Oggi è una bella domenica di sole in gran parte dell’Italia. E’ agosto, le temperature sono alte, la gente è al mare. Bambini che giocano con la sabbia, uomini che sbirciano le tette della vicina di ombrellone cercando di non farsi beccare dalla moglie, donne che si abbrustoliscono al sole per far schiattare le amiche rimaste in città, ragazzi che si baciano per la prima volta scoprendo il tepore delle labbra sapide di mare. Un’estate come tante. Nel frattempo l’orologio non si ferma, continua a ticchettare. Il mondo, così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, sta per finire.
Ieri Standard & Poor’s, fra le prime tre agenzie di rating al mondo insieme a Moody’s e Fitch Ratings, ha declassato il debito degli Stati Uniti con un outlook negativo. Il che, in parole povere, vuol dire che i debiti degli Stati Uniti non sono più garantiti allo stesso livello di prima e che, sempre secondo Standard & Poor’s, le cose tendono a peggiorare. Per chi ha voglia di leggere le otto pagine che cambiano il mondo, il documento (in inglese) è qui.
Impariamo tutti come si fa che potrà essere utile presto
Oggi più che mai mi fanno ridere quei quattro gonzi che parlano di scie chimiche, complotti dell’11 settembre, progetto HAARP e cazzi vari. Per cambiare i destini del pianeta non serve diffondere gas nell’atmosfera, spiaccicare jet nei grattacieli o produrre terremoti artificiali. Un documento pdf di 8 pagine basta e avanza. La società in cui viviamo è un castello di carta e un’agenzia di rating conta più di un arsenale termonucleare.
Esattamente nell’agosto di venti anni fa, l’Unione Sovietica si dissolse da un giorno all’altro. E non stiamo parlando solo di una superpotenza, ma di un sistema di vita, di un concetto economico e sociale distrutto da un giorno all’altro. Milioni di sovietici si sono addormentati la sera da padroni di metà del mondo e si sono risvegliati la mattina dopo con lo straccetto per lavare i vetri delle macchine in una mano e il pannolone per il vecchietto italiano cacasotto nell’altra. Certo, il comunismo non funzionava, ma chi ci dice che il capitalismo funzioni? Specialmente oggi, direi, non c’è da esserne tanto sicuri.
Dall’altra parte del mondo, dove ora è quasi notte, i nostri futuri padroni, quelli che hanno accettato di giocare al nostro gioco e per anni hanno vissuto con una ciotola di riso, si preparano a raccogliere il frutto del loro sacrificio. Nel giro di qualche anno pretenderanno di fare anche loro due docce al giorno e saranno cazzi perché l’acqua se la potranno permettere solo loro. La Cina detiene una quota importante del debito americano e incomincia a temere che gli americani stampino troppi dollari per pagarlo (alla faccia del signoraggio). Da domani i titoli americani potrebbero iniziare quella spirale di svalutazione che ha colpito i nostri, ma con effetti molto più gravi in ambito internazionale. Così come l’America sconfisse l’Unione Sovietica senza sparare un solo colpo, la Cina può fare lo stesso in questo agosto rovente del 2011.
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha dovuto fissare un incontro speciale nel tardo pomeriggio di oggi per cercare di scongiurare la minaccia imminente di un’altra debacle dei mercati finanziari alla riapertura di lunedì .
“L’incontro non era originariamente all’ordine del giorno, ma non direi che questa è una riunione di emergenza”, ha detto laconicamente una fonte vicina alla vicenda. Tuttavia, dopo due settimane di mercati azionari particolarmente turbolenti, e dopo il downgrade di rating Standard and Poor del debito degli Stati Uniti, la reazione degli europei è particolarmente sotto osservazione.
L’Italia, che è più che mai è nel mirino dei mercati, ha detto venerdì che la BCE potrebbe aiutarla domani acquistando titoli di stato del paese. Ma questo progetto che potrebbe incontrare resistenze da parte di alcuni altri paesi europei, non è stato ancora confermato da Francoforte. La Germania in particolare, ha espresso il suo scetticismo sulla richiesta del presidente della Commissione José Manuel Barroso di aumentare la consistenza del Fondo europeo di sostegno, uno strumento importante per prevenire il contagio. Attualmente, tale fondo può sostenere un esborso di 440 miliardi di euro, una somma sufficiente per aiutare l’Italia, la terza più grande economia della zona euro, ma anche il secondo paese più indebitato. Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, Berlino – che ha due seggi nel Consiglio dei governatori – ritiene che l’Italia sia troppo grande per essere salvato dal Fondo.
Trichet fa pressione
Di fronte a questi ritardi, il presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, ha dichiarato pubblicamente che vuole una decisione del suo consiglio di amministrazione sul caso italiano entro domenica. Secondo una fonte vicina all’istituzione, Jean-Claude Trichet è stato ascoltato e una decisione sarà annunciata dopo l’incontro. Se la decisione di intervenire sarà presa, la BCE e le banche centrali nazionali inizieranno a comprare obbligazioni italiane all’apertura dei mercati di lunedì.
Uno scenario a cui sembra credere il consulente Alain Minc, che ha detto in un’intervista al Journal du Dimanche che “la Germania non può permettersi un incidente con l’Italia. La penisola è un partner indispensabile. Se salta l’Italia, salta la Germania, l’Europa e, in ultimo, il mondo . Così l’Italia non sarà abbandonata! ” “Si procede a tappe forzate verso la governance economica europea voluta dalla Francia in cambio dei criteri di buon governo imposti dalla Germania”, dice il saggista, spesso presentato come consigliere informale di Nicolas Sarkozy.
“IL MONDO FALLIRA’?”
Giovedi la BCE ha riattivato il suo programma di riacquisto di azioni del debito sovrano per frenare l’impennata dei tassi di interesse di alcuni paesi nei mercati obbligazionari dell’area dell’euro, ma finora ha comprato solo piccole quantità di bond irlandesi e portoghesi, mentre la speculazione si concentra su Italia e Spagna. La BCE in quell’occasione aveva attirato le ire degli osservatori che non sono irritati dall’indecisione dei capi di Stato.
Oggi, la stampa europea vacilla tra incredulità e messaggi apocalittici. Il tedesco Welt am Sonntag nell’articolo “Der Crash” (Il Crash) scrive: “Nessuno avrebbe potuto prevedere un crash così spettacolare. ora abbiamo bisogno di una sana dose di umorismo macabro per gestire una simile situazione.” Der Spiegel si è chiesto: “il debito Usa, la crisi dell’euro, il caos delle borse porteranno il mondo al fallimento?”
“Noi non ti aspettiamo” afferma un adesivo con raffigurato un inconfondibile copricapo papale. E’ il messaggio che una parte della Spagna fa pervenire a Benedetto XVI, in arrivo a Madrid il prossimo 16- 21 agosto per le Giornate della Gioventù.
Un evento che, secondo le previsioni coinvolgerà 2 milioni di persone e che congestionerà completamente la capitale spagnola. Le prime ripercussioni le ha già provate direttamente sulla propria pelle il movimento degli Indignados che lo scorso 2 agosto è stato sgomberato dalla Puerta del Sol. Con dure cariche la polizia ha chiuso l’accesso alla piazza, ferendo una ventina di manifestanti. 4 anche le persone fermate tra cui un giornalista. Il movimento 15-M ha reagito realizzando la sua prima conferenza stampa ufficiale in cui per la violenza esercitata dalla polizia ha chiesto le dimissioni dei vertici e ha annunciato la presentazione di una denuncia collettiva.
“Non vogliamo cadere nella trappola delle autorità – dice Ruben, studente di Madrid – abbiamo conquistato l’appoggio della maggioranza dei cittadini. Dobbiamo dimostrare che anche di fronte alla violenza rimaniamo pacifici e uniti”. Il movimento ha quindi riportato in piazza migliaia di persone, fino a 5 mila a Madrid, più decine di manifestazioni di solidarietà in altre città.
Ora il cuore della capitale spagnola, dopo tanta tensione, è di nuovo il luogo di incontro del movimento: “Non vogliamo occupare la Puerta del Sol – spiega Ana, indignata della prima ora – vogliamo che ci sia concessa libera circolazione e la possibilità di incontrarci. Nella piazza, dopo ogni assemblea, lasciamo uno sportello informazioni per permettere ai cittadini di contattarci”. Ma per il movimento 15-M l’accesso alla Puerta del Sol assume un fattore simbolico importante, la piazza rappresenta le radici dell’onda che sta scuotendo il paese: “Questa piazza è un luogo emblematico per Madrid e per l’intera Spagna – sottolinea Carlos Paredes, uno dei portavoce del 15-M – è una zona di passaggio e di incontro. Ed è per noi importante sapere che è da qui che abbiamo alzato la voce contro i tagli alle pensioni, alle spese mediche e agli stipendi”.
La gestione della piazza ha creato molte polemiche ed è diventato anche un terreno di scontro tra il Partito socialista e il PP. I conservatori già in piena campagna elettorale per la consultazione del prossimo novembre, hanno accusato il governo di aver compiuto “gravissimi errori” con la carica contro gli Indignados. “Il governo – ha detto il rappresentante del PP, Esteban Gonzáles Pons – non interviene quando dovrebbe e lo fa quando non dovrebbe”. Un’uscita surreale da un partito che alla municipalità di Madrid, si è sempre opposto a concedere la Puerta del Sol al 15-M.
Ma indipendentemente dagli attacchi, il Psoe sembra spiazzato davanti al movimento spontaneo, che continua a mantenersi vivo anche in piena estate e attivissimo sulla rete. Oltre a proseguire i gruppi lavoro insieme ad esperti, in particolare su temi economici in cui vengono prese in esame proposte, gli indignados insistono a criticare in modo complessivo il sistema. E’ in questa chiave che la visita del Pontefice presa di mira: “Contestiamo i finanziamenti pubblici che sono sperperati con queste visite – dice Carlos Paredes – Vorremmo che il Papa venisse solo in qualità di leader religioso e che la sua visita sia sovvenzionata dai suoi fedeli e dalle strutture ecclesiastiche”.
In calendario alla Puerta del Sol verranno organizzate alcune azioni di protesta come una via crucis alternativa, dei punti informazione sul 15-M per i pellegrini e una manifestazione durante la celebrazione della messa di martedì 16 agosto, inaugurazione della Giornata della Gioventù.
Contratti aziendali estesi, il governo preme. Dubbi del sindacato.
ROMA - Gli esperti si sono già messi a fare i conti, arrivando a una conclusione univoca: anche a essere molto cattivi, dalla spesa per l'assistenza sociale sarà impossibile tirar fuori 17 miliardi di euro, quanti ne servono per anticipare il pareggio di bilancio, entro la fine del 2013. E così si fa strada l'ipotesi di nuovi interventi sulle pensioni per evitare di pescare nel serbatoio delle agevolazioni fiscali, destinato a finanziare la riduzione delle aliquote Irpef, e in qualche modo a bilanciare i tagli.
Ufficialmente l'argomento non è all'ordine del giorno, e il governo non ha neanche accennato alle parti sociali nell'incontro di due giorni fa. Prima di tutto, con loro, c'è da affrontare il problema delle norme per estendere "erga omnes" la contrattazione aziendale. Il governo le vuole, la Confindustria le sollecita, ma i sindacati hanno ancora qualche perplessità. Mettere subito sul piatto anche la questione previdenziale sarebbe forse troppo. Resta il fatto che tra i tecnici dell'esecutivo e gli esperti del settore, la discussione sulla previdenza è già avanzata. Il perché è presto detto: dalla riforma dell'assistenza, in soli due anni, si possono tirare fuori al massimo 4 miliardi di euro. È vero che a regime, cioè in un tempo più lungo, potranno essere molti di più. Ma i soldi per arrivare al pareggio di bilancio un anno prima del previsto, nel 2013, servono subito.
E dunque si ragiona su almeno tre fronti: l'età di pensione delle donne nel settore privato, le pensioni di reversibilità, e soprattutto quelle di anzianità. Per le donne si tratterebbe di accorciare drasticamente il periodo di avvicinamento ai 65 anni degli uomini, che si concluderà solo nel 2030. Mentre sui 5 milioni di pensioni di reversibilità, che l'Italia concede con generosità senza pari in Europa (38 miliardi l'anno), l'intervento sarebbe più graduale, dovendo far salvi i diritti acquisiti. Il vero problema, come il grosso della spesa e dei possibili risparmi, è nelle pensioni di anzianità. Nel 2010 l'età media effettiva di pensionamento degli uomini è stata di appena 58,5 anni. Nel 2011 salirà a 58,8. Da qui al 2014, a tirar su l'asticella, contribuirà l'aumento progressivo delle "quote", date dalla somma di contributi ed età anagrafica. Tra tre anni, tuttavia, si potrà ancora andare in pensione a 61 anni (a 62 per gli autonomi). E di questo passo, per arrivare a un pensionamento effettivo a 65 anni ci vorranno almeno trent'anni.
Perpetuando ancora a lungo, per giunta, le ingiustizie del "doppio binario". Chi va in pensione anticipata oggi, ci va con il vecchio sistema "retributivo", cioè con un assegno pari alla media degli ultimi dieci anni di stipendio. Chi arriverà alla pensione di anzianità fra quindici anni, invece, ci andrà parecchi mesi dopo, e con il sistema "contributivo", ovvero con una pensione di gran lunga più bassa. C'è dunque anche una ragione di equità, oltreché l'emergenza del momento, che potrebbe spingere il governo a compiere il passo decisivo e finale sul sistema previdenziale.
Gli esperti valutano due strade possibili. La più drastica è l'abolizione tout-courtdelle pensioni di anzianità, lasciando nell'ambito della legge sui lavori usuranti le uniche vie di fuga prima dei 65 anni (che poi saliranno con l'agganciamento alle speranze di vita). C'è chi suggerisce, invece, la strada dei disincentivi: un "x" per cento in meno di pensione per ogni anno che manca al limite della vecchiaia, oppure il ricalcolo dell'assegno solo con il meccanismo contributivo.
Netanyahu prepara task force per rispondere a richieste della piazza.
TEL AVIV - "Il popolo chiede giustizia sociale": all'insegna di questo slogan, masse di israeliani di tutte le età, ma soprattutto tanti giovani, sono scesi questa sera in strada In Israele per una nuova manifestazione di protesta contro il caro vita e per denunciare i problemi socioeconomici del paese. Il raduno maggiore per partecipazione di popolo si è verificato a Tel Aviv - la città da dove erano cominciate le agitazioni meno di un mese fa - ma altri si sono pure svolti a Gerusalemme e in altri centri del paese, dal nord a sud. Nelle intenzioni degli organizzatori quella di stasera doveva essere "la madre di tutte le manifestazioni", nella speranza di vedere nelle piazze del paese almeno 250 mila persone. A Tel Aviv, secondo la Tv privata Canale 10, i manifestanti sarebbero 200 mila, più della scorsa settimana: allora furono stimati in circa centomila.
A Tel Aviv i manifestanti si sono assiepati nella grande piazza del teatro nazionale Habima e nelle strade adiacenti: poi si sono mossi lentamente tra grida, canti, battiti di tamburi in direzione del complesso che a meno di un chilometro di distanza, ospita gli uffici di ministeri e il ministero della difesa, davanti al quale era stato eretto un grande palco per gli oratori - tra i quali anche un rabbino e un esponente della minoranza araba ma nessun uomo politico - e per i numerosi artisti che si sono esibiti gratuitamente. Il clima é stato chiassoso ma non violento. Molti i cartelli esposti con lo stesso messaggio per una società più equa in un paese dove il divario tra la classe più abbiente e gli altri ceti è il maggiore tra le economie sviluppate dell'Occidente. Non sono però mancati alcuni cartelli con scritte ostili al governo. All' incirca alla stessa ora migliaia di persone si sono radunate vicino alla residenza del primo ministro a Gerusalemme per lanciare lo stesso messaggio. E così è stato anche in altri centri del paese. Ma la manifestazione odierna, la terza dall'inizio delle agitazioni, non sarà, a quanto pare, l'ultima: un'altra risulta in programma anche per il prossimo sabato. L'intenzione dei manifestanti è di non demordere e di lanciare il chiaro avvertimento che le proteste andranno avanti fino a quando il governo non proverà di aver recepito, nei fatti e non solo a parole, il messaggio della piazza.
NETANYAHU VERSO 'TASK FORCE' PER RISPOSTE A PIAZZA - Il primo ministro israeliano Benyanim Netanyahu intende istituire una task force per rispondere alle richieste dei manifestanti. Lo ha riferito un alto funzionario, che ha voluto mantenere l'anonimato, spiegando che "Netanyahu vuole creare una task force, composta da ministri e accademici, per ascoltare le richieste dei manifestanti e presentare le proprie raccomandazioni". Raccomandazioni che - spiega la stessa fonte - riguarderanno le "misure per contrastare l'alto costo della vita e quelle per permettere un accesso più facile alla casa".