martedì 31 luglio 2012

Autostrade siciliane, Benetton in corsa per la privatizzazione. - Loredana Ales



casello_autostradale
L’ultima polemica alla vigilia dell’addio alla presidenza della Regione siciliana di Raffaele Lombardo riguarda il Cas (Consorzio autostrade siciliane) costituito nel 1997 dalla unificazione dei tre distinti Consorzi concessionari Anas operanti in Sicilia per la costruzione e gestione delle autostrade Messina-Catania-Siracusa, Messina-Palermo e Siracusa-Gela.
Ieri, infatti, nell’ultima corsa alle nomine era stata avanzata la proposta di mettere a capo del consorzio Nino Gazzara un fedelissimo del governatore ex Pdl e ora all’Mpa che avrebbe posto fine al commissariamento della società. Che la gestione dell’enorme patrimonio del Cas, pari a 36 milioni di euro, faccia gola è dimostrato dal fatto che anche il gruppo Benetton starebbe trattando per concorrere alla privatizzazione delle autostrade siciliane.
L’azienda veneta, che fa capo ad Alessandro Benetton, avrebbe già pronto un capitale finanziario da investire nel campo delle infrastrutture, con azioni che punterebbero ad aeroporti, porti (per le autostrade del mare) ma anche al sistema stradale. Da qui l’interesse per la rete viaria che appartiene al Consorzio siciliano, dove qualche tempo fa Benetton ha incrementato la presenza della catena Autogrill e dove ora medita di mettere radici anche sull’asfalto.
Sulla privatizzazione del consorzio delle autostrade siciliane è in corso da tempo un dibattito accesso: si cerca di monetizzare il valore del patrimonio autostradale dell’ente a partecipazione regionale che comprende i 181 chilometri della Messina-Palermo, i 76 della Messina-Catania e i 41 della Siracusa-Rosolini che dovrebbe arrivare fino a Gela.
Il Cas succede in tutti i rapporti giuridici posti in essere dai tre diversi Consorzi autostradali Messina-Palermo, Messina-Catania-Siracusa e Siracusa-Gela. Attualmente, la sua natura giuridica è di ente pubblico regionale non economico sottoposto al controllo della Regione Siciliana.

Ironizzando...



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Buio sul gigante. Se l'India va in panne. - Federico Rampini


Buio sul gigante Se l'India va in panne

Milioni di persone sono rimaste al buio a causa della "madre di tutti i blackout". Interruzioni della corrente elettrica affliggono il subcontinente da anni, A far deragliare il miracolo economico nella seconda nazione più popolosa al mondo è l'amministrazione pubblica: inerte e corrotta. Per far fronte al rischio di una crisi, il Paese si affida al premier.
Trecentosessanta milioni immersi nell'oscurità, senz'acqua e senza luce, paralizzati sui treni e sui metrò, negli ingorghi del traffico impazzito senza semafori, nel calore soffocante senza il sollievo di aria condizionata o ventilatori. "La madre di tutti i blackout" ha colpito ieri. Non poteva che accadere in India. Dalla capitale New Delhi agli Stati del Rajasthan, Punjab, Uttar Pradesh, Kashmir e altri ancora: quasi un terzo della popolazione indiana, l'equivalente di tutta l'Unione europea è rimasta senza elettricità. Un evento clamoroso da qualsiasi altra parte del mondo, eppure in India non ha quasi suscitato sorpresa. È dal 1951 che l'India fallisce regolarmente negli obiettivi che si fissa per la produzione di energia. È uno dei paradossi di un Paese che ha compiuto tanti miracoli eppure continua ad arrendersi davanti al suo avversario più feroce e implacabile: la sua stessa amministrazione pubblica.

"La burocrazia indiana: l'unica potenza ad avere sconfitto James Bond". La battuta amara circola a New Delhi da quando la produzione dell'ultimo film di 007 ha dovuto rinunciare alle riprese sui treni.

Un burocrate locale si era incaponito a negare il permesso. Per riuscire (forse) a superare l'ostacolo ci sarebbero voluti dei mesi: troppo per i tempi del cinema. L'agente segreto di Sua Maestà è l'ennesima vittima illustre di un flagello che può far deragliare il miracolo economico nella seconda nazione più popolosa del mondo. Almeno la disavventura di James Bond fa notizia. Invece un miliardo di cittadini indiani "ostaggi" della loro pubblica amministrazione non hanno nemmeno questa piccola compensazione morale. Eppure ci sono fra loro, insieme ai più poveri che subiscono le angherìe peggiori, tante vittime "eccellenti" nelle professioni del ceto medioalto che rappresentano il volto più avanzato della nazione. Per esempio i residenti di Gurgaon: un milione e mezzo di persone, in una "neopoli" o New City sorta alla periferia di Delhi con la vocazione di ospitare multinazionali, centri informatici, colossi del software. A Gurgaon hanno la loro sede indiana Google e American Express.

La città è stata oggetto di una protesta singolare: ancora prima della "madre di tutti i blackout", gli abitanti erano scesi in piazza all'inizio di luglio, "solo" per chiedere la corrente elettrica. Nonostante la sua modernità, Gurgaon è afflitta dalla stessa sventura che in altre aree del paese non fa neppure notizia: i blackout a singhiozzo, a tutte le ore del giorno. A Gurgaon le multinazionali debbono dotarsi di gruppi elettrogeni, per garantire che le loro banche dati non siano paralizzate dai blackout. Ma quando i loro ingegneri informatici rientrano a casa, con 40 gradi all'ombra, vorrebbero trovare il frigo funzionante. "I monsoni sono in ritardo, quindi è basso il corso dei fiumi che alimentano i bacini delle dighe idroelettriche. E poi questa è la stagione della semina, la priorità nell'erogazione di corrente va data ai contadini". Questa è la spiegazione ufficiale, fornita da Sanjiv Chopra che dirige la utility elettrica Dhbvn. Lascia attoniti: una superpotenza economica che è la sede di colossi hi-tech come Infosys e Tata, ancora dipende dai monsoni per accendere la luce. 

Lo spaventoso ritardo nelle infrastrutture (l'energia è solo un esempio, autostrade, ferrovie e aeroporti non stanno meglio) si può ricondurre in buona parte allo stesso problema: una pubblica amministrazione inerte, scassata e corrotta. "La peggiore di tutta l'Asia": così la definisce uno studio autorevole, la classifica redatta dalla Political and Economic Risk Consultancy con sede a Hong Kong, per confrontare le nazionidel"miracolod'Oriente". L'India è ultima: peggio di Vietnam, Indonesia, Filippine, Cina. Riuscirà il mitico Babu  -  come viene chiamato familiarmente lo statale di New Delhi  -  a far deragliare il boom dell'India? I segnali di crisi ci sono. La crescita è rallentata. Dopo un periodo in cui il Pil aumentava regolarmente dell'8% all'anno, l'anno scorso è cresciuto del 6,5% e quest'anno potrebbe chiudersi con un +5%. Sono ritmi di sviluppo irraggiungibili per qualsiasi nazione occidentale; ma per l'elefante indiano rappresentano una frenata. 

A questo si aggiungono altri segnali d'allarme. Standard&Poor's ha minacciato di declassare i titoli di Stato indiani fino al rango infimo di "junkbond", spazzatura. La solvibilità di New Delhi si starebbe deteriorando sotto il duplice impatto del rallentamento nella crescita e dell'aumento del deficit pubblico. Veerapp Moily, ministro dell'Industria, ha definito questi giudizi "inaccettabili". Lo sdegno ha qualche giustificazione: a sinistra, molti sono convinti che il mondo della finanza globale voglia castigare il governo indiano per le sue azioni contro la speculazione. Per esempio la messa al bando dei futures sulle materie prime agricole. Poi un analogo divieto di speculare sui futures della rupia. Infine una proposta di "tassa retroattiva" sulle multinazionali straniere. Tutte decisioni che fanno dell'India una pioniera del "neo-protezionismo progressista", un trend che l'accomuna al Brasile, e certo non piace ai Signori dei Rating né ad altri rappresentanti del capitalismo occidentale.

Il risultato di queste tensioni lo si vede sul fronte monetario. La rupia negli ultimi 12 mesi ha perso il 20% nei confronti del dollaro. L'indebolimento della valuta coincide con una fuga di capitali speculativi. Gli investitori stranieri hanno ritirato 350 milioni di dollari dalla Borsa di Mumbai in tre mesi, mentre nello stesso periodo dell'anno precedente vi avevano investito 1,15 miliardi di dollari. Forse si sta sgonfiando la "bolla" indiana, dopo un decennio di euforìa: tra il 2001 e il 2011 l'aumento dei prezzi immobiliari a Delhi e Mumbai aveva raggiunto il 284%, di che far impallidire anche il boom cinese, russo, brasiliano. "Ora molte imprese multinazionali cominciano ad avere dei ripensamenti  -  dice il banchiere Deepakh Parekh della Hdfc  -  sulla cosiddetta "opportunità da un miliardo" (cioè l'opportunità di conquistare un miliardo di clienti indiani), perché l'India si sta penalizzando da sola". 

Per ora, segnali di una fuga delle multinazionali non ci sono. Ikea e Coca Cola hanno annunciato nuovi progetti d'investimento che da soli valgono 5 miliardi di dollari. Di recente un'indagine Onu ha individuato nell'India la terza destinazione favorita per gli investimenti esteri diretti, dopo Cina e Stati Uniti. E tuttavia proprio quell'indagine, della United Nations Economic and Social Commission for Asia, rivela un paradosso. L'India si piazza terza quando si rilevano le intenzioni d'investimento. Ma nella realtà, fino all'anno scorso gli investimenti erano ben più consistenti negli altri Bric: 124 miliardi di dollari in Cina, 67 in Brasile, 53 in Russia, contro i 32 miliardi affluiti in India. È come se ci fosse un divario permanente tra il sogno indiano, le opportunità potenziali, e ciò che si può fare davvero. La chiave, ancora una volta, sta nella "dittatura dei Babu", la cappa opprimente di divieti, ostacoli, intralci frapposti dai burocrati a chiunque voglia investire.

Di fronte al rischio che arrivi una crisi vera  -  come quella che nel 1991 portò l'India sull'orlo della bancarotta, a corto di valuta per pagare le importazioni di petrolio  -  il paese rivolge le sue speranze allo stesso uomo che la salvò allora. È Manmohan Singh, primo ministro che ha appena assunto ad interim anche il dicastero delle Finanze. Singh  -  all'origine un economista con dottorato a Oxford, un "tecnico" cooptato al potere da Sonia Gandhi che dirige il partito del Congresso  -  fu l'uomo delle grandi riforme che nel 1991 segnarono l'ingresso dell'India nell'economia globale. Fu lui a volere un primo ridimensionamento della burocrazia, smantellando il"raj", una ragnatela di permessi amministrativi che paralizzava l'attività imprenditoriale. Quel cantiere di riforme è incompiuto. Ora Singh ci riprova, ma con 80 anni sulle spalle, e una fama logorata dalla lunga permanenza al governo. Che sia lui il Superman capace di piegare l'esercito dei Babu, non lo crede certo Anna Hazare, il leader del più vasto movimento contro la corruzione che abbia mai agitato l'India, il "nuovo Gandhi" secondo i suoi seguaci. Per Hazare la prepotenza della pubblica amministrazione indiana non sarà piegata da chi fa parte dell'establishment.



http://www.repubblica.it/esteri/2012/07/31/news/rampini-40067490/

Fuoriserie e vacanze in Messico senza un euro di tasse. Arrestato.


Fermato al volante della sua Ferrari Paolo Sartori, 44enne di Noale. Coordinava una rete veneta di evasori, con fatture false per oltre 40 milioni di euro.

VENEZIA - Faceva una vita da nababbo, al volante di Ferrari F40 cabrio, in hotel di lusso, ma dal 2006 si era «dimenticato» di fare la denuncia dei redditi e dichiarare fatture emesse per 8 milioni di euro: per questo Paolo Sartori, 44 anni, di Noale (Venezia) è stato arrestato.
Paolo Sartori (Pattaro/Vision)Paolo Sartori (Pattaro/Vision)
Oltre che in Ferrari, Sartori viaggiava in Bmw X6, Porsche Cheyenne, viveva in dimore da favola all'interno di ville venete o golf club, portava abiti e scarpe griffate, faceva spesso viaggi in Messico e soggiornava in hotel di lusso o prestigiosi centri termali, trascorreva serate in locali di tendenza del Veneziano o del Padovano con accompagnatrici piacenti ordinando champagne e vini costosi. A tradirlo il suo andirivieni nel Miranese con un'autovettura supersportiva targata Repubblica di San Marino che ha solleticato la curiosità dei finanzieri.
Le Fiamme gialle hanno così appurato che quello che appariva un benestante, era in realtà un accanito evasore totale e che era stato al centro di indagini per aver emesso da un decennio false fatturazioni rivolte a compiacenti e insospettabili imprenditori veneti interessati a diminuire i redditi ed a versare minori imposte, utilizzando a tal fine anche altre quattro imprese intestate ad altrettanti prestanome. Gli accertamenti dei finanzieri, coordinati dal pm veneziano Stefano Ancilotto, hanno permesso di superare anche l'ostacolo derivante dall'occultamento delle fatture emesse e delle scritture contabili di tutte le imprese gestite da tale soggetto.
Sono stati esaminati oltre una novantina di conti correnti per un volume di transazioni di circa 40 milioni di euro, scoprendo un vasto e radicato sistema illecito evasivo e di frode fiscale operati da Sartori. L'uomo è molto noto nel Miranese per essere stato nel passato titolare di una grossa azienda che si occupava della produzione di capi di abbigliamento ora fallita. Almeno una trentina le imprese coinvolte nella maxi evasione con altrettante persone, tra amministratori e titolari di partita Iva, coinvolte nell'inchiesta a vario titolo per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti.
Dall'indagini è emerso l'emissione per 40 milioni di euro di fatture false dal 2002 al 2011, di cui 9,6 milioni di euro già acquisite all'indagine attraverso i controlli incrociati effettuati presso i rispettivi clienti. E ancora 1,6 milioni di euro di Iva evasa, 2 milioni di euro di elementi positivi di reddito non dichiarati quale provento della frode fiscale. Sarebbe stata distrutta tutta la documentazione contabile di 6 aziende riconducibili a Sartori. La Guardia di Finanza ha proposto il sequestro per l'equivalente di quote di immobili e di disponibilità bancarie possedute da Sartori per garantire l'effettivo recupero del credito dovuto all'Erario ed allo Stato. (Ansa)

Spen Ding Reviù. - Massimo Gramellini




Diffidare delle parole inglesi che fioriscono sulla bocca degli italiani, please. C’è stato un tempo, e c’è ancora, in cui per estrometterti da una poltroncina di responsabilità e sostituirti con uno più affidabile, cioè più opaco e obbediente di te, tiravano in ballo problemi di «governance». Questa invece, nei ministeri e negli uffici, è l’estate della spending review. Tagli sanguinosi (bloody cuts) sembrerebbe espressione più sincera, ma suona male. Revisione della spesa è concetto sfumato e dall’esito aperto: una spesa è rivedibile anche al rialzo, volendo e soprattutto potendo. Il guaio è che non si può più. In questa crisi al buio chi non muore si rivede, ma solo al ribasso.

Spen Ding Reviù: la formula magica ha una sua morbidezza di vaselina, indispensabile quando la verità fa paura. Chi osa dire ai cittadini elettori che lo Stato Sociale novecentesco non è più sostenibile e che oltre agli sprechi bisognerà rivedere anche i diritti? Arriva il tempo delle scelte dure, persino etiche: è sano che uno studente fuoricorso non lavoratore si sovvenzioni da solo la propria pigrizia. Ma se la spending review asciuga ingiustizie, ne crea anche di nuove. La si usa indifferentemente per togliere un privilegio e per tagliare un precario. Una cosa è certa: gli italiani assistono a quest’ultima ossessione del potere con aria da esperti. Loro la spending review l’hanno già sperimentata in casa, rinunciando a quasi tutto il rinunciabile. Soltanto l’hanno chiamata in altro modo: tirare la cinghia. Se preferite: tighten your belt.



http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1215

Berlusconi ha speso 250 milioni in più: prosciugato dalle Olgettine. - Franco Bechis


Silvio spremuto dalle olgettine: 
ha speso 250 milioni in più

I conti del Cavaliere tremano: soldi in gran parte prelevati dai depositi di quattro holding Fininvest.

Se non l'hanno rovinato, poco ci manca. L'anno nero delle Olgettine - il 2011- è stato un terremoto per la finanza personale di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha prelevato dai conti delle sue quattro holding che controllano Fininvest la bellezza di 127,7 milioni di euro, quasi prosciugandoli: alla fine restavano appena 16,9 milioni di euro contro i 144,7 dell’anno precedente e i 152,3 registrati al 30 settembre 2009. Ad essere prosciugati sono stati i conti correnti detenuti dalle quattro holding presso il Monte dei paschi di Siena. E per essere avvenuta una esigenza di spesa che non si era mai presentata in queste proporzioni negli ultimi dieci anni nelle quattro holding del Cavaliere, significa che non si poteva più attingere ai dividendi che le stesse quattro società avevano versato nel febbraio 2011 sul conto corrente 1/29 del Monte dei Paschi di Siena intestato a Silvio Berlusconi: 127,5 milioni di euro. 
Per sapere quanto l’ex premier ha speso l’anno scorso bisogna dunque sommare i dividendi ai prelievi dai conti correnti delle quattro holding, e in tutto fanno 255,3 milioni di euro. Una somma di proporzioni gigantesche, che non ha precedenti nemmeno nella storia di un uomo straricco come il Cavaliere. Dai conti correnti delle holding, tanto per fare un paragone, nel 2010 erano stati prelevati in tutto 7,6 milioni di euro. L’anno successivo ne sono serviti 120 milioni di più, e la spesa non potrà continuare a lungo perchè Berlusconi quelle somme non le può più avere a disposizione. Nel febbraio 2012 infatti le quattro holding gli anno distribuito appena 13,4 milioni di euro di dividendi, circa un decimo dell’anno precedente. Siccome i loro bilanci vivono dei dividendi pagati a sua volta dalla Fininvest, che non ne ha distribuiti né l’estate scorsa né quest’anno (per colpa del lodo Mondadori e della cifra pagata provvisoriamente a Carlo De Benedetti), per girare al Cavaliere quei 13,4 milioni di euro le holding hanno dovuto intaccare il patrimonio accumulato negli anni di vacche grasse e ridurre le proprie riserve straordinarie. 
Spendere 255 milioni di euro in un anno di crisi economica e con una prospettiva nera davanti sembra quasi una follia. Dove sono finiti quei soldi? Una parte è sicuramente ricostruita nel dettaglio con il processo Ruby Bunga-Bunga. Il conto corrente 1/29 del Monte dei Paschi è lo stesso utilizzato per le regalie alle cosiddette Olgettine. Possibile che lo stesso processo in corso abbia fatto lievitare sensibilmente le spese. Berlusconi ha infatti coperto di tasca sua le spese legali delle ragazze, e ha sicuramente rifuso loro i danni di immagine e professionali riportati con risarcimenti volontari e assai generosi. Mentre prima la contabilità era un po’ disordinata, ora ad esempio ogni mese parte un bonifico per pagare gli affitti delle abitazioni di tutte le ragazze coinvolte nel processo. Poi ci saranno state sicuramente spese extra e ordinarie continuate: dallo stesso suo conto corrente il Cavaliere ha prelevato anche i 20 milioni pagati per assicurarsi l’acquisto della villa di Marcello Dell’Utri sul lago di Como. Questa contabilità è stata sostanzialmente ricostruita dai vari magistrati che hanno aperto le inchieste sul Cavaliere: quelli di Milano che si occupano di Ruby e quelli di Palermo che prediligono Dell’Utri. Tutti avevano nel mirino il conto corrente alimentato dai 127,5 milioni di euro di dividendi, a tutti però è sfuggito che la somma più che raddoppiava grazie ai prelievi straordinari fatti dai conti correnti delle quattro holding per un totale di 127,7 milioni di euro che le lascia quasi a secco di valuta. Detratte le spese personali per le case (la maggiore parte però attinte dai conti delle immobiliari, la Idra e la Dueville), è proprio il processo Ruby il vero fatto che ha cambiato radicalmente la contabilità del Cavaliere. Naturalmente anche per lui che ne è imputato le spese legali debbono avere una rilevanza notevole, ma certo non bastano a spiegare quelle cifre così astronomiche. Di sicuro il trend non può durare a lungo, perchè le riserve straordinarie restate in pancia alle quattro holding che anche quest'anno non riceveranno alcun dividendo da parte di Fininvest ammontano ormai a circa 211 milioni di euro. Un altro anno così e Berlusconi da ex superriccone è destinato ad ottenere la pensione minima sociale. Anche la benzina per le Olgettine dunque è sul punto di finire...


http://www.liberoquotidiano.it/news/home/1067651/Berlusconi-ha-speso-250-milioni-in-piu--prosciugato-dalle-Olgettine--.html

Tristi verità.


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