martedì 28 agosto 2012

Langone: se l’uomo uccide la “puttana” che ama. - Luisa Betti




Facciamo un passo indietro. Daniele Ughetto Piampaschet, di Giaveno (Torino), 34 anni, è l’uomo che è stato fermato e arrestato dai carabinieri qualche giorno fa per l’omicidio di Anthonia Egbuna, 20 anni, giovane prostituta nigeriana, il cui corpo è stato ritrovato il 26 febbraio scorso vicino a una diga sul fiume Po, a San Mauro Torinese. “Secondo l’accusa sarebbe stato lui a gettarla nel fiume a conclusione di una tormenta relazione”, ha scritto il Corriere della sera nella ricostruzione dei fatti, perché si dà anche il caso che Daniele Ughetto Piampaschet abbia raccontato esattamente la stessa storia nel suo libro “La rosa e il leone” in cui descrive una prostituta nigeriana che ha una relazione con un italiano e che alla fine viene uccisa dall’uomo perché deluso. Per questo Daniele Ughetto Piampaschet è stato fermato e interrogato dal pm Sandro Destito che ne ha chiesto l’arresto “per omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere”. “L’autopsia ha accertato – scrive il Corsera – che il decesso è avvenuto a seguito di numerose e profonde ferite da arma da punta o taglio inferte al capo, al collo e alle mani, alcune delle quali erano, senza alcun dubbio, ferite da difesa. La donna ha lottato per sottrarsi al suo aguzzino che dopo averla uccisa l’ha scaraventata nel fiume. A suo tempo il medico legale aveva accertato che la morte risaliva ad almeno 3-4 settimane prima del ritrovamento del cadavere. E questo ha reso particolarmente laborioso il riconoscimento delle impronte”. Daniele Ughetto Piampaschet era poi partito per Londra, ma è bastato un suo breve rientro in Italia per essere fermato. TM News scrive che “I due si erano conosciuti nel febbraio 2011, iniziando una stretta relazione. L’uomo aveva da tempo una profonda passione per l’Africa, in particolar modo per la Nigeria e per il suo popolo, e frequentava in Italia il mondo della prostituzione nigeriana, tutti elementi che ricorrono nel suo racconto La rosa e il leone”. Per gli investigatori Anthonia Egbuna aveva deciso di troncare con Daniele alla fine di agosto 2011 e in novembre si registra l’ultima conversazione telefonica tra i due. Se questo fosse il movente di questo omicidio, come pare, saremmo dunque davanti a un femminicidio in piena regola (siamo quasi a 100 dall’inizio dell’anno in Italia), dove il presunto assassino avrebbe ucciso la giovane per l’ennesimo “no” della donna che ha scatenato non il raptus, non la passione, ma la violenza omicida dell’uomo che, perso il possesso e il controllo sulla donna (e non su se stesso), l’ha eliminata fisicamente e in maniera cruenta, portandosi l’arma con sé all’incontro.
Sul femminicidio di Egbuna, oltre ai diversi articoli di cronaca, non ha fermato la sua penna il giornalista Camillo Langone, che mesi fa fece già scalpore con un altro articolo – criticato su questo blog – e pubblicato su “Libero”, in cui sosteneva che siccome le donne non fanno più figli perché studiano e vanno a scuola, la cosa si poteva risolvere facendo stare le stesse a casa. Questa volta però Langone sul Foglio fa qualcosa di più: in quattro righe ricalca e sostiene il peggio degli stereotipi riguardo le donne e il corpo femminile. Primo tra tutti – e più grave in un momento in cui in Italia vengono uccise una donna ogni tre giorni – quello del delitto passionale per cui la ragazza, che il giornalista chiama “puttana”, sarebbe stata uccisa “per amore”: un attenuante (come lo era per il delitto d’onore in Italia fino al 1981) per cui Langone chiede che “venga comminata una pena mite perché chiaramente aveva perso la testa”, invocando una preghiera “per tutti noi maschi che al buio non capiamo più niente”. Una carità cristiana nei confronti di un presunto assassino che ha come retroterra culturale l’arcaica convinzione che se un uomo uccide la partner il reato è meno grave e che quindi la violenza all’interno di una relazione intima sia più accettabile. Figuriamoci se poi riguarda delle “puttane” e per giunta “negre”, come le chiama lui.
Forse però Langone ignora che la forma di femminicidio che accomuna tutte le donne del mondo, al di là del colore della pelle e al di là del loro mestiere, è proprio l’uccisione nell’ambito della relazione d’intimità (che è il 70% in Europa). Ignora poi sicuramente che la stessa relatrice speciale dell’Onu, Rashida Manjoo, ha fatto notare a Ginevra –  il 25 giugno 2012 durante la 20a sessione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite – “una certa ipocrisia in chi continua a definire gli omicidi basati sul genere come delitti passionali in Occidente e delitti d’onore a Oriente”, in quanto, qualsiasi sia la forma in cui si manifestino, “Non si tratta di incidenti isolati che accadono all’improvviso, inaspettati, ma rappresentano piuttosto l’ultimo atto di un continuum di violenza”. Una ignoranza dei giornalisti che l’Onu sottolinea nel suo “Rapporto tematico sul femminicidio”, condannando i media che spesso, nel riportare delle uccisioni di donne, “hanno perpetuato stereotipi e pregiudizi”, una condanna cui l’articolo di Langone – e non è il solo – non si sottrae ma ne è grave esempio.
Detto ciò, ma non contento, il giornalista sul Foglio conclude la sua preghiera chiamando queste donne “negre” ma anche “battone” e “baldracche”, e sostenendo poi che tu, uomo che perdi la testa per una così di notte, poi te “la porteresti a pranzo nel tuo ristorante abituale? O da tua mamma?”. Non so le sue abitudini personali, ma Camillo Langone è un giornalista e Il Foglio è il giornale che ha pubblicato questo pezzo “di riflessione”, e anche qui (ma non mi stupisco) direttori e caporedattori silenti e quindi consenzienti: forse l’Ordine dei giornalisti potrebbe farsi sentire?

"All'Italia mazzette sull'atomo". di Stefania Maurizi



In un cablo segreto spedito a Washington, l'ambasciatore americano rivela che 'alti ufficiali' dell'esecutivo di Berlusconi avrebbero preso tangenti per comprare tecnologie e centrali francesi.

All'inizio è solo un timore, poi si trasforma in più di un sospetto: la rinascita del nucleare in Italia è condizionata dalle tangenti. Un'ipotesi circostanziata, messa nero su bianco in un rapporto del 2009 per il ministro dell'Energia di Obama, Steven Chu. Negli oltre quattro mila cablo dell'ambasciata americana di Roma la parola corruzione compare pochissime volte e in termini generici. Quando invece si parla delle nuove centrali da costruire, allora i documenti trasmessi a Washington diventano espliciti, tratteggiando uno scenario in cui sono le mazzette a decidere il destino energetico del Paese. 

Nel momento in cui il devastante terremoto giapponese obbliga il mondo a fare i conti con i rischi degli impianti e lo spettro di una colossale contaminazione, i documenti ottenuti da WikiLeaks che "l'Espresso" pubblica in esclusiva permettono di ricostruire la guerra nucleare segreta che da sei anni viene combattuta in Italia. 

Uno scontro di Stati prima ancora che di aziende, per mettere le mani su opere che valgono almeno 24 miliardi di euro e segneranno il futuro di generazioni. Francesi, russi e americani si danno battaglia su una scacchiera dove si confondono interessi industriali, politici e diplomatici: cercano contatti nel governo, nei ministeri, nei partiti e nelle aziende. Per riuscire a conquistare quello che appare il mercato più ricco d'Europa. E lo fanno - secondo i dossier statunitensi - senza esclusione di colpi.

LA FENICE ATOMICA
 
Gli americani cominciano a muoversi nel 2005, quando con una certa sorpresa scoprono che l'energia nucleare sta risorgendo dalle ceneri del referendum del 1987. Per gli Usa si tratta di un'occasione unica: lo strumento per allontanare l'Italia dalla dipendenza nei confronti del gas russo, l'arma più potente nelle mani di Vladimir Putin. La questione diventa quindi "prioritaria" per l'ambasciata di Roma, che si muove verso due obiettivi: convincere i politici a concretizzare il programma atomico e far entrare nella partita i colossi americani del settore. Complici il prezzo sempre più alto degli idrocarburi, i rincari delle bollette e le promesse di sicurezza dei reattori più avanzati, gli italiani sembrano sempre meno ostili al nucleare. E il governo di Silvio Berlusconi non mostra dubbi su questa scelta. Più difficile - scrivono nel 2005 - convincere il centrosinistra che "si oppone largamente all'idea. Comunque, i nostri contatti sostengono che, anche se dovesse tornare al governo, il rinnovato impegno dell'Italia nei programmi nucleari non si fermerà". 


La componente verde della maggioranza di Romano Prodi si oppone a ogni programma. Il ministro Pier Luigi Bersani invece apre alle sollecitazioni statunitensi e nel 2007 spiega all'ambasciatore che "l'Italia non è fuori dalla produzione di energia nucleare, l'ha solo sospesa", per poi riconoscere che "carbone pulito e nucleare probabilmente giocheranno un ruolo importante nell'assicurare i bisogni del futuro". Lo stesso Bersani che in questi giorni, dopo la crisi nipponica, è stato pronto a condannare "il piano nucleare del governo".

Lo scontro più feroce però è quello che avviene per costruire i futuri impianti: almeno sei centrali, ciascuna del costo di circa 4 miliardi. Si schierano aziende-Stato, che sono diretta emanazione dei governi e godono dell'appoggio di diplomazie e servizi segreti. In pole position i francesi di Areva, quasi monopolisti nel Vecchio continente dove hanno aperto gli unici cantieri per reattori di ultima generazione: hanno 58 mila dipendenti e 10 miliardi di fatturato l'anno. E anche i russi, che nonostante Chernobyl continuano a esportare reattori in Asia, cercano di partecipare alla spartizione della torta. Negli Usa ci sono Westinghouse e General Electric che "sono interessate a vendere tecnologia nucleare all'Italia, ma si trovano a dover affrontare una dura competizione da parte di rivali stranieri i cui governi stanno facendo una pesante azione di lobbying sul governo italiano". 


L'allerta diventa massima nel 2008, quando Berlusconi assicura agli Usa che stavolta il suo esecutivo "rilancia sul serio il settore. Se andranno davvero avanti, ci saranno contratti per decine di miliardi". Con una minaccia: "Vediamo già un'azione di lobbying ad alto livello da parte dei leader del governo inglese, francese e russo". I colloqui con il consigliere diplomatico del ministro Claudio Scajola, Daniele Mancini, "suggeriscono che i francesi e i russi stanno già manovrando e facendo lobbying per i contratti". Ed ecco la previsione: "La corruzione è pervasiva in Italia e temiamo che potrebbe essere uno dei fattori che dovremo affrontare andando avanti". L'avversario è Parigi, che può sfruttare gli intrecci economici tra Enel ed Edf per stendere la sua trama. "Temiamo che i francesi abbiano una corsia preferenziale a causa della loro azione di lobbying ai più alti livelli e a causa del fatto che le compagnie che probabilmente costruiranno gli impianti in Italia hanno tutte un qualche tipo di French connection. Continueremo i nostri energici sforzi per garantire che le aziende americane abbiano una giusta chance".

Pochi mesi dopo i francesi danno scacco: Sarkozy e il Cavaliere firmano l'accordo che assegna ad Areva la costruzione di quattro reattori modello Epr in Italia. Siamo a febbraio 2009, la diplomazia statunitense vuole impedire che il successo di Parigi si trasformi in scacco matto. E intensifica gli sforzi per occupare gli spazi rimasti, ossia la fornitura di almeno altre due centrali. A maggio arriva a Roma il Mister Energia di Obama, Steven Chu. 

L'ambasciata lo mette in guardia: "L'intensa pressione dei francesi, che forse comprende tangenti ("corruption payment") a funzionari del governo italiano, ha aperto la strada all'accordo di febbraio tra le aziende parastatali italiana e francese, Enel e Edf, in modo da formare un consorzio al 50 per cento per costruire centrali in Italia e altrove. L'intesa prevede la costruzione di quattro reattori dell'Areva entro il 2020 e, cosa ancora più preoccupante, può imporre quella francese come tecnologia standard per il ritorno dell'Italia al nucleare". 


Gli americani ipotizzano che dietro la scelta degli standard a cui affideremo il nostro futuro e la sicurezza del Paese ci possano essere state bustarelle. E chiedono al ministro per l'Energia: "Dovrebbe far presente che abbiamo preoccupanti indicazioni del fatto che alle aziende americane sarà ingiustamente negata l'opportunità di partecipare a questo programma multimiliardario". L'ambasciata è molto decisa nel delineare un contesto di scorrettezza. Il promemoria scritto da Elizabeth Dibble, all'epoca reggente della sede di Roma oggi diventata consigliera di Hillary Clinton, insiste: "E' anche molto importante che ricordi al governo italiano che ci aspettiamo pari opportunità per le nostre aziende, visto quello che abbiamo notato fino a oggi nel processo di selezione". 

RUSSIA? NO GRAZIE.
 
Alla fine del 2008 gli Usa ritengono che Berlusconi stia per annunciare un accordo per il nucleare anche con Mosca. Ma uno degli uomini chiave del ministero dello Sviluppo Economico, Sergio Garribba, rassicura gli americani e "ridendo" spiega la reale natura della collaborazione atomica con i russi: "E' una barzelletta, solo pubbliche relazioni". L'ambasciata scrive che l'alto funzionario "probabilmente ha ragione: gli italiani nel 1987 hanno chiuso il loro programma in risposta a Chernobyl...". Ma non si fidano completamente "visti gli stretti rapporti tra Berlusconi e Putin". E temono che comunque la coalizione tra Eni e Gazprom per il gas, che alimenta anche le centrali elettriche, si trasformerà in un muro per ostacolare il nucleare. "Si dice che l'Eni stia facendo una dura azione di lobbying contro la riapertura della partita da parte di Enel", registra nel 2005 l'ambasciatore Sembler, "perché ridurrebbe sia il mercato di Eni che la sua influenza politica". Anche se le resistenze più forti verranno dal nimby, l'opposizione delle comunità locali ai nuovi reattori. "L'Italia è una penisola lunga e stretta, con una spina dorsale di catene montuose e con coste densamente popolate. Il numero dei siti dove costruire impianti è limitato... Se continua a decentralizzare i poteri alle regioni attraverso le riforme costituzionali - sostengono i nostri contatti - un revival nucleare sarà veramente improbabile". Forse per questo, in tempi più recenti, l'ambasciata "programma" di contattare anche il leghista Andrea Gibelli, che presiede la commissione Attività produttive della Camera.


LA QUINTA COLONNA. 
Nei ministeri di Roma la battaglia nucleare si combatte stanza per stanza. Gli americani cercano di avere referenti fidati negli uffici chiave e ogni nomina viene analizzata. Nel 2009 guardano con diffidenza ai tre tecnici italiani designati per il G8 dell'energia: "Uno attualmente lavora per la potente Eni". Fino ad allora, si erano spesso rivolti a Garribba, "uno dei grandi esperti di energia, consulente tecnico del ministro Scajola": è definito "uno stretto contatto dell'ambasciata". Ma nel 2009 temono di venire tagliati fuori. Nella gara per la direzione del dipartimento Energia del ministero, Garribba viene battuto da Guido Bortoni, "un tecnocrate poco noto che attualmente sta all'Autorità per l'Energia. Avendo lavorato 10 anni all'Enel, Bortoni potrebbe ancora avere legami stretti con l'azienda e gli investimenti comuni tra Enel e l'industria nucleare francese ci fanno preoccupare che Bortoni possa portare questa preferenza per la tecnologia francese nella sua nuova posizione". Ad aumentare i loro timori c'è "la dottoressa Rosaria Romano, che guiderà la divisione nucleare del nuovo dipartimento energia": un fatto "potenzialmente preoccupante" visto che "nel corso degli anni, la Romano ha ripetutamente rifiutato in modo deciso i tentativi dell'ambasciata di incontrarla". Ma i diplomatici americani "stanno già lavorando per assicurare che le nomine di Bortoni e Romano non danneggino gli interessi delle aziende Usa (General Electric e Westinghouse)". 

Nel luglio 2009, il ritorno all'atomo diventa legge. A quel punto, Francesco Mazzuca, presidente dell'Ansaldo Nucleare, azienda genovese del gruppo Finmeccanica e unico polo italiano del settore, consiglia "un impegno ai più alti livelli del governo italiano, in modo da contrastare i continui sforzi di lobbying da parte di Parigi. Mazzuca ha detto che il governo francese sta addirittura aumentando la sua pressione, inviando a Roma un secondo funzionario con portfolio nucleare". Il top manager di Ansaldo ipotizza che il governo Berlusconi potrebbe costruire i nuovi impianti nei siti delle vecchie centrali in corso di smantellamento: Trino Vercellese, Caorso, Latina e Garigliano. E per l'Agenzia di sicurezza nucleare che dovrà vigilare su reattori e scorie, Mazzuca dichiara che la vorrebbe guidata dal professor Maurizio Cumo. Ex presidente della Sogin, in ottimi rapporti con Gianni Letta, nel novembre scorso Cumo è stato nominato dal Consiglio dei ministri come uno dei cinque membri dell'Agenzia guidata da Umberto Veronesi. Cumo è il nome che piace anche a Washington perché "è a favore della tecnologia nucleare Usa". 


Ogni mossa in questa sfida ha ricadute anche sul futuro di tutti gli italiani. Nei cablo non si entra mai nel merito delle tecnologie contrapposte, se siano più sicuri i reattori francesi o americani. Ma l'attivismo dell'ambasciata mette a segno un risultato importante: "Siamo stati capaci di convincere il governo italiano a cambiare una bozza della legislazione sul nucleare che avrebbe lasciato l'approvazione dei certificati per le nuove centrali agli altri governi europei. La nuova versione estende la certificazione a qualsiasi paese Ocse. Questo apre la porta alle aziende americane". In pratica, si passa dagli standard di sicurezza dell'Unione europea a quelli di qualunque membro dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, che comprende 34 nazioni inclusi Giappone, Australia e Usa. 

VIVA SCAJOLA. 
Dal 2009 le attenzioni degli americani si concentrano su Claudio Scajola, "un collaboratore di lunga data di Berlusconi, che guida un superministero". Affidano a Chu il compito di "conquistarlo", sin dal summit romano del maggio 2009. Ma il momento chiave è il viaggio negli States del settembre successivo: "Vediamo questa visita come un'opportunità decisiva per gli Stati Uniti per contrastare la preferenza italiana nei confronti della tecnologia nucleare francese e per aprire le porte a lucrativi contratti per le aziende statunitensi". Scajola accetta anche "l'invito di Westinghouse a fare un tour nei suoi impianti". Lo strumento per fare leva sul ministro è l'Ansaldo Nucleare, la società di Finmeccanica "che ha stretti rapporti con Westinghouse". L'ambasciatore Thorne scrive: "Noi abbiamo saputo che Scajola ha un'altra ragione per appoggiare il coinvolgimento delle aziende statunitensi. L'accordo con la Francia ha tagliato fuori dai contratti le società italiane che vogliono contribuire a costruire le centrali. Una di queste, Ansaldo Nucleare, ha sede nella regione di Scajola: la Liguria. E così se Westinghouse ottiene la sua parte, Ansaldo - azienda della terra di Scajola - ne beneficia. Noi abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile nel nostro sostegno alle aziende Usa. Se Scajola ha anche un interesse locale nel cercare di fare in modo che le ditte americane ottengano commesse, questo è un vantaggio da cogliere e da massimizzare a beneficio degli Stati Uniti". L'interesse statunitense si è tradotto la scorsa settimana nella cessione del 45 per cento di Ansaldo Energia - che controlla Ansaldo Nucleare - al fondo First Reserve Corporation, con un'operazione da 1.200 milioni di euro.


E anche il tour di Scajola negli States del 2009 si è rivelato un successo, con la firma di due accordi di cooperazione con Chu: gli interessi del ministro e di Washington sembrano sposarsi. Il cablo ha toni sollevati: i francesi non sono più "l'unico protagonista ("the only game in town"). Il reattore AP1000 della Westinghouse è diventato un forte concorrente per le centrali nucleari che saranno costruite oltre a quelle proposte dal consorzio Enel-Edf". E una schiera di aziende americane si prepara a sfruttare la breccia nel dicastero di via Veneto: "General Eletric, Exelon, Battelle, Burns and Roe, Lightbridge ed Energy Solutions", elenca Thorne. 

Il database di WikiLeaks si ferma prima del maggio 2010, data delle dimissioni di Scajola per la casa con vista al Colosseo "pagata a sua insaputa". Nelle primissime dichiarazioni, il ministro ligure grida al complotto e comincia la sua lista di sospetti con un riferimento esplicito: "Le mie dimissioni indeboliscono il governo, ma chi può avere interesse a farlo? La Francia, in prospettiva, ha tutto da perdere dal nostro programma nucleare...". Ma se le scelte sul nostro futuro energetico nascono da questi oscuri giochi di potere, a perderci rischiano di essere tutti gli italiani.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/allitalia-mazzette-sullatomo/2147155

Bersani: "Tra Vendola e Casini scelgo Nichi" E a Grillo: "Usa un linguaggio fascista"


Bersani: "Tra Vendola e Casini scelgo Nichi" E a Grillo: "Usa un linguaggio fascista"


Alla Festa democratica di Reggio Emilia, il segretario del Pd parla delle alleanze: "Noi organizziamo il campo del centrosinistra che però deve essere allargato". Al leader M5s: "Vuole seppellirmi vivo? Venga a dirmelo in faccia".

ROMA -  Parte dal caso Grillo, dai "fascisti del web". E si sfoga, Pierluigi Bersani. Conferma, "si tratta di un linguaggio fascista". Parole dure, ribadite malgrado gli attacchi ricevuti. "Rispetto tutti, voglio parlare con tutti". Ma quelle parole rivolte al Pd - "Cadaveri ambulanti", "Zombie" - sono proprie di un linguaggio proprio del fascismo così come "lo abbiamo conosciuto in Italia". Poi le alleanze. Bersani torna sulla strategia del Pd. E mette in chiaro: "Noi organizziamo il campo del centrosinistra" e dunque tra Casini e Vendola "scelgo Vendola". Poi l'invito: "In campagna elettorale usiamo toni civili".

Le alleanze. "Provate a chiedermi chi sceglierei tra Vendola e Casini. Mi tengo Vendola". Così il segretario del Pd arrivando alla Festa democratica di Reggio Emilia. Ai giornalisti Bersani ha spiegato: "L'alleanza noi la facciamo con i partiti del centrosinistra che ci stanno a governare e Casini non è una forza di centrosinistra". E sulla natura di questo schieramento: "Dev'essere aperto a una proposta di legislatura con forze moderate e forze di centro, ma anche forze che vengono dalla società civile". Nel frattempo, però, "ciascuno organizza il suocampo, io organizzo il mio e Casini organizzerà il suo", conclude Bersani.

Il caso Grillo.
 "Rispetto tutti e voglio parlare con tutti, e intendo approfittare anch'io della sacrosanta libertà della rete - afferma il leader democratico - Non insulto nessuno, né tantomeno voglio iscrivere qualcuno al partito nazionale fascista che, per fortuna, non c'è più. Ho detto, e intendo ripetere, una cosa semplice e precisa. Frasi del tipo: 'siete dei cadaveri ambulanti, vi seppelliremo vivi' e così via, sono le frasi di un linguaggio fascista, così come lo abbiamo conosciuto in Italia".  "E' vero o no?", domanda Bersani. "Ci si rifletta un attimo e - aggiunge - si risponda a questo senza divagare, senza deformare quel che ho detto, senza insultare". "E a chi consiglia di lasciar correre per opportunità, o per opportunismo, rispondo - puntualizza - che essere riformisti significa anche piantare qualche chiodo. Non pensando a noi, ma pensando all'Italia".

La campagna elettorale e i toni civili.
 Bersani invita ad abbassare i toni: "Abbiamo davanti una campagna elettorale con una discussione che sarà aspra. Bisogna che la teniamo su toni civili". Ancora: "Io so qual è il mio avversario, dovrò confrontarmi con la destra. Lo faremo con grande energia ma con un linguaggio civile. Non abbiamo nessun timore, abbiamo fiducia in noi stessi. Siamo più forti di quanto si pensi e non ci impressioniamo". Ad alleggerire i toni ci ha pensato poco più tardi Roberto Benigni 2 che proprio dalla polemica con Grillo è partito per il suo intervento alla festa. 

Le primarie. Saranno una grande "opportunità di democrazia". Bersani commenta così la decisione del sindaco di Firenze 3, Matteo Renzi, di candidarsi alle primarie. "Sono apertissimo a un confronto civile e penso che ci aiuteranno ad accumulare energie per la battaglia vera che si annuncia e che sarà difficile, ma abbiamo la forza per vincere".

Le reazioni - Diversi i commenti dal mondo politico sul discorso legato alle alleanze. "Sembra proprio che Bersani abbia aperto un banchetto al mercato. Vendola è ora in pole position, mentre scopriamo che Casini è in lista d'attesa", ha commentato il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. "Bersani è un politico leale - dice invece Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc - , bene ha fatto a ricordare che chi organizza i moderati sta in un altro campo. Con buona pace del Pdl, che con le sue posizioni radicali si sta sempre più avventurando sulla strada del populismo europeo".

lunedì 27 agosto 2012

Alcoa, tre miliardi in 15 anni dallo Stato. Ora fugge in Arabia Saudita. - Salvatore Cannavò


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L'azienda americana, subentrata allo Stato negli stabilimenti sardi della Efim, dal '95 al 2009 ha usufruito di un rimborso sul prezzo dell'energia (pagato dai cittadini in bolletta), poi sanzionato dalla Commissione europea come aiuto di Stato. In assenza di compratori, a settembre la produzione italiana sarà definitivamente fermata. Mentre in Arabia, dove manodopera e energia costano meno apre uno stabilimento da 11 miliardi di dollari.

Quella dell’Alcoa è una classica storia di profitti privati e perdite pubbliche. Una storia di aiuti di Stato e di Stato incapace, di privatizzazioni che alla fine presentano il conto. Come nel caso dell’Ilva. Anche lo stabilimento di Portovesme, in Sardegna e quello di Fusina in Veneto, vengono dalle partecipazioni pubbliche. Si chiamavano Alumix e appartenevano all’Efim, struttura nata per guidare le industrie meccaniche, poi diventato un carrozzone con perdite miliardarie. E così, con la sua liquidazione nel 1995 la produzione di alluminio passa alla multinazionale statunitense, l’Aluminum Company of America, Alcoa, terzo gruppo mondiale, un colosso da 61mila dipendenti nel 2011, 25 miliardi di dollari di fatturato, 614 milioni di utili nel 2011 contro i 262 del 2010
Alcoa, però, comincia nel 2008 a lanciare l’allarme sui costi della produzione in Europa, soprattutto per l’alto costo dell’energia. L’allarme si traduce poi in dramma quando, nel novembre del 2009, arriva la doccia fredda: si chiude, produrre nel Sulcis non è più conveniente. I dipendenti, già allora, mostrano una grande capacità di resistenza e di opposizione alle scelte aziendali. Manifestano per ben due volte a Roma, il 26 novembre dello stesso anno e poi di nuovo a febbraio del 2010 (ancheil Fatto manifesterà con loro, in Sardegna). E riescono a ottenere il ritiro delle decisioni aziendali.
PURTROPPO non è una vittoria perché si tratta soprattutto di una dilazione dei tempi: il governo si impegna di nuovo a garantire provvedimenti di agevolazione nella fornitura di energia elettrica e l’azienda fa buon viso a un gioco che, sotto banco, è sempre più cattivo. Perché le decisioni sono già prese e hanno a che fare con la sanzione che la Commissione europea commina ad Alcoa, e all’Italia, per gli illeciti “aiuti di Stato” concessi nel 2004 e poi nel 2005 dall’allora governo Berlusconi. Aiuti che consistono nel rimborso della salata bolletta elettrica. La storia è poco nota ma è ben spiegata nella decisione della Commissione del 19 novembre 2009 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea. Quando rilevò gli stabilimenti dalla Alumix, Alcoa beneficiò di uno sconto per dieci anni, dal ‘95 al 2005, che non fu catalogato come aiuto di Stato perché si inseriva nel processo di privatizzazione. Nel 2004 e nel 2005 il governo italiano proroga gli aiuti contro i quali, però, si esprime la Commissione che li giudica “illegittimi”. Nel documento pubblico vengono anche indicate le somme che Alcoa riceve, come rimborso, dall’ente pubblico Cassa conguagli: 172 milioni di euro per il 2006, 158 milioni per il 2007, 210 milioni per il 2008 e 16 milioni limitatamente al 31 gennaio del 2009.
Calcolando anche gli anni successivi sarà il ministro Sacconi a parlare di un miliardo di euro di aiuti. Per i dieci anni precedenti si possono così stimare circa 2 miliardi. Alcoa, quindi, per produrre alluminio in Italia ha usufruito di un sostegno dallo Stato di circa tre miliardi. “La tariffa contestata – scrive la Commissione – è sovvenzionata mediante un pagamento in contanti da parte della Cassa conguaglio che è un ente pubblico (…) Le risorse necessarie sono raccolte mediante un prelievo parafiscale applicato alla generalità delle utenze elettriche mediante la componente A4 della tariffa elettrica”. Nonostante queste cifre, la somma che Alcoa è chiamata a restituire è di 300 milioni di euro, ancora non versata.
Quando capisce che però la pacchia è finita – la Commissione inizia il suo procedimento di infrazione nel 2004 – la multinazionale Usa inizia a guardarsi intorno. E, infatti, già a dicembre del 2009 viene siglata l’alleanza con la saudita Ma’aden per la costruzione di un enorme sistema integrato di produzione di alluminio sulla costa orientale dell’Arabia Saudita con un investimento di circa 11 miliardi di dollari. La produzione si trasferisce, quindi, laddove la manodopera e l’energia costano molto di meno.
SIAMO alla fine del 2009. La vertenza si trascinerà per mesi e solo a maggio del 2010 si arriverà a un primo verbale di intesa con il quale il governo italiano, stavolta nel rispetto delle normative europee, garantisce ad Alcoa con il decreto 25 gennaio 2010 la “sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori” consentendo la riduzione del costo del servizio. L’azienda si impegna a mantenere aperta la produzione ancora per qualche tempo. Ma a gennaio del 2012 si ferma di nuovo tutto. Ai sindacati non resta che accettare l’accordo del 27 marzo di quest’anno con il quale l’azienda, in assenza di formali lettere di intenti, si impegna a mantenere la produzione fino al 31 agosto e la fabbrica in funzione fino al 31 ottobre per le operazioni di spegnimento. In presenza di acquirenti, questo limite slitterebbe al 31 dicembre. Ma l’acquirente non si trova. Il fondo Aurelius, l’unico a farsi avanti, si è sfilato il 1 agosto lasciando i lavoratori con la sensazione di essere stati beffati. Potrebbe avviarsi una trattativa con il fondo Klesh o con la multinazionale svizzera Glencore che ha già un sito nel Sulcis. Ma non c’è nulla di concreto. Eppure, la Commissione Attività produttive della Camera ha votato, all’unanimità, una mozione in cui si conferma “la valenza strategica nazionale del settore dell’alluminio” in un Paese in cui la produzione “copre solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i paesi industrializzati”. L’Italia importa quasi il 90 per cento e si priva di stabilimenti che ha già. Appunto, una storia di sprechi e di regali. A una multinazionale Usa che ora va via.
da Il Fatto Quotidiano del 26 agosto 2012

La verità fa male...

Foto: Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.

(George Orwell)

Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.

(George Orwell)


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Libere Pussy Riot, libera Russia.



Dopo essere stata condannata a due anni di prigione per aver cantato in una chiesa una canzone che criticava il presidente Putin, una delle Pussy Riot si è rivolta alla corte e al processo show che l'ha vista coinvolta ha dichiarato "Nonostante il fatto che siamo fisicamente qui, siamo più libere di tutti coloro che siedono di fronte a noi ... Possiamo dire tutto quello che vogliamo ..."

La Russia sta inesorabilmente scivolando in una nuova autocrazia: un giro di vite sulle proteste pubbliche, elezioni presumibilmente truccate, intimidazioni ai media, divieto alle manifestazioni per i diritti degli omosessuali per i prossimi 100 anni, e addirittura violenze fisiche verso voci critiche come il campione di scacchi Garry Kasparov. Ma molti cittadini russi continuano a voler disubbidire, e il coraggio eloquente delle Pussy Riot ha galvanizzato la solidarietà verso la Russia nel mondo. Ora è l'Europa la nostra maggiore possibilità di provare a Putin che c'e' un prezzo da pagare per questa repressione.

Il Parlamento Europeo sta chiedendo un congelamento dei beni e uno stop alla libertà di movimento per il potente gruppo di elite attorno a Putin, accusato di molteplici crimini. La nostra comunità è diffusa in ogni angolo del mondo: se spingiamo gli europei ad agire, non solo ciò colpirà duramente la cerchia ristretta attorno a Putin, in quanto molte banche hanno la loro sede in Europa, ma contrasterà allo stesso tempo la sua propaganda anti-occidentale, mostrandogli che il mondo intero vuole farsi avanti per una Russia libera.


http://www.avaaz.org/it/free_pussy_riot_free_russia_a/?braSkbb&v=17328

Perchè la vera libertà è quella del pensiero.

L’AMACA del 26/08/2012. - Michele Serra


Dalle molte inchieste sugli incendi che devastano il Paese (ottima quella di Corrado Zunino su questo giornale) esce un dato statistico implacabile, e veramente impressionante. Esistono i piromani, non esistono le piromani. Dare fuoco a un bosco, a un campo, a un pezzo di mondo, e calcinarlo così da renderlo sterile per molti anni, è una prerogativa esclusivamente maschile. Le donne in genere commettono molti meno reati degli uomini, pur essendo la metà abbondante del genere umano. Possono macchiarsi di crimini anche efferati (per esempio uccidere, anche se non serialmente). Ma avere l’impulso di devastare un luogo per sottometterlo, per negarlo, per cancellarne le tracce di vita, è cosa solo dei maschi: la statistica non concede eccezioni. In questo senso il piromane è colui che trasferisce sul volto della Terra lo stesso sfregio che il maschio padrone infligge al volto della femmina che considera infedele o indegna, o più semplicemente non sua. Gea è femmina, accoglie il seme e lo fa germogliare. Piromani, stupratori e sfregiatori di donne andrebbero inclusi nella stessa branca del Male.
Da La Repubblica del 26/08/2012.