lunedì 25 luglio 2011

D’Alema, Bossi e B., la Casta fuori di testa. - di Luca Telese



Che cosa unisce il pugno battuto sul tavolo dal Caimano e la voce dal sen fuggita (e subito dopo rimangiata) di Umberto Bossi? Che cosa unisce al pugno del berlusconismo decadente e al rutto del celodurismo crepuscolare (“In galera!”) e il gesto simpatico del lìder-bullo maximoche si infila gli occhiali nel taschino e preannuncia emorraggie del setto nasale (“Quelli che erano nella sua posizione, quando io facevo questo gesto si ritrovavano sanguinanti a terra?”) ai suoi intelocutori? Cosa unisce ai tre grandi crepuscoli l’agitare scomposto delle pulci che si credono giganti, come quei due dirigenti del Pdl che ieri volevano addobbare il nostro cronista solo perché faceva una domanda (legittima) su un elicottero pubblico dedicato all’interesse privato? Cosa unisce alla caduta degli dei il fragore ridicolo dei ministri che comprano a loro insaputa, piazzano il parentame e attrezzano querele, i deputati ruba-galline del Pdl che si pagano la suite da nabbabbi, e l’esponente democratico che patteggia una condanna lampo?

C’è un filo lungo che in queste ore tiene insieme le mani che prudono contro le domande scomode, lo sfavillante smottamento di tre grandi carismi e l’avvitamento solipsistico dei tre leader fuori controllo. C’è un virus malato che si trasmette dai piani alti ai piani bassi, un odore cattivo di cancrena, una voglia di combattere con la violenza (fisica o avvocatizia) l’evidenza della realtà. C’è un filo che unisce le minacce della ministra Brambilla che era arrivata a chiedere a questo giornale tre milioni di euro (non li avrà) e il dispetto per il lavoro di inchiesta. Dice Silvio Berlusconi de Il Fatto: “Senza di me voi non esistereste”, e non sa che ci fa un complimento. Dice Massimo D’Alema che siamo un giornale tecnicamente fascista, e non sa che siamo stati tecnicamente sommersi da parole di solidarietà.

C’è un filo spesso come uno spago che unisce la malinconica e perdente stizza di Silvio Berlusconi, la patetica confusione di Umberto Bossi e il simpatico e archilochèo eloquio diMassimo D’Alema, distanti nei tempi e nella qualità ma uniti come tre avvisi di garanzia, tre certificazioni di cessata lucidità intellettuale.

Berlusconi, che un tempo fu mago della manipolazione iconografica e mediatica, compie l’errore di svelarci platealmente la sua impotenza. Bossi, che fu inimitabile prestigiatore e incarnazione geniale del ganassa cede brabndelli di carisma costrigendosi a ritrattazioni inverosimili di sparate che un tempo avrebbe difeso con orgoglio. D’Alema esibisce la nuvola del suo malumore di fronte ai giornali che osano parlare degli arresti e delle inchieste che riguardano il Pd.

La gravità e la qualità di questi moti di umor nero sono diversi, così come le cause. Ma comune è il fenomeno di invecchiamento, l’obsoletizzazione di una classe dirigente che per venti anni ha deciso il bello e il cattivo tempo della politica italiana. Tutto si poteva dire di D’Alema, negli anni passati – amandolo o detestandolo – se non che non non avesse una linea politica una rotta, una identità forte. Ma oggi, anche lui, lancia segnali contraddittori. Scrive sulla nuova unità una articolata analisi per dire che bisogna dialograre con i movimenti, ma poi considera ingiuria il solo fatto che su questo giornale Marco Travaglio gli ponga delle domande sulle vicende giudiziarie del Pd.

C’è in queste tre grandi maschere della politica italiana – Bossi, D’Alema e Berlusconi – lo stesso fascino malinconico dell’androide di Blade Runner, che conserva intatto il suo senso di onnipotenza superomistico, ma che allo stesso tempo sa che nessuno potrà alterare quello che è scritto nel suo destino: la data di scadenza. In fondo, sia Berlusconi, Bossi e D’Alema, sono diventati oggi dei Balde Runner di se stessi, dei replicanti di quello che sono stato nella prima repubblica. Bossi fondò la Lega venti anni fa, dopo aver cominciato a battere le valli nel lontano 1985. Bossi è l’uomo che fotografava il monumento ad Alberto da Giussano per trarre dai negativi il simbolo fai-da-te del Carroccio (anche se Gianfranco Miglio diceva perfido, dopo il litigio: “Macchè, lo ha copiato dalle biciclette della Legnano!”), Silvio Berlusconi vendeva gli appartamenti della sua prima speculazione, nel 1974, chiamando i parenti a fingersi compratori per abbindolare i veri compratori (un genio, anche se ad un tratto una disse: “Zia, come stai!”, facendo mangiare la foglia agli interessanti), Massimo D’Alema, anche può sembrare incredibile, è quel giovane che appare in un reperto televisivo del 1977, tormentato in tv da un indiano metropolitano di nome Gandalf.

Questi tre leader sono antichi, le tensioni che produssero i grandi banzi non ci sono più, i loro partiti sono attraversati da pulsioni materialissime. Adesso che il tempo degli androidi è scaduto, come Rutger Hauer dovrebbero capire che è ora di passare la mano, e di dissolvere le loro storie come lacrime nella pioggia.

Adesso che il loro tempo è finito, dovrebbero capire che trent’anni di palcoscenico sono troppo per qualunque mattatore. Invece non passano la mano, non accettano di essere sostituiti, continuano a pensare di avere il sole in tasca, l’attrezzo in tiro e la forza che spezza l’acciaio nelle mani. Ed è proprio questo che rende il loro crepuscolo non un finale di drammaturgia, ma un problema per il paese. Nei paesi democratici i leader se ne vanno senza drammi, nelle repubbliche delle banane i caudilli restano in campo finchè non li spazza una rivolta di piazza. E finché qualcuno, tecnicamente giornalista, non racconta la loro fine trovando un senso a una storia che un senso non ha.



Non possiamo più aspettare.


Chi, leggendo la storia, non ha notato che ai periodi di progresso sociale, economico e tecnologico, succede sempre un periodo di estenuante e alienante stasi?

Noi ci siamo trovati, malauguratamente, a vivere un periodo buio.

Ci domandiamo perchè, ma un perchè non c'è.

E' naturale, in un periodo di espansione economica, tecnologica, sociale, rilassarsi e prestare poca importanza alla vita sociale, alle cose importanti.

Noi abbiamo commesso l'errore di rilassarci, magari un po' troppo, lasciando ad altri, non più qualificati di noi, la gestione della cosa pubblica.

Il risultato è quello che vediamo: distruzione totale delle regole, della logica, in poche parole, perdita dei diritti acquisiti.

Affidereste la vostra famiglia o il vostro patrimonio culturale, o i vostri averi alla cura di gente della quale conosciamo solo un'immagine sulle locandine in strada? Della quale non sapete nulla o quasi?

Non credo.

Noi abbiamo fatto questo: abbiamo affidato le nostre vite a gente che non conoscevamo affatto e che se ne è appropriata privandoci, poco per volta, di ogni tipo di diritto, lasciandoci solo i doveri.

Noi stiamo pagando errori commessi da altri, noi siamo un popolo bue, portiamo ferite che lecchiamo per non sentire dolore, parliamo, discutiamo, ci incazziamo, ma non andiamo oltre, ci hanno inculcato la paura delle nostre stesse ombre.

Abbiamo ciò che meritiamo?
Non lo so. So solo che uniti potremmo riportare tutto alla normalità.

Non possiamo aspettare che Napolitano, in un impeto di generosità verso il popolo che dovrebbe proteggere, sciolga le camere; non possiamo sperare che il premier si dimetta; non possiamo aspettare che chi ha fatto della politica un posto di lavoro a reddito fisso ed a tempo indeterminato, si mostri generoso nei nostri confronti.

Semplicemente, non possiamo più aspettare!


Catania, redigeva atti falsi arrestato notaio Ciancico


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Falso in atto pubblico, truffa aggravata e peculato le accuse. Avrebbe redatto atti falsi per incassare differenze fiscali non dovute. Confrontati decine di documenti con le testimonianze dei clienti. Si continua ad indagare su altri 40 atti non registrati.


di Elena Giordano

Stipulava gli atti, si faceva consegnare le somme per le imposte dovute (registro, ipotecarie e catastali) e, invece di trasmettere all’agenzia delle entrate l’atto originale sottoscritto dai clienti, ne inviava uno falso - da lui stesso predisposto – inserendovi una falsa clausola con la quale il professionista autoliquidava le imposte secondo un regime fiscale agevolato nella maggior parte dei casi non spettante ai contraenti.

Falso in atto pubblico, truffa aggravata e peculato sono le accuse che ricordano i film di Toto' che hanno trascinato agli arresti domiiciliari un pezzo importante della catania che conta, il notaio Vincenzo Ciancico, professionista di fiducia della grande borghesia catanese. Secondo l'inchiesta delle Fiamme Gialle, coordinata dal pm Tiziana Laudani, la differenza tra le imposte calcolate sull’atto originale e quelle dovute in base all’atto falso finiva direttamente nelle tasche del notaio, che avrebbe utilizzato un conto corrente personale cointestato con la moglie, piuttosto che adoperare il conto corrente appositamente acceso per l’attività professionale.

Le indagini, durate un anno, hanno passato al setaccio centinaia di documenti acquisiti presso l’archivio notarile di Catania, l’agenzia delle entrate, gli atti in possesso dei vari clienti e gli accertamenti bancari sui conti del professionista. E i numerosi clienti interrogati dagli investigatori avrebbero confermato la colossale truffa.

Si continua ad indagare su ulteriori 40 contratti che sembrerebbero addirittura non essere stati mai registrati dal notaio ed in relazione ai quali sarebbero anche stati apposti falsi numeri di repertorio.

Con l'ordinanza del gip Laura Benanti, infine, sono stati sequestrati beni per oltre 500.000,00 euro riconducibili al professionista.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=508

Ingroia: "Sulle stragi del '93 reticenti anche alcuni uomini dello Stato".


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A margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze il procuratore aggiunto di Palermo si è soffermato a parlare della trattativa Stato - mafia del 92 - 93. "Sul piano storico e giornalistico si può ritenere accertato che non furono solo stragi di mafia, e lo dicono anche alcune sentenze". Ingroia ha poi aggiunto che "contro la magistratura ci sono attacchi a senso unico della politica".

Nel corso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni nelle stragi di mafia del '93 cisono state "alcune reticenze", anche da parte di "uomini dello Stato, protagonisti in quella stagione", che hanno impedito di arrivare ad una verità. Lo ha detto Antonio Ingroia, a margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze., a margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze.

"Un conto è la verità processuale - ha aggiunto Ingroia - che ha bisogno di prove solide e granitiche, un conto è la verità storica. Sul piano storico e giornalistico si può ritenere accertato che non furono solo stragi di mafia, e lo dicono anche alcune sentenze. E' altrettanto vero - ha continuato - che sono passati ormai quasi 20 anni e non si è individuata nessuna verità giudiziaria, nessuna responsabilità processuale a carico dei mandanti esterni". Per Ingroia "fino ad oggi c'é stato uno scollamento tra verità storica e verità giudiziaria che dipende da tanti fattori e, credo, da una certa reticenza da parte di uomini dello Stato che sono stati protagonisti in quella stagione. Reticenza - ha concluso - che si è rotta solo in parte negli ultimi tempi e che ha impedito alla verità di venire fuori tutta per intero".

In merito poi alle dichiarazioni del ministro dell'Interno Roberto Maroni che ha parlato di "un colpo di spugna" nel 1993 sul 41 bis, Ingroia ha osservato: "Mi pare un eccesso, in realtà non fu un colpo di spugna; è vero che ci fu, chiamiamolo un calo di tensione, alcuni 41 bis non prorogati; in alcuni casi, per la verità, la mancata proroga era anche giustificata, in altri sembra meno, ma questo è oggetto di indagini da parte della procura di Palermo".

"Contro la magistratura ci sono attacchi a senso unico della politica". ha aggiunto poi il procuratore aggiunto di Palermo, sottolineando che dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sono arrivate "indicazioni, di cui spero tutti facciano uso prezioso".

"Più di una volta - ha detto Ingroia, rispondendo ai giornalisti che gli hanno chiesto un commento sulle ultime dichiarazioni del Capo dello Stato sul rapporto tra politica e magistratura - il presidente Napolitano ha dato dimostrazione di essere un punto di riferimento per tutti, con indicazioni di cui spero tutti facciano uso prezioso". In merito invece alle affermazioni del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, sulla politica che "non fa il tifo" per i magistrati impegnati nella lotta alla mafia, Ingroia ha osservato che "spesso si parla di guerra tra politica e giustizia, ma in realtà non c'é una guerra perché questa presupporrebbe la presenza di due guerreggianti, mentre gli attacchi, come ha ricordato oggi Napolitano, in genere sono a senso unico della politica verso la magistratura e contro alcuni magistrati in particolare, e hanno come obiettivo l'indipendenza e l'autonomia della magistratura, che - ha concluso - è la prerogativa costituzionale più importante".

Roma, incendio alla stazione Tiburtina, gravi conseguenze sulla circolazione.


Un violento incendio è divampato questa mattina, intorno alle 4, nella sala apparati della stazione ferroviaria di Tiburtina a Roma. I vigili del fuoco sono riusciti ad entrare nei locali e stanno operando per spegnere le fiamme. Si prevedono, per la giornata di oggi, gravi conseguenze per la circolazione dei treni. Le Ferrovie dello Stato hanno invitato “a non prendere il treno qualora il loro viaggia preveda il passaggio attraverso Roma Tiburtina”.

Il rogo, che al momento interessa solo l’ala vecchia della stazione e non le nuove strutture, è talmente grave da aver di fatto quasi paralizzato la circolazione dei treni nel nodo della capitale. Solo otto treni all’ora possono transitare dallo scalo, dichiarato al momento inagibile e sempre più a rischio collasso strutturale.

A complicare la soluzione dell’emergenza, poi, i lavori di manutenzione della rete idrica nella zona, che stanno rallentando il lavoro dei vigili del fuoco. “Da stanotte era prevista la non erogazione di acqua per consentire lavori nella zona – spiega il capo ufficio stampa dei vigili del fuoco – e questo non facilita il lavoro perché, non essendoci acqua nelle tubature, dobbiamo prenderla dalle autobotti”. “Autobotti che fanno la spola” dai rifornimenti di acqua alla stazione. Per questo dunque gli interventi “sono rallentati”, aggiunge.

Intanto gli addetti di Trenitalia sono al lavoro per approntare alcune modifiche agli orari dei treni. La stazione Tiburtina diventerà per qualche giorno solo scalo di transito e non di arrivo e partenza di convogli, mentre sul fronte delle indagini non è stato esclusa al momento l’ipotesi dolosa. Tra le motivazioni circolate, anche la destinazione a snodo Tav dello scalo romano, il cui completamento era previsto per il prossimo autunno. Al momento, tuttavia, i vigili del fuoco escludono di avere identificato elementi per parlare di dolo.




domenica 24 luglio 2011

La strage in Norvegia e l’islamofobia dei giornali. - di Iside Gjergji


Oggi il quotidiano Libero spiega con questo titolo l’atto terroristico avvenuto ieri in Norvegia: “Con l’islam il buonismo non paga. Norvegia sotto attacco: una strage”. Qualcuno dirà che non hanno fatto in tempo a cambiare il titolo. In fondo, la polizia norvegese ha diffuso l’identikit del terrorista molto tardi. Può darsi. Ma errore o no, il titolo trasuda razzismo. E in questa sistematica e costante propaganda razzista contro le popolazioni arabo-musulmane Libero non è affatto solo.

I mass-media europei ed italiani sono da molto tempo protagonisti della criminalizzazione dell’immigrazione di origine arabo-musulmana e dell’islam in generale, ma in questa fase storica si stanno trasformando, ogni giorno di più, in soggetti attivi dell’incitamento all’odio. Sono loro, infatti, che ridefiniscono la struttura dello stereotipo dell’ “islamico”, associandolo al “terrorismo” e al “fondamentalismo”.

Come ci riescono? Utilizzando la routine dell’emergenza e della sicurezza, spettacolarizzando e distorcendo tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con esso. Così facendo incoraggiano l’esclusione degli immigrati musulmani dalla vita sociale del paese, invocando nei loro confronti speciali e urgenti politiche di controllo. Il risultato è la costruzione di una categoria astorica e dai tratti caricaturali del “musulmano”. Il tutto finisce, ovviamente, per legittimare la razzizzazione dell’appartenenza religiosa mediante la sovrapposizione di religione, razza e cultura (esattamente come accadde nei confronti della popolazione ebraica durante la seconda guerra mondiale).

Anche nel mercato editoriale vengono immesse numerose pubblicazioni di autori italiani e stranieri che sostengono una simile impostazione. In questa produzione, generalmente e sistematicamente volta alla bestializzazione delle popolazioni e delle società arabo-musulmane (salvo poi sorprendersi della loro capacità di fare le rivoluzioni e di rivendicare diritti), si possono individuare due filoni principali: uno di carattere popolare-viscerale, che parla alla pancia, con Oriana Fallaci come “massima” espressione di esso, e uno di carattere più “scientifico”, che parla alla testa, per così dire, rappresentato oggi da un H.M. Enzesberger (Il perdente radicale, Einaudi, Torino, 2007).

Ma vi un altro filone da considerare e che, a parere di chi scrive, è ancor più pericolosamente razzista, in quanto tende a celare nel suo discorso, fatto di frasi apparentemente neutre e considerazioni di finto “buon senso”, il razzismo strutturale su cui si fonda. Un esempio eclatante, in questo senso, è l’articolo pubblicato oggi su La Stampa da Lucia Annunziata, dal titolo: “Addio al mito del paese perfetto”. Ebbene, nonostante la giornalista fosse perfettamente a conoscenza del fatto che il maggior indiziato della strage in Norvegia fosse un uomo bianco, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, cristiano, giovane, e con la mascella à la Ridge, lei prova ugualmente a distribuire un po’ di colpe sui 150mila “islamici” che vivono in Norvegia:

«Ma questo violento risveglio è davvero una sorpresa? Nulla avviene in realtà mai all’improvviso, e neanche questo attacco del terrorismo all’estremo nord d’Europa, arriva di punto in bianco. La Islamofobia è stata in permanente crescita negli ultimi anni sotto la pelle del quietissimo paese, in cui circa 150mila islamici su una popolazione di cinque milioni di abitanti, hanno finito con il costituire un permanente elemento di frizione culturale, un esempio tangibilissimo di come l’Islam in un paese pure laicissimo non sia facilmente assorbibile. E dentro questa tensione, dentro lo sfaldarsi di un sistema, negli ultimi anni si è manifestato in questo come in altri paesi del Nord il formarsi di una reazione di destra, l’affermarsi , soprattutto via internet, di gruppi razzisti, violenti. Nutriti da una nostalgia del passato, che in questi paesi del nord, come sta succedendo anche in Svezia, ha il volto delle forti correnti di simpatia che ci furono prima della Guerra mondiale per il Nazismo».

Il suo ragionamento sembra essere il seguente: ok, l’autore dell’atto terroristico è islamofobo e razzista, ma lo è diventato a causa della presenza di 150mila immigrati “islamici” che vivono in Norvegia e la strage compiuta dal bianco e cristiano norvegese è, di per sé, «un esempio tangibilissimo di come l’Islam […] non sia facilmente assorbibile».

Più che un esempio tangibilissimo del carattere inassorbibile dell’islam, questo è un esempio tangibilissimo della manipolazione razzista dell’informazione in Italia.



sabato 23 luglio 2011

G8 GENOVA: 10 ANNI DOPO. UNA FERITA CHE DURA, UNA SFIDA APERTA (NOTA)


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(ASCA) - Roma, 23 lug 2011 - Nessuno ricorda piu' perche' i ''Grandi'' della terra si riunirono a Genova nel luglio di dieci anni fa. Evidentemente le decisioni che presero non furono memorabili. E' ancora viva, invece, nella carne, nella mente e nei cuori del Paese, la sconfitta subita dallo Stato democratico in quei giorni nel capoluogo ligure. Una pesante rottura nel cammino di crescita, in particolare di quei giovani impegnati nei movimenti cosiddetti ''no-global'', protesi ad auspicare che globalizzazione non significasse arricchimento dei grandi centri di potere finanziario ed impoverimento, in qualche caso drammatico, di intere popolazioni e ceti. Quanto il rischio denunciato fosse reale e' testimoniato dalla crisi economica di questi ultimi tre anni.

Dal suo sorgere, nel 1975, per iniziativa del presidente della Repubblica francese, Valery Giscard d'Estaing, sotto forma di G7, raramente questo organismo e' apparso capace di performance risolutive: se fosse il caso basterebbe richiamare i risultati dell'assise svoltasi nei giorni scorsi a Roma e dedicata alla lotta all'Aids. Degli impegni assunti dai ''Grandi'' a Genova, cosa rimane 10 anni dopo, a partire dall'Italia, se non le inadempienze ad intervenire ed a soccorrere i colpiti da questo che e' davvero un malanno ''globale'''? Ne' la ''governance della globalizzazione'', ne' la stessa lotta al terrorismo internazionale impostasi dopo l'attacco alle Torri gemelle di New York hanno trovato nel G8-G9-G10 un foro decisivo.

Festa di inaugurazione del secondo governo Berlusconi appena insediatosi dopo le elezioni politiche della primavera 2001, la gestione della sicurezza del G8 apparve subito come una sorta di messaggio-manifesto da parte dei vincitori nei confronti di forze individuate comunque come non omogenee e protestarie, a partire dai tanti gruppi cattolici raccolti in reti di solidarieta', pronti a rappresentare la necessita' di una svolta.

Il movimento che da Seattle si era sviluppato, in forme che assommavano anche proteste aggressive, si riuni' a Genova per un messaggio forte che si infranse, tuttavia, sulla spirale di violenza che venne innescata da gruppi estremisti e che trovo' alimento nella gestione delle forze di polizia schierate.

L'orrore degli episodi della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto hanno poi rappresentato la piu' grave rottura che potesse verificarsi tra i diritti dei cittadini, anche di manifestare pacificamente, e le forze dell'ordine che questi diritti, con il monopolio legale della forza, sono chiamati a garantire. Una ferita che pesa ancora oggi per un'intera generazione e di cui la morte di Carlo Giuliani e' la personificazione piu' dolente e tuttavia non esauriente.

Il resto e' il percorso sofferto di questi anni: i processi che si sono svolti e che hanno visto la magistratura genovese impegnata in modo esemplare contro i responsabili di eventi intollerabili nella Repubblica.

L'11 settembre dello stesso anno 2001 avrebbe poi rappresentato l'irruzione sullo scenario internazionale di una sfida drammatica portata dal terrorismo di matrice islamica, che avrebbe modificato a lungo le priorita' dell'agenda politica.

Dieci anni dopo, i temi della protesta no-global appaiono di piena attualita': la ''governance'' mondiale ha addirittura diminuito la sua capacita' di presa, le disuguaglianze interne ed internazionali sono cresciute.


dir/sam/ss