domenica 18 dicembre 2011

Lo scempio della Giustizia nell’Italia di Berlusconi. - di Andrea Camilleri.






Per gentile concessione dell'editore Melampo pubblichiamo la prefazione di Andrea Camilleri che apre "Assalto alla Giustizia" di Giancarlo Caselli, in questi giorni in libreria. Il volume verrà presentato dall'autore il 14 dicembre a Milano insieme a Umberto Ambrosoli e Nando dalla Chiesa (ore 21, Spazio Melampo, via Carlo Tenca 7). 


Per quanto mi ci metta d’impegno, non riesco nemmeno lontanamente a immaginare la faccia che farebbero i grandi filosofi che nel corso dei secoli hanno discettato, discusso, litigato, sul grande tema della Giustizia, su cosa sia e su come si applichi, nel confrontare le loro convinte, sofferte affermazioni con quelle proclamate oggi, in Italia, dai banchi del Governo e del Parlamento, col pronto supporto di ben stipendiati pennivendoli e volenterosi azzeccagarbugli.

Scriveva per esempio Aristotele: “poiché il trasgressore della legge è ingiusto mentre chi si conforma alla legge è giusto, è evidente che tutto ciò che è conforme alla legge è in qualche modo giusto, infatti le cose stabilite dal potere legislativo sono conformi alla legge e diciamo che ciascuna di esse è giusta”.
Non poteva neanche lontanamente sospettare, mentre scriveva quelle parole, che sarebbe ahimè venuto un giorno nel quale sarebbe stato concesso a un abituale, sistematico, trasgressore della legge il potere di far emanare leggi del tutto ingiuste e perciò conformi non a un’idea assoluta di Legge ma a una riduzione, a un declassamento della legge ad uso e consumo personale.

E che dire di Hume per il quale il fine e l’utilità della Giustizia consistevano soprattutto nel “procurare la felicità e la sicurezza di tutti conservando l’ordine sociale?”.
Non avrebbe creduto ai suoi occhi vedendo che da noi, nel nostro Parlamento, nel nostro Senato, si cerca quotidianamente di stravolgere la Giustizia per procurare felicità e sicurezza ad un uomo solo senza preoccuparsi di mettere a repentaglio se non l’intero ordine sociale per lo meno il normale svolgimento della Giustizia per tutti gli altri cittadini.

In ogni nazione progredita è del tutto pacifica l’affermazione che la Giustizia sia “il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero”.
In Italia, dall’avvento al potere di Berlusconi, si è tentato in tutti i modi di limitarne le funzioni o addirittura di disconoscerne il valore di primo requisito.

Mai, nei 150 anni della nostra Storia, c’era stata una così violenta, distruttiva, totalizzante, vera e propria guerra alla Giustizia mossa su molteplici fronti e adoperando tutti i mezzi leciti e soprattutto illeciti, dalle frecciate quotidiane della calunnia, del dileggio, dello scherno, alle mine antiuomo delle dissennate proposte di leggi tendenti sostanzialmente all’assoggettamento della Giustizia alla politica, o meglio, all’interesse politico di una sola persona.

Aver permesso a Berlusconi, imprenditore e concessionario dello Stato, di far politica quando non avrebbe per legge potuto ha creato la gigantesca anomalia del mai risolto conflitto d’interesse. Il che gli ha permesso di tornare ad arricchirsi, a riprendersi dallo stato estremamente critico in cui la sua azienda si era venuta a trovare prima della sua “discesa in campo”, avvenuta, son parole sue, per allontanare dall’Italia il pericolo comunista.

Essendo tra l’altro, al momento attuale, anche plurimputato in diversi procedimenti che spaziano dalla corruzione in atti pubblici alla corruzione di minorenne, ha tentato, in parte riuscendoci, di far decadere alcuni processi con leggi ad personam votate da un Parlamento del quale fanno parte, oltre a ex impiegati e funzionari delle sue aziende, anche gli innumerevoli suoi avvocati difensori che quelle leggi ispirano.
Si è venuta così a creare una seconda nuova, gigantesca anomalia tutta italiana: che un plurimputato si proponga di fare una riforma della Giustizia!

Il tutto mentre i suoi processi sono in corso. Così da poterli vanificare con una qualche leggina retroattiva.
Sarebbe come se ai vecchi tempi il gangster Al Capone, divenuto inaspettatamente presidente degli Usa, saputo che correva il rischio di andare a finire in galera per tasse evase, si fosse ripromesso di fare la riforma del sistema fiscale statunitense.

Di questo doloroso, e pericolosissimo, e infame scempio della Giustizia parla con rigore e passione, con lucidità e intelligenza, Gian Carlo Caselli in questo suo importante volume che efficacemente s’intitola "Assalto alla giustizia".
Il volume si compone di nove capitoli che spaziano dalla continua ricerca d’impunità da parte del potere, ai tentativi di una cosiddetta riforma della Giustizia (processo breve, processo lungo, tempi di prescrizione, ecc.), dalle strategie di delegittimazione della Magistratura a quelle volte a minarne l’indipendenza e via via fino alle posizioni, certamente non così ferme come avrebbero dovuto essere, assunte dai partiti che compongono lo schieramento di centrosinistra.

Indipendente e limpido come magistrato, Caselli lo è anche come autore, non ha occhio di riguardo per nessuno, non fa sconti, la posta in gioco è troppo alta per concedere spazio a esitazioni e cedimenti.
Uno dei meriti, tra i tanti, di questo libro è la sua lampante chiarezza.

Caselli scrive per farsi capire dal lettore comune, le sue argomentazioni, i suoi rilievi, i suoi propositi, sono sempre espressi in modo diretto, lineare, sicché le sue parole possono essere comprese appieno anche da chi non è del mestiere.

Infatti questi scritti non sono dovuti a un giornalista, ma a un uomo di Legge che si è sempre trovato in primissima linea a combattere terrorismo e mafia, e si è in ogni occasione dimostrato un ottimo e coraggioso capitano di lungo corso, facendo sempre approdare le sue indagini dove si erano proposte d’arrivare, senza che si disperdessero in mare, andassero sugli scogli, o, peggio, gettassero l’ancora nel porto delle nebbie.

Dalle pagine di questo libro emerge in tutta evidenza un impegno così vibrante e appassionato che quasi trascende l’oggetto stesso del contendere per assurgere a una sorta di manuale di comportamento civile.
Sarò ancora più chiaro. Questo libro è sì una difesa della Magistratura e della Giustizia, ma non scade mai, in nessun momento, nel pro domo mea.

Caselli soprattutto reagisce in nome della sua dignità d’uomo e di magistrato, e di tutti quelli che come lui, pur non avendolo mai né voluto né desiderato, si trovano oggi a dover difendere la traballante diligenza della Giustizia dall’assalto dei fuori legge.

© Melampo editore



http://temi.repubblica.it/micromega-online/lo-scempio-della-giustizia-nellitalia-di-berlusconi/

Il debito pubblico? Lo spendaccione è Berlusconi.







Tutti addosso alla Prima Repubblica, che ha accumulato il debito pubblico che ha fatto sprofondare l'Italia nella crisi: è stato il mantra degli ultimi vent'anni, una modo facile di scaricare le responsabilità su chi ha governato l'Italia dal 1946 al 1992, ben cinquanta governi in 46 anni.

Adesso però spunta su YouTube un video in cui il giornalista Oscar Giannino (GUARDA IL VIDEO), ex economista del Foglio, poi di Libero e ora al Sole 24 Ore (non un simpatizzante della Fiom, per intenderci) ricostruisce - numeri alla mano - l'escalation del debito sovrano italiano, che ha fatto precipitare il nostro Paese nella crisi.

Emergono dati interessanti.

Dal 1946 al 1992, la Prima Repubblica ha accumulato un debito pubblico pari a circa 6-700 miliardi di euro. Tutto il restante, ossia i 1300 miliardi di euro che hanno portato il debito pubblico italiano a quasi 2 milioni di miliardi di euro, lo ha fatto la Seconda Repubblica, e in ordine i governi Berlusconi, Amato, Ciampi, D'Alema e Prodi.

Secondo i calcoli di Giannino, dunque, mentre la Prima Repubblica accumulava una media giornaliera di 47,5 milioni di euro di debito al giorno, la Seconda è arrivata a oltre 200 milioni di euro al giorno, quasi quintuplicando la cifra.

E' ancora più divertente sentir uscire dalla bocca di Giannino i raffronti tra governi di centrodestra e centrosinistra.
In assoluto, il record di debito pubblico accumulato da un governo sono stati i 330 milioni al giorno accumulati dal governo Berlusconi I. Che nell'ultimo governo non è sceso di molto: 207 milioni di euro al giorno di debito. 

Molto, anzi moltissimo se si pensa alla campagna contro la spesa pubblica su cui il governo Berlusconi ha fatto campagna per vent'anni. E se si pensa che "quelli della spesa pubblica", ossia "i comunisti", hanno invece portato avanti un percorso molto più virtuoso: con Prodi il debito pubblico è aumentato di circa 96 milioni di euro al giorno (ricordate: governo Berlusconi I = 330 milioni al giorno!), con D'Alema è arrivato addirittura a 76 milioni di euro al giorno.

Non c'era bisogno che ce lo dicesse Oscar Giannino che Berlusconi non ha comunque portato a casa neanche una delle riforme su cui ha fatto campagna, vinto e governato l'Italia. Ma, certo, fa effetto sentire 12 minuti di numeri e calcoli così precisi e cristallini, che confermano il dato finale: al netto degli scandali, Berlusconi ha affondato l'economia italiana.



http://www.unita.it/economia/il-debito-e-di-berlusconi-lo-spendaccione-1.363818

La Finanza perquisisce il Comune di Torino.





TORINO 14 dic (Però Torino) - Perquisizione della Finanza ieri pomeriggio negli uffici del Comune di Torino. Motivo: il noto concorso per assumere 21 nuovi dirigenti (concorso vinto perlopiù da portaborse della maggioranza) sul quale sta indagando il sostituto procuratore Cesare Parodi.
Si tratta di una vicenda annosa e il concorso è già stato annullato dal Tar, che lo ha cassato su tutta la linea, salvo la composizione della commissione esaminatrice.Comico fu, allora, il comunicato stampa del ComuneOra proseguono le indagini penali, che tra l'altro hanno portato all'iscrizione nel registro degli indagati di due dirigenti municipali, Maria Pia Re (l'accusa per lei è falso in atto pubblico) e Franca Poma (favoreggiamento). 
Il direttore generale del Comune Cesare Vaciago (nella foto, circa 34mila euro lordi di stipendio mensile), ha voluto sottolineare ai giornalisti di "non essere indagato in prima persona per la vicenda". In ogni caso Vaciago confida "nell'operato della magistratura".

sabato 17 dicembre 2011

Dove finiscono 50 euro di benzina.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=233702533368565&set=a.119167531488733.20261.100001864618263&type=1&theater

Nella Lega Nord Ladrona, operazione smottamento.





Nei mesi scorsi vi avevamo anticipato l’ operazione smottamento legaiolo in atto nella Lega Nord Nazione Emilia.
Il partito di cadreghinisti è oramai diventato “un’idrovora assetata di denari dei contribuenti e lottizza tutto ciò che è lottizzabile” come scrive in “UMBERTO MAGNO” Leonardo Facco, si sta spezzando.
Infatti Marco Lusetti, ex braccio destro del leghista Angelo Alessandriha presentato ieri 16 dicembre presso la Sala Rossa della Provincia di Bolognail movimento politico “Agire Insieme Lega Federale”.
Con lui Floriano Rambaldi e Gianvico Pirazzini, già consigliere comunale della Lega Nord di Bologna: quest'ultimo assumerà il ruolo di segretario cittadino del capoluogo di regione.
Agire Insieme Lega Federale è un movimento politico senza padroni - ha spiegato Lusetti - formato da cittadini liberi che riconoscono il valore aggiunto di chi la pensa in modo diverso, finalizzando il confronto alla crescita collettiva ed individuale”.
Quelli di ”Agire Insieme Lega Federale” che accusano il loro ex partito di aver imboccato il cammino dell'interesse particolare e del mantenimento del potere a tutti i costi, ambiscono ad allargarsi anche a livello nazionale.
Tanto che si presenteranno alle prossime elezioni amministrative in 38 Comuni equattro Province (Mantova, Gorizia, Trieste e Lucca) in dieci regioni d'Italia: dall'Emilia-Romagna al Piemonte, dalla Lombardia al Veneto, dalla Liguria al Friuli ma anche in Toscana, Lazio, Campania e Puglia). 
Sarebbero 34, secondo Lusetti, gli amministratori emiliano-romagnoli pronti a passare dalla Lega Nord al nuovo soggetto. Se queste fossero le cifre, sarebbero pari a più del 10% di tutti gli eletti della Lega Nord nelle istituzioni locali.
L’ operazione smottamento legaiolo è appena iniziata e se ne vedranno delle belle.
A giudicare dai primi manifesti pubblicati su Facebook (nella foto), che riportano slogan quali "Lega Nord ladrona" (con le caricature di Renzo BossiRosy Mauro nelle vesti di novelli lupacchiotti intenti a "mungere" il simbolo della città di Roma) promettono bene. GPS

Il risveglio degli zombie padani. - di Furio Colombo.






Doveva essere sciolto e invece si è pietrificato il Parlamento italiano. Figure irrigidite nell’ultimo ruolo rivestito in vita si aggirano come zombie fra le macerie ingombranti di ciò che c’era e sembrava destinato a durare “tutta la legislatura” e invece è andato giù di colpo, come il palco di Jovanotti, anche qui facendo vittime, non la vita ma quel che resta della dignità e della ragione di esistere di un gruppo politico. Come il deputato leghista Buonanno che, alle ore 11:10 del giorno 15 dicembre, in un’assemblea gremita quasi solo di deputati della Lega intenti a urlare e fischiare, si è alzato come da un sonno, si è guardato intorno e ha gridato: “Siete tutti comunisti, tutti comunisti, qui ci vuole il lanciafiamme“. E ha ripetuto a lungo l’invocazione di quell’arma micidiale che, a quanto pare, sarebbe stato il solo oggetto capace di lenire il suo tormento: non c’è più il governo. Non c’è più il potere. Poi il brusco risveglio del deputato torna a mischiarsi con le grida, i cori, la nuova abitudine di richiamare l’attenzione con fischi prolungati (che il presidente Fini, gelido, ha ritenuto di definire “alla pecorara”), che sono il messaggio che manda adesso ai cittadini il partito della Lega Nord.

Probabilmente di tutto ciò nulla si salverà. “Tutto ciò” è il racconto con immagini di una settimana alla Camera dei deputati della Repubblica italiana. Qualcuno ha lavorato, anche molto, anche bene, in questi ultimi quattro giorni, nelle commissioni che stanno trasformando in legge il piano di salvataggio del governo tecnico, con la sua competenza chirurgica e la sua quasi completa estraneità ai destini individuali. Chi vi ha partecipato ha dovuto constatare, persino a destra, che tutto ciò è accaduto perché per tre anni la stanza delle scelte, dei piani, delle decisioni, è stata abbandonata dopo avere chiuso porte e finestre su ciò che davvero stava accadendo.

E così, a parità di difficoltà e di destini, l’Italia è stata lasciata inerte e immobile, estranea a ogni tentativo di schivare i colpi che intanto si abbattevano sulle aziende, sul lavoro, sulla fiducia verso questo Paese. La Lega Nord ha montato la guardia alla stanza vuota e per anni ha avuto forza e mano libera per cambiare discorso: ha fatto credere che il problema fossero “i clandestini assassini ” (citazione da Radio Padania); che la sicurezza – intesa come persecuzione agli immigrati – era il bene più urgente; che la politica estera consistesse nel diritto dei delittuosi “respingimenti in mare”.

In nome di questa visione chiusa e ottusa hanno avuto, esercitato e profittato, in posizione chiave, di un potere molto grande, addirittura il controllo del ministero dell’Interno, una funzione di vero dominio, su quasi tutti gli aspetti della vita italiana. Non si dà indietro facilmente e con mitezza un potere così grande in cambio di niente. Perché tutto è caduto sull’incompetenza a tenere testa a una complicata situazione internazionale che avrebbe richiesto esperienza e competenza, il potere di Maroni di infierire sui “clandestini” e di usare l’esercito contro i campi nomadi, e quello diCalderoli di farsi filmare mentre brucia, ridendo, scatoloni (lui dice) di leggi inutili (come il suo ministero) non sarà mai più restituito. E allora irrompono a Montecitorio, corrono in alto nell’emiciclo, urlano, fischiano, mostrano cartelli stralunati, minacciano da vicino i pochi sottosegretari seduti al banco del governo mentre dovrebbe esserci una serrata e competente discussione sul progetto Monti. Fingono di essere oppositori, ma non sanno di cosa.

I loro complici del Pdl, coloro che hanno consentito, per ricevere voti, la finzione del grande partito popolare con radici nel territorio, stanno alla larga. Solo una volta La Russa fa capolino per suggerire alla Mussolini un’aggressione maleducata e scomposta a Fini, unico gesto di collaborazione verso la schizofrenia della Lega. Ma il vistoso e clamoroso sdoppiamento del partito di Bossi in aula, davanti a tutti, fra un’immagine di partito di governo sempre piuttosto arrogante e convinto di avere per sempre il potere e la gang da pub screditato che va e viene urlando dentro un’aula del Parlamento è uno spettacolo che segnerà la storia della Repubblica. Insultano come in una curva da stadio i deputati Buonanno e Ranieri. Ma quando sono espulsi restano in aula e partecipano al voto. Sono presenti in buona parte i deputati del Pd e di Idv. E assieme ai pochi e imbarazzati sopravvissuti del mondo di Berlusconi, bocciano la “pregiudiziale di incostituzionalità ” della Lega (pensate, della Lega, che è sempre stata fuori dalla Costituzione). Urlano con tutte le forze quando il ministro Giarda annuncia il voto di fiducia. E poi tacciono subito esausti per le ore trascorse a rimpiangere, con furiosa e sgangherata violenza, il potere perduto e la fine della brutta fiaba chiamata Padania.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/16/il-risveglio-degli-zombie-di-padania-tra-urla-e-cartelli/177876/

Regione Lazio, scatta il blitz notturno: vitalizio a 50 anni anche per gli assessori.




Scoppiano le polemiche. Il Pd: «Vergogna». Ma la Polverini difende il provvedimento: «Abbiamo corretto un'anomalia».


Renata Polverini

ROMA - Mentre il governo taglia le pensioni degli italiani, il Consiglio regionale del Lazio, con un blitz avvenuto stanotte alle 2.15 concede il vitalizio agli assessori (anche agli ex). Gli stipendi dei consiglieri regionali vengono invece "congelati" alla data del 1° dicembre 2011, ma poi indicizzati annualmente al costo della vita (l'adeguamento che il governo ha invece bloccato per le pensioni). Ma la presidente del Lazio Renata Polverini difende il provvedimento: «La mancata equiparazione degli assessori ai consiglieri era un'anomalia della nostra regione». 

I nuovi vitalizi. Di fatto, in realtà, il Lazio sembra andare controcorrente. Mentre diverse regioni italiane, infatti, hanno già proceduto con l'abolizione dei vitalizi (le ultime sono state oggi le Marche) il Consiglio regionale del Lazio inserisce diverse modifiche all'articolo 11 della Finanziaria, approvata la notte scorsa dalla commissione Bilancio presieduta da Franco Fiorito (Pdl). Modifiche che devono ora essere approvate dall'Aula. 

Vitalizi consiglieri aboliti dal 2015. Resta l'abrogazione del vitalizio per i consiglieri regionali (che attualmente vanno in pensone a 50 anni) a partire dalla prossima legislatura, ma per quanto riguarda quella in corso ci sono delle novità. Innanzitutto, i vitalizi per la giunta: «Per i consiglieri regionali e gli assessori in carica o cessati dal mandato nella IX Legislatura (quella in corso, ndr) - si legge nel testo approvato - si applicano le disposizioni di cui alla l.r. 19/1995». 

Il capitolo indennità. La normativa tuttora vigente prevede che sia pari all'80% di quello dei parlamentari. Il comma 3 del nuovo articolo 11 invece lo "congela": «Le indennità - si legge nel testo approvato in commissione - sono fissate alla data del 1° dicembre 2011 e sono indicizzate annualmente sulla base della variazione del costo della vita accertato dall'Istat». Un modo per evitare che eventuali tagli allo stipendio dei deputati possano avere effetti sulle indennità regionali. Infine sono spariti dall'articolo 11 gli aggravamenti sulle trattenute della retribuzione, fissate dalla giunta al 32% contro il vecchio 27%, e all'8% contro l'1% per il Tfr. 

Contributivo anche per i consiglieri. C'è poi nel nuovo testo un comma che afferma: «Il Consiglio regionale stabilisce con legge, entro la fine della presente legislatura, un sistema previdenziale contributivo per i consiglieri eletti a partire dalla X Legislatura basato sul sistema di calcolo vigente per i dipendenti pubblici con il limite inderogabile del requisito anagrafico minimo pari a 60 anni».

Polverini: corretta un'anomalia. Le novità sucitano le immediate reazioni dell'opposizione, ma la Polverini difende le modifiche: «Il lavoro di un assessore in termini di responsabilità, non può essere valutato con la sua presenza in consiglio regionale perché altrimenti parliamo di discriminare o non dare una opportunità che, oggettivamente, merita chi si assume una responsabilità enorme nello svolgere l'incarico di assessore. Eravamo noi che forse per un dibattito interno dalla precedente maggioranza, eravamo andati in una direzione assolutamente inadeguata. Così si stabilisce che non esistono assessori esterni: esistono consiglieri regionali ed assessori come in tutte la altre giunte e consigli, come anche nel Parlamento». 

La protesta del Pd: vergogna. Il candidato segretario del Pd Lazio Marco Pacciotti sale sulle barricate: «È una norma vergognosa. Da lunedì la Finanziaria passerà all'esame dell'aula: ci aspettiamo che contro l'emendamento notturno l'opposizione sia durissima».

Sarà battaglia. In una nota congiunta, Esterino Montino, Luigi Nieri, Vincenzo Maruccio, Angelo Bonelli, capigruppo Pd, Sel, Idv e Verdi in Consiglio regionale parlano di «inaccettabile forzatura» a cui l'opposizione si è opposta e si opporrà «in modo compatto», a meno che non si arrivi ad un ripensamento. I Consiglieri regionali Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo (Lista Bonino Pannella Federalisti Europei) attaccano: «I cittadini dovranno sopportare maggiori oneri per garantire nuovi privilegi».

Idv: marcia indietro rumorosa. Il capogruppo e segretario regionale dell'Italia dei Valori, Vincenzo Maruccio, parla di «marcia indietro rumorosa» e chiede alla Polverini di «sconfessare l'operato della sua maggioranza annunciando «battaglia in Aula».