martedì 29 gennaio 2013

Mps, ora si valuta anche l’ipotesi di truffa. Al setaccio bonifici per 17 miliardi.


Monte dei Paschi di Siena


L'inchiesta trova nuovi spunti e segue nuove tracce. Ci sono i miliardi che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino in Asia, operazioni finanziarie complessissime corrisposte per cassa, dunque cash, mancanza di una "due diligence" formale, prezzi che lievitano di 4 miliardi in due mesi. Intanto la Fondazione sembra pronta a mettersi da parte. Trovati 20 milioni a ex top manager.

L’inchiesta su Mps - deflagrata con lo scoop del Fatto Quotidiano su un accordo segreto per truccare i conti -  trova nuovi spunti e segue nuove tracce. Quelle di tanti soldi, troppi per l’acquisto di Antonveneta per esempio. Ma non solo. Ci sono i miliardi che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino in Asia, operazioni finanziarie complessissime corrisposte per cassa, dunque cash, mancanza di una “due diligence” formale, prezzi che lievitano di 4 miliardi in due mesi, una montagna di operazioni sui derivati, da sempre un rischio per gli investitori, che potrebbero celare aggiustamenti di bilanci e nascondere la verità agli organi di controllo, nuove ipotesi di reato che si affacciano sulla scena: più la procura di Siena scava sull’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi, più la partita diventa complessa e ampia. Gli inquirenti, secondo alcuni quotidiani, avrebbero trovato 20 milioni di euro nei conti Gianluca Baldassarri, ex responsabile dell’area finanza dell’istituto senese. Il manager, già indagato nell’inchiesta aperta l’anno scorso, avrebbe utilizzato ben tre scudi fiscali per far rientrare i soldi in Italia nel corso di un decennio.  
Al vaglio l’ipotesi di truffa ai danni degli azionisti. A cominciare dai reati contestati agli indagati, che sarebbero meno di dieci, tra cui ci sarebbe anche l’ex presidente di Monte Paschi di Siena Giuseppe Mussari (notizia mai confermata ma neppure mai smentita): i magistrati – anche alla luce delle carte arrivate da Milano sui derivati dell’operazione Alexandria con la banca Nomura – starebbero infatti valutando se sia ipotizzabile anche il reato di truffa ai danni degli azionisti. Un’ipotesi, questa, che andrebbe ad aggiungersi a quelle già avanzate di manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni dell’autorità di vigilanza, aggiotaggio.
Ma i pm vogliono soprattutto capire come sia stato possibile che in soli due mesi il prezzo di Antonveneta sia schizzato dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander ai 9,3 (più oneri vari che hanno fatto salire il prezzo definitivo a 10,1 miliardi circa) tirati fuori da Mps. Ai quali vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti Antonveneta, che l’istituto senese si è accollato. Quel che è certo, perché documentato, è che in soli 11 mesi – dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 – il Monte ha effettuato bonifici per oltre 17 miliardi. Soldi che sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid. L’elenco dei bonifici è agli atti dell’inchiesta e già sul primo versamento si sta concentrando l’attenzione degli inquirenti: il 30 maggio partono da Siena 9 miliardi e 267 milioni a favore di Abn Amro Bank con sede ad Amsterdam, che il Banco Santander – si legge nel documento informativo relativo all’acquisizione di Antonveneta inviato alla Consob da Mps – ha nominato “soggetto venditore titolare di diritti e obblighi derivanti dall’accordo”. Si tratta infatti di una cifra maggiore, anche se di poco, dei 9 miliardi e 230 milioni pattuiti al ‘closing’ per l’acquisizione.
Il secondo bonifico parte lo stesso giorno ed è destinato al Banco Santander di Madrid, per un importo complessivo di 2,5 miliardi. Il 31 marzo 2009 partono altri due bonifici, uno da un miliardo e mezzo e l’altro da 67 milioni, entrambi a favore del Banco Santander di Madrid. I restanti quattro bonifici vengono disposti da Mps il mese successivo, il 30 aprile. I primi due, ancora una volta, sono a favore del Banco Santander e riportano uno l’importo di un miliardo e l’altro di 49 milioni; gli ultimi due, da 2,5 miliardi e da 123,3 milioni, sono a favore di Abbey National Treasury Service Plc di Londra. Sono soprattutto questi ultimi due ad interessare gli inquirenti perché si tratterebbe di cifre che, secondo qualcuno, sarebbero successivamente rientrate in Italia usufruendo dello scudo fiscale.
Ma le domande non finiscono qui. Anche perché è lo stesso Monte dei Paschi, nei documenti ufficiali, ad avanzare qualche perplessità sull’operazione. Nel documento inviato alla Consob, nell’analizzare i rischi connessi ai risultati economici di Antonveneta, la banca senese affermava che “Banca Antonveneta potrebbe continuare a non generare risultati economici positivi, con possibili effetti negativi sull’attività e sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’Emittente e del Gruppo”. E’ possibile, ci si chiede in procura, che con una simile valutazione venga pagato un prezzo così alto? Ma c’è un altro elemento. “Bmps – si legge sempre nel prospetto informativo – non ha effettuato una formale ‘due diligence’ finalizzata all’aggiustamento del prezzo di acquisizione”, anche se ha avuto modo di controllare i bilanci di Antonveneta. Né, tantomeno “sono state redatte perizie di stima ai fini della determinazione del prezzo”. Dunque l’operazione è stata effettuata senza che il Monte abbia verificato dall’interno la contabilità di Antonveneta. Perché? I magistrati ne chiederanno conto ai vecchi vertici di Rocca Salimbeni.
Verifiche fiscali su altre operazioniSul tavolo dei magistrati anche i documenti relativi di due verifiche fiscali che hanno interessato altrettante operazioni fatte dal Monte. La prima riguarderebbe la vendita portata a termine nell’autunno 2011 di Palazzo dei Normanni a Roma, l’ex sede delle esattorie. La seconda verifica fiscale, già conclusa nel 2012, avrebbe invece interessato una plusvalenza di 120 milioni scaturita dal rastrellamento, nel 2005, da parte di Mps di azioni Unipol, quando il gruppo assicurativo era impegnato nella scalata alla Bnl, poi non andata in porto.
La vendita di Palazzo dei Normanni sarebbe stata chiusa a 142 milioni, e non 130 come sempre stato detto. Lo storico edificio, non lontano dal Colosseo, sorge su un’area di circa 6000 metri quadrati, con una superficie di 36 mila metri quadri. L’edificio venne ceduto dal Monte a un fondo immobiliare gestito da Mittel. La verifica si concentrerebbe anche sulla velocità con cui venne chiusa la trattativa con l’acquirente direttamente dai vertici del Monte. Tra le ipotesi, che sarebbero al vaglio degli inquirenti, anche quella direttamente collegata al bilancio della banca che, grazie alla vendita ‘veloce’, venne chiuso in utile. Senza contare che Immobiliare Sansedoni, società partecipata del Monte e incaricata della vendita, avrebbe avuto in mano offerte migliori ma le cui trattative rischiavano di protrarsi per le lunghe. Vero è che anche il mercato immobiliare, in quel periodo, era già quasi ai minimi e da tempo il Monte aveva messo in vendita il palazzo senza riuscire a trovare un acquirente.
La seconda verifica, chiusa nel 2012, avrebbe evidenziato una serie di competenze errate nella registrazione dei bilanci. In sostanza, il Monte grazie alle operazioni sul mercato sui titoli di Unipol avrebbe ottenuto una plusvalenza di 120 milioni di euro, portati a tassazione nel 2006 anziché nel 2005, quando – secondo le indagini – fu effettuato l’acquisto. Non un semplice escamotage fiscale ma un’operazione, questa, che avrebbe consentito a Mps di ottenere un consistente vantaggio fiscale, con un risparmio del 95% grazie a una modifica del Testo unico. 
La Fondazione pronta a farsi da parte. Incontro Draghi Grilli. Intanto la Fondazione Mps sembra pronta a farsi da parte per sopravvivere. E’ questa la situazione in cui si trova l’ente senese, primo azionista storico della banca, a un anno e passa dalla dura ristrutturazione di oltre un miliardo di debiti. L’indicazione è emersa dalla bozza del documento programmatico non ancora reso noto, in cui viene scritto che Palazzo Sansedoni è disposto a scendere sotto la soglia del 33,5% per garantirsi la “sopravvivenza” e l’equilibrio finanziario. Un orientamento che, di fatto, andrebbe a combaciare con l’auspicio del presidente del Monte, Alessandro Profumo, da tempo disponibile a far entrare nuovi azionisti nella compagine azionaria della banca più antica del mondo, purché di lungo periodo. Su questo è tornato l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, che in un incontro con la stampa estera ha precisato che discussioni aperte non ce ne sono. 
Ieri potrebbero aver parlato della banca e aver ricostruito i fatti degli scorsi anni il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e il presidente della Bce, Mario Draghi. Il numero uno dell’Eurotower ha fatto tappa infatti a Milano e incontrato il titolare di Via XX Settembre, oggi atteso alla Camera per riferire sulla questione di Rocca Salimbeni. Sui temi dell’incontro le bocche restano cucite ma non si esclude che Mps sia stato quello centrale. Draghi all’epoca dei fatti era alla Banca d’Italia e fu proprio lui ad autorizzare l’acquisto di Antonveneta e a monitorare da vicino il Monte fino al suo passaggio a Francoforte. Intanto il tema centrale della vicenda resta l’operazione su Padova, il boccone troppo grosso e mai digerito dalla banca che nel 2007 pagò 10 miliardi al Santander per rilevarla. Un argomento al vaglio della magistratura senese che sta indagando su presunte tangenti insieme al caso dei derivati che provocherà una perdita di oltre 700 milioni. Viola ha precisato di non avere evidenze di casi di corruzione in questo ambito anche se, intervistato a ‘Porta a porta’, ha detto “non li avrei spesi” quattro miliardi in più per comprarla dagli spagnoli. “Più che altro non avrei comprato Antonveneta tutta per cassa”. Commenti sul tema derivati sono arrivati invece da Profumo. Secondo il presidente la grande massa di titoli di Stato in portafoglio, che ha comportato la richiesta di 3,9 miliardi di Monti Bond, è stata comprata “per coprire le perdite dell’operazione Alexandria” e “sono questi titoli che ora generano perdite”. “Si tratta di operazioni interconnesse” all’acquisto di Antonveneta, ha concluso. L’esame del portafoglio dovrebbe passare al vaglio del Cda di Mps mercoledì 6 febbraio.

Biblioteca Girolamini, Dell’Utri indagato a Napoli per concorso in peculato.


Marcello Dell'Utri


Il senatore del Pdl nei guai per alcuni libri antichi che avrebbe ricevuto dall'ex direttore De Caro, già arrestato. Volumi fatti sparire dalla biblioteca napoletana. La spoliazione dell'ente - erano sparite 1500 opere poi in parte ritrovate - aveva portato in carcere cinque "topi di biblioteca" arrestati dai carabinieri. Oggi altre sei ordinanze di custodia cautelare.

Marcello Dell’Utri ha sempre avuto una passione per i libri antichi. E già a Firenze il senatore del Pdl è stato indagato per una storia di tangenti. Ma oggi, nella seconda tranche di un’inchiesta della Procura di Napoli, il politico risulta indagato per concorso in peculato. La spoliazione della storica Biblioteca dei Girolamini a Napoli aveva portato in carcere cinque “topi di biblioteca” arrestati dai carabinieri per la tutela del Patrimonio artistico proprio per il furto di antichi volumi e manoscritti custoditi nella biblioteca. In carcere era finito Massimo Marino De Caro, direttore della struttura fino al 19 aprile 2012 quando aveva annunciato la sua autosospensione dall’incarico dopo il sequestro della struttura. Nel registro degli indagati c’era finita anche Maria Grazia Cerone, collaboratrice del senatore Marcello Dell’Utri. Che avrebbe ricevuto alcuni dei numerosi volumi sottratti dalla Biblioteca dall’ex direttore De Caro.
Oggi, a distanza di otto mesi, dai primi arresti la svolta. I carabinieri hanno eseguito sei ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip di Napoli. L’accusa è associazione a delinquere finalizzata al peculato, alla falsificazione ed alla ricettazione di migliaia di volumi antichi. Gli arresti sono stati eseguiti a Genova, Napoli, Ozzano dell’Emilia (Bologna), Porano (Terni), Santa Maria Capua Vetere (Caserta). L’operazione, coordinata dalla Procura di Napoli, nasce appunto dall’indagine, denominata “Library Lost”  avviata nell’aprile 2012, quando fu accertato dall’ente erano spariti 1500 volumi di pregio. La scomparsa dei libri fu messa in relazione con la discussa nomina dell’allora neo-direttore della biblioteca De Caro, già consigliere del Ministro per i Beni e le Attività culturali. Vennero subito avviati i contatti con l’Interpol tedesca, per bloccare i libri in procinto di essere venduti presso una casa d’aste di Monaco di Baviera. Quattro delle sei ordinanze di custodia cautelare sono state notificate questa mattina dai carabinieri a persone già detenute, alle quali viene ora contestato il reato di associazione per delinquere. Sono inoltre stati arrestati un legatore di Bologna, che secondo l’accusa provvedeva a cancellare dai libri rubati i contrassegni della Biblioteca dei Girolamini ed un ‘runner’ che faceva da cerniera tra gli antiquari e il gruppo che si appropriava dei volumi. Gli investigatori hanno ricostruito nei dettagli i meccanismi attraverso i quali la Biblioteca veniva depredata e attraverso quali canali i libri finivano in importanti librerie antiquarie. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche le dichiarazioni di noti antiquari che hanno iniziato a collaborare con gli investigatori.

lunedì 28 gennaio 2013

Il virus Hiv ha milioni di anni.



Presente nelle scimmie che vivevano in Africa. Studiarne l'evoluzione può aiutare a comprendere come i primati l'abbiano combattuto e vinto.

Le origini del virus dell'Hiv sono molto più antiche di quanto si pensasse: risalgono infatti a milioni di anni fa. Questa la scoperta  di un team di ricerca congiunto della Washington University di Seattle e del Fred Hutchinson Cancer Research Center pubblicata su Plos Pathogen.
La ricerca 
Nonostante L'Hiv sia comparso tra gli uomini nel Ventesimo secolo, lo studio genetico ha rintracciato virus simili nelle scimmie africane milioni di anni fa. Gli scienziati da tempo conoscono virus simili, noti come lentivirus, diffusi tra i primati africani. Le passate ricerche genetiche avevano ipotizzato che questi "cugini" del virus Hiv fossero comparsi decine di migliaia di anni fa, ma per alcuni si trattava di un dato sottostimato.

Gli scienziati hanno analizzato le impronte genetiche di questi virus simili in diversi primati, tra cui gorilla, oranghi, macachi e scimpanzè. I cambiamenti nei geni che si sono evoluti nel sistema immunitario di questi animali in Africa indicano che i virus sono comparsi tra 5 e 12 milioni di anni fa. Secondo gli scienziati questa scoperta potrà aiutare a comprendere meglio come funziona il virus e come i primati abbiano imparato a combatterlo, e poter tradurre queste conoscenze in terapia in futuro.

Leggi anche:

SCANDALO MPS/ Tutti gli interessi di Caltagirone, suocero d’oro di Casini, e di Letta (Goldman Sachs). - Carmine Gazzanni



Da Francesco Gaetano Caltagirone a Gianni Letta. In questo periodo in cui emergono i pesanti rapporti tra partiti e Mps, ci si dimentica di due nomi importanti della finanza e della politica italiana. Il primo è stato fino all’anno scorso vicepresidente e azionista della banca, godendo – come vedremo – di numerosi benefici e, con un trucco aziendalegodendone tuttora (sebbene sia uscito da Mps probabilmente proprio perché aveva annusato il marcio). Per il secondo, invece, si scopre che ha avuto un ruolo di prim’ordine proprio nell’acquisizione di Antonveneta (con la Goldman Sachs), la stessa acquisizione su cui, in questi giorni, si sta concentrando la magistratura. Cosa c’è dietro? 
Forse pochi lo sanno, anche perché nessuno, in questo periodo di facili (e legittime) accuse a questo o quel partito, l’ha ricordato. Eppure fino al 26 gennaio 2012 (precisamente un anno fa, dunque) vicepresidente e azionista (per il 4 per cento) del Monte dei Paschi di Siena era nientepopodimenoche Francesco Gaetano Caltagirone, il suocero d’oro di Pierferdinando Casini, uno dei principali finanziatori dell’Udc e sostenitori dell’operazione Monti-bis. 
IL LEGAME, GLI INTERESSI, LE LEGGI AD HOC - Sui legami del trio Caltagirone-Casini-Monti ci siamo già occupati: l’ex premier, nel corso dei suoi tredici mesi di mandato, ha lavorato (e tanto) per dare nuova linfa al campo dell’edilizia dove – lo sappiamo bene – gli interessi dell’imprenditore romano sono più che forti. Leggi ad aziendam? Sarebbe troppo affrettato dirlo. Certo è che la politica economica infrastrutturale messa in piedi dall’esecutivo tecnico potrebbe avvantaggiare appunto i grandi costruttori italiani: dall’importo massimo portato fino a 40 mila euro per l’affidamento fiduciario (senza gara dunque) dei servizi di progettazione, all’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di ingegneria e architettura solo oltre i 100 mila euro; dai 224 milioni di euro già stanziati (ma si parla di un totale di 2 miliardi) per le aree degradate di alcune grandi città, al rilancio delle grandi opere pubbliche senza alcun rischio per le imprese (a rimetterci potrebbero essere invece le casse pubbliche); fino alla defiscalizzazione per le opere infrastrutturali.
Ma anche se prescindessimo da quanto detto, il legame rimarrebbe intatto dato che Caltagirone è il maggior finanziatore dell’Udc, il partito del genero Pierferdinando Casini, uno dei promotori più decisi del Monti-bis. Ecco allora che sorge qualche dubbio: perché nessuno dall’Udc ha alzato la voce sul caso Mps? E perchè Mario Monti è stato così prodigo nell’attaccare il Pd, dimentico però del ruolo che fino all’altro ieri rivestiva chi oggi lo sostiene?
CALTAGIRONE: IL SOCIO-VICEPRESIDENTE. E CLIENTE DI RIGUARDO DI MPS - Una possibile risposta potremmo averla se guardassimo a quelli che sono stati gli affari di papà Caltagirone nel periodo della sua vicepresidenza a Siena. Va precisato immediatamente un particolare: il rapporto col dimissionario Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, è stato più che redditizio. E dove ha inciso soprattutto? In campo edile, ovviamente. Un caso su tutti. Nel 2009 il Monte dei Paschi, attraverso Antonveneta (successivamente incorporata in Mps Immobiliare) ha venduto alcuni immobili. Indovinate a chi? Alla Immo 2006 srl, società controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone. Costo dell’operazione: 37,58 milioni di euro.
Finita qui? Certo che no. Per il socio-vicepresidente-imprenditore-cliente gli affari sono stati d’oro durante questo periodo. E allora ecco un altro finanziamento notevole: sempre nel 2009 alla Cementir Holding (direttamente controllata dalla Caltagirone spa) sono stati erogati dalla banca di Rocca Salimbeni 49,5 milioni. Ma, probabilmente, non sono bastati. E allora, dopo solo un anno, da Siena sono arrivati altri finanziamenti per Caltagirone per oltre 200 milioni di euro, concessi ovviamente in varia forma tecnica, più mutui fondiari per 30 milioni alla Immobiliare Caltagirone, altra società di punta dell’imprenditore romano. La Immobiliare, però, nel corso degli anni, ha goduto anche di altri corposi finanziamenti provenienti proprio dalla banca diretta da Mussari. Come quello del 2008120 milioni di euro.
C’è da dire, però, che Mussari non ha mai fatto nulla per nulla. E allora, se la banca è stata decisamente prodiga negli anni, Caltagirone imprenditore non è stato da meno nei confonti di Caltagirone socio e vicepresidente di banca: a fine 2010 erano circa 296 i milioni depositati presso Montepaschi, per lo più appartenenti alla controllata (e quotata) Caltagirone Editore.
Un rapporto proficuo per tutti, insomma. E allora perché non allargarlo ulteriormente?Ci si pensa a maggio 2010: il cda di Mps delibera un “incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A”, poi seguite da altri 15 milioni. Anche la multiutility romana, leader – come si legge sul sito – “nel settore idrico e dell’energia”, è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13 per cento, oggi al 15). 
CALTAGIRONE SI DIMETTE: PUZZA DI BRUCIATO? - Il 26 gennaio dell’anno scorso però, come detto Caltagirone dà le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione della banca e dal suo incarico di vicepresidente. Esce dalla banca, di cui peraltro era anche socio detenendo il 4 per cento delle azioni. L’imprenditore, d’altronde, si era già autosospeso dall’incarico il dieci novembre in seguito alla condanna a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo per la tentata scalata dell’Unipol alla Bnl. Una scelta morale, sembrerebbe. Di onestà intellettuale. In realtà le cose non stanno così. Per due motivi. Innanzitutto perché, da quanto sta emergendo in questo periodo, Caltagirone sapeva molto di più di quanto non si pensi, soprattutto sull’operazione Antonveneta, oggi tornata di così stretta attualità. E secondo perché, come vedremo nel prossimo paragrafo, gli affari con Mps continuano ancora oggi. Nonostante tutto.
Ma cominciamo dal primo dei due punti sollevati. Proprio ieri il CorSera è andato a spulciare i verbali del consiglio di amministrazione da settembre a dicembre 2011. In quel periodo la banca appariva decisamente in affanno. Già a settembre, infatti, i consiglieri di amministrazione prendono coscienza della necessità di intervenire. Ma prima bisogna farsi i conti in tasca: capire cosa realmente ci sia nei portafogli della banca. Sebbene, almeno formalmente, non ci sia traccia nei verbali dei derivati oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Siena (Alexandria, Nota Italia e Santorini), la preoccupazione è alta. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiede proprio lui, il vicepresidente di allora Francesco Gaetano Caltagirone.
Il capo del risk management Giovanni Conti ammette la difficoltà e risponde a Caltagirone:28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali “si concentra su scadenza lunghe”. Caltagirone contesta: Il portafoglio è “marcatamente sbilanciato” sia per Paese sia per le scadenze “prolungate”. Sebbene il direttore finanza Giovanni Baldassari cerchi di difendersi, non riesce a convincere il vicepresidente: “la situazione non è ulteriormente sostenibile, sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”.
Insomma, nella ricostruzione di Fabrizio Massaro sul Corriere appare chiaro che Caltagirone avesse avuto sentore del rischio di restare in banca, soprattutto come socio e come dirigente di punta. Dopo pochi mesi, infatti, rassegna le sue dimissioni e cede tutte le sue azioni. Ecco perché, dunque, non è credibile la tesi secondo cui ci sia dietro un gesto nobile dopo la condanna per la scalata Unipol. Caltagirone non avrebbe voluto dimettersi. Tanto che ben presto passa ad un’altra banca: acquista l’1 per cento delle azioni di Unicredit e riesce a inserire il figlio Alessandro nel cda. Pronto, dunque,  per nuovi e proficui affari. 
caltagirone_letta_scandalo_mpsCALTAGIRONE – MPS: GLI AFFARI CONTINUANO. OCCHIO AL “TRUCCO” - Affari che, tuttavia, non sono certo stati interrotti tra Caltagirone e Mps. Prova ne è la joint venture Fabrica Immobiliare sgr, che gestisce diversi fondi che, come si evince dal sito, sono tutti intestati a grandi filosofi dell’antichità: Aristotele, Seneca, Socrate, Pitagora, Cartesio. Dietro gli impegnativi richiami al pensiero del passato, però, ci sono interessi e giochi economici di prim’ordine. Stando al bilancio 2010 della banca senese, infatti, “tra nuovo credito, mutui e affidamenti ordinari alla sgr e alla galassia di fondi chiusi gestiti da quest’ultima, Fabrica Immobiliare lo scorso anno ha ricevuto da Banca Monte dei Paschi risorse per oltre 107 milioni”. Nel corso degli anni ognuno di questi fondi  è stato finanziatoGiugno 2009: per il fondo Forma Urbis mutuo da 14 milioniLuglio 200939,4 milioni per i fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e SocrateNovembre 2009: “affidamenti a carattere ordinario” per 35,1 milioni di euro per il fondo Socrate.
Ma, come detto, gli affari continuano ancora oggi. Basta andare a vedere chi sono gli azionisti della Fabrica Immobiliare: per il 49,9 per cento la Fincal spa (direttamente controllata da Caltagirone spa), per lo 0,02 per cento da Alessandro Caltagirone e per l’altro 49,9 per cento proprio dal Monte dei Paschi. Cosa vuol dire questo? Che, in teoria, la società non ha un socio di controllo. Un gioco sottile, dunque, quello di affidare lo 0,02 per cento delle azioni ad Alessandro che, nonostante sia figlio di Francesco Gaetano, non ha alcun ruolo in Fincal. Ergo: grazie a questo assetto proprietario,nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. In altre parole, i relativi e possibili debiti non vengono consolidati nei conti del gruppo, ma iscritte in bilancio per la quota parte di patrimonio netto. Dunque, anche su quelli del Mps. Gli affari continuano. Anche se sottotraccia. 
TUTTI COINVOLTI – Caltagirone, però, non è l’unico ad aver avuto (e ad avere tuttora) rapporti con il Monte dei Paschi. Tutta la politica, nessuno escluso, pare legata agli interessi della banca senese. A giusta ragione – ma forse troppo semplicisticamente – si dice che il Monte dei Paschi sia la banca del Pd. Vero: Mussari è uomo in orbita democratici, tanti sono stati i finanziamenti della banca arrivati al partito e, di contro, tanti sono gli amici del Pd che occupano posti dirigenziali nella banca. Dire, però, che Mps sia solo legata al partito di Pier Luigi Bersani – come fatto da Grillo, Monti e Berlusconi – è fuorviante. Significa, in altre parole, nascondere una grossa fetta di verità. Per quanto riguarda Monti esemplificativo è il caso, appena illustrato, di Caltagirone,finanziatore numero uno del partito del genero Pierferdinando Casini e uno dei più fervidi promotori del Monti-bis. Non se la scampa, però, nemmeno Silvio Berlusconi. Tutt’altro. in questi giorni, infatti, sono spuntati tutti i rapporti che, nel corso degli anni, hanno tenuto in affari Mps da una parte e il Cav dall’altra. È lo stesso Berlusconi d’altronde ad aver ammesso che “grazie a Mps potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Come ricostruito da Marco Lillo su Il Fatto, l’atteggiamento di allora della banca fu del tutto particolare. Il 9 ottobre 1981 il sindacato ispettivo del Monte dei Paschi scrive: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”. Da allora, dunque, un connubio ininterrotto quello tra B. e la banca senese, come testimoniato anche dai bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli. 
L’INTRECCIO MPS, GOLDMAN SACHS E GIANNI LETTA – Un nome che finora non è uscito, però, è quello di Gianni Letta. Anche il sodale da sempre di Silvio Berlusconi è legato a doppio filo col Monte dei Paschi. E il tramite è di tutto rispetto: la Goldman Sachs.
Cerchiamo di capire. La questione, ricostruita dalla giornalista Debora Billi sul suo blog, è decisamente interessante. Anche perché riguarda proprio quello su cui sta indagando in queste ore la magistratura: l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. Per gestire l’operazione Mussari decide di affidarsi proprio alla banca americana che, insieme, a Citigroup, Merrill Lynch, Credit Suisse, Mediobanca e Jp Morgan copre anche economicamente l’operazione. Si legge sul CorSera del 21 dicembre 2007: “Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse e Mediobanca si sono impegnati a sottoscrivere fino a 2,5 miliardi di euro. Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca cureranno il convertibile. Merrill, Citigroup, Goldman Sachs e Credit Suisse garantiranno poi la sottoscrizione degli strumenti di debito subordinati. Per il finanziamento ponte, infine, che verrà utilizzato da Mps nel caso di ritardi e problemi sugli altri due fronti, Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch e anche Credit Suisse e Mediobanca per la loro parte ne assicureranno la sottoscrizione”. Insomma, l’acquisizione – proprio quella su cui si è soffermata la lente della magistratura – è stata seguita in tutte le sue parti dalle banche.
Ma ecco il punto. Soltanto pochi mesi prima –giugno 2007 – la Goldman Sachs aveva affidato all’ex sottosegretario alla presidenza Gianni Letta l’incarico di consulente per l’Italia e componente del proprio international advisory board. Ruolo decisivo dato che, a conti fatti, Letta ha seguito tutte le operazioni della banca in Italia in quel periodo. A cominciare proprio dall’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi.
Insomma, tutti sono legati alla banca senese. Il fango che in questi giorni ci si getta a vicenda non ha alcuna credibilità. È come quando un bambino, dopo aver commesso la marachella, getta le responsabilità sul compagno che gli sta affianco. In fondo, lo fa solo perchè teme di essere scoperto.


Bimbi schiavi nelle fabbriche dell’iPad.



La Apple passa al setaccio i fornitori «In Cina una fabbrica di minorenni».


Lavoro minorile negli impianti dei fornitori di Apple: nel 2012 Cupertino ha rivenuto 106 casi di bambini con meno di 16 anni di età impiegati nelle fabbriche. Si tratta di 11 stabilimenti in tutto: il caso più estremo in un impianto cinese, dove 74 dei 106 ragazzi lavoravano. Apple ha troncato il rapporto di lavoro con l’azienda e l’ha denunciata alle autorità locali, che l’hanno multata e le hanno revocato la licenza. A scattare la fotografia delle condizioni di lavoro nelle fabbriche di fornitori Apple è Cupertino stessa, nel rapporto annuale sulla `Responsabilità dei fornitori´. 

«Il nostro approccio nei confronti del lavoro minorile è chiaro: non lo tolleriamo e stiamo lavorando per sradicarlo dalla nostra industria. Quando scopriamo fornitori che impiegano lavoro minorile chiediamo azioni correttive immediate» afferma nel rapporto Apple, una delle poche società fra i colossi dell’hi-tech a pubblicare i dettagli sui propri fornitori. Nel rapporto Apple precisa che nessuno dei ragazzi lavora più nelle catene dei fornitori Apple, dopo che la società ha lavorato con i propri partner per aiutarli a identificare casi di documenti falsi. Il lavoro minorile e le tutele del lavoro giovanile sono le uniche due aree sulle otto esaminate da Apple nel rapporto dove si è assistito nel 2012 a un aumento delle violazioni. Le altre categorie, quali la non discriminazione, la libertà di associazione e i salari, sono migliorate. 

Apple ha constatato che meno di un quarto dei suoi fornitori ha contravvenuto agli standard fissati per il rispetto del lavoro e dei diritti umani. Secondo i dati di Cupertino, nel 92% delle settimane lavorate da un milione di dipendenti sparsi nella catena di fornitori è stato rispettato il criterio di un massimo di 60 ore di lavoro a settimana e di un giorno di riposo. Si tratta di un importante progresso rispetto all’anno precedente, quando solo nel 38% dei casi i requisiti minimi erano stati rispettati. «Non consentiamo ai fornitori di agire in modo non etico o di minacciare i diritti dei lavoratori, anche se le leggi locali consentono tali pratiche - afferma Apple -. Stiamo lavorando per mettere fine alle eccessive ore di lavoro, per proibire pratiche di assunzione non etiche e prevenire l’assunzione di lavoro minorile».  


Leggi anche:

Ustica, Stato condannato a risarcire vittime. "Congruamente motivata la tesi del missile".



Nessuna esplosione interna al Dc-9 Itavia con 81 persone a bordo: la Cassazione conferma che il controllo dei radar sui cieli italiani non era adeguato e conferma quanto stabilito anche dalla Corte di Appello di Palermo a fondamento delle prime richieste risarcitorie presentate dai familiari di tre vittime.

ROMA - La strage di Ustica avvenne a causa di un missile e non di una esplosione interna al Dc-9 Itavia con 81 persone a bordo, e lo Stato deve risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. Lo sottolinea la Cassazione in sede civile nella prima sentenza definitiva di condanna al risarcimento. E' la prima verità su Ustica dopo il niente di fatto dei processi penali.

E' "abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile" accolta dalla Corte di Appello di Palermo a fondamento delle prime richieste risarcitorie contro lo Stato presentate dai familiari di tre vittime della strage di Ustica, scrive la Cassazione civile confermando che il controllo dei radar sui cieli italiani non era adeguato.

Il Dc-9 I-Tigi Itavia, in volo da Bologna a Palermo con il nominativo radio IH870, scomparve dagli schermi del radar del centro di controllo aereo di Roma alle 20,59 e 45 secondi del 27 giugno 1980. L'aereo era precipitato nel mar Tirreno, in acque internazionali, tra le isole di Ponza e Ustica. All'alba del 28 giugno vennero trovati i primi corpi delle 81 vittime (77 passeggeri, tra cui 11 bambini, e quattro membri dell'equipaggio).

Il volo IH870 era partito dall' aeroporto 'Guglielmo Marconi' di Borgo Panigale in ritardo, alle 20,08 anziché alle previste 18,30 di quel venerdì sera, ed era atteso allo scalo siciliano di Punta Raisi alle 21,13. Alle 20,56 il comandante Domenico Gatti aveva comunicato il suo prossimo arrivo parlando con "Roma Controllo". Il volo procedeva regolarmente a una quota di circa 7.500 metri senza irregolarità segnalate dal pilota. L'aereo, oltre che di Ciampino (Roma), era nel raggio d'azione di due radar della difesa aerea: Licola (vicino Napoli) e Marsala.

Alle 21,21 il centro di Marsala avvertì del mancato arrivo a Palermo dell'aereo il centro operazioni della Difesa aerea di Martinafranca. Un minuto dopo il Rescue Coordination Centre di Martinafranca diede avvio alle operazioni di soccorso, allertando i vari centri dell'aeronautica, della marina militare e delle forze Usa.
Alle 21,55 decollarono i primi elicotteri per le ricerche. Furono anche dirottati, nella probabile zona di caduta, navi passeggeri e pescherecci. Alle 7,05 del 28 giugno vennero avvistati i resti del DC-9. Le operazioni di ricerca proseguirono fino al 30 giugno, vennero recuperati i corpi di 39 degli 81 passeggeri, il cono di coda dell'aereo, vari relitti e alcuni bagagli delle vittime.

"Non si può che essere soddisfatti per la decisione della Cassazione di confermare l'obbligo dello Stato a risarcire i parenti delle vittime di Ustica, ma adesso lo Stato deve trovare un po' di dignità e avere il coraggio di trarre le conseguenze da tutto questo: chiedere anche ad altri paesi, coinvolti nella strage, di dire la verità. È qualcosa che ci è dovuto, molto prima dei risarcimenti", ha detto Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione parenti delle vittime strage di Ustica.

La stessa richiesta è anche del giornalista Giampiero Marrazzo, direttore dell'Avanti!: "La sentenza definitiva della Cassazione coincide perfettamente con la tesi affermata dal Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, nell'inchiesta da me condotta e nel procedimento portato avanti dall'avvocato Daniele Osnato, legale dei familiari delle vittime di Ustica", ha detto Marrazzo, autore insieme al collega Gianluca Cerasola del film inchiesta dal titolo "Sopra e sotto il tavolo", con le interviste esclusive ai presidenti Cossiga e Andreotti. "Nel nostro lavoro giornalistico - ha continuato - abbiamo sempre sostenuto che, secondo quanto ci riferì Cossiga, solo un missile potesse aver colpito l'aereo nei cieli di Ustica, e che nessuna altra ipotesi potesse essere reale. Pertanto - ha concluso il direttore dell'Avanti! - sono felice che vi sia, una volta per tutte, una sentenza che affermi le responsabilità di chi allora doveva controllare la sicurezza dei cieli italiani. Un ultimo passo sarà comprendere da chi sia stato sparato il missile". 
 

http://www.repubblica.it/cronaca/2013/01/28/news/ustica_stato_condannato_a_risarcire_vittime-51464446/

Pignorata la Missione Speranza e Carità di Biagio Conte.


Pignorata la Missione Speranza e Carità di Biagio Conte. Insomma, anche i poveri debbono pagare. E mentre l’amministrazione comunale di Leoluca Orlando se la tocca con il ‘mignolo’ (colpa della precedente amministrazione comunale di Diego Cammarata, fa sapere l’assessore al Bilancio del Comune di Palermo, Luciano Abbonato), non sfugge agli occhi degli osservatori che lo spirito dei tempi arrivato in Italia con il Governo Monti, alias, “Tasse per tutti”, ha ormai travolto Palermo.
Pignorare i quattro beni di una Missione che si occupa dei poveri e dei diseredati, al di là di chi oggi gioca a scarica barile
 (è noto già da qualche mese a tutti, al Governo regionale, al Comune di Palermo e a tutte le altre ‘autorità’ che la Missione è in difficoltà con le bollette), è solo la dimostrazione della follia in cui è piombato il nostro Paese da quando Palazzo Chigi è finito nelle mani della Massoneria finanziaria europea.
La verità è che per pagare la permanenza dell’Italia nel sistema truffaldino e demenziale dell’euro – dove si ‘costruisce’ la ‘Grande Europa’ giocando a fotti-compagno: Germania docet – i soldi non bastano più. Infatti, oltre alle nuove tasse inventate dal Governo Monti, dall’Imu in poi, non c’è famiglia italiana che non abbia ricevuto cartelle esattoriali.
Così quando un disgraziato non ha i soldi per pagare – o perché non fa parte della Massoneria finanziaria europea come Monti, o perché non è genero dell’onorevole Casini e quindi non può essere eletto in Parlamento grazie al Porcellum e mettersi in tasca 15 mila euro al mese – ecco che subisce il pignoramento dei propri beni.
Proprio quello che è successo in questi giorni alla Missione di Biagio Conte. Con l’attuale amministrazione comunale di Palermo che si dichiara “del tutto estranea” al pignoramento. “Poiché il pignoramento – leggiamo nella nota del Comune – è stato richiesto dalla Serit per una cartella esattoriale di molti anni fa.
“Quella cartella esattoriale – dice l’assessore comunale al Bilancio, Luciano Abbonato – è stata emessa dalla Serit molti anni fa, in base al regolamento sulla Tarsu voluto dall’amministrazione Cammarata ed è già diventata esecutiva prima del nostro insediamento. Il Sindaco Orlando, anche durante l’ultima relazione al Consiglio Comunale, ha ricordato che è nostra intenzione modificare il Regolamento sulla fiscalità comunale in modo da introdurre forme premiali a sostegno di chi svolge attività sociali e di chi sostiene lo sviluppo economico e occupazionale”.
“In questi mesi – ha detto il Sindaco Leoluca Orlando – abbiamo avviato un ottimo dialogo con la Missione di Biagio Conte con cui abbiamo iniziato una collaborazione e la cui attività è sostenuta anche economicamente”.