro uomo. L’argomentazione del buffone, vincente, è la seguente: “tutti siamo di terra, tu di terra, io di terra, e tutti torneremo in terra; dunque la terra non deve inchinarsi alla terra.

Alboino, incapace di controbattere, non può però permettere che un buffone metta in dubbio il suo potere: ne va del suo onore e della sua legittimità di fronte agli altri servitori. Dunque escogita uno stratagemma che userà anche il basso Gabriele D’Annunzio nel suo ufficio al Vittoriale: fa abbassare l’uscio della sua camera, tanto che, chiunque entrasse, avrebbe dovuto chinare il capo al suo cospetto.

Del resto, tutti i capi sono fatti così: di fronte ai servitori più riottosi, da cui non ottengono la genuflessione di anima e mente, cercano sempre di ottenere quella fisica. Ma Bertoldo, come tutti i buffoni, sa come contestarlo il Potere e sa come aggirare i suoi trucchi: al posto di chinare il capo e abbassarlo nell’entrare nella camera, voltò la schiena ed entrò all’indietro calandosi i pantaloni e rendendo omaggio al Re con le natiche.

Ecco, questo è il nostro approccio al Potere: se vuole genuflessioni, di qualsiasi tipo, noi lo onoriamo con le natiche. E non ci importa se questo sia di Destra o di Sinistra, anzi: su certe cose siamo intransigenti fino alla morte. Gli ideali non si svendono, nemmeno di fronte al più grande dei bottini.

E’ quello che insegna del resto anche Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia, la cui storia è stata raccontata da Carlo Levi in “Le Parole sono Pietre“: sindacalista socialista, rifiutò le offerte di corruzione della mafia e fu ucciso perché aveva insegnato ai lavoratori siciliani di Sciara ad alzare la testa e ad onorare la principessa Notarbartolo e i suoi sgherri con le natiche. Il processo ai suoi assassini, il primo istruito nella storia d’Italia grazie alle denunce coraggiose di sua madre, vide fronteggiarsi due futuri presidenti della Repubblica: Giovanni Leone, il più odiato, a difesa degli assassini, mentre dall’altra parte c’era Sandro Pertini, il presidente della Repubblica più amato di tutti i tempi.

Ebbene, questo è l’approccio di Qualcosa di Sinistra. Se a qualcuno non piace, non c’è ragione che ci continui a leggere. Se i potenti pensano che basti qualche loro bravo a intimidirci (vi faremo chiudere il sito, ha minacciato qualche zelante servitore), hanno sbagliato persone. Noi non ci vendiamo. E soprattutto non mettiamo in svendita i nostri ideali.

Diceva Pier Paolo Pasolini: “La verità è rivoluzionaria“. Ecco, questo non vogliono i potenti, che sia raccontata la verità: noi continueremo a farlo, finchè potremo. Ricordo solamente a chi dice che strumentalizziamo il nome di Berlinguer per farci gli affari nostri: la colpa non è dello specchio, come diceva Enzo Biagi, ma di chi ci sta davanti. Ergo, se i potenti non si piacciono allo specchio quando ci leggono, non è certamente un problema nostro.

http://www.enricoberlinguer.it/qualcosadisinistra/?p=4653


Chiesto rinvio a giudizio per Cammarata.





Nel giugno del 2009 il sindaco di Palermo avrebbe chiesto alcuni impiegati della Gesip di ripulire la strada - via Salita del Convento - vicina alla chiesa in cui doveva tenersi il battesimo della figlia. Ora il pm Laura Vaccaro ha chiesto il rinvio a giudizio per abuso d'ufficio.

Secondo gl'inquirenti nel giugno 2009 il sindaco di Palermo avrebbe chiesto ad alcuni impiegati della Gesip di ripulire la strada - via Salita del Convento - vicina alla chiesa in cui doveva tenersi il battesimo della figlia. Adesso il pm Laura Vaccaro ha chiesto il rinvio a giudizio per Diego Cammarata, per l'ex direttore della Gesip e per due funzionari della ex municipalizzata che si occupa del verde pubblico, Stefano Mangano e Antonio Catania. Cammarata, Mangano e Palazzolo sono accusati di abuso d'ufficio, Catania di favoreggiamento.

Per l'accusa la condotta integrerebbe l'abuso in quanto Cammarata avrebbe "distolto" gli operai dal loro lavoro per fini privati. Catania avrebbe tentato di coprire i funzionari, che rispondono di abuso d'ufficio: da qui l'accusa di favoreggiamento. Cammarata a maggio è stato rinviato a giudizio per un'altra vicenda relativa alla Gesip: avrebbe utilizzato come skipper della sua barca un operaio durante l'orario di lavoro.

Le sue vicenduole:

Eletto Sindaco, Cammarata non rinunciò neppure all'indennità da parlamentare, infrangendo una prassi di incompatibilità intesa, tra l'altro, nell'art.122 della Costituzione. In riferimento al caso, nel 2002 la Giunta delle elezioni della Camera dei deputati affermò per la prima volta che non sussistevano motivi che ostassero al cumulo degli incarichi di sindaco di grande città e di parlamentare (cosiddetta "giurisprudenza Cammarata")[1]. Da allora altri sedici parlamentari ricevono una doppia indennità pubblica: una da deputato nazionale e una da amministratore locale [2].

Nelle consultazioni del 2007 è stato rieletto sindaco di Palermo, con il 53,5% dei voti, nonostante la forte opposizione rappresentata da Leoluca Orlando che ha denunciato la presenza di forti brogli elettorali.[3] Il 28 marzo 2008 sono stati arrestati due presidenti di seggio che, nelle elezioni del 2007, avrebbero falsificato 580 schede favorendo una lista che appoggiava Cammarata.[4] Nell'ottobre 2008 vengono arrestati altre tre persone appartenenti alla lista Azzurri per Palermo, che sosteneva il sindaco Cammarata, per aver falsificato 450 schede elettorali[5]: un numero comunque irrilevante di schede false rispetto all'esito del voto amministrativo.

Il 22 luglio 2008 è stato eletto presidente dell'ANCI in Sicilia.[6]. Nel frattempo, il TAR Sicilia bocciava il piano che istituiva la ZTL a Palermo, dando luogo ad una indagine dell'Authority di vigilanza sui contratti pubblici e all'interessamento della Corte dei Conti per accertare i derivanti danni all'erario e gli eventuali reati [7].

Nel 2009, l'Amministrazione comunale guidata da Cammarata è stata investita dagli scandali relativi alla precedente gestione dell'Amia, azienda ex municipalizzata per la raccolta dei rifiuti cittadini passata in breve tempo da un bilancio in attivo ad un buco di centinaia di milioni di euro, e da quello rivelato da Striscia la notizia relativo ad una barca di proprietà del sindaco, che sarebbe stata "custodita" da un dipendente della Gesip, un'altra ex società comunale, ed affittata in nero a terzi.[8] Sulle due vicende la magistratura ha aperto altrettante inchieste.

Il 13 ottobre 2009 il presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo e l'assessore Nino Strano comunicavano che la città di Palermo era candidata ad ospitare le Olimpiadi del 2020. Cammarata dichiarava di non essere a conoscenza della candidatura [9], esprimendo la propria contrarietà alla proposta pochi giorni dopo [10].

Nel 2010, Cammarata viene indagato per la terza volta in seguito a una inchiesta sulla discarica palermitana di Bellolampo, in base alla quale è stato accusato di truffa, abuso d'ufficio, disastro colposo, inquinamento delle acque e del sottosuolo, gestione abusiva di discarica, gestione non autorizzata di rifiuti speciali e traffico di rifiuti [11].

Spesso fatto oggetto di duri rilievi durante il suo secondo mandato al Comune di Palermo, ha inoltre destato particolare scalpore la notizia del suo viaggio ai Campionati del Mondo di Calcio inSudafrica, criticata anche da esponenti della sua maggioranza [12] e colleghi di partito come Stefania Prestigiacomo [13].

Nel febbraio 2011 è indagato per abuso d'ufficio, dopo che degli operai del Comune di Palermo furono impegnati nella pulizia di una strada privata, che conduceva nel posto in cui si sarebbe tenuto ilbattesimo della figlia del Sindaco[14].

Nel marzo 2011 viene disposta l'imputazione coatta di Diego Cammarata per violenza privata, in merito ad una denuncia dell'estate precedente di Mario Emanuele Alvano, ex segretario dell'ANCI Sicilia[15].

Nel maggio 2011 viene rinviato a giudizio per la vicenda dell'utilizzato a fini personali dell'operaio comunale Franco Alioto, anch'esso mandato sotto processo[16]. (Wikipedia)


Valsusa-La polizia spara sulla folla-03/07/2011




"La casa romana di Tremonti è a carico di Milanese". - di Concita Sannino



I giudici napoletani che indagano sulla P4 hanno firmato un mandato d'arresto per l'ex consigliere politico del ministro del Tesoro. L'abitazione costa 8500 euro al mese, ci sono state costose opere di ristrutturazione.


ROMA - Un'ombra lunga di lussi incontrollati e di ricatti che arriva a lambire persino la casa in cui abita il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. E sullo sfondo di questa inchiesta che adesso porta alla richiesta di arresto 1 per il deputato in assoluto più vicino al ministro, Marco Milanese, il suo storico consigliere nonché ex ufficiale della Guardia di Finanza, uno scenario da brividi: un regolamento di conti tra "cordate" tutte interne alle Fiamme Gialle. Una circostanza, quest'ultima, di cui per la prima volta parla lo stesso Tremonti, in un interrogatorio reso come teste nell'altra inchiesta sulla cosiddetta loggia P4.

La polizia, coordinata dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli, ha scoperto un fatto che desta più di un interrogativo: il ministro abita, nel cuore di Roma, in un prestigioso appartamento il cui canone di affitto è a carico dello stesso Milanese. Il deputato di origini irpine versa 8.500 euro al mese per una residenza in cui non vive, ma dove va ogni tanto a trovare il ministro, com'è normale che sia, avendo Milanese instaurato sin dal 2001 un rapporto di consolidata fiducia con Tremonti. Non solo: nello stesso appartamento, secondo le ricostruzioni della Procura, sarebbero stati eseguiti lavori di ristrutturazione per circa 200mila euro, che però il Milanese non ha mai pagato alla società che se n'è
occupata. Come mai? E per quali altre strade sono stati compensati questi lavori per cui non risulta alcuna documentazione? Emerge qui l'altro dato inquietante: a consolidare quell'appartamento pagato da Milanese e in cui vive il ministro è la Edil Ars, di Angelo Proietti. Proprio la stessa società che in molte occasioni ha ottenuto appalti dalla Sogei, società controllata dal dicastero delle Finanze e in passato finita anche nel mirino di alcuni accertamenti della stessa Guardia di Finanza.

La circostanza dell'appartamento in cui vive il ministro viene citata dal gip Amelia Primavera a margine dell'ordinanza di custodia per Milanese 2 perché al giudice appare come l'ennesima dimostrazione dello stretto e proficuo rapporto tuttora esistente tra Milanese ed il ministro. Dunque non bastano le dimissioni recentissime di Milanese dal ruolo di consigliere politico del ministro, a scalfire le esigenze di custodia cautelare per il deputato accusato di corruzione e rivelazione di segreto. "Emblematica dell'attualità del rapporto fiduciario esistente tra i due uomini politici è la vicenda relativa all'immobile sito in Roma - scrive infatti il gip - alla via (...) , di proprietà del Pio Sodalizio dei Piceni. Detto immobile, infatti, è stato concesso in locazione a Milanese Marco per un canone mensile di 8.500 euro, ma viene di fatto utilizzato dal Ministro Tremonti, il quale, a sua volta, risulta aver emesso, nel febbraio 2008, un assegno di 8.000 euro in favore del Milanese".

"Oltretutto, i rapporti finanziari tra il Tremonti e il Milanese - prosegue il magistrato - sono assolutamente poco chiari atteso che Milanese paga mensilmente un canone molto alto il cui complessivo ammontare rispetto alle rate già pagate risulta di oltre centomila euro; non esiste un risarcimento per Milanese; l'assegno del febbraio 2008, risalente dunque nel tempo, attiene evidentemente ad altra partita economica tra i due, essendo isolato nel tempo e risultando emesso un anno prima della nascita del rapporto contrattuale con il Pio Sodalizio dei Piceni". E ancora: "La circostanza, dunque, che il Milanese sia ancora oggi un punto di riferimento all'interno della Guardia di Finanza, proprio per la accertata vicinanza al Ministro Tremonti, aggrava, a parere di questo Gip, le evidenziate esigenze cautelari legate al pericolo di inquinamento probatorio".

L'altro scenario su cui il giudice prevede ulteriori accertamenti è offerto proprio dalle parole che lo stesso Tremonti ha affidato, interrogato come persona informata sui fatti, ai pm John Woodcock e Francesco Curcio, titolari dell'inchiesta sulla P4. E' il 17 giugno scorso quando il ministro viene ascoltato a proposito dei rapporti tra Milanese, il faccendiere Luigi Bisignani e il generale della Finanza Michele Adinolfi. Quel verbale, debitamente depositato dai pm, viene poi passato per conoscenza anche all'indagine portata avanti da Piscitelli sul conto di Milanese, e quindi finisce nell'ordinanza per Milanese. Scrive infatti il gip Primavera: "Sotto diverso profilo, ed a conferma di quanto sia ancora poco chiaro il contesto dei rapporti con i vertici della Guardia di Finanza - nel cui ambito è necessario un approfondimento di indagine - va segnalato il contenuto delle dichiarazioni rese, come persona informata sui fatti, dal Ministro Tremonti, il quale ha riferito in merito all'esistenza di 'cordate' esistenti all'interno del Corpo e costituitesi in vista della prossima nomina del Comandante Generale, precisando come alcuni rappresentanti di quel Corpo siano in stretto contatto con il Presidente del Consiglio". Non è tutto: "Soprattutto, per quel che interessa in questa sede - continua il gip - Tremonti ha riferito come il Milanese sia tuttora in stretto contatto con quei vertici, avendo appreso dagli stessi quanto riferito poi al Ministro ed oggetto del colloquio tra lo stesso ed il Presidente del Consiglio Berlusconi".



La cattiva commedia quotidiana. - di Gian Enrico Rusconi


E’ facile fare del sarcasmo sulla cacolalia degli uomini al governo, a cominciare dai massimi vertici. Non c’è più pudore nel lasciare libero sfogo alle battute cattive, alle allusioni maligne, ai veri e propri insulti, scrupolosamente riportati dai giornali. Ma viene il sospetto che lo si faccia proprio per i giornali. Come se si trattasse di «intercettazioni» autorizzate, che non hanno bisogno di spioni telefonici. E’ l’intercettazione di governo. («Maurizio, hai sentito quello che sta dicendo? Ma è scemo» dice Tremonti parlando di Brunetta a Sacconi nel fuori onda. «Io non lo ascolto neanche» replica il ministro del Welfare. Dal tavolo di governo partono commenti pesanti. «Questo è il tipico intervento suicida, è proprio un cretino» sibila ancora Tremonti. Poi un tentativo - non riuscito - di interrompere Brunetta con una battuta. I microfoni rimasti aperti smascherano tutto).

Questa pochade cambia aspetto se con il suo stile comunicativo si fa o si intende fare politica. Quando cioè si pensa di poter modificare i rapporti di potere all’interno della maggioranza, del governo o addirittura nei confronti del premier.

Lo scambio di battute, di allusioni, di elusioni, di «gnorri» di Tremonti a proposito della manovra «salva Fininvest» e la replica di Berlusconi, seccata e maliziosa nel far passare il ministro per un «furbetto» che fa finta di non sapere, si collocano in questa logica. Ma non meno significative sono state le reticenze degli Alfano, dei Ghedini e dei Calderoli. Insomma la squadra non ha fatto squadra. O per lo meno ha dato questa impressione. Ma in questo clima l’impressione è più importante della realtà.

E’ la nuova fase del berlusconismo. Quello della tentata transizione al dopo-Berlusconi senza traumi, ma per assestamenti continui che lasciano al Cavaliere l’illusione di guidare, come prima, governo e maggioranza. E intanto lo condizionano da vicino. O ci provano. Lo sta facendo da tempo ormai la Lega, con sfacciato opportunismo. Ottiene assai meno di quello che chiede sempre con toni stentorei e ultimativi. Ma nella cacolalia generale ciò che conta è farsi sentire. E la Lega si fa sentire, in previsione di un possibile dopo-Berlusconi. Ma non farà nulla per provocarlo sul serio. E’ un rischio troppo grosso per il partito di Bossi.

In ogni caso per l’operazione della transizione senza traumi, compresi i dovuti onori di rito al Cavaliere, sono indispensabili due condizioni. La prima sembra acquisita: è l’incredibile impotenza politica dell’opposizione. Il ministro della Cultura Giancarlo Galan ha colto la situazione perfettamente, dicendo a questo giornale che «anche quando noi (della maggioranza di governo) perdiamo, la sinistra riesce a compiere il miracolo di non vincere». E’ inspiegabile che in un Paese che dispone di invidiabili potenziali di mobilitazione, che esprimono una forza comunicativa e simbolica immensa - poi non succede niente. Servono solo a far scrivere, per un paio di giorni, esaltanti commenti giornalistici e pubblicistici che lasciano il tempo che trovano. C’è qualcosa di profondamente enigmatico in una politica che lascia isterilire questi potenziali. O li lascia incattivire.

Al sicuro da possibili alternative politiche - siano esse di sinistra o di nuove combinazioni centriste aperte a sinistra - il gioco del logoramento degli equilibri interni del governo ha una seconda condizione. Cioè che Berlusconi stesso non riesca a controllare questa situazione imprevista. L’atteggiamento da lui preferito ancora ieri nelle sue dichiarazioni è quello di reagire sdrammatizzando i conflitti interni, dichiarandosi vittima di campagne diffamatorie e dipingendo catastrofi imminenti nel caso andasse al governo la sinistra («Nonostante il fango che mi viene gettato addosso, nonostante quello che si vorrebbe decidere nei cosiddetti e fantomatici salotti dei poteri forti, non consegnerò l’Italia a Bersani, Vendola e Di Pietro»).

Ma sino a quando funzioneranno questi argomenti? La situazione economica e sociale rimane pessima, mentre non si vedono credibili strategie di rilancio. Nel frattempo l’Italia è letteralmente sparita dalle sedi decisionali europee che contano. Sulle questioni cruciali della presenza militare dell’Italia in Afghanistan e nel delicato e complicato caso della Libia, lo statista Berlusconi è assente, distratto e preoccupato solo di possibili contraccolpi interni. Non a caso proprio in questi ambiti è micidiale l’azione di logoramento all’interno della maggioranza e del governo (Lega, La Russa, Frattini). Ma il guaio è che l’intera classe politica, oltre a essere scarsamente competente su questi temi, è assai meno sensibile che non sui problemi interni. Ma è proprio in questi settori di alto profilo internazionale che la leadership di Berlusconi è finita. La pochade può ricominciare.