lunedì 26 settembre 2011

Mostratelo a Maroni, magari un motivo per sfiduciarlo lo trova!

Quel biglietto in tasca al boss che accusa il ministro Romano


Il numero di telefono che vedete qui sopra appartiene al ministro Saverio Romano … trascritto dietro il bigliettino di "Pronto pizza", è stato trovato in tasca al boss agrigentinoAlberto Provenzano, il giorno del suo arresto.
Mostratelo al ministro Roberto Maroni, che proprio ieri confermava che la Lega Nord non voterà la mozione di sfiducia  ("Non vedo perché sfiduciare Romano", ndr) nei confronti diRomano (indagato per mafia) … magari un motivo per sfiduciarlo lo trova!


Il massimo del peggio, come toccare il fondo.








Il nostro governo fa acqua da tutte le parti.
Competenza? Zero!
Onestà? Zero!
Etica? Under ground!
Perchè ancora resiste? Per salvaguardare un corrotto, corruttore, puttaniere, evasore fiscale, oltretutto, ricattabilissimo.


Il massimo del peggio che possa aver fatto questo governo, però, lo abbiamo toccato con la nomina a ministro dell'Istruzione Pubblica della sig.ra Gelmini!
Ma non per la sua ignoranza conclamata e dabbenaggine, sappiamo benissimo come sceglie i suoi collaboratori il corruttore al governo (e, badate bene, non nelle sue aziende, perchè lì li sceglie con cura da certosino): debbono essere dotati di una buona dose di servilismo, non debbono spiccare per intelligenza e dimostrare di possedere un attaccamento spropositato al denaro. Di esempi se ne possono fare tanti e non c'è bisogno che ve li faccia io.


La sig.a Gelmini ha una peculiarità in più rispetto agli altri collaboratori: ODIA LA SCUOLA PUBBLICA! Le ha dichiarato guerra! La vuole distruggere!


La sig.ra, infatti, ha dovuto cambiare ben tre licei prima di ottenere la maturità in un liceo privato, si è laureata con tre anni di ritardo e con una media tutta da andare a controllare, vista la sua scarsa conoscenza delle basi della lingua italiana.


Ora cerchiamo di immaginare cosa passa nella mente di un'ottuso quando parla in pubblico rivestendo una carica prestigiosa, pensando a tutti quelli, colleghi e insegnanti, che l'hanno, magari presa in giro o derisa durante l'arco della sua vita studentesca....e traiamone le conclusioni.



Stupiti dell'ennesima gaffe della Gelmini? Leggete il suo Curriculum.





Dopo l'ennesima gaffe del ministro Gelmini, secondo la quale l'Italia "avrebbe contribuito con circa 45 milioni di euro alla costruzione del tunnel tra il Cern ed il Gran Sasso" (leggi il comunicato del ministero), ci sembra il caso di riproporre il suo invidiabile curriculum vitae.
Scuole Superiori
Ha cambiato 3 licei nel corso dei 5 anni, l'ultimo dei quali, dove si è diplomata, privato.
Università
Laureata con 3 anni fuori corso
Voto di laurea 100, e tesi valutata meno di 1 punto!
Il ricordo del professor D' Andrea, suo relatore: «Per quella tesi non ho voluto dare neanche un punto in più alla media dei voti. Non soltanto per come era stata scritta, a tirar via, ma soprattutto per come la Gelmini venne ad esporla in sede di discussione».
Esame di Stato
Mariastella Gelmini ha superato l’esame di Stato per la Professione di Avvocato presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, dopo 1 anno di praticantato a Brescia ed il secondo a Reggio Calabria.
(Nella sessione della Gelmini risulta quasi il 57% di ammessi agli orali. Il doppio rispetto a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Giustificazione: Così facevan tutti, dice Mariastella)
Divenuta Ministro, poi ha iniziato a puntare il dito contro le scuole meridionali "...alcune scuole del Sud abbassano la qualità della scuola italiana. In Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata organizzeremo corsi intensivi per gli insegnanti".
Carriera Politica
Nel 1998 risulta la prima degli eletti alle amministrative ricoprendo, fino al 2002, la carica di Presidente del consiglio del comune di Desenzano.
Nel 2000 viene sfiduciata da presidente del consiglio comunale per inoperosità (delibera del consiglio comunale n. 33 del 31/03/2000).

L’azienda pubblica paga l’affitto ai figli del ministro Tremonti. - di Vittorio Malagutti





L'affare con l'Autostrada Pedemontana, di proprietà della Milano-Serravalle dello scandalo che ha coinvolto Filippo Penati: la società ha preso in locazione gli uffici al centro di Milano di proprietà degli eredi di mister Economia.

Azioni? Obbligazioni? Titoli di Stato? Macché, quando si tratta di investire il gruzzolo di casa, la famiglia Tremonti gira alla larga dai mercati finanziari e va sul sicuro. Anzi, sul mattone. Lo rivelano i bilanci delle società controllate dal ministro dell’Economia e dai suoi parenti stretti, moglie e figli. C’è l’Immobiliare Crocefisso srl, che due anni fa, come Il Fatto Quotidiano ha già raccontato, si è comprata un intero palazzo d’epoca (tre piani) nella centralissima via Clerici a Milano. Quest’ultimo acquisto è andato ad aggiungersi agli uffici di via Crocefisso, pure questi nel centro di Milano, dove ha sede lo studio tributario fondato da Tremonti e ora affidato ai suoi storici collaboratori Enrico VitaliDario Romagnoli Lorenzo Piccardi.

La vera sorpresa arriva però da un’altra società. Si chiama Nitrum e risulta intestata ai due figli del ministro, Luisa, 33 anni, e Giovanni, 26. Anche Nitrum, come vuole la tradizione di famiglia, ha puntato sul mattone. Tra l’altro possiede un intero piano di uno dei palazzi più alti di Milano, un grattacielo costruito negli anni Cinquanta in piazza Repubblica a Milano, vicino alla stazione Centrale. Ebbene, chi ha preso in affitto i locali degli eredi di Tremonti? Le carte ufficiali consultate dal Fatto rivelano che in quelle stanze si è insediata un’azienda pubblica, l’Autostrada Pedemontana lombarda. Proprio lì, al sesto piano del grattacielo milanese, si trovano gli uffici della società che sta realizzando una delle opere più costose e discusse degli ultimi anni. Una nuova autostrada che tagliando il varesotto e poi la Brianza dovrebbe diventare una nuova arteria di collegamento veloce tra il nordovest della Lombardia e Bergamo. Nel 2007 i vertici della Pedemontana, all’epoca presieduta da Fabio Terragni, hanno deciso di cambiare sede. E la scelta per i nuovi uffici, 650 metri quadrati in tutto, è caduta proprio sull’immobile di proprietà della famiglia Tremonti.

Risultato: i figli del ministro dell’Economia, tramite la società Nitrum, incassano l’affitto, che ammonta ad alcune centinaia di migliaia di euro l’anno, da una società a controllo pubblico. L’ufficio stampa della Pedemontana, contattato dal Fatto Quotidiano, ha ritenuto di non commentare né di rispondere alla richiesta di dettagli. Sta di fatto che da principio quel sesto piano era di proprietà di un istituto di credito, la Banca Carige. Nel 2001 arriva la Nitrum che all’inizio si accontenta di un leasing del valore complessivo di 3,8 milioni di euro. Nel 2009, alla scadenza del contratto, l’immobile è stato riscattato dalla società dei figli di Tremonti. Nel frattempo, a metà del 2007, gli uffici sono stati presi in affitto dalla Pedemontana, che nel suo bilancio ha spiegato il trasloco con l’esigenza di avvicinarsi alle “sedi delle istituzioni”. In effetti, non lontano da piazza della Repubblica si trova anche la sede della Regione Lombardia.

La quota di maggioranza della società Autostrada Pedemontana è di proprietà della Milano Serravalle, proprio la società tornata alla ribalta in questi mesi per lo scandalo che ha travoltoFilippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, fino a pochi mesi una dei più importanti esponenti del Pd al Nord. La Serravalle, a sua volta, ha come soci principali Provincia e Comune di Milano. Azionisti a parte, la Pedemontana è però legata a filo doppio al mondo politico. I finanziamenti pubblici per la nuova autostrada lombarda arrivano grazie al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica di cui Tremonti, come ministro dell’Economia, è vicepresidente. Ma oltre a questa relazione istituzionale c’è, come abbiamo visto, anche una connection familiare: la Pedemontana paga l’affitto ai figli del ministro, Luisa e Giovanni. Gli eredi di Tremonti hanno comprato la Nitrum, che già possedeva un importante patrimonio immobiliare, a metà del 2006. Un affare tutto in famiglia. A vendere è stata la signora Tremonti, cioè la mamma degli acquirenti. Che se la sono cavata con poco: 37 mila euro.



Troppi bluff sullo sviluppo. - di Alberto Orioli




Se esiste un caso Tremonti, ha un corollario. È l'idea che finora ha "disegnato", nell'ambito delle politiche economiche, il concetto di sviluppo e di crescita. E, per questa via, anche i poteri e il raggio d'azione del ministero ad esso preposto (lo Sviluppo economico, appunto) e degli altri dicasteri orientati alle misure per l'avanzamento economico del Paese.
Poteri sempre meno, risorse quasi zero.
Una china che ha portato al progressivo deterioramento della portata strategica delle idee di rilancio dell'azione economica, anche se a costo zero.
L'idea che la manovra da 54 miliardi ha degli investimenti nella banda larga è emblematica di una intera cultura di governo. I pochi fondi ancora destinati all'ammodernamento delle reti tecnologiche di base (con l'obiettivo di colmare il digital divide italiano) sono la prima voce di "garanzia" nel caso in cui venisse a mancare il gettito previsto per l'incremento dell'Iva o se non funzionassero i tagli ai ministri. Basta questa clausola di salvaguardia contabile a rendere quel "tesoretto", destinato in apparenza allo sviluppo, una voce solo virtuale e non spendibile.
È questa la considerazione di fondo nel Governo per gli investimenti nella modernità. Piccoli bluff, come questo del fondo per la banda larga, e grandi bluff come la conclamata azione di revisione costituzionale dell'articolo 41, in nome del "tutto è permesso tranne ciò che sia espressamente vietato", la madre di tutte le liberalizzazioni che altro non produrrebbe se non una marea di "leggi di divieto", con buona pace delle semplificazioni.
È in atto – per dirla con parola tristemente in voga – un downgrading del peso politico di quei ministri e di quelle azioni volte alla crescita, creato, giorno dopo giorno, in nome di una doverosa ma ambigua preoccupazione per il rigore nei conti. Le idee – dalla più incisiva riforma delle pensioni, con l'obiettivo di superare quelle di anzianità, alla spinta alle liberalizzazioni soprattutto dei servizi locali, regno del socialismo municipale; dall'attenzione alla ricerca e alla diffusione di know how tecnologico tra università e imprese alla messa in atto delle infrastrutture sempre invocate, ma mai cantierate – ancora una volta trovano sede di discussione nei molti tavoli aperti con le parti sociali.
Si tratta di altrettanti argomenti proposti e riproposti in altre stagioni, quando ci sarebbero state anche più risorse – nel rispetto del rigore finanziario – per poterle far attecchire. Ora è alto il rischio che questa riedizione dell'azione riformatrice sia un colpo d'immagine per dare un belletto a un Esecutivo dilaniato dalle polemiche e incerto nelle alleanze.
L'inchiesta pubblicata a pagina 2 e 3 dimostra che la strada dello sviluppo è lastricata di incompiute, di mezze riforme, di riformine, di ripicche tra ministri e di tira-e-molla sulle risorse. Con un'idea sfuocata su quale debba essere il Paese tra 10 anni e dove l'Italia debba indirizzare le sue eccellenze e i suoi talenti nel futuro medio lungo.
Il recente passato ha triturato Industria 2015 e il suo corredo di 600 milioni di euro per i settori innovativi, lo Statuto dell'impresa e il riordino degli incentivi, la revisione della rete di assistenza per l'export, la legge annuale sulla concorrenza (mai varata). E ancora i crediti d'imposta al Sud, gli stessi fondi Fas destinati al Mezzogiorno.
Di energia non si parla in modo organico e razionale da anni: si giocano partite un po' casuali sugli incentivi, si guarda poco ai grandi temi come sono i protocolli europei, ma anche ai piccoli temi come sarebbe stato un piano casa ben calibrato con le regioni per arrivare all'efficienza energetica e al risparmio sui consumi.
È noto che il rilancio di un'economia e di un intero Paese non si fa per decreto. Ma con riforme serie di struttura dal welfare, al fisco alla pubblica amministrazione come Il Sole 24 Ore chiede da tempo nel suo Manifesto per la crescita, Manifesto mutuato in gran parte anche dalle parti sociali, pronte a rilanciare con forza i temi delle riforme.
Ora la casa brucia, i mercati ci attaccano quotidianamente in nome di una crisi di fiducia e credibilità e, nostro tramite, attaccano l'euro e l'Europa tutta. Il Paese è smarrito e assiste, un po' assuefatto un po' impotente, all'imbarbarimento del costume pubblico, al degrado della vita istituzionale cui solo l'alto magistero del Quirinale cerca quotidianamente di porre freno con gli atti e con lo stile. 
Nel sentire comune dei tecnici della finanza globale la traslazione tra Italia e Grecia è quasi nelle cose: ma è un errore marchiano che non considera i fondamentali di un'economia manifatturiera di eccellenza, di un'industria che esporta nel mondo un intero stile di vita, di un patrimonio di intelletti e di saperi, oggetto di una diaspora che deve far pensare tutti. Per primo chi mette a punto la politica economica.
Con la casa in fiamme, il Governo corre ai ripari e riunisce quelle energie che non ha finora voluto considerare; ripropone quelle ricette finora disconosciute con alterigia; chiede un'impossibile supplenza a un'autorevolezza persa e irrecuperabile. Più passano le ore, più sembra tardi.