lunedì 25 luglio 2011

I ladri e i Penati. - di Marco Travaglio





Gentile on. Pierluigi Bersani, giorni fa abbiamo posto alcune domande all’on. D’Alema sui politici a lui vicini finiti nei guai giudiziari e abbiamo avuto la fortuna di ricevere una risposta (salvo poi essere definiti “giornale tecnicamente fascista”). Ci riproviamo con Lei, nella speranza di ottenere una risposta (preferibilmente senza insulti). Una premessa: noi non pensiamo che Lei si sia macchiato di reati, né che i reati eventualmente commessi da qualcuno del Suo staff ricadano su di Lei. La responsabilità penale è personale. Ma quella politica no.

Parliamo di “culpa in eligendo”, la stessa che ha portato il premier britannico Cameron a scusarsi prima col suo popolo e poi col Parlamento per aver nominato un portavoce troppo vicino a Murdoch. Portavoce dimissionato su due piedi, anche se né lui né tantomeno Cameron avevano fatto nulla di penalmente rilevante. Cameron si è scusato “solo” per aver scelto il braccio destro sbagliato. Ora, on. Bersani, il caso vuole che Lei, quand’era ministro delle Attività produttive, avesse come suo consigliere Franco Pronzato, ora arrestato per aver preso una tangente da un’azienda che aveva appoggiato all’Enac in una gara d’appalto (accusa ammessa dallo stesso Pronzato, che ha chiesto di patteggiare): Pronzato infatti era contemporaneamente Suo consigliere, responsabile Pd per i Trasporti e membro del Cda dell’Enac.

Cosa Le è saltato in mente di nominare un personaggio in così palese conflitto d’interessi fra politica e affari? Lei può dire che non sapeva che Pronzato prendesse tangenti, ma non che ignorava il suo conflitto d’interessi, visto che all’Enac l’aveva indicato proprio il Suo partito. Ancor più grave è il caso di Filippo Penati, ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano, ora vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia, l’uomo che Lei, divenuto segretario del Pd, nominò capo della Sua segreteria: insomma il Suo braccio destro.

Adesso Penati è indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito con l’accusa di aver ricevuto, per sé e per il partito, tangenti da imprenditori interessati a speculazioni edilizie sull’area ex Falck di Sesto. Il costruttore Pasini racconta che Penati gli chiese 20 miliardi di lire nel 2000-2001 e ne ottenne oltre 5 tramite due intermediari, con pagamenti in Lussemburgo e in Svizzera, poi dovette pagare 1,25 miliardi per affari nell’area ex Marelli e altri 2 miliardi in finte consulenze a due emissari delle coop rosse. Alcuni versamenti sono documentati da carte bancarie ricevute per rogatoria dalla Procura di Monza.

E le accuse di Pasini sono già state confermate dal presunto intermediario penatiano, l’imprenditoreDi Caterina, che a sua volta racconta di essere stato “spremuto come un limone” – cioè costretto a pagare per anni fino a 100 milioni di lire al mese per poter lavorare – da Penati e dal Suo partito. Che Penati avesse un concetto piuttosto elastico, diciamo pure allegro, dei rapporti politica-affari, lo dimostravano già ampiamente le intercettazioni uscite anni fa tra lui e il costruttore Gavio nella sporca faccenda della Milano-Serravalle, costata un patrimonio alla Provincia di Milano: Penati chiamò Gavio dicendo che Lei gli aveva dato il numero privato.

Lei ha liquidato l’inchiesta su Penati come “roba vecchia”: ma, se anche fosse, questa per Lei sarebbe un’aggravante, visto che in tutti questi anni non s’è accorto di quel che faceva chi Le sta accanto. Immaginiamo cosa sarebbe accaduto senza le indagini. Tra un paio d’anni Lei avrebbe potuto vincere le elezioni, diventare premier e portarsi al governo i suoi due più stretti collaboratori: Penati sottosegretario alla presidenza del Consiglio e Pronzato ministro dei Trasporti. Salvo magari scoprire che erano due corrotti. Visto il Suo fiuto da rabdomante nella scelta dei fedelissimi, è proprio sicuro di essere il miglior candidato del centrosinistra alle prossime elezioni? In attesa di un Suo cortese riscontro, porgiamo distinti saluti.


D’Alema, Bossi e B., la Casta fuori di testa. - di Luca Telese



Che cosa unisce il pugno battuto sul tavolo dal Caimano e la voce dal sen fuggita (e subito dopo rimangiata) di Umberto Bossi? Che cosa unisce al pugno del berlusconismo decadente e al rutto del celodurismo crepuscolare (“In galera!”) e il gesto simpatico del lìder-bullo maximoche si infila gli occhiali nel taschino e preannuncia emorraggie del setto nasale (“Quelli che erano nella sua posizione, quando io facevo questo gesto si ritrovavano sanguinanti a terra?”) ai suoi intelocutori? Cosa unisce ai tre grandi crepuscoli l’agitare scomposto delle pulci che si credono giganti, come quei due dirigenti del Pdl che ieri volevano addobbare il nostro cronista solo perché faceva una domanda (legittima) su un elicottero pubblico dedicato all’interesse privato? Cosa unisce alla caduta degli dei il fragore ridicolo dei ministri che comprano a loro insaputa, piazzano il parentame e attrezzano querele, i deputati ruba-galline del Pdl che si pagano la suite da nabbabbi, e l’esponente democratico che patteggia una condanna lampo?

C’è un filo lungo che in queste ore tiene insieme le mani che prudono contro le domande scomode, lo sfavillante smottamento di tre grandi carismi e l’avvitamento solipsistico dei tre leader fuori controllo. C’è un virus malato che si trasmette dai piani alti ai piani bassi, un odore cattivo di cancrena, una voglia di combattere con la violenza (fisica o avvocatizia) l’evidenza della realtà. C’è un filo che unisce le minacce della ministra Brambilla che era arrivata a chiedere a questo giornale tre milioni di euro (non li avrà) e il dispetto per il lavoro di inchiesta. Dice Silvio Berlusconi de Il Fatto: “Senza di me voi non esistereste”, e non sa che ci fa un complimento. Dice Massimo D’Alema che siamo un giornale tecnicamente fascista, e non sa che siamo stati tecnicamente sommersi da parole di solidarietà.

C’è un filo spesso come uno spago che unisce la malinconica e perdente stizza di Silvio Berlusconi, la patetica confusione di Umberto Bossi e il simpatico e archilochèo eloquio diMassimo D’Alema, distanti nei tempi e nella qualità ma uniti come tre avvisi di garanzia, tre certificazioni di cessata lucidità intellettuale.

Berlusconi, che un tempo fu mago della manipolazione iconografica e mediatica, compie l’errore di svelarci platealmente la sua impotenza. Bossi, che fu inimitabile prestigiatore e incarnazione geniale del ganassa cede brabndelli di carisma costrigendosi a ritrattazioni inverosimili di sparate che un tempo avrebbe difeso con orgoglio. D’Alema esibisce la nuvola del suo malumore di fronte ai giornali che osano parlare degli arresti e delle inchieste che riguardano il Pd.

La gravità e la qualità di questi moti di umor nero sono diversi, così come le cause. Ma comune è il fenomeno di invecchiamento, l’obsoletizzazione di una classe dirigente che per venti anni ha deciso il bello e il cattivo tempo della politica italiana. Tutto si poteva dire di D’Alema, negli anni passati – amandolo o detestandolo – se non che non non avesse una linea politica una rotta, una identità forte. Ma oggi, anche lui, lancia segnali contraddittori. Scrive sulla nuova unità una articolata analisi per dire che bisogna dialograre con i movimenti, ma poi considera ingiuria il solo fatto che su questo giornale Marco Travaglio gli ponga delle domande sulle vicende giudiziarie del Pd.

C’è in queste tre grandi maschere della politica italiana – Bossi, D’Alema e Berlusconi – lo stesso fascino malinconico dell’androide di Blade Runner, che conserva intatto il suo senso di onnipotenza superomistico, ma che allo stesso tempo sa che nessuno potrà alterare quello che è scritto nel suo destino: la data di scadenza. In fondo, sia Berlusconi, Bossi e D’Alema, sono diventati oggi dei Balde Runner di se stessi, dei replicanti di quello che sono stato nella prima repubblica. Bossi fondò la Lega venti anni fa, dopo aver cominciato a battere le valli nel lontano 1985. Bossi è l’uomo che fotografava il monumento ad Alberto da Giussano per trarre dai negativi il simbolo fai-da-te del Carroccio (anche se Gianfranco Miglio diceva perfido, dopo il litigio: “Macchè, lo ha copiato dalle biciclette della Legnano!”), Silvio Berlusconi vendeva gli appartamenti della sua prima speculazione, nel 1974, chiamando i parenti a fingersi compratori per abbindolare i veri compratori (un genio, anche se ad un tratto una disse: “Zia, come stai!”, facendo mangiare la foglia agli interessanti), Massimo D’Alema, anche può sembrare incredibile, è quel giovane che appare in un reperto televisivo del 1977, tormentato in tv da un indiano metropolitano di nome Gandalf.

Questi tre leader sono antichi, le tensioni che produssero i grandi banzi non ci sono più, i loro partiti sono attraversati da pulsioni materialissime. Adesso che il tempo degli androidi è scaduto, come Rutger Hauer dovrebbero capire che è ora di passare la mano, e di dissolvere le loro storie come lacrime nella pioggia.

Adesso che il loro tempo è finito, dovrebbero capire che trent’anni di palcoscenico sono troppo per qualunque mattatore. Invece non passano la mano, non accettano di essere sostituiti, continuano a pensare di avere il sole in tasca, l’attrezzo in tiro e la forza che spezza l’acciaio nelle mani. Ed è proprio questo che rende il loro crepuscolo non un finale di drammaturgia, ma un problema per il paese. Nei paesi democratici i leader se ne vanno senza drammi, nelle repubbliche delle banane i caudilli restano in campo finchè non li spazza una rivolta di piazza. E finché qualcuno, tecnicamente giornalista, non racconta la loro fine trovando un senso a una storia che un senso non ha.



Non possiamo più aspettare.


Chi, leggendo la storia, non ha notato che ai periodi di progresso sociale, economico e tecnologico, succede sempre un periodo di estenuante e alienante stasi?

Noi ci siamo trovati, malauguratamente, a vivere un periodo buio.

Ci domandiamo perchè, ma un perchè non c'è.

E' naturale, in un periodo di espansione economica, tecnologica, sociale, rilassarsi e prestare poca importanza alla vita sociale, alle cose importanti.

Noi abbiamo commesso l'errore di rilassarci, magari un po' troppo, lasciando ad altri, non più qualificati di noi, la gestione della cosa pubblica.

Il risultato è quello che vediamo: distruzione totale delle regole, della logica, in poche parole, perdita dei diritti acquisiti.

Affidereste la vostra famiglia o il vostro patrimonio culturale, o i vostri averi alla cura di gente della quale conosciamo solo un'immagine sulle locandine in strada? Della quale non sapete nulla o quasi?

Non credo.

Noi abbiamo fatto questo: abbiamo affidato le nostre vite a gente che non conoscevamo affatto e che se ne è appropriata privandoci, poco per volta, di ogni tipo di diritto, lasciandoci solo i doveri.

Noi stiamo pagando errori commessi da altri, noi siamo un popolo bue, portiamo ferite che lecchiamo per non sentire dolore, parliamo, discutiamo, ci incazziamo, ma non andiamo oltre, ci hanno inculcato la paura delle nostre stesse ombre.

Abbiamo ciò che meritiamo?
Non lo so. So solo che uniti potremmo riportare tutto alla normalità.

Non possiamo aspettare che Napolitano, in un impeto di generosità verso il popolo che dovrebbe proteggere, sciolga le camere; non possiamo sperare che il premier si dimetta; non possiamo aspettare che chi ha fatto della politica un posto di lavoro a reddito fisso ed a tempo indeterminato, si mostri generoso nei nostri confronti.

Semplicemente, non possiamo più aspettare!


Catania, redigeva atti falsi arrestato notaio Ciancico


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Falso in atto pubblico, truffa aggravata e peculato le accuse. Avrebbe redatto atti falsi per incassare differenze fiscali non dovute. Confrontati decine di documenti con le testimonianze dei clienti. Si continua ad indagare su altri 40 atti non registrati.


di Elena Giordano

Stipulava gli atti, si faceva consegnare le somme per le imposte dovute (registro, ipotecarie e catastali) e, invece di trasmettere all’agenzia delle entrate l’atto originale sottoscritto dai clienti, ne inviava uno falso - da lui stesso predisposto – inserendovi una falsa clausola con la quale il professionista autoliquidava le imposte secondo un regime fiscale agevolato nella maggior parte dei casi non spettante ai contraenti.

Falso in atto pubblico, truffa aggravata e peculato sono le accuse che ricordano i film di Toto' che hanno trascinato agli arresti domiiciliari un pezzo importante della catania che conta, il notaio Vincenzo Ciancico, professionista di fiducia della grande borghesia catanese. Secondo l'inchiesta delle Fiamme Gialle, coordinata dal pm Tiziana Laudani, la differenza tra le imposte calcolate sull’atto originale e quelle dovute in base all’atto falso finiva direttamente nelle tasche del notaio, che avrebbe utilizzato un conto corrente personale cointestato con la moglie, piuttosto che adoperare il conto corrente appositamente acceso per l’attività professionale.

Le indagini, durate un anno, hanno passato al setaccio centinaia di documenti acquisiti presso l’archivio notarile di Catania, l’agenzia delle entrate, gli atti in possesso dei vari clienti e gli accertamenti bancari sui conti del professionista. E i numerosi clienti interrogati dagli investigatori avrebbero confermato la colossale truffa.

Si continua ad indagare su ulteriori 40 contratti che sembrerebbero addirittura non essere stati mai registrati dal notaio ed in relazione ai quali sarebbero anche stati apposti falsi numeri di repertorio.

Con l'ordinanza del gip Laura Benanti, infine, sono stati sequestrati beni per oltre 500.000,00 euro riconducibili al professionista.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=508

Ingroia: "Sulle stragi del '93 reticenti anche alcuni uomini dello Stato".


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A margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze il procuratore aggiunto di Palermo si è soffermato a parlare della trattativa Stato - mafia del 92 - 93. "Sul piano storico e giornalistico si può ritenere accertato che non furono solo stragi di mafia, e lo dicono anche alcune sentenze". Ingroia ha poi aggiunto che "contro la magistratura ci sono attacchi a senso unico della politica".

Nel corso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni nelle stragi di mafia del '93 cisono state "alcune reticenze", anche da parte di "uomini dello Stato, protagonisti in quella stagione", che hanno impedito di arrivare ad una verità. Lo ha detto Antonio Ingroia, a margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze., a margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze.

"Un conto è la verità processuale - ha aggiunto Ingroia - che ha bisogno di prove solide e granitiche, un conto è la verità storica. Sul piano storico e giornalistico si può ritenere accertato che non furono solo stragi di mafia, e lo dicono anche alcune sentenze. E' altrettanto vero - ha continuato - che sono passati ormai quasi 20 anni e non si è individuata nessuna verità giudiziaria, nessuna responsabilità processuale a carico dei mandanti esterni". Per Ingroia "fino ad oggi c'é stato uno scollamento tra verità storica e verità giudiziaria che dipende da tanti fattori e, credo, da una certa reticenza da parte di uomini dello Stato che sono stati protagonisti in quella stagione. Reticenza - ha concluso - che si è rotta solo in parte negli ultimi tempi e che ha impedito alla verità di venire fuori tutta per intero".

In merito poi alle dichiarazioni del ministro dell'Interno Roberto Maroni che ha parlato di "un colpo di spugna" nel 1993 sul 41 bis, Ingroia ha osservato: "Mi pare un eccesso, in realtà non fu un colpo di spugna; è vero che ci fu, chiamiamolo un calo di tensione, alcuni 41 bis non prorogati; in alcuni casi, per la verità, la mancata proroga era anche giustificata, in altri sembra meno, ma questo è oggetto di indagini da parte della procura di Palermo".

"Contro la magistratura ci sono attacchi a senso unico della politica". ha aggiunto poi il procuratore aggiunto di Palermo, sottolineando che dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sono arrivate "indicazioni, di cui spero tutti facciano uso prezioso".

"Più di una volta - ha detto Ingroia, rispondendo ai giornalisti che gli hanno chiesto un commento sulle ultime dichiarazioni del Capo dello Stato sul rapporto tra politica e magistratura - il presidente Napolitano ha dato dimostrazione di essere un punto di riferimento per tutti, con indicazioni di cui spero tutti facciano uso prezioso". In merito invece alle affermazioni del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, sulla politica che "non fa il tifo" per i magistrati impegnati nella lotta alla mafia, Ingroia ha osservato che "spesso si parla di guerra tra politica e giustizia, ma in realtà non c'é una guerra perché questa presupporrebbe la presenza di due guerreggianti, mentre gli attacchi, come ha ricordato oggi Napolitano, in genere sono a senso unico della politica verso la magistratura e contro alcuni magistrati in particolare, e hanno come obiettivo l'indipendenza e l'autonomia della magistratura, che - ha concluso - è la prerogativa costituzionale più importante".

Roma, incendio alla stazione Tiburtina, gravi conseguenze sulla circolazione.


Un violento incendio è divampato questa mattina, intorno alle 4, nella sala apparati della stazione ferroviaria di Tiburtina a Roma. I vigili del fuoco sono riusciti ad entrare nei locali e stanno operando per spegnere le fiamme. Si prevedono, per la giornata di oggi, gravi conseguenze per la circolazione dei treni. Le Ferrovie dello Stato hanno invitato “a non prendere il treno qualora il loro viaggia preveda il passaggio attraverso Roma Tiburtina”.

Il rogo, che al momento interessa solo l’ala vecchia della stazione e non le nuove strutture, è talmente grave da aver di fatto quasi paralizzato la circolazione dei treni nel nodo della capitale. Solo otto treni all’ora possono transitare dallo scalo, dichiarato al momento inagibile e sempre più a rischio collasso strutturale.

A complicare la soluzione dell’emergenza, poi, i lavori di manutenzione della rete idrica nella zona, che stanno rallentando il lavoro dei vigili del fuoco. “Da stanotte era prevista la non erogazione di acqua per consentire lavori nella zona – spiega il capo ufficio stampa dei vigili del fuoco – e questo non facilita il lavoro perché, non essendoci acqua nelle tubature, dobbiamo prenderla dalle autobotti”. “Autobotti che fanno la spola” dai rifornimenti di acqua alla stazione. Per questo dunque gli interventi “sono rallentati”, aggiunge.

Intanto gli addetti di Trenitalia sono al lavoro per approntare alcune modifiche agli orari dei treni. La stazione Tiburtina diventerà per qualche giorno solo scalo di transito e non di arrivo e partenza di convogli, mentre sul fronte delle indagini non è stato esclusa al momento l’ipotesi dolosa. Tra le motivazioni circolate, anche la destinazione a snodo Tav dello scalo romano, il cui completamento era previsto per il prossimo autunno. Al momento, tuttavia, i vigili del fuoco escludono di avere identificato elementi per parlare di dolo.




domenica 24 luglio 2011

La strage in Norvegia e l’islamofobia dei giornali. - di Iside Gjergji


Oggi il quotidiano Libero spiega con questo titolo l’atto terroristico avvenuto ieri in Norvegia: “Con l’islam il buonismo non paga. Norvegia sotto attacco: una strage”. Qualcuno dirà che non hanno fatto in tempo a cambiare il titolo. In fondo, la polizia norvegese ha diffuso l’identikit del terrorista molto tardi. Può darsi. Ma errore o no, il titolo trasuda razzismo. E in questa sistematica e costante propaganda razzista contro le popolazioni arabo-musulmane Libero non è affatto solo.

I mass-media europei ed italiani sono da molto tempo protagonisti della criminalizzazione dell’immigrazione di origine arabo-musulmana e dell’islam in generale, ma in questa fase storica si stanno trasformando, ogni giorno di più, in soggetti attivi dell’incitamento all’odio. Sono loro, infatti, che ridefiniscono la struttura dello stereotipo dell’ “islamico”, associandolo al “terrorismo” e al “fondamentalismo”.

Come ci riescono? Utilizzando la routine dell’emergenza e della sicurezza, spettacolarizzando e distorcendo tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con esso. Così facendo incoraggiano l’esclusione degli immigrati musulmani dalla vita sociale del paese, invocando nei loro confronti speciali e urgenti politiche di controllo. Il risultato è la costruzione di una categoria astorica e dai tratti caricaturali del “musulmano”. Il tutto finisce, ovviamente, per legittimare la razzizzazione dell’appartenenza religiosa mediante la sovrapposizione di religione, razza e cultura (esattamente come accadde nei confronti della popolazione ebraica durante la seconda guerra mondiale).

Anche nel mercato editoriale vengono immesse numerose pubblicazioni di autori italiani e stranieri che sostengono una simile impostazione. In questa produzione, generalmente e sistematicamente volta alla bestializzazione delle popolazioni e delle società arabo-musulmane (salvo poi sorprendersi della loro capacità di fare le rivoluzioni e di rivendicare diritti), si possono individuare due filoni principali: uno di carattere popolare-viscerale, che parla alla pancia, con Oriana Fallaci come “massima” espressione di esso, e uno di carattere più “scientifico”, che parla alla testa, per così dire, rappresentato oggi da un H.M. Enzesberger (Il perdente radicale, Einaudi, Torino, 2007).

Ma vi un altro filone da considerare e che, a parere di chi scrive, è ancor più pericolosamente razzista, in quanto tende a celare nel suo discorso, fatto di frasi apparentemente neutre e considerazioni di finto “buon senso”, il razzismo strutturale su cui si fonda. Un esempio eclatante, in questo senso, è l’articolo pubblicato oggi su La Stampa da Lucia Annunziata, dal titolo: “Addio al mito del paese perfetto”. Ebbene, nonostante la giornalista fosse perfettamente a conoscenza del fatto che il maggior indiziato della strage in Norvegia fosse un uomo bianco, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, cristiano, giovane, e con la mascella à la Ridge, lei prova ugualmente a distribuire un po’ di colpe sui 150mila “islamici” che vivono in Norvegia:

«Ma questo violento risveglio è davvero una sorpresa? Nulla avviene in realtà mai all’improvviso, e neanche questo attacco del terrorismo all’estremo nord d’Europa, arriva di punto in bianco. La Islamofobia è stata in permanente crescita negli ultimi anni sotto la pelle del quietissimo paese, in cui circa 150mila islamici su una popolazione di cinque milioni di abitanti, hanno finito con il costituire un permanente elemento di frizione culturale, un esempio tangibilissimo di come l’Islam in un paese pure laicissimo non sia facilmente assorbibile. E dentro questa tensione, dentro lo sfaldarsi di un sistema, negli ultimi anni si è manifestato in questo come in altri paesi del Nord il formarsi di una reazione di destra, l’affermarsi , soprattutto via internet, di gruppi razzisti, violenti. Nutriti da una nostalgia del passato, che in questi paesi del nord, come sta succedendo anche in Svezia, ha il volto delle forti correnti di simpatia che ci furono prima della Guerra mondiale per il Nazismo».

Il suo ragionamento sembra essere il seguente: ok, l’autore dell’atto terroristico è islamofobo e razzista, ma lo è diventato a causa della presenza di 150mila immigrati “islamici” che vivono in Norvegia e la strage compiuta dal bianco e cristiano norvegese è, di per sé, «un esempio tangibilissimo di come l’Islam […] non sia facilmente assorbibile».

Più che un esempio tangibilissimo del carattere inassorbibile dell’islam, questo è un esempio tangibilissimo della manipolazione razzista dell’informazione in Italia.