giovedì 25 ottobre 2012

Grillo: 'Napolitano, ora lo senti nostro boom?'



E torna ad attaccare Renzi: 'Fa il partito di Berlusconi.

"Ieri sera sono stato a Catania. Piazza Università era strapiena, come non si era mai vista. Se ci avete seguito in streaming, avete sentito il BOOM gridato dai catanesi. E' stato molto forte. Chissà se stavolta l'ha sentito anche il nostro presidente della Repubblica". Lo scrive questa mattina Beppe Grillo sul suo blog, facendo riferimento al commento pronunciato dal capo dello Stato sul risultato alle elezioni scorse amministrative del Movimento 5 Stelle. 'Giorgio, lo senti il boom?', è il titolo dell'intervento di Grillo.
Il comico ieri sera ha ribadito la sua dura critica alla classe politica italiana: "Forse loro vivono in un mondo a parte come i vecchi gerarchi quando parlavano di vincere le battaglie e non c'era più nessuno, fuori erano rimasti gli ultimi. Sono forse così non si rendono conto, ma appena escono si rendono conto che non c'è nessuno ai comizi e mi fanno pena".
"Si stanno rendendo conto - ha aggiunto Grillo - che non c'è speranza per loro neanche se rinunciassero allo stipendio, se lavorassero gratis, se si frustassero. Non c'è più speranza. Sono sorpassati, è storia passata, si stanno sbriciolando da soli come il vampiro quando gli metti il punteruolo. Possono solo sopravvivere eliminando la democrazia, che è quello che stanno cercando di fare: blindarsi la legge elettorale, far rimanere lì un banchiere o sostituirlo con un altro". "Però - ha sottolineato - fanno un golpe forte in un momento nel quale la gente non ha più niente da perdere. E quando la gente non ha più niente da perdere non la devi portare a quel punto perché poi diventa pericolosa...".
GRILLO, RENZI FA IL PARTITO DI BERLUSCONI - "Matteo Renzi spacca il partito, fa il partito di Berlusconi, la finta sinistra. E' uno dell'apparato. Si sta svendendo la città". Lo ha affermato Beppe Grillo parlando del sindaco di Firenze e candidato alle primarie del Pd con i giornalisti alla masseria Grimaldi, a Catania, nell'ambito della campagna elettorale a sostegno del Movimento 5 Stelle alle regionali in Sicilia di domenica prossima.

Grillo a Catania il 24 ottobre.



Ieri sera sono stato a Catania. Piazza Università era strapiena, come non si era mai vista. Se ci avete seguito in streaming, avete sentito il BOOM gridato dai catanesi. È stato molto forte. Chissà se stavolta l'ha sentito anche il nostro presidente della Repubblica http://goo.gl/ZcCXm

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Beppe Grillo sconvolge la Sicilia. - Roberto Puglisi

Beppe Grillo sconvolge la Sicilia

Beppe Grillo ha già vinto le elezioni, perché ha cambiato, in Sicilia, la fisionomia del campo di gioco. Un bilancio dei diciassette giorni che sconvolsero l'Isola. Noi l'avevamo detto. QUI

PALERMO- Lo hanno attaccato, sbeffeggiato per la nuotata in odore di icona post-dittatoriale, con poderose bracciate nello Stretto di Messina. Lo hanno messo in mezzo. Lo hanno additato per brutalità ideologica, per anti-politica endemica, corredata di tendenze machiste in chiave elettorale. La verità accertata, al momento, è una sola: Beppe Grillo appare già, senza nemmeno bisogno di aspettare il responso notarile dell'urna, come il vero vincitore morale delle elezioni regionali in Sicilia.

Anzi, gli strali che in pochi temerari hanno avuto il coraggio di lanciargli contro sono rimbalzati sulla spessa corazza mediatica del fondatore del Movimento 5 Stelle che non ha sbagliato un colpo. L' hanno, invece, rafforzato e santificato. Le accuse sono state vissute, sulla pelle del popolo deluso, come i colpi rancorosi di un decrepito sistema di potere che tenti di frapporsi, con i suoi trucchi estremi, al radioso sol dell'avvenire.

Nessuno sa chi sia davvero Beppe Grillo, a parte gli adepti – nelle cui file cui coesistono sessantottini delusi, orfani di Silvio, furbi di tre cotte e ragazzi valorosi –, nessuno conosce l'esatta dimensione del leader che si profila all'orizzonte. E' la tenera maschera del suo "Cercasi Gesù", quando il "comico genovese" stupì con una interpretazione delicata e strepitosa? E' la linguaccia malata di senso civico che sputava sacrosante bestemmie contro il sistema dal palco di Sanremo, quando invitò il pubblico ad alzarsi, "perché io vi faccio ridere e poi mi fanno un culo così?"? E' un uomo cinico che si appresta a cogliere il frutto di una calcolata arte della scena? E' l'utile idiota, il fantoccio di una consorteria composta dalla Casaleggio associati, dalla Spectre, dalla Banda Bassotti e dal Kgb?

Nessuno, appunto, lo sa. Solo una cosa sappiamo e, per onestà di racconto, va scritta: Beppe Grillo, in appena diciassette giorni, dalla nuotata, al comizio di Palermo che si terrà oggi e che Livesicilia seguirà con un video in diretta, alla chiusura di campagna con Giancarlo Cancelleri che è – lo ricordiamo agli smemorati – il vero candidato del Movimento a Palazzo d'Orleans, ha sconvolto la Sicilia, l'arcaica Sicilia col suo sottomondo di riti, consuetudini e ombrosi accordi sottobanco.

I siciliani lo hanno osannato e acclamato. Lo hanno inseguito su ogni piazza, assediato sul treno e rincorso. C'è uno schema mentale prestabilito dalla storia che rende Grillo invincibile. L'idea radicata che sia necessario, a tutti i costi, il nuovo per seppellire le macerie del passato. Un concetto ardimentoso e pericoloso: in Italia, generalmente, ha accompagnato la restaurazione, in altri contesti no. Il signor G. Ha cavalcato l'onda a meraviglia, con sapienza tattica e accortezza. Ha già vinto, perché ha cambiato il campo di gioco.
Prendiamo atto e promettiamo: cercheremo di non chiamarlo più "il comico genovese", dal presente rigo in poi. Beppe Grillo fa sul serio.


http://livesicilia.it/2012/10/25/beppe-grillo-sconvolge-la-sicilia/

Comunque si pensi Grillo ha vinto. - Donato Didonna


Comunque la si pensi, Grillo ha rivoluzionato pacificamente il modo di fare politica in Italia incentrando la comunicazione e l’organizzazione in rete del suo movimento e raccogliendo, low cost, un notevole consenso.
Nel prossimo test siciliano, il M5S “rischia” seriamente di diventare il primo partito e, forse, di esprimere pure il presidente, smentendo così clamorosamente la tesi craxiana dell’ “incomprimibile costo della politica” che di fatto legittimava il finanziamento illecito dei partiti. Il costo della politica è quindi comprimibile e, come direbbe Grillo, poiché la politica si è ridotta ai soldi, bisogna togliere i soldi dalla politica per ridar spazio alle passioni civili.
Detto e fatto! Tra le foto che non vedremo mai della campagna elettorale siciliana, ci sono quelle che ritraggono attivisti del M5S a pulire le piazze dopo i comizi, per lasciarle meglio di come non fossero state trovate, coerentemente con quanto fatto dagli stessi in questi anni in cui si erano adoperati per pulire spiagge, arenili, vie cittadine, ecc. per pura passione e amore verso la cosa pubblica.
Non so a quanto, solo sei mesi fa, i bookmaker avrebbero prezzato questa scommessa e, a dire il vero, neanche se l’avrebbero mai presa in seria considerazione, eppure ci deve essere una valenza strategica se sia gli Alleati che Grillo hanno scelto di sbarcare in Sicilia per cominciare proprio da qui la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo gli uni e dalla partitocrazia l’altro. Perché è evidente che il risultato siciliano avrà ripercussioni sulle successive tornate amministrative e politiche come un fiume in piena anche perché il M5S sta dimostrando capacità logistiche e organizzative davvero notevoli, su basi esclusivamente volontarie.
Grillo il 26 (dopodomani) lascerà comunque la Sicilia mentre rimarranno un bel po’ di candidati eletti all’Ars già il 29. Ho seguito sin dai primi passi (2005) il movimento in Sicilia e mi rendo conto che molti critici parlino non per esperienza diretta. La democrazia è un fenomeno popolare anche se promossa all’origine da elite. In una democrazia non ci si può porre perciò “elitariamente” al di sopra di essa per bacchettarla nel caso si discosti dai propri gusti: la democrazia non è una forma di governo perfetta, ma è solo la migliore che conosciamo. Se i partiti tradizionali si fossero comportati diversamente, il M5S non sarebbe neanche nato, ma così non è stato e la democrazia ha reagito in questo modo, partorendo questo fenomeno che è comunque democratico, anche se non manca certo di un po’ di populismo, di indulgenza con il sicilianismo becero, di credulità verso teorie dei complotti, di ingenuità programmatiche e pure delle dinamiche interne interpersonali comuni ad ogni organizzazione umana. Ma al di là di tutto questo che va comunque paragonato al marcio dei partiti, Grillo e il M5S parlano al cuore della gente in modo credibile e incitandola ad un salutare attivismo civico: “non ci sono salvatori da attendere”.
Il consenso comporta responsabilità: se gli eletti del M5S avranno l’intelligenza politica di farsene carico sopravviveranno altrimenti saranno dimenticati come molti candidati oggi in corsa, dagli impresentabili cuffariani divisi equamente tra Crocetta e Musumeci, all’onnipresente Lombardo attraverso i suoi uomini, alle persone perbene, pure presenti in altre liste minoritarie, che forse non supereranno neanche lo sbarramento.
In una regione in cui la principale industria è stata sinora rappresentata dalla politica e la cultura dominante è stata quella parassitaria, i pentastellati dovranno dimostrare la capacità di fungere invece da efficace antiparassitario all’interno dell’Ars con misure che ripristino il valore del merito, della corretta competizione tra gli operatori, che rimuovano i disincentivi a investire, che taglino senza pietà le spese improduttive e l’invadenza di una burocrazia fine a se stessa perché non c’è nulla di più opposto alla mentalità parassitaria e mafiosa dell’affermazione di questi valori liberali. Se l’impresa riuscirà in Sicilia, non potrà non avere successo anche in Italia e potremo finalmente vedere una luce in fondo al tunnel.

Trattativa Stato-mafia, Mancino chiede il giudizio del tribunale dei ministri.


Trattativa Stato-mafia, Mancino chiede il giudizio del tribunale dei ministri


L'ex ministro dell'Interno chiede lo stralcio "per mancanza di connessione con quelle degli altri imputati" e di far valere la sua posizione di componente del governo all'epoca dei fatti. Il gup deciderà probabilmente nella prima udienza preliminare del 29 ottobre.

Dopo la richiesta di stralcio della sua posizione per mancanza di “connessione” con quelle degli altri imputati, l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, attraverso i suoi legali, ha depositato al gup Piergiorio Morosini, davanti al quale si terrà l’udienza preliminare del procedimento sulla trattativa Stato-mafia, una istanza con cui si chiede di trasmettere gli atti al tribunale dei ministri.
Secondo l’ex politico Dc, imputato del reato di falsa testimonianza, il gup dovrebbe dichiararsi incompetente a decidere e inviare il fascicolo al tribunale dei ministri, competente in quanto all’epoca della presunta trattativa Mancino era ministro dell’Interno. Sulla richiesta, probabilmente, il gup si pronuncerà il 29 ottobre, data in cui avrà inizio l’udienza sulla trattativa. Nel procedimento sono coinvolti, oltre a Mancino, i vertici del Ros di quegli anni: il generale Mario Mori, l’ex comandante Antonio Subranni e l’ex capitano Giuseppe De Donno che nel 1992 avrebbero avviato il dialogo con Cosa nostra tramite Vito Ciancimino. E ancora i capimafia Bernardo ProvenzanoTotò RiinaLuca BagarellaGiovanni Brusca e Antonino Cinà e Massimo Ciancimino, figlio di don Vito. Nella lista anche l’ex ministro dc Calogero Mannino e il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. L’uno, accusato di avere dato input alla trattativa perché temeva di essere ucciso, l’altro perché si sarebbe proposto come intermediario con i clan dopo l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima.
Le accuse per quelli che vengono ritenuti i principali protagonisti del patto, che parte delle istituzioni avrebbero stretto con Cosa nostra per fare cessare le stragi, sono diverse: minaccia a corpo politico dello Stato per i boss, i carabinieri, Dell’Utri e Mannino. Concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro per Ciancimino jr e falsa testimonianza per Mancino.

mercoledì 24 ottobre 2012

Truffa, indagata la segretaria di Bersani: “Pagata dalla Regione, lavorava per il Pd”. - Emiliano Liuzzi e Nicola Lillo



La donna si dimise dall'incarico solo il 28 gennaio 2010, ma per due anni percepì regolare stipendio inquadrata come dirigente. Il Pd: indagine vecchia. In realtà la donna ha ricevuto l'avviso di garanzia e l'avviso di interrogatorio soltanto da pochi giorni.

Quella arrivata oggi è una tegola per il segretario del Pd. Zoia Veronesi, storica segretaria di Pier Luigi Bersani, è indagata dalla procura di Bologna per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia Romagna. Secondo gli inquirenti Veronesi, lavorò al fianco di Bersani a Roma, prendendo comunque lo stipendio dalla Regione in un arco di tempo di un anno e mezzo.
Il pubblico ministero che conduce le indagini,Giuseppe Di Giorgio, ha inviato un invito a rendere interrogatorio, che si terrà nei prossimi giorni. La donna, che era dipendente della Regione fino al 28 gennaio 2010, era stata distaccata con un provvedimento della stessa Regione a Roma, dove doveva intrattenere rapporti con le “istituzioni centrali e con il Parlamento”. Ma la guardia di finanza ha appurato che non esiste traccia della sua prestazione lavorativa a favore della Regione in quel periodo, tra il 2008 e il 2009. Avrebbe dunque lavorato, a detta dei pm, per altri a spese della Regione. Un ruolo che era giudicato determinante, ma in realtà Veronesi non venne mai sostituita per ricoprire quell’incarico.
 Il 28 gennaio 2010 Veronesi si dimette. Scrive l’Ansa il 6 maggio di quell’anno: “La procura di Bologna sta indagando sulle questioni denunciate negli esposti presentati dal deputato e coordinatore provinciale Pdl Enzo Raisi il 19 marzo scorso e riguardanti l’ufficio della presidenza della Regione Emilia Romagna e quello dell’assessorato alle attività  produttive. Il reato ipotizzato dal pm Giuseppe Di Giorgio, titolare dell’inchiesta, e’ abuso di ufficio. In un caso c’e’ un indagato, anche se l’iscrizione sul registro degli indagati rappresenta un atto dovuto. In particolare, Raisi, venivano segnalate presunte anomalie o irregolarita’ sull’incarico assegnato all’ex segretaria di Pier Luigi Bersani Zoia Veronesi, come dirigente professional per il raccordo con le istituzioni centrali e il Parlamento, ruolo che, secondo Raisi all’epoca e secondo i magistrati oggi, le avrebbe permesso di continuare a lavorare per Bersani.
Il legale di Veronesi, l’avvocato Paolo Trombetti, ha spiegato che “il pm ci ha invitato a rendere un interrogatorio, cosa che faremo senz’altro perché abbiamo interesse a chiarire che non c’è stata alcuna irregolarità da parte di chicchessia, tanto più dalla signora Veronesi”. “Respingiamo – continua Trombetti – l’accusa di truffa, non c’è alcuna ombra. Chiariremo tutto. È una vicenda in cui nulla le può essere rimproverato”. Oggi Veronesi non è più una dipendente della Regione, ma lavora tra Roma e Bologna alle dipendenze del Partito democratico. E sicuramente è stipendiata dalla federazione di Roma, perché il suo nome non figura tra quelli dei funzionari stipendiati del Pd di Bologna.
L’inchiesta che vede coinvolta la segretaria di Bersani è nata nel 2010 da un esposto (su cinque presentati sulla mala gestione della Regione Emilia Romagna) del deputato di Futuro e Libertà, Enzo Raisi e del consigliere comunale di Bologna Michele Facci (Pdl). Veronesi, quando furono presentati gli esposti, interruppe il suo rapporto con la Regione e venne assunta a Roma dal Partito Democratico.
Zoia Veronesi è l’assistente personale del segretario del Pd, lo affianca dal 1993. Iniziò a collaborare con Bersani, infatti, quando divenne presidente della Regione Emilia Romagna, nei primi anni novanta. Da allora Veronesi lo ha seguito in ogni nuovo incarico, da parlamentare, a ministro dello Sviluppo Economico fino a oggi da segretario politico.
Dal giugno del 2008 al gennaio 2010 venne inquadrata in una nuova posizione dirigenziale per tenere il “raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento”. Una posizione istituita dalla Regione (a firma del capo di gabinetto, Bruno Solaroli) il 27 maggio 2008, poco dopo la caduta del governo Prodi.
Quello che Raisi si domanda è se fu solo “una coincidenza il fatto che la Regione abbia istituito una nuova posizione dirigenziale nel maggio 2008, cioè subito dopo la formazione e il cambio del nuovo governo nazionale per permettere alla signora Veronesi di rimanere a Roma, anche dopo il venire meno dell’incarico al ministero?”. Zoia Veronesi, dopo la presentazione dell’esposto e l’inchiesta della magistratura, si è poi dimessa dalla Regione il 28 gennaio 2010 e dall’aprile successivo ha accettato di lavorare di nuovo con Bersani diventato segretario del Pd.
Enzo Raisi ha spiegato che “nel 2010 feci cinque esposti sulla mala gestione della Regione. Uno di questi riguardava la Veronesi. Avevo avuto dei documenti e delle carte dove si configuravano dei reati a suo carico. Ho verificato la loro veridicità, presentandoli alla magistratura”. Inoltre il coordinatore regionale di Fli in Emilia Romagna ha aggiunto al fattoquotidiano.it che per quella nuova posizione dirigenziale “questa signora fu nominata dirigente senza una laurea”
Nel Partito Democratico si mostrano sereni. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha accolto con “assoluta serenità” la notizia dell’indagine nei confronti della sua storica segretaria. Mentre da Largo del Nazareno dicono che “a onor del vero, per il partito, Zoia, ha fatto per molto tempo del volontariato”. Ed è questa la posizione assunta dalla difesa di Veronesi. L’avvocato Trombetti ha infatti spiegato che Veronesi “lavorava per la Regione a Roma e in quel periodo ha fatto solo attività volontaria per Bersani, fuori dall’orario di lavoro, tenendo la sua agenda”.
Il procuratore aggiunto Valter Giovannini ha spiegato che “le indagini allo stato sono circoscritte alla signora Veronesi. Ovviamente sono stati acquisiti ed esaminati tutti i documenti sull’iter burocratico relativo al distacco a Roma”.
Il Pd, in una nota, fa sapere che si tratta di un’indagine vecchia, e forse non casualmente emersa oggi alla vigilia delle primarie. In realtà qualcosa è accadiuto in questi giorni: Veronesi, infatti, dovrà essere interrogata e i magistrati, pochi giorni fa, le hanno recapitato l’avviso di garanzia: prima non sapeva di essere indagata se non per vie ufficiose.

Diffamazione, emendamento Pdl vieta di parlare male della Casta.


Lucio Malan

L'onorevole Lucio Malan, impegnato a votare al posto di un collega.


Dal senatore Malan una norma per inasprire le sanzioni per chi offenda "corpo politico, giudiziario o amministrativo" con attribuzioni di "spese folli, inefficienze non sussistenti o paragoni falsi".


Non bastavano le maxi multe, non bastava la norma per imbavagliare gli editori, ora nel disegno di legge Salva Sallusti che riforma il reato di diffamazione spunta un emendamento firmato dal Pdl Lucio Malan che punta a tutelare ‘la casta’ politica e istituzionale dalla pubblicazione di articoli che rivelino spese folli, come quelle, ad esempio, per i festini dei consiglieri regionali del Lazio o mega stipendi di chi riveste un ruolo pubblico ma che non sono esattamente conteggiabili perché magari frutto di cumuli. 
E’ quanto in sostanza prevede l’emendamento che a breve verrà depositato in aula al Senato sull’offesa a un corpo politico o amministrativo. In base alla proposta del senatore Malan – già noto alle cronache della Casta per essere stato pizzicato a votare per colleghi assenti, per una espulsione dal Senato dopo il lancio del regolamento contro l’allora presidente Marini, per avere contrattualizzato moglie e nipote nel suo staff –  chi riporterà notizie ritenute offensive, anche solo perché si parla di inefficienza di una pubblica amministrazione, ci sarà un aumento delle pene. Nel testo si legge che le pene per diffamazione a mezzo stampa sono aumentate “se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio. Costituisce in ogni caso offesa a tali soggetti, l’attribuzione di specifiche gravi inefficienze non sussistenti, di gravi eccessi non reali di spese, di emolumenti presentati come eccessivi e non realmente erogati, di paragoni falsi con altre analoghe istituzioni o procedure, e ogni altra attribuzione di fatti non reali, i quali suscitino il discredito nei confronti di detti soggetti”.
Il testo è lo stesso dell’emendamento che lo stesso Malan aveva già presentato in commissione Giustizia. Quel che cambia rispetto al testo della commissione è che il senatore aveva proposto anche di quantificare l’aumento della pena in “cinque volte” quella prevista. Ora la quantificazione è sparita. Malan spiega: “E’ giusta la trasparenza. Ma quando la trasparenza si trasforma in menzogna deve essere chiaro che questa è la diffamazione di un organo politico o amministrativo”.