lunedì 20 febbraio 2012

Amministrative, Berlusconi nasconde il Pdl e pensa di presentare liste civiche. - di Davide Vecchi




Un vertice convocato domani a Lesmo con tutti gli amministratori locali e lo stato maggiore del partito per mettere le basi di quello che sarà il nuovo movimento che prenderà vita in autunno. Il Cavaliere sa che alle prossime elezioni di maggio c'è il rischio di una sonora sconfitta così sta valutando di non presentare il Popolo della Libertà. Ma non basta a risolvere i problemi: dallo scandalo delle tessere false alle difficoltà di individuare personalità forti da presentare a Genova, Palermo e Verona


Cancellare il Pdl e presentarsi alle prossime amministrative con delle liste civiche, tentando così di avvicinare anche l’Udc e l’elettorato moderato. Ed evitare soprattutto il paragone con i risultati delle ultime elezioni: i sondaggi più recenti, infatti, danno il partito di Arcore intorno al 20%. Silvio Berlusconi sa che al voto di primavera ci sarà un bagno di sangue ovunque, da Palermo a Verona. Così ha intenzione di far sparire il Pdl e archiviarlo. Poi, al congresso nazionale che si svolgerà presumibilmente in autunno, prenderà vita un nuovo partito come il Cavaliere vuole da tempo. Anche per questo il Cavaliere ha convocato tutti gli amministratori locali e vertici del Pdl domani sera a Lesmo, nella villa Gernetto sede dell’università del pensiero liberale. Appuntamento ore 20.30 per una cena tutti insieme, poi una riunione ristretta con Angelino Alfano, i coordinatori Denis Verdini e Ignazio La Russa, alcuni amministratori tra cui Roberto Formigoni, i capigruppo e pochi altri per stabilire come muoversi per non rischiare di sparire dalle amministrazioni. I nodi da sciogliere sono molti. Primo fra tutti l’alleanza con la Lega ormai “morta e sepolta”, come ha ribadito ieri Roberto Calderoli. Il Cavaliere si è infatti definitivamente rassegnato: l’asse con il caro amico Umberto Bossi non esiste più. Berlusconi ha temporeggiato fin quando ha potuto, ma Alfano e in particolare Verdini sono riusciti a convincerlo che è arrivato il momento di muoversi per limitare i danni.

C’è il nodo dei candidati sindaci che il Pdl non riesce a individuare, in particolare nei comuni strategici come Palermo, Genova e Verona. Inoltre il caos più totale delle tessere false non aiuta a migliorare il clima di confusione che regna nel partito in vista delle amministrative. Alfano tenta di tenere insieme i pezzi e ripete che con oltre un milioni di iscritti, è possibile che ci siano casi isolati di irregolarità, ma “i furbetti non passeranno”, ripete il segretario nazionale. Ma c’è il rischio che possano essere invalidati anche i congressi già celebrati. L’ordine di scuderia è ritrovare l’unità e agire compatti. “E’ il momento di rimboccarsi le maniche e di lavorare ventre a terra per evitare una debacle elettorale, che in tanti prevedono al voto di maggio”, riferisce un ex ministro azzurrro. Si voterà in molti centri di piccola e media dimensione, ma gli occhi sono puntati su 5 città considerate strategiche per i futuri assetti politici, tutti comuni dove il Terzo Polo ha stabilito di correre in modo unitario: Palermo, Genova, Verona, L’Aquila e Lecce. E se nel capoluogo ligure c’è ancora un margine d’azione, mentre a Verona si attende che la Lega risolva lo scontro con Flavio Tosi per una lista civica che il Carroccio invece vuole vietargli, le attenzioni si concentrano sulla Sicilia, la terra dove il delfino del Cavaliere rischia di cadere in mano nemica.

Allo stato, la discesa in campo del 34enne Massimo Costa per Palazzo delle Aquile (sostenuta da Api, Fli, Udc e l’Mpa di Raffaele Lombardo), fa ancora sbandare i vertici azzurri locali. E imbarazza Alfano, che non può fare a meno dell’appoggio di Gianfranco Miccichè. Ma il leader del Grande Sud non intende apparentarsi con il Pdl e minaccia di correre da solo o di dare il suo appoggio al candidato terzopolista. Alla fine, il Pdl potrebbe puntare su Francesco Cascio, presidente dell’Ars, che avrebbe il gradimento dei big del partito. Raccontano che in questi giorni il Terzo Polo stia cercando un accordo con Miccichè per incassare il suo sostegno a Costa, in modo da replicare poi l’intesa alle Regionali proprio su un candidato del Grande Sud, magari lo stesso Miccichè. La trattativa ha messo in allerta Alfano, cui spetterà trovare presto un’alternativa, magari attraverso le primarie. Ci sono poi altri comuni dell’isola che preoccupano il Pdl: Trapani, dove l’Udc e Fli si alleeranno con il Pd, e Agrigento, la terra natia di Alfano. Qui il sindaco uscente è targato Udc e probabilmente sarà sostenuto dall’ex Guardasigilli, non dal resto del Terzo Polo che stringerà un’intesa con i democratici.

A Lecce il rebus è molto difficile da risolvere. Adriana Poli Bortone di Grande Sud sarà l’ago della bilancia: da lei (che ha ricevuto un’apertura da Gianfranco Fini) dipenderanno le mosse di Pdl e Terzo Polo. A Genova, la lista civica di Enrico Musso, sostenuta dal Terzo Polo con l’apporto determinante dell’Udc, ha sparigliato le carte e messo nell’angolo i vertici azzurri, visto che la Lega correrà per conto proprio. Claudio Scajola ha proposto primarie aperte alla società civile per individuare un unico candidato dell’area moderata, ma difficilmente si eviterà una sfida Terzo Polo-Pdl. Circolano vari nomi, da Roberta Ogliaro, presidente di Spediporto Genova, a Beppe Costa imprenditore e amministratore dell’Acquario della città, e Pierluigi Vinai. Ma la caccia al candidato è ancora tutta aperta.

L’unica certezza è dunque che il partito di Berlusconi correrà da solo ovunque. Così domani a villa Gernetto si metteranno le basi per quello che sarà il nuovo movimento di Arcore che si presenterà in campo alle prossime amministrative. E partirà proprio dai nuovi candidati. Lo conferma Roberto Formigoni, parlando in merito alla situazione lombarda. “La Lega ha detto” che andrà da sola “quindi si tratta di presentare dei candidati, nelle diverse situazioni, che possano essere vincenti. E il Pdl sta lavorando per questo. Domani sera ne parleremo in dettaglio”, ha spiegato. L’obiettivo, al dì la della possibilità di liste civile, “è di dare buoni governi alle città scegliendo le persone giuste. Poi la formula una o più liste può essere decisa caso per caso”, aggiunge Formigoni. E a Lesmo si parlerà anche della “sua” Regione. Il governatore, infatti, guarda con crescente interesse a Roma e si è detto disponibile a lasciare il Pirellone prima della scadenza naturale del suo mandato prevista per il 2015. La poltrona lombarda è da sempre nel mirino della Lega e Berlusconi sta ancora tentando di usarla come merce di scambio con Bossi in cambio di una rinnovata alleanza. Il Senatùr vorrebbe insediare qui il “barbaro sognante” Roberto Maroni, risolvendo così in parte anche la lite interna che si sta consumando tra Cerchio Magico e maroniani. Ma i militanti vogliono l’ex titolare del Viminale candidato premier alle prossime politiche. Inoltre lo stesso Bobo è stato chiaro sul tema alleanze: mai più insieme al Pdl fino a quando Berlusconi sosterrà il governo guidato da Mario Monti. Per il momento, dunque, è tutto rimandato a dopo le amministrative. Poi si vedrà. Del resto, dice Formigoni, “la stagione di Monti si conclude con le prossime elezioni amministrative, dopo di che i partiti dovranno essere in grado di presentare dei programmi e delle persone credibili”. E soprattutto si comincerà a lavorare alle politiche del 2013: il congresso nazionale dell’attuale Pdl si terrà il prossimo autunno e lì, conferma Formigoni, prenderà vita il nuovo partito di Arcore. Quello attuale, spiega, “non è che sia un brutto nome, ma certamente non è evocativo come Forza Italia e ci sono stati dei problemi perché quando si dice Pdl la gente fa fatica a ricordare. Probabilmente nel congresso che terremo in autunno cambieremo anche il nome”. In quel “anche” c’è tutto. E le basi del futuro partito saranno gettate domani a Lesmo, sotto la guida di Berlusconi.

Esperienze estenuanti all'INPS.





Di buona mattina mi reco all'INPS per motivi personali, prendo il mio bel numerino e siedo in attesa del mio turno.
Dopo un'ora circa, chiamano il mio numerino, entro e mi siedo di fronte alla mia interlocutrice.
Mezza età, capelli stopposi tinti biondi con una abbondante ricrescita bianca. 
Espressione arcigna: la premessa non è buona. 
Le spiego che voglio trasferire l'accredito della mia pensione dal c/c bancario in atto al libretto che ho appena aperto presso "poste italiane", e le porgo la documentazione cartacea.
Lei mi risponde che la documentazione è incompleta e, quindi, non può neanche protocollarmi la domanda perchè mancano i codice ABI e CAB.
Le spiego che un libretto non è un c/c e non prevede tali codici, ma lei insiste e si rifiuta categoricamente di prendere in esame e, quindi, di protocollare la mia richiesta.
Con molta pazienza, e trattenendo a stento la rabbia, mi alzo ed esco per ri-recarmi all'ufficio postale che si trova fuori città nella località montana dove abito.
Alle poste, naturalmente, il direttore mi dice che l'impiegata dell'INPS è una incompetente e mi da il suo numero di telefono consigliandomi, qualora la suddetta avesse insistito nella sua posizione, di chiamarlo perchè avrebbe provveduto lui personalmente a spiegarle che si sbagliava. 
Pazienza! Nel frattempo si è fatto mezzogiorno, giornata persa per colpa di una stupida ed ignorante impiegata che meriterebbe solo il licenziamento in tronco!




domenica 19 febbraio 2012

Svelata dal fisco la finta crisi della Sigma Tau. - di Salvatore Cannavò



Dure contestazioni dell'Agenzia delle Entrate. Per gli ispettori della tasse l'azienda farmaceutica avrebbe spostato i profitti nelle casse di una consociata nel paradiso fiscale di Madeira. E intanto 570 lavoratori sono a rischio licenziamento. La vicenda sarà raccontata stasera a Presadiretta su Rai3.


Ricordate i dipendenti della Sigma Tau che hanno fermato il pullman della Roma calcio facendo scendere Francesco Totti? La ricerca di visibilità alla vertenza, dopo che l’azienda ha aperto la procedura di cassa integrazione per 569 dipendenti, era il frutto della rabbia e della disperazione di chi ha sempre contestato che i conti fossero in rosso e che l’azienda non potesse rilanciarsi seriamente. A confortare quella radiografia provvede ora il “Processo verbale di constatazione” che l’Agenzia delle Entrate ha redatto nella sede della società farmaceutica, la seconda per importanza in Italia, il 30 luglio 2010 e che sarà oggetto stasera dalla trasmissione Presadiretta di Riccardo Iacona in onda alle 21,30 su Rai 3 (l’inchiesta è stata curata da Rebecca Samonà eElena Stramentinoli). Un documento poderoso, 117 pagine, e nel quale gli ispettori del fisco contestano alla Sigma Tau una procedura di evasione fiscale non solo particolarmente sofisticata, per quanto comunemente diffusa, ma tale da pregiudicare i bilanci del gruppo e giustificare, così, la cassa integrazione.
La procedura sospetta si chiama “Transfer pricing” e consiste in un trasferimento illecito di valore da una società del gruppo a una consorella estera che pagherà le tasse al posto della prima. Ma se la consorella estera è collocata in un paradiso fiscale il guadagno è notevole. Sigma Tau è il secondo operatore farmaceutico in Italia e ha consociate in Francia, Svizzera, Olanda, Portogallo, Spagna, Germania, Regno Unito, India, Stati Uniti e Sudan. Insomma è un colosso che oltre a produrre direttamente i farmaci li commercializza in Italia e all’estero. Ma è proprio sugli affari realizzati con le consociate che si sono concentrati i riflettori degli ispettori fiscali. La consociata portoghese, Defiante, ha infatti sede nell’isola di Madeira, territorio portoghese anche se situato 900 chilometri più a sud nell’Oceano Atlantico, noto paradiso fiscale. Si tratta di una società che si occupa prevalentemente di acquistare licenze e brevetti per poi rivenderli.

Per la Defiante, la Sigma Tau ha svolto anche l’attività di produzione e rivendita di prodotti (il Bentelan o il Betnesol per esempio) assumendosi costi e rischi che sarebbero dovuti essere adeguatamente compensati. Gli ispettori si sono chiesti se “le determinazioni dei prezzi di trasferimento siano conformi alla normativa in materia di transfer pricing” stabilite dalla legge. La risposta è stata negativa perché secondo i verbalizzanti “la Sigma Tau avrebbe erroneamente quantificato (…) i componenti di reddito derivante dalle transazioni intercorse con diverse società appartenenti al medesimo Gruppo”. Facendo un confronto con società comparabili si scopre, ad esempio, che mentre il livello medio di profittabilità dell’attività in questione è del 6,6 per cento, la Sigma Tau nel 2007 subisce una perdita del 16, 1 per cento. “I prezzi di vendita applicati alla Defiante non permetterebbero di far fronte ai rilevanti costi di produzione” in contro tendenza rispetto ai risultati ottenuti con le altre consociate.

Facendo i raffronti con società analoghe e comparabili gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che la Sigma Tau ha contabilizzato in Italia evadendoli al fisco. I minori ricavi del 2007 sono già la metà delle denunciate da Sigma Tau nel 2010 pari a 20 milioni di euro. Defiante, inoltre, come mostrano gli approfondimenti fatti da Presadiretta moltiplica tra il 2000 e il 2010 il suo patrimonio netto portandolo da 31 a 310 milioni di euro. Nello stesso periodo il patrimonio dell’azienda italiana, passa da 123 a 34 milioni di euro. Solo che a Madeira, sede della Defiante, praticamente non si pagano le tasse e solo recentemente sono state introdotte aliquote dell’ 1, 2 e 3 per cento. L’Iva, invece, è al 13 per cento, la più bassa d’Europa. In Italia, invece, Sigma Tau ha avviato una ristrutturazione pesante con la cassa integrazione e il ridimensionamento del centro di ricerca. “Che ne dice il governo e il ministro Passera?”, chiede Riccardo Iacona. Il caso vuole che Passera sia tirato in ballo in più aspetti.

Non solo perché come ministro è incaricato di gestire le crisi aziendali, ma anche per il suo passato da banchiere. È stata la “sua” Banca Intesa, infatti a finanziare, con 300 milioni di euro, l’acquisto delle attività statunitensi legate alle malattie rare della Enzon, acquisto che ai lavoratori è sembrato l’avvio di uno spostamento all’estero (negato decisamente dall’azienda). Banca Intesa possiede poi il 5 per cento di Sigma Tau Finanziaria Spa. Infine, il teatro di questa probabile “furbata” è il paradiso fiscale di Madeira lo stesso da cui (ne hanno scritto Mario Gerevini sul Corriere della Sera e Vittorio Malagutti sul Fatto Quotidiano) la famiglia Passera ha fatto rientrare una consistente liquidità, superiore a 10 milioni, parcheggiata in attesa di impieghi più redditizi.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2012, aggiornato da redazione web alle 11,30

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Una legge per tutelare i cronisti precari. Compensi equi o niente fondi agli editori. - di Thomas Mackinson





La proposta, firmata dal parlamentare Udc Enzo Carra, ha già avuto l'ok dalla commissione della Camera. E ora attende il via libera dal governo. Il testo prevede una commissione ad hoc per valutare le qualità retributive dei vari editori.


Il quotidiano La Voce di Romagna paga 2,5 euro ad articolo i giornalisti esterni, ma dallo Stato il giornale riceve 2,5 milioni di finanziamento. Il Tempo fissa un tetto massimo di 15 euro e ne incassa 840mila di finanziamento pubblico. E chi collabora alla Gazzetta di Modena non può sperare di spuntare oltre 4 euro ad articolo. Ne sa qualcosa Giovanni Tizian, che per i suoi pezzi sulla mafia in Emilia Romagna è finito sotto scorta. Minacciato dalla ‘ndrangheta per quelle righe così malpagate. Questa la realtà di buona parte dell’editoria italiana. Una realtà che ora, però, arriva a una svolta. Di mezzo, infatti, c’è una proposta di legge, firmata dal parlamentare Udc Enzo Carra, e che subordina il finanziamento pubblico a un’equa retribuzione. Insomma, o gli editori iniziano a pagare meglio i cronisti oppure possono dire addio ai milioni dello Stato. La proposta è già stata approvata dalla Commissione cultura della Camera e ora per diventare legge attende solo il via libera del governo di Mario Monti che certo subirà le pressioni degli editori. Spiega lo stesso Carra: “Il governo deve dire se è d’accordo con il Parlamento o se intende negare questa opportunità ad un provvedimento tanto atteso”.

Il testo, in quattro articoli, prevede che una commissione ad hoc stabilisca i parametri retributivi minimi che gli editori dovranno applicare, pena la perdita non solo delle provvidenze (che nel 2012 ammonteranno a 137 milioni di euro) ma anche di tutti i contributi pubblici, compresi quelli accessori per carta, postalizzazione degli abbonamenti, telefono etc. Entro tre mesi dal suo insediamento, dovrà quindi individuare i “trattamenti economici proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, in coerenza con i corrispondenti trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva di categoria in favore dei giornalisti con rapporto subordinato”.
La stessa commissione dovrà poi valutare le politiche retributive di quotidiani, periodici (anche telematici), agenzie di stampa, radio e tv e redigere un elenco dei datori di lavoro che garantiscono il rispetto dei requisiti minimi stabiliti. Una sorta di bollino blu per gli editori. Infine le due righe decisive, scolpite come pietra: “A decorrere dal 1 gennaio 2012 l’iscrizione nell’elenco di cui sopra è requisito necessario per l’accesso a qualsiasi contributo pubblico in favore dell’editoria”.

Insomma, il governo si trova di fronte a una decisione fondamentale per il futuro dell’informazione la cui condizione attuale, invece, conta un esercito di cronisti sottopagati, non tutelati e spesso minacciati. Ad oggi, infatti, precari, autonomi e freelance sono più numerosi degli assunti (24mila rispetto a 19mila) e contribuiscono per oltre il 50% alla realizzazione di quotidiani, periodici, radio, tv e informazione online. Eppure sono sottopagati, privi di tutele e sotto il ricatto continuo di perdere il lavoro da parte di editori che – per contro – fanno man bassa di provvidenze. A fotografare la situazione è il “tariffario dei compensi” (scarica) realizzato dall’Ordine dei giornalisti sulla base di segnalazioni, note di pagamento e contrattini arrivati dai collaboratori di tutta Italia negli ultimi 18 mesi: Il Mattino paga 21 euro ma dopo 20 articoli non paga più anche se il quotidiano campano ha ricevuto 956.652 euro di contributi, La Repubblica Lazio ha ridotto da 50 a 30 euro i pezzi di 5-6mila battute e ha ricevuto sempre i suoi 16,1 milioni di euro di aiuti, Il Manifesto – che di problemi ne ha parecchi – non ha mai pagato a fronte di 5,3 milioni di contributi, Il Messaggero sotto le 800 battute non paga e i contributi incassati sono 1,44 milioni, Il Tempo, 840mila euro di provvidenze, paga 7,5 euro per articoli sotto i 40 moduli, 15 per quelli superiori; si ferma a 5-9 centesimi a riga il compenso per i collaboratori del Sole24Ore, dimezzato a inizio anno a fronte di 19,2 milioni di aiuti, mentre Libero paga 18 euro anche per un’apertura a chi ha protestato – segnala l’Odg – si visto rispondere “prendere o lasciare”. I contributi sono però 5,4 milioni.

Un blitz degli editori, però, è ancora possibile. Prevedibile che gli associati Fieg marcheranno stretto il governo Monti perché respinga in toto la legge. A spiegare perché è il direttore generale della Federazione degli editori, Fabrizio Carotti: “La materia è già regolata da un contratto collettivo e la sua definizione avviene attraverso il confronto delle parti. Imporre tariffe minime per legge equivale a esercitare un’indebita interferenza tra le parti. Ci chiediamo poi come questo indirizzo sarà accolto dal governo, visto che l’orientamento degli ultimi provvedimenti assunti sulla tariffazione delle attività professionali va nella direzione esattamente contraria. Subordinare le spettanze di contributo pubblici a queste tariffe sarebbe un esercizio poco rispettoso dell’autonomia contrattuale della parti”.

“Ma quali parti? Quale autonomia?” Risponde il presidente dell’Ordine Enzo Jacopino. “I due euro ad articolo non sono il prodotto di una negoziazione tra le parti in condizioni di parità. L’editore semplicemente sfrutta lo stato di necessità del lavoratore e questo è contrario alla Costituzione”.

I prossimi giorni saranno tesissimi e decisivo sarà l’orientamento di Giulio Anselmi, neopresidente Fieg al posto del dimissionato Malinconico. “Non vorrei dover rimpiangere Malinconico – averte Jacopino – . Ma non posso non notare come il nuovo orientamento della Fieg coincida con il cambio al vertice. Per un anno la federazione ha avuto un atteggiamento di disponibilità e per due volte, pur eccependo criticità, si è espressa favorevolmente alla legge. Ora il vento sembra cambiato e mi sorprende perché a guidare la federazione è un giornalista professionista di lungo corso come Anselmi”.

Un segnale però c’era stato, ricorda Jacopino, all’ultimo festival del giornalismo di Perugia. “Anselmi era ancora presidente dell’Ansa e ha chiesto a freelance e collaboratori di smetterla con la lamentazione sul precariato, perché i giornalisti che stanno fuori dalle redazioni altro non desiderano che assumere per sé i privilegi dei colleghi contrattati che già li hanno. Proprio lui che può rendere ampia testimonianza dei privilegi collegati ai ruoli che ha avuto nella sua meritata carriera”. Tra giornalisti ed editori, insomma, volano stracci. Ora tocca al governo decidere di quale fare bandiera.