sabato 13 agosto 2011

P3, Dell’Utri: “I bonifici di Berlusconi? Ho ristrutturato casa, ero senza quattrini”.


In un'intervista al Corriere il senatore azzurro dà la sua versione riguardo ai versamenti per 8 milioni di euro ricevuti dal presidente del Consiglio: "Ho dei problemi, vivo come un nobile decaduto". Insomma, i soldi sono serviti per ristrutturare la villa di Torno che, a breve, sarà venduta "per problemi finanziari".


“Mi hanno ridotto a corto di quattrini. Ho dei problemi. Non riesco a mantenere più questa villa”. Così Marcello Dell’Utri, intervistato oggi da Il Corriere della Sera, spiega l’origine dei versamenti per dieci milioni di euro ricevuti da Silvio Berlusconi, e finiti agli atti dell’inchiesta P3come rivelato ieri da Il Fatto Quotidiano (Leggi). Il riferimento è alla magnifica dimora di Torno, sul lago di Como. Che ora il senatore vorrebbe vendere, racconta, ma prima deve ristrutturarla. Da qui l’esigenza di “chiedere un prestito a un amico”. Berlusconi, appunto.

Appare molto nervoso, Marcello Dell’Utri, nello spiegare l’ennesimo caso giudiziario che lo coinvolge. Si tratta di “miei affari personali e privati”, afferma, “anche quando si parla di ristrutturare, comprare o vendere una casa, chi mesta nel torbido ci voglia sempre mettere lo zampino. Capisco certi giornali, ma che c’entra il Corriere con questa rottura di c…?”. E ancora: “Ognuno di noi in questo Paese non è più libero di fare una trattativa, di chiedere un prestito a un amico, di fare un lavoro a casa, di avere un guaio? Tutto deve diventare di dominio pubblico, senza un minimo di riserbo? E questa non è secondo lei una rottura di c…?”.

Ma poi, incalzato, il senatore azzurro cede e racconta la sua versione dei fatti: “Va bene, basta, lo dico: sto vendendo casa. Ecco la verità. Non subito. Ma ho dato voce. E’ necessario fare dei lavori importanti. Ristrutturo e poi vendo tutto. Perché io ho da pagare c… e ramurazzi (ravanelli,ndr)». E’ una parte nuova da recitare per Dell’Utri, quella del “poveraccio” a corto di quattrini: «Ho dei problemi. Non riesco a mantenere più questa villa. Troppo grande. E’ stato un sogno. Mi rendo conto che nella vita c’è chi sale e chi scende. E io vendo casa… ». Insomma, Dell’Utri come un nobile decaduto: “Appunto, nobiltà decaduta. Ero anch’io un principe. E non lo sono più”. E a cosa attribuire le responsabilità di questo stato di indigenza se non ai processi? “Colpa della persecuzione”.

Non sembra appartenere alla sua mentalità il fatto che chi ricopre cariche pubbliche sia tenuto a dare spiegazioni ai cittadini specie se in ballo, come raccontato dal Fatto, ci sono 8 milioni di euro incassati direttamente dal presidente del Consiglio. Milioni che diventano 18 se si contano anche i versamenti fatti a Denis Verdini dal senatore del Pdl nonché editore di Libero e RiformistaAntonio Angelucci (Leggi). Versamenti di cui si ha notizia dalle carte appena depositate nell’indagine sull’associazione segreta (P3) che mirava a condizionare gli organi costituzionali e giudiziari e gli enti pubblici nazionali e regionali.

Ma nell’intervista al Corriere, messo di fronte a quello che il giornalista chiama “il retro pensiero dei malpensanti”, e cioè che “Berlusconi potrebbe averlo pagato per mantenere un segreto o per non dire qualcosa magari con riferimento a qualche processo”, il senatore siciliano risponde con veemenza: “Menti disturbate possono pensare queste cose, ma io non mi voglio disturbare e vorrei starmene tranquillo”.

E proprio per starsene in tranquillità, lontano dalle “rotture di c.”, Dell’Utri corre intorno alla sua villa sul lago: “Sì, corro attorno a casa mia. O meglio cammino veloce, diciamo 5 all’ora, giusto per mantenermi in esercizio. Ma ora passa la voglia di tutto con questi sospetti sul niente“. Il senatore corre anche per “controllare la pressione del cuore”. Colpa dei processi che gli rovinano l’umore: “Debbo controllarla. Sale quando penso a queste camurrie dei processi. Appena penso ad altro scende che è una bellezza». Già, perché Dell’Utri si sente “un perseguitato” dalla giustizia: “Ho visto tanti perseguitati morire di infarto o di cancro. Meglio la mia educazione arabo-fatalista. Forse mi salvo e arrivo all’11 settembre». Il giorno del suo 70esimo compleanno.


La villa da ristrutturare:
http://www.nessimajocchi.it/portfolio_dettaglio.asp?ID=11&IDTESTA=261


In pasto ai cannibali del mercato. - di Piero Sansonetti.




Il mercato è il colpevole della crisi che sta travolgendo l’Occidente. L’Occidente però, invece di porsi il problema di come imbrigliare il mercato, e riformarlo, e imporgli delle regole, ha deciso di affidare al mercato la soluzione della crisi. Lo ha fatto prima sconfiggendo Obama negli Stati Uniti e poi estendendo a tutta l’Europa la sua idea paradossale, e cioè quella di affidare all’assassino le indagini sull’omicidio.

In Italia tutto questo si è tradotto in una iniziativa di esautoramento del governo e del parlamento e nel trasferimento della sovranità nazionale in sede europea (in sede di finanza europea). La nuova autorità ha deciso misure severissime di taglio del welfare, in particolare delle pensioni delle donne e dei meno ricchi, e di aiuti alle imprese. L’idea è quella di accentuare le diseguaglianze sociali e concentrare ulteriormente la ricchezza (fino a misure odiose come quella, un po’ nazista, di togliere le pensioni di reversibilità alla vedove senza reddito).

Poi si è andati un passo avanti: con la richiesta di abolire l’articolo 41 della Costituzione (quello che pone un limite alla sregolatezza dell’iniziativa privata) e di introdurre, sempre in Costituzione, un articolo che imponga il pareggio di Bilancio; si è deciso in questo modo di rendere stabile il “disarmo della politica”, togliendogli, definitivamente, ogni diritto di influenzare o disciplinare l’economia. L’obbligo del pareggio di Bilancio significa impedire alla politica di governare le risorse necessarie per la propria iniziativa sociale. Quindi escludere la politica dall’iniziativa sociale. E dunque porre fine al compromesso socialdemocratico sul quale, dopo la seconda guerra mondiale, era stata costruita l’Europa. La Costituzione perde tutto il suo spirito originario e diventa una specie di gabbia che certifica la sospensione della democrazia, o comunque il suo essere un fatto accessorio e non più indispensabile nel governo delle nostre società.

L’aspetto più drammatico di tutto questo è che il nostro centrosinistra brancola nel buio. In parte addirittura sembra soddisfatto di questa drastica svolta autoritaria e reazionaria, e speranzoso di poter essere chiamato a partecipare al governo di questa stretta, in sostituzione dei gruppi dirigenti “riottosi” del berlusconismo. Per ora, comunque, il comando è stato assegnato a una piccola lobby che ha sede in via Solferino. Il Corriere della Sera ha preso il posto del Parlamento ed esercita la sua nuova funzione – bisogna ammetterlo – con molta liberalità.

http://www.glialtrionline.it/home/2011/08/13/in-pasto-ai-cannibali-del-mercato/

La manovra della disperazione. - di MASSIMO GIANNINI





IL GOVERNO della dissipazione ha infine raffazzonato la manovra della disperazione. Come i peggiori esecutivi andreottiani della Prima Repubblica, costretti a turare in extremis gli allegri buchi di bilancio, buttavano giù in tutta fretta i decretoni di Natale, così anche il gabinetto di guerra berlusconiano, obbligato dal direttorio franco-tedesco e dal board della Banca centrale europea, improvvisa il suo decretone d'agosto. Quarantacinque miliardi "aggiuntivi" di tasse e di tagli, dicono Berlusconi e Tremonti, per accentuare il peso simbolico dello "sforzo" di fronte alla business community. In realtà si tratta di misure che solo in minima parte si sommano, mentre in massima parte si integrano e anticipano la "prima rata" di norme, già evanescenti nel merito e urticanti nel metodo, varate a metà luglio. È il prezzo da pagare all'improvvisazione politica, come i fatti di questi tre anni dimostrano, e non certo alla speculazione finanziaria, come la vulgata governativa si affanna a far credere.

È un prezzo altissimo. Nella quantità: una manovra complessiva che, sia pure su base pluriennale, si avvicina ai 50 miliardi di euro, non ha precedenti nella storia repubblicana. Nella qualità: una stangata che, sia pure con un qualche apparente rispetto del principio di progressività del prelievo, ruota per tre quarti sull'aumento della pressione fiscale, ha precedenti forse solo nella storia sudamericana. Per fortuna che questo dice di essere il governo che "non mette le mani nelle tasche degli italiani". Berlusconi e Tremonti continuano a ripetere che "in cinque giorni tutto è cambiato e tutto è precipitato". Sappiamo bene che non è così. Tutto sta cambiando dall'inizio della crisi globale del 2007, con il crac dei mutui subprime americani. Tutto sta precipitando dall'inizio della crisi europea del 2010, con il crac del debito irlandese e poi di quello greco. Tutto sta precipitando dall'inizio della crisi occidentale del 2011, con il fantasma della double dip recession che soffoca Stati e mercati. Non averlo capito per tempo è la colpa più grave e imperdonabile che il governo italiano si porta dietro. E che ora si scarica sugli italiani, già provati da una caduta del reddito, del risparmio e dell'occupazione senza paragoni con il resto di Eurolandia, e adesso obbligati a questo drammatico supplemento di sacrifici.

La vera e unica novità di questa stangata è il cosiddetto "contributo di solidarietà" per i redditi più alti. Una misura che, nella forma, vorrebbe ricordare l'eurotassa introdotta dal governo Prodi nel '96 per raggiungere il traguardo di Maastricht. Ma nella sostanza la nuova norma è mal congegnata, e alla fine ha il solito sapore "di classe", come tutte le scelte fatte dai liberisti alle vongole cresciuti nell'allevamento di Arcore. La scelta di aggredire l'Irpef penalizza soprattutto il lavoro dipendente. La soglia scelta per il doppio prelievo fa sì che a pagare siano pochi "super-ricchi" (511 mila italiani, cioè l'1,2% dei contribuenti secondo la Cgia di Mestre). E il tetto scelto per i lavoratori autonomi (55 mila euro l'anno) fa sì che all'imposta straordinaria sfuggirà la stragrande maggioranza di chi già evade abbondantemente le tasse (e infatti dichiara in media poco meno di 30 mila euro l'anno). Dunque, l'intenzione del governo poteva anche essere buona, ma la realizzazione è pessima sul piano pratico, e discutibile sul piano etico.

Per il resto la stangata è una miscela caotica di vuoti e di pieni, che conferma l'impianto sostanzialmente regressivo seguito dalla maggioranza in questi tre anni. Da un lato, il carniere del rigore è sicuramente pieno per quanto riguarda il ceto medio, che sopporta da solo quasi l'intero onere del risanamento. È ceto medio il pubblico impiego che, ancora una volta, è il perno ideologico intorno al quale ruota la politica economica del centrodestra: dal Tfr agli straordinari, i dipendenti pubblici sono anche oggi la vittima sacrificale di una coalizione che si accanisce senza pietà contro le categorie che non la votano. È ceto medio l'universo dei pensionati, che tra disincentivi all'anzianità e anticipo dell'età delle donne, subisce un altro colpo necessario ma pesante, perché non bilanciato da una degna politica attiva del Welfare. Dall'altro lato, il carniere del rigore è altrettanto pieno per quanto riguarda i ministeri e gli enti locali, che patiscono il danno più devastante perché accompagnato dalla beffa del federalismo, ormai un feticcio virtuale persino per Bossi. Dopo la mannaia indiscriminata dei tagli lineari, il colpo di scure su dicasteri, regioni e comuni si accelera rispetto alla tempistica già prevista nel pacchetto di luglio: nulla di nuovo, dunque, ma l'esito non potrà non essere l'aumento dei tributi locali e l'azzeramento dei servizi sul territorio. Se è vero che c'è da soffrire (ed è doveroso farlo, perché il Paese ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e chi lo governa ha fatto di tutto per non farglielo capire) è anche vero che non possono soffrire sempre gli stessi.

Ma quello che abbaglia di più, in questa manovra dell'emergenza agostana, sono i vuoti. Il primo vuoto riguarda i famosi tagli ai "costi della politica". Ancora una volta l'improntitudine di questa casta berlusconiana ha tradito tutte le già malriposte attese della vigilia. C'è finalmente una sforbiciata delle province e l'accorpamento dei piccoli comuni (merce inutilmente "svenduta" nella campagna elettorale del 2008). Ma per il resto, tra stipendi pensioni e benefit dei parlamentari, c'è poco e niente, a parte il modestissimo "obolo" sulla tassa di solidarietà raddoppiata per deputati e senatori e la trasformazione dei loro viaggi in business class in voli in economy. Il secondo vuoto, che conferma la visione corporativa e aziendalista di questa maggioranza, riguarda la cosiddetta "patrimoniale": l'unica forma di imposizione che, se ben architettata, avrebbe potuto far pagare davvero chi ha di più e lo nasconde, e che avrebbe dato un segno di vera equità a una manovra altrimenti squilibrata. E non bastano, a bilanciare questa assenza che salva ancora una volta gli evasori, norme pur sacrosante come la tracciabilità delle operazioni sopra i 2.500 euro, che Prodi e Visco avevano introdotto nel 2006 e che il Cavaliere aveva voluto colpevolmente eliminare all'inizio della sua legislatura perché le considerava "leggi di stampo sovietico".

Ma il vero vuoto più clamoroso e più rovinoso di questa manovra riguarda, anche stavolta, il sostegno alla crescita dell'economia e alla produzione della ricchezza. È l'aspetto più inquietante e deprimente di questa stagione politica, marchiata a fuoco da una leadership inconsistente e imbarazzante che a tutto ha pensato fuorché agli interessi del Paese. Senza un'idea e senza un progetto per lo sviluppo, questa stangata estiva, che pure andava fatta, non potrà che generare nuova recessione, e aggiungere declino al declino. Tutti gli stati dell'Eurozona stanno somministrando cure da cavallo ai propri popoli. La differenza è che insieme ai sacrifici quei Paesi sanno costruire anche i benefici, mentre in Italia ci sono solo i primi senza i secondi. Occorreva dire la verità, agire prima e dotarsi di una politica. Così si uccide un'economia. "Gronda il sangue dal cuore, ma dovevamo farlo", ha detto il premier in conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri. Se è vero, è sangue di coccodrillo.
m.giannini@repubblica.it



Da Claudia Petrazzuolo.



‎" Ricevo e ripropongo volentieri:
" Vedete voi …

Il figuro che, per maledizione divina e volontà di un quarto della nazione, da anni usurpa il governo di questo paese, a maggior ragione detto in questi momenti in cui gode di un premio di maggioranza conquistato da una coalizione diversa da quella che lo sorregge, assieme ad un azzeccagarbugli di manzoniana memoria, ieri ha spinto il paese sul fondo di ognuno dei baratri possibili. Dalla faccia a deretano di questo essere è venuta, come prima affermazione, quella secondo la quale questo debito pubblico è colpa dei governi in vita sino al 1992, dopodiché c’è stata la sua discesa in campo e solo le incarognite forza del male: comunisti, mercati, spectre, satana ed i suoi discepoli, gli alieni di Orione e, udite udite, persino istituzioni deviate dello stato quali magistratura e presidenza della Camera e della Repubblica gli hanno impedito di rendere ricchi e felici gli Italiani. Ogni altra considerazione a tutto ciò è superflua!. Il dopo, ciò che, insieme, hanno biascicato dopo si risolve in un unico concetto: “ ITALIANI POSIZIONE DEL RACCOGLITORE D’ULIVE E OLIO O BURRO secondo che siate del sud o del nord “.
In questo paese c’è una evasione fiscale annua di duecentosettantamiliardi (270.000.000.000) di euro, pari a circa quattro possibili correzioni di bilancio dell’importo di quella annunciata; a parte una spinta alla guerra tra poveri (chiuderemo gli esercizi che non emettono scontrino fiscale) non c’è traccia alcuna di una seria terapia per questa patologia. I possessori di yacth, ferrari, seconde e terze e quarte case in giro per il mondo, gli abituès delle seichelles e delle caiman , i correntisti italiani dei paradisi fiscali, i possessori di aziende off shore, i corruttori, gli intrallazzatori e quelli che “spaghetti e alici 1,30 euro” continueranno imperterriti e sornioni a vivere la loro vita a fianco di coloro che, invece, si spezzano la schiena o con gli occhi pieni di lacrime dicono ai figli che “ no …, non te lo posso comprare” o di quei giovani che vivono le proprie legittime speranze come una maledizione.
Sono previsti tagli agli enti locali per nove miliardi di euro; gli enti locali sono i comuni, le province, le regioni. Tutte queste istituzioni dovranno giocoforza sopperire ai mancati introiti dal governo centrale in altri modi, secondo Voi come faranno? Il vostro sindaco di rifondazione, o dell’Italia dei valori, o anche leghista, pidino, udcino, pidiellino, dentro a quali tasche andrà a pescare gli euro che gli serviranno per fornirvi di quei servizi di cui abbisognate? LE VOSTRE!. Ed ecco perché noi tutti DOBBIAMO, non metterci in marcia verso una Roma distratta e bistrattata al pari delle altre realtà urbane, RACCOGLIERCI in POPOLO, CIASCUNO NEL SUO DISTRETTO DI APPARTENENZA e costringere questi nostri rappresentati a cessare di essere i galoppini del FIGURO per diventare finalmente coloro che abbiamo scelto ed eletti per fare i nostri interessi e non quelli del nano.
Lo sviluppo e la crescita, nella relazione fatta ieri dal GATTO e dalla VOLPE, sono e restano dei concetti inespressi di una speranza la cui realizzazione è legata alla volontà di quel dio, chiamatelo come volete, che ha però di già e da tempo lunghissimo oramai, dimostrato di non amare questo paese, visto che alcuni tra i suoi rappresentanti continuano ad usufruire di agevolazioni negate agli altri cittadini, continuano a sostenere gli affamatori, non denunciano e combattono soprusi e abusi, difendono privilegi, non combattono, se non a parole, vergogne e disgrazie diffuse. Quindi niente investimenti a favore del lavoro, della ricerca, delle innovazioni tecnologiche, della gioventù, in una sola parola: della SPERANZA.
Tagli al numero dei comuni e delle province: qualcuno si è chiesto dove finiranno, in attesa del previsto accorpamento, gli impiegati, i funzionari, gli operai i, comunque, dipendenti degli ENTI TAGLIATI? E le loro famiglie? E cosa sostituirà i loro redditi? Avremo tutta una nuova classe di diseredati da licenziamento, cassa integrazione? E quanti, tra quelli già di una certa età, reggeranno alla umiliazione di una sopravvenuta malattia del vivere? Chi si assumerà questa tremenda responsabilità? Chi, se non noi tutti, sarà responsabile di ogni singolo atto di disperazione non soltanto di e tra questi ma anche di ciascuno di tutti gli altri?
Un giornale di ieri titolava “ per noi stangata per loro un pranzo a 4 euro”. E la sintesi perfetta della condizione espressa dalla nostra classe politica, non solo quella al governo ma anche e soprattutto quella che dovrebbe essere espressione della povera gente: LA VERGOGNA che avrebbe dovuto soffocarli ad ogni boccone deve essere annegata alla prima forchettata di spigola o al primo sorso di cabernet o di primitivo che hanno ingurgitato, altrimenti almeno qualcuno avrebbe, e non da poco, dovuto segnalare la cosa ai suoi elettori e farne motivo di scandalo e di ludibrio pubblico, perché, sappiatelo, la differenza al costo reale di ogni pietanza ce la RIMETTIAMO NOI DI TASCA ad ogni forchettata.
Lo stesso giornale, IL MIO GIORNALE, titola stamane : “ QUESTA E’ UNA RAPINA ! “. Signori, IN ALTO LE MANI, PREGO!. FORTEBRACCIO".



La linea del Piave. - di Alberto Asor Rosa





Nella storia di questo disgraziato paese (l'Italia, intendo, per chi non ami le metafore), c'è una sindrome spesso ricorrente: si chiama la linea del Piave. Funziona così. Per anni, talvolta per decenni, gli alti comandi, i Governi, le classi dirigenti in genere, prendono decisioni inique, sbagliate, avventurose, persino ciniche e anche delinquenziali: l'incredibile mediocrità degli alti comandi medesimi, la strategia irresponsabile dell'attacco frontale, il mostruoso disavanzo di bilancio, l'incapacità del ricambio, la stralunata soggezione dell'interesse pubblico agli interessi privati o di gruppo, ne rappresentano le manifestazioni più significative ed esemplari. Poi, ad un certo punto, dai e dai, si verifica la catastrofe: le linee cedono, il bilancio crolla, l'economia va in pezzi, le classi dirigenti, d'ogni razza e colore - ripeto: d'ogni razza e colore - annaspano nel vuoto che loro stesse hanno creato. È a quel punto che a qualcuno viene in mente la linea del Piave: gli interessi non sono più diversi, separati e magari contrapposti, diventano "unico". La catastrofe si può affrontare solo tutti insieme, senza più differenze né di razza, né di colore, né di collocazione sociale, né di orientamento politico. E questo, a pensarci bene, è anche giusto: chi, infatti, vorrebbe vedere gli austriaci a Milano o a Venezia? Se poi, come nel caso di oggi, la linea del Piave assume dimensioni planetarie, la solidarietà di tutti intorno a un modello unico di soluzione assume un'evidenza ancor più eloquente: o ci si salva tutti oppure non si salva nessuno. E anche questo potrebbe essere giusto. Ma vediamo fino a che punto il discorso del Piave regge e, ammesso che regga, quali diverse impostazioni gli si possono dare. Facciamo (almeno noi) un passo indietro e torniamo in Italia. Negli ultimi tre-quattro mesi è accaduto nel nostro paese qualcosa che in precedenza sarebbe stato inimmaginabile: e cioè un cambiamento vistoso della costituzione materiale, un aggiustamento invisibile dei meccanismi decisionali. Tutte le più importanti scelte in materia politica ed economica sono state, non certo prese, ma indotte con forza e con, appunto, autorevolezza "dall'alto". E quale esempio più lampante di "Camere congelate" di quelle che, nel giro di quarantotto ore, hanno votato un bilancio dello Stato strangolatorio e, nel caso di certi partiti, addirittura apertamente non condiviso? Non sto dicendo né che sia stato un bene né che sia stato un male: mi limito per ora a constatare che è accaduto. Ricordate il mio articolo sul manifesto del 13 aprile? «Ciò cui io penso è una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instauri quello che io definirei un normale "stato di emergenza", eccetera eccetera». L'unico auspicio di quell'appello che non sia stato per ora praticato è il ricorso all'Arma dei carabinieri e alla polizia di Stato: non ce n'è stato bisogno, e comunque la magistratura e le forze dell'ordine erano impegnate in altro (sempre però nei dintorni: Papa, Milanese, Penati, Bisignani eccetera eccetera).

Ma in generale la linea più volte adottata è andata puntualmente in quella direzione, tacciata allora dai pulpiti più diversi d'imbecillità, provocazione, golpismo, ecc. ecc. Oggi tutti i dubbi e le riserve sono svaniti nel nulla: la linea estrema di difesa delle istituzioni repubblicane e dell'economia e coesione sociale nazionali è diventata il Governo del Presidente (non quello del Consiglio, naturalmente), universalmente invocato dalle forze, partitiche e d'opinione, che si collocano all'opposizione dell'attuale maggioranza parlamentare. Restiamo anche noi all'interno del ragionamento, ma al tempo stesso prendiamoci la libertà di porci - di porre - alcune domande decisive: a favore di chi? Con quali mezzi? Con quale, non solo istituzionale, ma anche politica autorevolezza? Le linee del Piave, in sé e per sé considerate, non servono a scardinare i sistemi, servono a confermarli e a renderli ancora più inattaccabili. La difesa del "bene comune" è pagata sempre da una sola parte. Sul Piave (storicamente, non metaforicamente inteso) la linea fu tenuta dalla leva dei '99, giovani diciottenni gettati in massa nel rogo a difendere l'integrità e l'unità nazionale. Oggi nel tritacarne dell'unità nazionale sono destinati ad essere macinati - alfieri del tutto involontari d'un patriottismo a senso unico - gli anziani e le famiglie deboli, i pensionati, gli operai, i giovani (soprattutto i giovani), i piccoli e medi borghesi, impiegati e professionisti, gli uni e gli altri ovviamente senza rendite parassitarie alle spalle. Sull'atteggiamento da tenere nei confronti di questa situazione si è già sfarinato il fronte delle opposizioni: il Terzo Polo ha subito adottato la linea della massimizzazione dei "sacrifici popolari" (davvero singolare in questo quadro - mi sia permesso di osservarlo - l'atteggiamento della formazione che recentemente ha scelto di chiamarsi "Futuro e Libertà": non dovevano essere la forza di rinnovamento del quadro politico italiano e sono finiti alleati in tutto e per tutto subalterni dei moderati più moderati?). Ma lo sfarinamento ha già raggiunto vertici e settori anch'essi in precedenza inimmaginabili: vedere la Camusso, leader di un'organizzazione operaia e popolare come la Cgil, collocarsi anche fisicamente, quasi a segnare il rapporto gerarchico nuovo testé costituitosi, alle spalle della Marcegaglia, leader delle organizzazioni padronali, ha avuto la portata e il valore di un manifesto, ben comprensibile ai più. La linea del Piave, per essere minimamente condivisa prima che accettata e praticata, avrebbe bisogno di molte condizioni, di cui per ora non si vede traccia, anzi, per essere più esatti, quasi nessuno parla. A scopo puramente provocatorio, come di consueto (poi fra qualche mese si vedrà meglio), ne elenco due, una di carattere economico-sociale, l'altra di carattere politico, la seconda, ovviamente, condizione sine qua non perché la prima diventi credibile. La condizione economico-sociale è la conservazione integrale dello Stato sociale, e cioè, per essere più precisi, di quell'insieme di statuti, regole, leggi e abitudini, che garantiscono la libertà e il benessere ai cittadini più deboli. Quanto al pareggio di bilancio, bisognerebbe chiedersi se le cure prospettate, in dimensioni e rapidità di tempi, non siano destinate ad ammazzare il cavallo invece di rimetterlo in piedi. La distribuzione dei pesi e delle misure, e le loro conseguenze effettive, devono perciò fin d'ora essere elencate con estrema precisione: l'obiettivo, infatti, è garantire con assoluta certezza - e la cosa è tutt'altro che impossibile - che dalla crisi ci si proponga di uscire con uno stato più giusto, non con uno più infame. La condizione politica è che dalla crisi si esca con un riassetto del sistema di potere che almeno garantisca la riapertura di una nuova fase. Dobbiamo invece prendere atto che finora si è andati nella direzione esattamente contraria: e cioè - nella più pura tradizione delle linee del Piave nazionali (ma almeno Cadorna nel '17 perse il posto) - la crisi ha paradossalmente rafforzato, o almeno lasciato più tranquillo, il Governo Berlusconi: è entrato a far parte anch'esso, infatti, della "soluzione unica nazionale" della crisi. Ma questo è intollerabile, e quindi inaccettabile: significherebbe far pagare al paese, come prezzo per uscire dalla crisi, la perpetuazione delle ragioni più profonde della crisi medesima, l'inaffidabilità, il discredito, interno ed internazionale, l'assoluta mancanza del senso dell'interesse pubblico da parte dei suoi goverrnanti. Perché la linea del Piave sia almeno decentemente compresa e condivisa, occorre che il governo del Presidente metta in programma questa apertura di una nuova fase in netta, inequivocabile discontinuità con quella precedente: anche ricorrendo, in tempi ragionevoli, ad un nuovo responso elettorale. Ai costituzionali - notoriamente ce ne sono molti e di molto eccellenti - va richiesta con urgenza una rilettura del primo comma dell'art. 88 della Costituzione, il quale recita (com'è universalmente noto): «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti; sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Le interpretazioni correnti, che depotenziano in genere la facoltà del Capo dello Stato di assumere autonomamente tale decisione, mi sembrano estremamente discutibili, e perciò andrebbero ridiscusse, in una situazione come questa in cui si potrebbe da un momento all'altro avere bisogno di disporre tranquillamente di tale estrema risorsa. Insomma: il Governo del Presidente comporterebbe una netta e puntuale individuazione dei pesi e delle misure da adottare,

una equa distribuzione dei sacrifici, una preliminare scelta di campo a favore delle classi e dei ceti più deboli e, preliminarmente e contestualmente, la ricostituzione d'un quadro politico in grado di giocare la partita nella piena dignità ed efficacia dei suoi possibili mezzi (e uomini). Altrimenti, sarà un confuso, inane e un po' disperato tentativo di tenere in piedi il sistema a favore dei soliti "amici". Non sarebbe una bella cosa, e non funzionerebbe.


http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/08/articolo/5161/


venerdì 12 agosto 2011

Cade il tabù, Berlusconi: “Abbiamo dovuto mettere le mani nelle tasche degli italiani”






Supertassa sui redditi superiori a 90mila euro, abolite le piccole province e Tfr congelato per
i dipendenti pubblici. Tagliate 54mila poltrone politiche, cancellati i ponti festivi. Il governo vara
la manovra da 45 miliardi. Il premier: "Oggi il mio cuore gronda sangue ma era l'unica cosa da fare"

ECCO I PROVVEDIMENTI APPROVATI DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI, LEGGI LA SCHEDA

“Non potevamo fare diversamente, abbiamo deciso di ottemperare alle richieste della Bce”. Così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha aperto la conferenza stampa dopo l’approvazione da parte del consiglio dei ministri del decreto legge sulla manovra fiscale. Un Berlusconi quasi funereo, di fronte alla necessità di fare l’annuncio per anni negato, esorcizzato e rimandato: il suo governo imporrà più tasse.

Il premier ha confermato i saldi della manovra: 20 miliardi nel 2012 e 25,5 nel 2013, approvati all’unanimità dal consiglio dei ministri. “Il provvedimento è equilibrato – ha detto – si compone di tagli e imposizioni (guai a dire “tasse”), salvo poi finalmente ammettere: “Il nostro cuore gronda sangue nel pensare che avevamo il vanto di non avere mai messo le mani nelle tasche degli italiani, ma non potevamo fare diversamente”. Il premier ha poi ritrovato slancio ricordando l’intervento sull’ormai famigerata casta: “Sui costi della politica per la domanda dell’opinione pubblica, ci sono numerosi interventi, credo anche eccessivi rispetto a ciò che sarebbe giusto ma abbiamo seguito i desiderata dei cittadini che guardando alle loro condizioni e ritengono che i politici abbiano entrate eccessive”. In totale, ha assicurato il premier saranno tagliate “54mila poltrone della politica”, dimezzando consiglieri comunali, provinciali e regionali.

E’ toccato poi al ministro Tremonti spiegare le misure, salvo rimandare ad un successivo incontro con i giornalisti i dettagli. Il ministro dell’Economia ha spiegato che fuori dai tagli sono stati lasciati “scuola, sanità e 5xmille”. La previsione di rapporto deficit/pil passa all’1,4% per il 2012. Per Tremonti si tratta in realtà di numeri “sottostimati” per prudenza. Insomma, la manovra potrbbe fruttare anche più del previsto e i conti potrebbero essere riassestati con maggiore facilità.

Quando la parola è tornata al presidente del Consiglio, il discorso si è fatto nuovamente politico. Il premier, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha confermato che sulla manovra non ci sarà voto di fiducia, anche “perché l’opposizione ha mostrato un comportamento responsabile”. Siamo “addolorati – ha detto il Cavaliere – di avere dovuto fare questa manovra, ma siamo anche contenti di avere svolto il nostro lavoro fino in fondo. E credetemi – ha concluso – non è stato facile”.

Le Reazioni

Calma ritrovata, almeno apparentemente, nella maggioranza. Lega soddisfatta sulla manovra. Secondo quanto si apprende, i tre ministri del Carroccio sono “contenti” perché le pensioni di anzianità sono salve, non sono state toccate. Ora è tutto ok, viene fatto notare. E la quadra sarebbe stata raggiunta nel corso dei numerosi contatti tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, per ultimo in un faccia a faccia tra i due leader a palazzo Chigi che si è tenuto nel pomeriggio prima della riunione del Consiglio dei ministri. Unico motivo di irritazione degli esponenti del Carroccio, viene riferito, sarebbe stato a causa della decisione di sopprimere più province rispetto a quanto deciso in precedenza.

Di opinione diametralmente contraria l’opposizione che attacca con il segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani. ”Vi indicheremo noi le cose difficili da fare, quelle che non volete fare perchè colpirebbero i vostri, quelli cioè che non pagano le tasse. Senza fare le cose difficili che voi non volete fare questo Paese non si salvera”. Il riferimento, indiretto, è alla scarsità di misure, almeno stando alle indiscrezioni, destinate al recupero dell’evisione fiscale. In particolare il passaggio sulla tracciabilità spiegato dal ministro Tremonti, che scatta solo per importi superiori ai 2500 euro.

Ancora più dure se possibile le parole di Nichi Vendola: “Un atto di guerra contro l’Italia”. Così il presidente di Sinistra Ecologia Libertà, bolla la manovra del governo Berlusconi-Tremontì. “Misure punitive per gli Enti Locali – prosegue il leader di Sel – devastante riduzione di servizi sociali e di diritti, un colpo alla civiltà del lavoro. E nessuna scelta per la crescita e lo sviluppo. Occorre – conclude Vendola – una reazione durissima”.



Le proteste davanti a Palazzo Chigi.



La protesta spontanea davanti a Palazzo Chigi durante il Consiglio dei Ministri che approva la manovra.