lunedì 27 agosto 2012

Disordine, compagni. - Marco Travaglio


L’elettore del Pd (ce ne sono ancora tanti, anche fra i nostri lettori) deve avere qualche colpa atavica da espiare, qualche peccato originale da scontare. Insomma è nato per soffrire, o è votato al martirio. A novembre stava quasi per esultare alla caduta di B.: “Che bello, ora si vota e vinciamo noi”. Ma dai vertici fu subito avvertito che non era il momento di esultare, né tantomeno di votare: siccome B. non aveva più la maggioranza, bisognava entrare in maggioranza con B.. Però Monti dovrà ascoltarci, soccmel, urlò Bersani: anticorruzione, antievasione, patrimoniale, asta per le frequenze tv, politiche sociali, basta bavagli alla stampa e guerra ai pm. Risultato: niente di tutto questo, perché B. non vuole.Anzi ora il bavaglio lo chiedono e la guerra ai pm la fanno Napolitano, Violante e Scalfari. Ma come, i pm di Palermo non erano dei benemeriti che rischiano la pelle per indagare su mafia, politica e trattative? Contrordine, compagni. L’elettore del Pd legge Repubblica e scopre che i pm congiurano contro il Colle, lo intercettano illegalmente, calpestano le sue prerogative a suon di “abusi” e in vent’anni non han combinato niente. Legge Violante, e scopre che Ingroia “fa politica” e dà fiato al “populismo giudiziari” che vuole “abbattere Napolitano e Monti”. Ma – si domanda disorientato il povero elettore – non s’era detto, ai tempi del caso Moro e del caso Cirillo, che è una cosa brutta trattare coi terroristi e i mafiosi? Conserva ancora il libretto distribuito dall’Unità diretta da D’Alema, grondante indignazione perché la Dc aveva usato i servizi segreti per trattare con Cutolo e far liberare Cirillo dalle Br dietro congruo riscatto: s’intitolava, guarda un po’, “La trattativa”, sottotitolo “L’ordinanza del giudice Alemi sul caso Cirillo: Brigate rosse, camorra, ministri Dc, servizi segreti”. Ora apre l’Unità e trova il compagno senatore Pellegrino che, anziché denunciare la trattativa di “Cosa Nostra, carabinieri, ministri Dc, servizi segreti”, la giustifica: serviva a “rallentare temporaneamente l’applicazione della norma (il 41-bis) per avere tempo di stroncare i corleonesi… Un arretramento tattico che non intaccava la strategia di fondo, ma era funzionale ad assicurarne il successo”. E pazienza se intanto, a causa della trattativa, ci han lasciato la pelle Borsellino, gli uomini della scorta e nel ‘93 una decina di cittadini inermi a Firenze e Milano. Apre Repubblica, nella speranza di trovare almeno lì la linea dura, come ai tempi di Moro. Invece no, sorpresa: “Ci sarebbe da distinguere – scrive Scalfari – tra trattativa e trattativa. Quando è in corso una guerra la trattativa tra le parti è pressoché inevitabile per limitare i danni. Si tratta per seppellire i morti, per curare i feriti, per scambiare ostaggi”. L’elettore non vede l’ora di votare per riportare al governo il centrosinistra, ma gli spiegano che il centrosinistra non si porta più: l’alleato è Casini, quello che governò con B. fino al 2006 e portò in Parlamento galantuomini come Cuffaro (infatti si va con lui anche in Sicilia). Di Pietro invece, non avendo mai governato con B., è un “populista di destra”, anzi “fascista”, e non va più bene. Infatti è l’unico, con Landini, escluso dalla festa Pd, dove però l’elettore può arraparsi con Fitto, Sallusti, persino Latorre e Menichini. Stremato, l’elettore domanda sommesso: posso almeno prendere un po’ per il culo il Cainano, che medita il ritorno con Grande Italia ma ogni tanto si scorda di asfaltarsi il capino? Eh no: Ezio Mauro, su Repubblica, lo ammonisce ad abbandonare le “calandrinate” sui “cognomi e i difetti fisici”, tipiche del “Borghese degli anni più torvi” e della “destra peggiore”, pena l’esclusione dal “campo democratico”. A questo punto l’elettore scoppia in lacrime ed esclama: “Ma cosa ho fatto per meritare tutti questi colpi bassi?”. Ma accanto a lui si rialza implacabile il ditino: “Bassi non si dice, fascista che non sei altro: al massimo, diversamente alti”.
Da Il Fatto Quotidiano del 26/08/2012.

Rifiuti a Roma, l’inceneritore fermo da 10 mesi. Tecnologia a rischio ambientale. - Andrea Palladino


malagrotta roma_interna nuova


L'impianto che dovrebbe gassificare la spazzatura di Malagrotta non produce neppure un kilowatt di energia e della società di gestione, la 7-Hills incaricata dal proprietario Cerroni, non si trova più nessuno. Le esperienze precedenti in Germania e a Verbania si sono concluse con gravi incidenti e buchi nei conti.

A guardarlo da via di Ponte Galeria l’impianto di gassificazione di rifiuti dell’avvocato Manlio Cerroni è un’imponente cattedrale, con un certo tocco futurista. “Per Roma vogliamo una Ferrari, non una mille e cento”, commentò con una certa enfasi l’avvocato monopolista dei rifiuti qualche anno fa.  Cristalli, acciaio, struttura lanciata. Un vestito decisamente moderno per una tecnologia che ha una lunga, complessa e incredibile storia: tanti problemi – anche gravi – nei pochi precedenti in Europa. Con un fantasma che aleggia sul gassificatore destinato a bruciare i rifiuti romani, un nome che fa tremare i polsi agli ambientalisti: Karlsruhe, città tedesca dove un impianto simile – e sul concetto di simile si gioca il futuro di questa tecnologia – ha chiuso i battenti nel novembre del 2004, con 500 milioni di euro di perdita e tanti, tantissimi problemi. Un impianto – raccontano i giornali tedeschi dell’epoca – che rischiava di avere incidenti gravissimi, sfiorando in almeno un caso l’esplosione.
Ottobre 2011, Cerroni spegne l’inceneritore. Partiamo dalla fine, dell’ultima puntata di una vicenda intricata, dove si incrociano brevetti svizzeri, esperimenti italiani e acciaierie giapponesi. L’inceneritore di Roma è fermo da dieci mesi. Dallo scorso ottobre non produce più un solo kilowatt di energia, con le linee di alimentazione vuote, nonostante l’enorme quantità di rifiuti che ogni giorno affluiscono nel sito di Malagrotta, a poche decine di metri. Un fermo “amministrativo”, si dice più o meno ufficialmente in giro, in attesa di completare l’intero impianto con altre due linee, anche se i due anni di sperimentazione hanno dato non pochi grattacapi ai tecnici.
Da ottobre i quasi cento dipendenti della società svizzera incaricata da Cerroni per la conduzione dell’impianto sono senza stipendio e – seppur ufficialmente in cassa integrazione – senza un solo euro di ammortizzatori sociali. La 7-Hills, il gruppo con casa madre a Lugano, nel Canton Ticino, che aveva le chiavi dell’impianto, è oggi – almeno in Italia – una scatola vuota. Alla sede legale registrata presso la Camera di commercio di Roma, nel centrale quartiere Prati, c’è solo uno studio di avvocati specializzati in diritto ambientale. Quando nei mesi scorsi sono arrivate le lettere dei legali dei lavoratori chiedendo il pagamento degli stipendi, la risposta è stata secca: la sede non è più qui, dovete cercare altrove. Vuoti gli uffici che li ospitavano a Malagrotta: “Qui non c’è più nessuno della  7-Hills, non sappiamo dove sono”, spiegano i vigilantes.
Eppure il nome della società è un punto chiave per capire cosa succede nell’impianto di incenerimento di rifiuti di Manlio Cerroni, quando Roma si trova ad un passo dall’emergenza.
Thermoselect? No, “Thermodefect”. L’impianto di Karlsruhe in Germania venne realizzato utilizzando un brevetto svizzero, detenuto dalla società – poi fallita – Thermoselect. Quasi dieci anni prima questa tecnologia era stata sperimentata a Verbania. Fu un vero disastro: la magistratura si accorse che le acque risultavano altamente contaminate e sequestrarono l’intera area. Dopo un processo che portò alla condanna della dirigenza della società – con un coinvolgimento iniziale dell’allora direttore del ministero dell’ambiente Corrado Clini, poi prosciolto dai giudici romani – quel primo impianto sperimentale venne definitivamente chiuso e abbattuto.
L’esperimento tedesco non ebbe migliore fortuna. Le cronache parlano di rischi di esplosione, contaminazione delle acque e, soprattutto, di costi gestionali stratosferici. In sostanza la conduzione dell’impianto di gassificazione consumava più soldi che rifiuti. In un arbitrato seguito alla vicenda, le autorità svizzere hanno scritto, nero su bianco, il loro giudizio sulla vicenda: “Non è stata fornita la prova del concreto funzionamento dell’impianto (…) e il buon funzionamento dell’impianto attualmente in costruzione a Karlsruhe non poteva essere dimostrato”. Nel 2004 la vicenda si conclude definitivamente e per la Thermoselect iniziano i guai finanziari.
Uno dei manager del gruppo svizzero, Carlo Riva, decide di riprendere gli affari nel campo con una società apparentemente non legata a questa tecnologia. Spunta così il nome della 7-Hills, ovvero “sette colline”, qualcosa che – curiosamente – richiama i sette colli di Roma. Ed è proprio questa la società che un paio di anni dopo progetta e realizza il gassificatore di Malagrotta, grazie ad un contratto con la Colari dell’avvocato Cerroni. Nel 2008, una volta chiuso il cantiere, è sempre la 7-Hills ad essere incaricata della conduzione dell’impianto, come si legge nel contratto firmato il 13 gennaio 2009 tra l’avvocato Manlio Cerroni e l’ingegner Riva, ex Thermoselect. Ed è questa società che lo scorso ottobre lascia i dipendenti senza stipendio e – di fatto – senza ammortizzatori sociali, facendo perdere le proprie tracce in Italia.
Una tecnologia sospetta. I dirigenti del gruppo Colari assicurano che l’impianto di Malagrotta ha subito modifiche sostanziali rispetto al brevetto Thermoselect. L’ingegner Mauro Zagaroli che nel 2003 presentò in un convegno insieme a Carlo Riva – futuro amministratore della 7-Hills e all’epoca dirigente della stessa Thermoselect – la tecnologia in uso a Karlsruhe, oggi si dice sicuro sulla differenza sostanziale tra l’impianto romano e quello tedesco. Lo ha scritto anche nel progetto per un impianto gemello che Cerroni, insieme ad Ama e ad Acea, vuole realizzare ad Albano: “E’ una tecnologia giapponese, usata in diversi impianti in Giappone”, spiega a ilfattoquotidiano.it. In altri documenti il gestore dei rifiuti romani richiama apertamente il gruppo nipponico Jfe, nato all’inizio degli anni 2000. Ma i conti qui non tornano. In diversi documenti tecnici della Jfe si fa apertamente riferimento al brevetto della Thermoselect che la società giapponese acquistò una decina di anni fa. Non solo: la stessa Thermoselect – contattata da ilfattoquotidiano.it – cita come esempi di impianti, che ancora oggi utilizzano la tecnologia sperimentata a Verbania e a Karlsruhe, “sette impianti, tutti localizzati in Giappone”. Gli stessi ingegneri che gestivano l’impianto di Malagrotta per conto della 7-Hills ammettono senza tanti problemi che quell’impianto “utilizzava la tecnologia Thermoselect”, anche perché la 7-Hills – che ha progettato, realizzato e condotto per due anni l’impianto di Malagrotta – “aveva tra i dirigenti ex manager della Thermoselect”.
Tutti gli inceneritori dell’avvocato. Per Manlio Cerroni questo particolare tipo di inceneritori è un vero pallino. Un impianto simile lo aveva proposto – senza successo – nel 2006 a Mediglia, in Lombardia. Nel 2007 ha presentato un progetto per il gassificatore di Albano Laziale, la cui costruzione dovrebbe iniziare nei prossimi mesi. E, sempre a Malagrotta, si prepara ad avviare la realizzazione di altre due linee, basate sulla stessa tecnologia (fatto salve alcune modifiche, che i tecnici ritengono “non sostanziali”). In tutti questi casi il nome Thermoselect non è mai stato pronunciato, sapendo benissimo che i precedenti erano impresentabili. Rimangono da chiarire i troppi legami con la tecnologia svizzera che creò tantissimi problemi a Verbania e Karlsruhe e, non da ultimo, la vicenda 7-Hills. Una spada di Damocle sulla gestione dei rifiuti a Roma, con il rischio che alla fine tutto continui a finire nelle discariche e che la capitale si ritrovi circondata da impianti il cui buon funzionamento non trova, al momento, precedenti nell’Unione europea. 

domenica 26 agosto 2012

Voi siete qui - Finger food per tutti. Ma chi paga? - Alessandro Robecchi



Ogni riga un piccolo brivido, ogni capoverso una vertigine. 
Leggere sui giornali governativi (cioè più o meno tutti) la cronaca del consiglio dei ministri dell’altro giorno è stato un viaggio – a tratti divertente, a tratti deprimente – in un magistrale teatrino dell’assurdo. Tralasciamo qui per carità di patria il provincialissimo ricorso alla lingua inglese, cioè le elucubrazioni sulla spending review (trad: tagli), sull’informal time (trad: Monti si leva la giacca) e sull’ordine alle cucine di procurare per tutti finger food (trad: panini). 
Passiamo invece alla sostanza. 
Il consiglio dei ministri, ribattezzato “seminario”, doveva verificare i numerosi dossier preparati dai vari ministri. In pratica numerose proposte di azione “per la crescita”, contenute in cartelline colorate, che ognuno ha potuto illustrare aspettando la chiosa del ministro Grilli, variabile da “Non ci sono risorse” a “Non facciamo annunci avventati”. Insomma, a leggere le cronache, un lungo rosario di “intenzioni”, “progetti allo studio”, “valutazioni”, “studi di fattibilità”. 
Tutto un campionario di “si potrebbe”, tutto un florilegio di “pensiamoci”, di “verifichiamo”, di “monitoriamo”, che in qualsiasi riunione di redazione, o consiglio di amministrazione, o consesso decisionale verrebbe chiamato col suo vero nome: “fuffa”. 
Esilarante poi, come sempre, l’intervento del ministro Fornero che avanza due proposte. La prima: “Abbassiamo il cuneo fiscale per i giovani anche se capisco che le risorse sono limitate”. Traduzione: sarebbe bello ma non si può. La seconda (occhio, siamo al capolavoro): “Monitoriamo come la riforma del lavoro influisca sull’occupazione”. Traduzione: tutti quelli sani di mente ci hanno detto che questa riforma produrrà povertà e disoccupati, mah, ora che l’abbiamo fatta a colpi di fiducia, vediamo se è vero. Poi, finito il seminario, uno se ne va a far passerella dai ciellini, uno stacca, un altro prende congedo, qualcuno, si suppone, spazzola gli avanzi del finger food. Ah, dimenticavo: ci vorranno più privati alle Poste, nella cultura e nella sanità. Ma chi l’avrebbe mai detto, eh?

http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201208/voi-siete-qui-finger-food-per-tutti-ma-chi-paga/

Fassissta!



"Fassissti! Fassissti del web" ha gridato Gargamella Bersani. "Venite qui a darmi dello zombie se avete il coraggio". 

Fatemi capire, se Bersani viene accomunato a uno zombie politico (tesi supportata dalla sua storia passata e recente) è un insulto gravissimo, se invece Bersani considera il MoVimento 5 Stelle alla pari del nuovo Partito Nazionale Fascista è normale dialettica.

A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione. Anni in cui non c'è traccia di leggi sul conflitto di interessi o contro la corruzione. Violante e D'Alema sono stati le punte di diamante del pdl/pdmenoelle. Bicamerale, garanzia delle televisioni a Berlusconi, concessione delle frequenze televisive all'uno per cento dei ricavi. E lo Scudo Fiscale, passato grazie alle assenze dei pidimenoellini? e le decine di volte in cui il governo Berlusconi poteva essere sfiduciato, ma i pdimenoellini erano sempre altrove?


Nel 2007 sono state presentate tre leggi di iniziativa popolare per ripulire il Parlamento dai poltronissimi (massimo due mandati) e dai condannati e per l'elezione diretta degli eletti: non sono mai state discusse. Chi è il fassissta, caro Bersani? Chi ha ignorato 350.000 firme? Quando mi presentai "in carne e ossa" per la segreteria del pdmenoelle mi fu impedito. Chi era il fassissta, caro Bersani? 

Il MoVimento 5 Stelle ha rifiutato ogni rimborso elettorale, il pdmenoelle non ha mollato neppure l'ultima rata dello scorso giugno perché già spesa. 
Chi fa il fassissta con il finanziamento pubblico abolito da un referendum, caro Bersani? Chi voleva il nucleare "pulito" nonostante un referendum contrario? Io ho girato l'Italia con un camper, a mie spese, per fare campagna elettorale. 
Senza scorta. 
La Finocchiaro con la scorta ci fa la spesa e Fassino il primo maggio. 
Chi è il fassissta, caro Bersani? Lei ha ricevuto 98.000 euro da Riva, il padrone dell'ILVA, a che titolo? 
Chi è il fassissta, caro Bersani? 
Ma si rassicuri, lei non è un fascista. E' solo un fallito. Lo è lei insieme a tutti i politici incompetenti e talvolta ladri che hanno fatto carne da porco dell'Italia e che ora pretendono di darci anche lezioni di democrazia. Per rimanere a galla farete qualunque cosa. A Reggio Emilia si celebra Pio La Torre mentre si tratta con l'Udc di Cuffaro. Amen.

http://www.beppegrillo.it/2012/08/fassissta.html

Legge elettorale, Cicchitto: “Un terzo dei parlamentari con liste bloccate”. - Fabio Amato




Il capogruppo alla Camera del Pdl 'confessa': "I partiti hanno fatto un pessimo uso delle liste bloccate, ma senza di esse una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento". E sulla legge elettorale Buttiglione attacca: "E' pronta da prima dell'estate, ma nella pantomima del bipolarismo non si può dire".

Nella prossima legislatura i big dei partiti torneranno tutti a sedere comodamente sugli scranni del Parlamento. Esattamente come è successo con il Porcellum, così accadrà con la nuova legge elettorale, quale che sia. A dirlo, per una volta, non sono i retroscena di palazzo, ma direttamente il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, in una intervista pubblicata sul Mattino: “Un terzo dei parlamentari va scelto dai partiti con i listini bloccati – spiega Cicchitto – certo, delle liste bloccate i partiti hanno fatto pessimo uso, ma senza di essi una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento. Serve equilibrio, non demagogia”.
Giù il velo dell’ipocrisia, Cicchitto ‘confessa’: c’è una intera oligarchia politica che non può permettersi di rimanere a casa solo perché gli elettori non la vogliono più vedere. E pazienza se questo permetterà di mettere in Parlamento le Minetti di turno. Per il resto, il capogruppo del Pdl si mostra “cauto” sull’accordo per la legge elettorale. “Il filo del dialogo non si è mai interrotto ma su alcuni punti qualificanti esistono più opzioni: se il premio andrà al primo partito, come chiediamo noi del Pdl, o alla coalizione, come vuole il Pd, e di che entità sarà, se del 10% o del 15%. Poi, preferenze o collegi oppure una soluzione intermedia tra queste due ipotesi”.
Proprio questi sembrano essere, allo stato, i nodi della trattativa tra i partiti. Un filo, stando alle parole del Pd Enrico Letta, sempre sul punto di interrompersi ma tenuto insieme dal duro lavoro di mediazione: “Se non si cambia la legge elettorale ora – ha dichiarato il vice di Bersani –  il prossimo Parlamento sarebbe l’agonia della Seconda Repubblica. Invece, il prossimo Parlamento deve essere l’inizio della Terza Repubblica. E questo può avvenire solo con un Parlamento eletto dai cittadini”.
Dopo l’ottimismo della scorsa settimana – “l’accordo è vicino, a breve l’annuncio” – il numero due del Pd torna a dubitare per invocare la responsabilità del trio ABC: ”Serve la buona volontà dei partiti maggiori a seguire l’appello di Napolitano. Lo ha detto con forza in questi mesi, richiamando il tema dell’interesse generale. La nuova legge elettorale è per il bene del Paese e serve a recuperare credibilità politica. Ci siamo vicini, ma ognuno deve fare la sua parte”.
A gelare la retorica di Letta di fronte ai microfoni di Tgcom 24, è però intervenuto un altro ex democristiano, l’ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione. Ieri compagno di partito, poi nemico, oggi e domani quasi sicuramente alleato dello stesso Partito democratico, Buttiglione ha buttato acqua sul sacro fuoco della responsabilità politica che da mesi viene continuamente invocato ogni volta che si parla della transizione dal Porcellum a una nuova legge. 
L’accordo sulla legge elettorale – ha svelato Buttiglione – “è pronto da prima dell’estate”, ma non si dice perché in Italia “è ancora in piedi la pantomima del bipolarismo, un sistema per cui gli accordi non si fanno o, se si fanno, bisogna disprezzarli o attaccarli con odio. Una mentalità malata da cui bisogna uscire”. In un’intervista al Mattino, il presidente dell’Udc ha descritto nei dettagli – molti dei quali a dire il vero noti da giorni – i contorni dell’accordo:  “Il sistema elettorale sarà di base proporzionale – spiega Buttiglione – con uno sbarramento nazionale al 5% e all’8% in tre circoscrizioni, premio al primo partito, un terzo di liste bloccate e due terzi di preferenze o collegi”.
Buttiglione ha anche escluso l’ipotesi di elezioni anticipate, “a meno che non venga sconfitta in Europa la linea Monti-Draghi-Hollande-Merkel”. Quanto alla grande coalizione, “molto dipende dal sistema elettorale. Se passa quello di cui abbiamo parlato, che favorisce le aggregazioni ma non le impone, a meno che non vinca nettamente un’alleanza di centrodestra o una di centrosinistra, vorrà dire che è il popolo sovrano a volerla”, dichiara. “Molti che nel loro cuore la vogliono, nel Pd come nel Pdl, ma a parole la negano, sanno che è la sola soluzione possibile. Solo con il Porcellum o con un Super-Porcellum si potrebbe evitarla”.
Con questo sistema, quindi, l’unico nodo resta quello dell’entità del premio da assegnare al primo partito. Il Pd, al momento confortato dai sondaggi che lo vedono attorno al 25-27%, in vantaggio netto sul Pdl, spinge per ottenere un premio del 15% (o più) che garantirebbe controllo su una eventuale coalizione con Udc e Sel e la speranza di avere una maggioranza. Il Pdl vorrebbe mantenerlo più basso, tra il dieci e il 12%, rendendo in questo modo indispensabile un continuo accordarsi delle forze politiche. Con buona pace dei proclami di Alfano - “Silvio vuole vincere e governare” – buoni per dare una idea di competizione.
Del resto, i numeri – che i partiti conoscono a memoria – dicono che con l’attuale grado di sfiducia nei confronti della classe politica, con il nuovo sistema “alla greca” formare una maggioranza in parlamento sarebbe impresa ardua. Il Pd – dicono gli ultimi dati dell’Istituito Cattaneo pubblicati dalla Stampa – ci riuscirebbe solo con una alleanza con Sel e Udc. Solo in questo modo si garantirebbe una quarantina di seggi di vantaggio sull’opposizione. Ma questo renderebbe indispensabile una pace permanente tra centro e sinistra che al momento non si vede. Il centrodestra, di contro, ha tutto da guadagnare da un premio più basso – con buona pace della governabilità – che agirebbe da richiamo della sirena per riportare l’Udc verso il centrodestra. Di certo, numeri alla mano, nessun partito potrà cavarsela da solo. 

Shell: spesi 383 milioni per pagare illegalmente polizia e milizia nigeriana. - Federica Geremia




Una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo, nonché la principale per ricavi, sembra avere grossi problemi di "sicurezza".

Infatti, la spesa di 4 milioni e mezzo per attrezzarsi nella trivellazione dell'Alaska è stata pressoché inutile dato che una piattaforma ha perso l'ancoraggio finendo quasi col toccare le coste della baia di Dutch. E nonostante la Shell abbia minimizzato sull'accaduto, le associazioni ambientaliste hanno imbastito una campagna mediatica mettendo profondamente in ridicolo l'azienda.
Ma il fatto più grave è emerso recentemente quando la Ben Amunwa di Platform, un'associazione londinese che monitora le compagnie petrolifere, ha scoperto che la Shell avrebbe speso 383 milioni in tre anni per "finanziare" polizia e militari nigeriani.
Infatti, tale ricerca ha fatto emergere che la compagnia avrebbe distribuito somme di denaro da 65 milioni direttamente nelle mani degli interessati, favorendo il dilagare della corruzione e degli abusi in un paese dove le forze dell'ordine hanno la fama di non rispettare i diritti umani.
Inoltre, i soldi in questione sarebbero molti di più di quelli spesi dalla compagnia in beneficio alle popolazioni colpite delle sue attività fortemente inquinanti.
Quindi, la dichiarazione fatta dal gruppo stampa dell'azienda che afferma di investire quasi il 40% del suo budget da 1 milione di dollari per la sicurezza degli impianti in Nigeria, pare del tutto infondata.
Detto questo, pare che la Shell abbia grandi responsabilità rispetto alla guerriglia interna che persiste nello stato africano, dato che sembra intrattenere relazioni con le autorità fin dal 1995.
Le associazioni locali confermano, e ora la Shell non potrà fare altro che dare spiegazioni.
Fonte: Reuters


Read more: http://it.ibtimes.com/articles/34838/20120821/shell-nigeria.htm#ixzz24fP3HQiV

Uragani: Isaac punta su Florida; a Haiti 1 morto e 5000 evacuati.

Uragani: Isaac punta su Florida; a Haiti 1 morto e 5000 evacuati

(AGI) - Port-au-Prince, 25 ago. - Un morto e 5000 persone evacuate: e' questo il bilancio del passaggio su Haiti e sulla Repubblica Dominicana della tempesta tropicale Isaac che si sta ora dirigendo su Cuba per poi raggiungere domani, forse in veste rafforzata di 'uragano', la costa della Florida. Secondo il centro statunitense degli uragani la tempesta ora si troverebbe a circa 65 chilometri a est di Guantanamo e a circa 615 chilometri da Nassau, nelle Bahamas. Isaac ha toccato terra stamane a Haiti a ovest della capitale Port-au-Prince. Il Paese caraibico, ancora alle prese con le conseguenze del devastante terremoto del 2010, e' stato investito da venti da 110 chilometri orari e da piogge torrenziali. Il presidente haitiano, Michel Martelly, che ha annullato una visita in Giappone per seguire da vicino le conseguenze, ha visitato alcuni rifugi di Port-au-Prince per distribuire viveri e coperte e il governo ha assicurato di essere pienamente mobilitato per fronteggiare l'emergenza. Intanto la Florida, dove lunedi' a Tampa e' in programma la convention del partito repubblicano, ha dichiarato lo Stato di emergenza. Il vicepresidente americano Joe Biden ha gia' annullato la sua visita e al momento e' confermato solo il programma di martedi' in altre due citta' dello Stato-chiave del sud degli Usa, Orlando e St. Augustine, salvo "cambiamenti legati alle condizioni atmosferiche".

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201208251929-ipp-rt10103-uragani_isaac_punta_su_florida_a_haiti_1_morto_e_5000_evacuati