venerdì 23 novembre 2012

Finmeccanica, rinviata a giudizio Marina Grossi per inchiesta su appalti Enav.


Marina Grossi


L'ex amministratore delegato di Selex e moglie di Guarguaglini è accusata di false fatturazioni. Il processo è stato fissato per il prossimo 9 aprile, insieme all’ex direttore commerciale della società, Manlio Fiore. Il gup ha accolto la richiesta di patteggiamento a un anno per l'imprenditore Di Lernia e l'ex consulente Cola.

Il gup del tribunale di Roma, nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Enav, ha disposto il rinvio a giudizio per Marina Grossi, l’ex amministratore delegato di Selex e moglie dell’ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini. Nell’ambito della stessa udienza il giudice ha dato il via libera al patteggiamento ad un anno di reclusione per l’imprenditore Tommaso Di Lernia e per l’ex consulente di Finmeccanica, Lorenzo Cola. Il processo per Marina Grossi, accusata di false fatturazioni, è stato fissato per il prossimo 9 aprile. La Procura aveva chiesto il suo rinvio a giudizio il 4 luglio scorso.  Alla sbarra anche l’ex direttore commerciale di Selex, Manlio Fiore.
Il filone di indagine per il quale la moglie di Guarguaglini è stata rinviata a giudizio è quello relativo ad un giro di false fatture per operazioni inesistenti. Concorso in emissione di false fatture e appropriazione indebita i reati contestati dai pm. Di Lernia e Cola erano accusati anche di evasione fiscale. Quanto alla prima imputazione, gli inquirenti sostengono che Di Lernia, “previo concerto” con Cola, il quale avrebbe agito in accordo con Grossi e Fiore, avrebbe emesso fatture per circa due milioni e 400 mila euro, tra il febbraio 2009 ed il maggio 2010, per operazioni fittizie. L’ipotesi di evasione fiscale attribuita a Di Lernia e Cola fa riferimento all’emissione di fatture per cinque milioni di euro emesse, sempre per operazioni inesistenti, da parte delle società cipriote Antinaxt Trading Limited (3 milioni e 393.560 euro) e Esmako Limited (1 milione 385.822 euro), riconducibili a Di Lernia, al fine di far evadere le imposte alla Print Sistem.
I due, per gli inquirenti, avrebbero indicato nelle dichiarazioni Iva ed Ires relative al 2009 elementi passivi fittizi, di entità pari alle fatture riguardanti le operazioni inesistenti. L’appropriazione indebita è attribuita a tutti e quattro gli indagati. Secondo l’accusa gli indagati, in accordo tra loro, Di Lernia anche veicolando somme verso Cola, si sarebbero appropriati di una parte di una somma, un milione e 900 mila euro, frutto di una sovrafatturazione. 

E l'imprenditore Di Lernia confessò "Diedi 200mila euro ai centristi". - Carlo Bonini


E l'imprenditore Di Lernia confessò  "Diedi 200mila euro ai centristi"

L'imprenditore Tommaso Di Lernia


Il racconto di Di Lernia: fu Pugliesi a dirmi che dovevo pagare il partito di Casini. Pugliesi dirige l'Enav come una ditta individuale, senza condividere con alcuno le fonti di finanziamento legate ai lavori. Il Sistema assicura assunzioni e incarichi ai politici, nonché la titolarità di quote da parte di loro parenti in società.

ROMA - Racconta a verbale Tommaso Di Lernia, proprietario della "Print Sistem", l'uomo dei fondi neri del Sistema Enav-Finmeccanica, amabilmente chiamato " er cowboy ", che con Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav, e l'Udc di Pierferdinando Casini e Giuseppe Naro le cose siano andate così. Così come lui ne riferisce una prima volta il 25 maggio di quest'anno, rispondendo alle domande del pm Paolo Ielo. In un interrogatorio - chiosa il gip nella sua ordinanza - che diventa la "delazione" cruciale di "un protagonista".

LA CORRUZIONE IN ENAV. IL DENARO ALL'UDC Dice dunque Di Lernia: "Sono entrato in Enav, tra il 2004 e il 2005, grazie all'intervento del generale Bruno Nieddu (all'epoca presidente ndr)e del colonnello Tavano che mi aveva presentato Lorenzo Cola. Ebbi dei lavori su Milano e quindi conobbi in Enav Raffaello Rizzo, il quale mi manifestò la disponibilità a stabilire un rapporto diretto con me. Rizzo agiva in concerto con Guido Pugliesi, con cui concordava l'assegnazione dei lavori. Si trattava di lavori eseguiti per conto di "Selex" ma su lettera di segnalazione dell'Enav. Per la "preferenza" che mi aveva manifestato, erogai a Rizzo 50 mila euro, utilizzando fondi extracontabili. Pugliesi aveva sempre rifiutato le mie offerte di denaro. Tuttavia, nell'ultimo periodo, mi sollecitò un'offerta di denaro presso l'ufficio dell'onorevole Casini. Accettai la richiesta, prelevando 200 mila euro da un conto che avevo a san Marino, dove mi recai accompagnato dalla mia segretaria Marta Fincato.

Consegnai la somma negli uffici dell'Udc in piazza di Spagna, dove riuscii ad entrare solo dopo che Pugliesi, che si trovava già lì, scese e mi accompagnò, dal momento che il portiere dello stabile mi aveva impedito l'ingresso. Diedi il denaroa una persona che mi venne presentata come tesoriere dell'Udc, forse un parlamentare, e a cui Pugliesi disse che ero uno che lavorava con Selex"". "RICONOSCO LA FOTO. E' NARO". E' dunque Pugliesi a sollecitare la tangente. E - scrive il gip - ne ha motivo. "Pugliesi deve rispondere a quei rapporti politici da cui deriva la permanenza della propria nomina in Enav. La sua è una forma di "ringraziamento"". Per questo, "dirige Enav come una ditta individuale, senza condividere con alcuno le fonti di finanziamento legate ai lavori. Deve mantenere il monopolio dei finanziamenti che derivano dal Sistema". Un Sistema che "assicura assunzioni e conferimenti di vantaggiosi incarichi a uomini politici, nonché la titolarità di quote da parte di politici o loro parenti in società che debbono la loro esistenza alle commesse assicurate da Enav".

Il 13 luglio, Di Lernia torna a rispondere al pm Ielo. Mette a fuoco i suoi ricordi. "La consegna avvenne prima delle elezioni regionali del marzo 2010, che erano poi il motivo per il quale Pugliesi mi aveva sollecitato la somma". A Di Lernia viene quindi mostrata una foto. E - annota il gip - è a questo punto che "riconosce in Giuseppe Naro, nato a Militello Rosmarino il 6 febbraio del 1948, deputato dell'Udc e tesoriere del partito, la persona alla quale aveva consegnato il denaro e che non lo aveva fatto accedere nel suo studio personale, poiché in quel momento era in corso una "bonifica"".

LE CONFERME DI COLA E DELLA SEGRETARIA  "Di Lernia è un bugiardo", va ripetendo da tempo Pugliesi. "E' inattendibile", ha ribadito ieri il suo avvocato Francesco Scacchi. Verosimilmente mosso da "spirito di vendetta", perché, osserva ancora il legale, "su precisa indicazione di Pugliesi, Enav ha estromesso la Print Sistem dall'albo fornitori, ha interrotto i pagamenti e risolto tutti i rapporti contrattuali esistenti". E tuttavia, né il gip, né il pm, danno alcun credito a questa difesa. Vediamo perché.

Interrogato l'8 settembre scorso, Cola racconta: "Seppi da Di Lernia che aveva consegnato 250 mila euro all'Udc in via due Macelli (strada limitrofa a piazza di Spagna ndr.), alla presenza di Pugliesi. Per altro, qualche tempo dopo, a casa mia, alla presenza sia di Di Lernia che Pugliesi, chiesi a entrambi se fosse andata a buon fine l'operazione con l'Udc e Pugliesi mi diede una risposta positiva, cogliendo anzi l'occasione per ringraziare Di Lernia alla mia presenza".

Anche Marta Fincato, la segretaria del" cowboy ", ricorda. Interrogata, ricorda i viaggi a san Marino con Di Lernia. Ricorda, soprattutto, di averlo accompagnato in piazza di Spagna. "Rimasi ad aspettarlo in auto. Non sapevo dove era andato. Ma aveva con sé una valigetta, che normalmente usava per il trasporto di documenti e di denaro".

IL CONTO "CICLAMINO". LE CELLE TELEFONICHE C'è di più. Le indagini di polizia giudiziaria accertano che il 29 gennaio del 2010, a san Marino, Di Lernia effettua un prelievo di 206 mila euro dal conto corrente "Ciclamino" presso la "Banca Commerciale Sammarinese". Che la mattina del 2 febbraio 2010, la cella telefonica di piazza di Spagna aggancia sia il cellulare di Di Lernia che quello della sua segretaria. Che proprio quella mattina, i tabulati del cellulare di Di Lernia "registrano una chiamata di 9 secondi" proprio con Pugliesi.

L'AGENDINA DI PUGLIESI. La consegna del denaro, dunque, avviene il 2 febbraio dello scorso anno. E, per giunta, la conferma arriva dall'agenda personale sequestrata a Pugliesi. In quell'agenda, l'ad di Enav annota proprio per la mattina di quel giorno, alle 9.30, un appuntamento con Naro, il tesoriere dell'Udc. Che, per altro, e sempre a stare all'agenda, aveva già incontrato il 19 gennaio. "Insieme a Di Lernia e a un altro soggetto - annota il gip - come si può agevolmente dedurre dal nominativo Naro collegato con due barre. Una legata al nome Di Lernia, l'altra a un nominativo che sembra indicare la società Optimatica (società vicina all'ex ministro Matteoli ndr.)".

NARO: "DI LERNIA I SOLDI ME LI PROMISE SOLTANTO" Il 31 ottobre scorso, Ielo interroga Naro. E la sua difesa, chiosa il gip "è generica". Il tesoriere dell'Udc "esclude di aver ricevuto il denaro da Di Lernia, ma ammette di averlo incontrato nel suo ufficio con Pugliesi, con cui aveva un appuntamento per imprecisate ragioni. Per altro, Naro ammette anche la promessa di elargizione che durante quell'incontro gli avrebbe fatto Di Lernia in vista della futura competizione elettorale, ma nega che ciò sia poi avvenuto". "Si tratta - conclude il gip - di una mera allegazione difensiva. Sconfessata dalle fonti di prova".

Mantova, picchiato e lasciato sull’A22 dagli agenti: uno è segretario Coisp. - Roberta Polese


Mantova, picchiato e lasciato sull’A22 dagli agenti: uno è segretario Coisp


La notizia era uscita inizialmente come aggressione da parte di due "bodyguard", poi le indagini hanno portato a un'auto civetta della polizia sulla quale viaggiava Luca Priori, capo del sindacato in Veneto. La vittima: "Mi hanno colpito e sbattuto per terra, poi contro il guardrail e se ne sono andati". La replica: "Sono in una missione importante e non posso parlare se non con il questore. Pestaggio? E' stato un diverbio".

La notizia, apparsa su due quotidiani locali, lasciava aperto più di qualche punto di domanda: la mattina di mercoledì una coppia di “bodyguard” a bordo di un’auto con lampeggiante avrebbe aggredito l’autista di un furgone che era stato fatto accostare al bordo della A22, a Mantova. Il conducente, “colpevole” di non essersi spostato rapidamente, sarebbe stato colpito al volto e lasciato a terra. L’auto sarebbe poi sparita “nel nulla” e i bodyguard sarebbero rimasti fantasmi senza nome. Ma la verità era un’altra: i due aggressori erano in realtà poliziotti, uno dei quali segretario regionale del sindacato di polizia Coisp, che stavano trasportando un detenuto e che avrebbero punito il conducente del furgoncino perché non avrebbe lasciato loro la strada libera.

Se non fosse stato per un provvidenziale testimone che ha annotato il numero di targa della macchina, non riconoscibile come auto della polizia, la verità non sarebbe mai emersa. I protagonisti di questa vicenda sono noti in Veneto: l’aggredito è Riccardo Welponer, veronese nipote del più famoso Nadir Welponer, ex consigliere regionale dei Ds e ex segretario del partito. E uno dei due agenti di polizia si chiama Luca Prioli, vicentino, rappresentante veneto del Coisp.

I poliziotti, dopo aver aggredito Welponer, lo avrebbero lasciato sul bordo dell’autostrada con il volto sanguinante, procedendo per la loro strada con la Renault Laguna, auto di servizio senza scritte. Prioli, esponente regionale del sindacato di polizia, ammette il coinvolgimento ma si difende: “Mi trovo in una missione importante e non sono tenuto a parlare con nessuno di quanto accaduto, riferirò solo al questore di Vicenza, che mi ha chiesto una relazione – spiega – Il pestaggio? E’ stato un diverbio”. Il volto tumefatto di Welponer è la dimostrazione che qualcosa di più di un diverbio è avvenuto ai bordi di quell’autostrada l’altra mattina: “Sono stato picchiato e sbattuto a terra, sono quasi svenuto e quando mi sono ripreso mi hanno buttato contro il guardrail, poi se ne sono andati” ha detto ieri in una intervista rilasciata ad una tv locale.

Welponer non poteva sapere che i suoi aggressori erano agenti di polizia, tanto che la denuncia raccolta prima dalla Stradale e poi dalla Squadra Mobile di Mantova è stata intitolata a carico di ignoti. La notizia riportata dalla stampa si fermava alle dichiarazioni della vittima, perché non c’è stato successivamente un comunicato ufficiale a spiegare in realtà come sono andate le cose. Invece in poche ore i poliziotti lombardi erano già risaliti all’auto, avevano capito che si trattava di una macchina di servizio in missione ed erano arrivati ai nomi dei due poliziotti.

La notizia è giunta altrettanto rapidamente anche al Ministero che ora attende una relazione completa da parte della questura di Vicenza, in forza alla quale Prioli e il collega lavorano. La conferma dei fatti è arrivata 24 ore dopo dallo stesso Prioli, che rimarca il coinvolgimento nel “diverbio” ma che punta il dito contro chi ha fatto il suo nome: “Chi mi ha citato in relazione a questa vicenda pagherà duramente perché io sono in una missione delicata e nessuno doveva dire dove mi trovavo”. La prassi, in questi casi non è tanto la sospensione dal servizio, che arriverà con l’accertamento dei fatti in sede penale, quanto piuttosto l’allontanamento dalle mansioni, cosa che potrebbe disporre subito il questore o che potrebbe arrivare direttamente da Roma.

Un sequestro affettuoso. - Servizio Pubblico.



http://www.serviziopubblico.it/puntate/2012/11/23/news/un_sequestro_affettuoso.html?cat_id=10

mercoledì 21 novembre 2012

Funghi.


Cresciuti spontaneamente nel mio orto, non conoscendone la natura, li fotografo, ma non mi azzardo a mangiarli. Peccato, però.

Cetta.

E la chiamano «guerra». - Noam Chomsky



Noam Chomsky: l'operazione militare israeliana contro Gaza non è una guerra, ma la fase finale della campagna di pulizia etnica dei palestinesi

Editoriale pubblicato su Il Manifesto, 21 novembre 2012

L'incursione e i bombardamenti su Gaza non puntano a distruggere Hamas. Non hanno il fine di fermare il fuoco di razzi su Israele, non puntano a instaurare la pace.

La decisione israeliana di far piovere morte e distruzione su Gaza, di usare armamenti letali degni di un moderno campo di battaglia su una popolazione civile largamente indifesa, è la fase finale di una pluridecennale campagna per fare pulizia etnica dei palestinesi.

Israele usa sofisticati jet da attacco e navi da guerra per bombardare campi profughi densamente popolati, scuole, abitazioni, moschee e slum; per attaccare una popolazione che non ha aviazione né contraerea, armamenti pesanti, unità di artiglieria, blindati (...). E la chiama guerra. Ma non è guerra, è un assassinio.

Quando gli israeliani nei territori occupati dicono che si devono difendere, si difendono nel senso che ogni esercito occupante deve difendersi dalla popolazione che sta schiacciando. Non puoi difenderti, quando stai occupando militarmente la terra di qualcun altro.

Questa non è difesa. Chiamatela come volete, ma non è difesa.


http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=41763&typeb=0

Il silenzio amaro di Berlusconi e i dubbi sull’arma del ricatto. - Ugo Magri



Qualcuno vocifera che i filmati in mano ai rapitori potessero riguardare l’ex premier.

L’ansia per il collaboratore in pericolo, il cuore in gola, lo sdegno, la paura e chissà cos’altro ancora, sono tutte emozioni svaporate da tempo, nella villa di Arcore. In fondo è passato un mese, anzi di più, da quella notte tra il il 15 e il 16 ottobre, quando i banditi irruppero a casa Spinelli. Allora sì che sarebbe stato interessante scrutare l’animo del Cavaliere, scandagliarne i sentimenti. 

Ma adesso sembra tardi: Berlusconi ha avuto tempo e modo di metabolizzare la storiaccia, forse di rimettere un po’ di cose a posto. Con chi lo frequenta, si mostra dispiaciuto e distaccato, cupo di umore ma niente affatto «bollito» (come qualcuno in vacanza con lui in Kenya sparge la voce). Del sequestro s’era occupato intensamente nelle 31 ore successive, e quanto ne è tracimato l’altro ieri non costituisce sorpresa per lui, tutto previsto, tutto calcolato. Né aveva motivo per stare particolarmente sulle spine: i banditi chiedevano tanti soldi in cambio di presunte rivelazioni sul Lodo Mondadori, questo perlomeno ha messo a verbale il suo ragioniere. Presentando così Berlusconi due volte vittima, prima delle «toghe rosse» che gli hanno estorto 560 milioni e poi dei delinquenti comuni, salassato da una parte con le armi della legge e dall’altra con la bruta violenza.  

Questa in fondo è l’idea che, tra la gente comune, alcuni si sono fatti, un po’ commiserando l’ex premier vittima delle aggressioni e un po’ invidiando la sorte dei ricchi, ricattati sì ma sempre in grado di scucire il quattrino... 
Insomma, da quando è venuta fuori la vicenda pare che l’ex premier non sia né choccato né tantomeno affranto. Da lui nessun pubblico commento, giudicato superfluo; campo libero all’avvocato Ghedini.  

Il quale è stato inflessibile nel difendere la versione ufficiale, non solo con i cronisti ma con gli stessi esponenti del partito. Dove, di tutta questa vicenda, non si era percepito nulla. Nemmeno un cenno alla lontana da parte del Capo, zero assoluto. Emilio Fede racconta a «Radio Città Futura» di averne avuto sentore, qualcuno gli aveva sussurrato del sequestro. Però l’ex direttore del Tg4 è da sempre sulla notizia, in qualche caso c’è pure caduto dentro (deve difendersi dall’accusa di avere procurato escort al Cavaliere), comunque sia l’ambito che bazzica Fede non è certo quello della politica romana. Conferma un esponente Pdl tra i più autorevoli: «In diciott’anni di regno, è stato il segreto meglio custodito da Berlusconi, forse anzi l’unico che lui non abbia spifferato in giro...». 

Non tutto però è andato per il verso giusto. Se n’è accorto ieri di buon’ora Bonaiuti, il portavoce: troppi dubbi sparsi dagli inquirenti, troppi i punti interrogativi sul presunto versamento di 8 milioni, con l’idea qua e là affiorante che Silvio sia rimasto vittima delle sue cattive amicizie, mai uno statista dovrebbe figurare in cronaca nera. Allora Bonaiuti si è attaccato al telefono, sollecitando e ottenendo un rinforzo di verità sulle troppe ore di «black out» dopo il sequestro, quando Spinelli ancora non era andato dai magistrati. La precisazione non ha fermato il fiume di illazioni, cui dà voce con la solita sbloccata franchezza sul suo sito Dagospia: «Dai, Banana, dillo pure che non erano i video di Fini e dei magistrati, né carte segrete sul Lodo Mondadori, ma i video delle tue “cene eleganti” l’arma del ricatto!». È un tormentone che scandirà le prossime fasi dell’inchiesta, man mano che la Boccassini scaverà nella melma. Però intanto l’«alibi» regge, e permette a Berlusconi di gettarsi alla riconquista del partito, che Alfano e i colonnelli gli vorrebbero sfilare...