sabato 18 agosto 2012

Nicole, ti ritroveremo a Brera? - Tomaso Montanari



Chi saranno i nuovi padroni della Pinacoteca di Brera? Non più i milanesi, né il popolo italiano: o almeno non solo. Il decreto sviluppo varato dal ministro Corrado Passera il 26 giugno scorso, infatti, non si occupa solo di edilizia, trasporti o settore energetico, ma – all’articolo 8 – stabilisce che “a seguito dell’ampliamento e della risistemazione degli spazi espositivi della Pinacoteca di Brera e del riallestimento della relativa collezione, il Ministro per i beni e le attività culturali, nell’anno 2013, costituisce la fondazione di diritto privato denominata “Fondazione La Grande Brera”, con sede in Milano, finalizzata al miglioramento della valorizzazione dell’Istituto, nonché alla gestione secondo criteri di efficienza economica”. Il decreto prevede “il conferimento in uso alla Fondazione, mediante assegnazione al relativo fondo di dotazione, della collezione della Pinacoteca di Brera e dell’immobile che la ospita”, e prevede l’ingresso, come soci, degli enti locali lombardi e, quindi, di “soggetti pubblici e privati”.
In poche parole: il governo Monti fa il primo grande passo verso la privatizzazione di uno dei principali musei italiani. Un passo sulla cui costituzionalità ci sarebbe molto da dire: possibile che conferire l’intera collezione di Brera ad una fondazione di diritto privato non leda l’articolo 9 della Carta? Ma i problemi non sono ‘solo’ di principio.
Esiste un unico precedente, quello del Museo Egizio di Torino: e non è un precedente brillante. E non tanto per la folcloristica presidenza di Alain Elkann (che scadrà a settembre), quanto per le gravi e paradossali conseguenze di una ‘privatizzazione all’italiana’. Le collezioni dell’Egizio sono state devolute alla Fondazione solo in parte (spezzando tra giurisdizoni diverse complessi archeologici unici), il personale scientifico ha optato di rimanere nello Stato (privando il Museo della più essenziale delle sue componenti) e il consiglio di amministrazione ha nominato la direttrice secondo logiche da manuale Cencelli, senza nemmeno consultare il comitato scientifico. E le cicatrici di tutti questi gravi errori, solo in parte recuperati, sono ancora ben visibili.
Ora, ci si chiede, come si comporteranno gli enti locali lombardi, una volta insediatisi sulla plancia di comando della nuova Fondazione? Sarà bene non dimenticarsi che fino a qualche giorno fa ci saremmo potuti trovare la Minetti direttrice di Brera. L’invadenza degli enti locali in un museo di livello e interesse nazionale è un nodo cruciale: non a caso tra i sostenitori di questo tipo di soluzione si conta Dario Nardella, il vicesindaco di Matteo Renzi a Firenze, che come giurista caldeggiava già nel 2003 la cessione degli Uffizi ad una fondazione in cui gli enti locali avessero un peso decisivo. Altro che baloccarsi con l’idea di costruire la facciata michelangiolesca di San Lorenzo o di cercare il Leonardo fantasma sotto il Vasari di Palazzo Vecchio: vi immaginate l’escalation di strumentalizzazione politica della cultura se Renzi potesse nominare il direttore degli Uffizi?
Ma il punto più grave è un altro. Il decreto di Passera (ministro, di fatto, anche dei Beni culturali, vista la sostanziale sede vacante determinata dal sonno di Ornaghi) dice che il fine della fondazione saranno la valorizzazione (eventi, mostre, visibilità mediatica) e la diminuzione dei costi di gestione. Ma un museo come Brera è soprattutto un istituto di ricerca: che riesce a comunicare il suo patrimonio ai cittadini solo in quanto è in grado di produrre e innovare continuamente la conoscenza delle opere che conserva. E la stella polare del cda della Fondazione Brera non sarà certo la scienza, ma il marketing: e così un altro polmone di libertà intellettuale passerà sotto il ferreo dominio del mercato e del denaro.
L’esperienza ventennale della concessione ai privati dei cosiddetti servizi aggiuntivi dei musei italiani «assomiglia ad una soluzione di abdicazione rispetto a competenze centrali da parte degli enti pubblici di gestione» (così, già nel 2009, Stefano Baia Curioni e Laura Forti, economisti della Bocconi). La strada, ancora più radicale, della trasformazione dei grandi musei in fondazioni segnerà un’abdicazione dello Stato ancor più radicale: e con essa un inevitabile allontanamento dagli interessi della collettività.
E non è che l’inizio di un lungo autunno in cui, per pagare la speculazione mondiale sull’enorme debito contratto grazie al Partito Unico della Spesa Pubblica (ancora saldamente aggrappato ai vertici dello Stato), la generazione dei bancarottieri chiuderà in bellezza vendendosi i beni che i padri avevano lasciato alla comunità.
Il Fatto Quotidiano, 17 agosto 2012

Pazzia dilagante.



Usa, polizia uccide uomo con 46 colpi: un passante ha ripreso tutto. Un uomo è stato ucciso dalla polizia in pieno giorno in una strada di Saginaw, in Michigan. Milton Hall, un afroamericano di 49 anni, è stato colpito 46 volte in meno di cinque secondi, secondo quanto riporta la Cnn che ha ottenuto un video della tragica sparatoria, girato con un telefonino da un passante, e lo ha mandato in onda, precisando che sulla "controversa" vicenda è stata aperta un'inchiesta. Hall, che secondo la madre aveva dei problemi di mente, era armato di un coltello e secondo il procuratore della contea di Saginaw, Michael Thomas, gli agenti hanno sparato "perché apparentemente, a quel punto, stava minacciando di aggredirli". La vicenda risale al primo luglio, ma è emersa solo ora, dopo che ieri sera la Cnn l'ha mandata onda e ha messo il video nel suo sito web. 17 agosto 2012

VIETATO ALZARE GLI OCCHI!



I padroni delle fabbriche preferiscono i bambini come operai: per le mani piccole, più adatte al lavoro, ma soprattutto perché li pagano meno della metà degli adulti. E' quasi impossibile per le fa
miglie sottrarsi a questa crudele forma di usura: contraggono debiti, quindi sono costretti a cedere i propri figli come lavoranti per ripagare il debito, ma i guadagni sono insufficienti e il debito non si estingue mai...

Per questo il primo obiettivo dei programmi UNICEF nel Tamil Nadu, come in molti altri stati dell'India, è aiutare le famiglie a riscattare i figli dal lavoro forzato. Grazie a un'alleanza con varie associazioni e con il contributo delle autorità locali, viene estinto il debito e i bambini vengono poi mandati a frequentare speciali scuole, create nei loro villaggi, dove si applicano metodi d'insegnamento innovativi, con molto spazio alla musica e al gioco ma anche con molte materie orientate per dare loro una professionalità. Sarebbe infatti difficile per questi ragazzi, che hanno alle spalle anni di duro lavoro, ambientarsi nelle normali scuole statali, con bambini molto più piccoli di loro e un insegnamento rigido, predeterminato, poco flessibile e senza rapporto con la loro esperienza di lavoro e le loro esigenze. Il problema non riguarda solo le fabbriche di Bidis: qualche anno fa un'inchiesta accertò che oltre 50.000 bambini di età compresa tra i 3 anni e i 15 lavoravano nelle fabbriche di fiammiferi e di fuochi di artificio di Sivakasi, sempre nello stato del Tamil Nadu, 12 ore al giorno, rinchiusi in stanze buie e fetide, maneggiando prodotti chimici pericolosi e tossici, come il clorato di potassio, gli ossidi di fosforo e lo zinco.

Del resto anche in altre zone dell'India la legge che vieta l'uso di manodopera infantile viene continuamente disattesa. I datori di lavoro hanno tutto l'interesse ad impiegare in lavori degradanti i bambini, perché sono più rapidi e si affaticano di meno degli adulti, si controllano con facilità e sono più disciplinati. Ma soprattutto costano molto meno sia in termini salariali che assistenziali e non sono sindacalizzati. Così, in assenza di una rete efficace e capillare di controlli, continuano a persistere situazioni drammatiche, come quella degli oltre ventimila bambini che lavorano nelle miniere di Meghalaya in fosse larghe 90 cm.; quando crescono e non sono più in grado di restare dentro queste fosse perdono il lavoro. E nel nord dell'India, nello stato del Rajastan, si calcola che il 40% dei 30.000 operai tessili siano bambini.

La povertà ancora molto diffusa, nonostante il grande sviluppo recente dell'economia indiana, spesso non lascia ai bambini alcuna alternativa fuori dal lavoro. Il sistema educativo aggrava ulteriormente la dimensione del problema: nelle zone rurali più isolate, le scuole sono rare e inaccessibili. Inoltre nelle campagne il conflitto tra il calendario scolastico e le stagioni agricole obbliga i bambini ad abbandonare la scuola al momento della semina o del raccolto. Occorre quindi creare un sistema scolastico più flessibile e rispondente ai bisogni dei bambini, ma anche aiutare le famiglie, per spezzare il circolo vizioso della miseria ed evitare che i bambini sottratti a un lavoro si ritrovino a doverne fare uno ancora peggiore. Per questo l'UNICEF attua anche un programma di piccoli prestiti a gruppi di donne, perché possano migliorare la produzione agricola, ad esempio con l'acquisto di mucche il cui latte viene venduto in città, compensando così la perdita del guadagno dei bambini e consentendo alle famiglie di ripagare il debito.


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Berlusconi a Briatore indagato: “Prima o poi mando gli ispettori dai pm”.


briatore interna nuova


Nelle intercettazioni pubblicate dal Secolo XIX, l'imprenditore della Formula 1, sotto inchiesta a Genova per evasione fiscale, chiede protezione all'ex premier e spiega di sentirsi perseguitato. Il Cavaliere gli promette di controllare il lavoro dei magistrati. Ma l'ispezione non c'è mai stata.

Su Flavio Briatore pende l’accusa di contrabbando e violazione delle accise. In sostanza, di avere evaso l’Iva sul carburante del suo Yacht Force Blue. Nella primavera 2011 proseguono le indagini della Procura di Genova, ma l’imprenditore della Formula 1, preoccupato, decide di rivolgersi a Silvio Berlusconi per chiedere protezione. Spiega all’ex premier che i giudici lo stanno “perseguitando” e il Cavaliere, molto comprensivo, risponde: “Ti capisco e chi più di me ti può essere vicino. Prima o poi mando gli ispettori, a Genova”. 
Sono queste le frasi intercettate che compaiono nelle conversazioni telefoniche finite agli atti dell’inchiesta sul presunto scandalo della mega-barca di Briatore, riportate oggi dal Secolo XIX. Parole che ancora una volta ricordano la “lotta che nel governo Berlusconi è andata avanti a suon di proposte di legge bavaglio per contenere giornalisti e magistrati“. Un dialogo che, aggiunge il quotidiano, “descrive una certa disinvoltura da parte dell’ex primo ministro, e la facilità con cui pensava di esercitare il proprio potere minacciando di mettere sotto scacco quello giudiziario”. L’ispezione richiesta da Briatore, però, non ci fu. Specie perché, pochi mesi dopo, l’ex primo ministro avrebbe rassegnato le dimissioni e lasciato Palazzo Chigi.
Lo yacht di Briatore era stato sequestrato il 20 maggio 2010 dai finanzieri del Gruppo Genova su mandato della Procura del capoluogo ligure e nei giorni scorsi è arrivato l’avviso di chiusura per le indagini preliminari a Briatore e ad altre quattro persone accusate di avere “simulato il noleggio del Force Blue per godere di tariffe agevolate sul carburante”. In sostanza, la Procura sostiene che “dal 2006 al 2010 sono stati acquistati 897mila litri di gasolio senza pagare un milione e 480 mila euro di accise”. In più nelle carte si sottolinea che gli indagati “sottraevano lo yacht al “pagamento dell’Iva dovuta all’importazione per tre milioni e 600mila euro, simulando lo svolgimento di un’attività commerciale di noleggio”.  Briatore, anche se molto probabilmente diventerà imputato nell’inchiesta fiscale, ha già fatto sapere tramite i suoi legali di non volersi sottoporre a interrogatorio, neanche per chiarire davanti ai pm la richiesta di ‘aiuto’ a Berlusconi. Le conversazioni telefoniche trasmesse dai finanzieri svelano colloqui “choc” su Berlusconi e sulle feste di Arcore con Daniela Santanché, dai quali emergeva lo stupore di Briatore per i ‘festini’ del Cavaliere (“Veronica ha ragione, è malato). A questi, ora, si aggiungono le intercettazioni delle richieste di protezione dalle indagini della magistratura rivolti direttamente a Berlusconi. Intercettazioni finite agli atti dell’inchiesta.

tanto per ridere un po'...



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Apperò!



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La guerra alle mosche di Monti.

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Rigor Montis ha due preoccupazioni. La prima è l'evasione fiscale, la seconda sono leintercettazioni. Sulla prima è avvilito per il "grosso danno nella percezione del Paese all'estero". Mi immagino il sarcasmo, per non dire il vero e proprio disprezzo, quando il Non Eletto incontra i capi di Stato europei (gli Eletti). Gli rinfacceranno sicuramente lo Scudo Fiscale che ha premiato gli evasori totali, tra i quali anche criminali e tesorieri di partito, con un miserabile 5% di sanzione. Lo faranno blu per la nostra legge sul falso in bilancio, una vera barzelletta. Lo distruggeranno per la mancanza di lotta alla corruzione che ci costa circa 100 miliardi di euro. Lo investiranno di insulti per l'inesistenza di una legge sul conflitto di interessi. Povero Monti, come deve vergognarsi. Figure così a livello internazionale nemmeno Bokassa. I partner europei vorrebbero dargli "assistenza finanziaria", in sostanza comprare il debito pubblico italiano che cresce alla velocità della luce, ma l'evasione "contribuisce a indisporli" quando Monti si presenta con il piattino in mano. 
Rigor Montis ha perciò dichiarato "lo stato di guerra" agli evasori, "una dura lotta all’evasione che può comportare la necessità di momenti di visibilità che possono essere antipatici. Ma che hanno un forte effetto preventivo nei confronti degli altri cittadini". Non vedo l'ora!
Inizi dai bilanci dei partiti, da quelli delle cooperative di ogni colore, prenda in mano l'elenco degli scudati e gli faccia sputare ogni euro evaso con la stessa energia con la quale Equitalia si catapulta sui cittadini che non pagano, spesso per errore, qualche centinaio di euro, faccia per decreto leggi anti corruzione e per punire severamente il falso in bilancio, risolva gli intrecci incestuosi della Borsa. I suoi partner europei gli sorrideranno. Credo invece che Rigor Montis, più modestamente, voglia scatenare la guerra alle mosche. Ai pollivendoli, ai fiorai, ai venditori di miele millefiori, agli agriturismi della Lombardia (già fatto), ai venditori di souvenir a Venezia e a Firenze (già fatto sul Ponte Vecchio), ai ristoranti fuori porta che non rilasciano lo scontrino. Nel frattempo, mentre Rigor Montis è in guerra, le piccole e medie imprese aspettano circa centoventi miliardi di crediti dallo Stato, pagano le tasse più alte dell'Occidente (l'IRAP anche se l'azienda è in perdita), anticipano l'IVA senza spesso vedersi pagate le fatture. A centinaia di migliaia falliscono e chi può fugge all'estero, dalla Slovenia, all'Austria, alla Croazia, alla Svizzera. Paesi dove le aziende pagheranno ogni centesimo di tasse con il sorriso sulle labbra in cambio di assistenza e servizi senza uno Stato di polizia fiscale che bussi alla loro porta come se fossero dei delinquenti.
Ps: la seconda preoccupazione di Rigor Montis sono le intercettazioni. Prima obiezione: non sono affari suoi in quanto rappresenta un governo tecnico. Seconda obiezione: le intercettazioni servono alla magistratura per ascoltare Mancino in dolce colloquio con il Quirinale per il processo di Palermo sulle relazioni Stato mafia (ed è questo forse a turbare Monti), ma anche per combattere la corruzione (e quindi l'evasione fiscale).


http://www.beppegrillo.it/2012/08/la_guerra_alle.html