domenica 15 dicembre 2013

Scopre primo fossile di dinosauro con cresta da gallo. Ma è precario all’Università. - David Marceddu

Scopre primo fossile di dinosauro con cresta da gallo. Ma è precario all’Università


Federico Fanti, 32 anni 1.800 euro e una cattedra all'ateneo di Bologna, ha appena fatto una scoperta che potrebbe rivoluzionare gli studi sui grandi rettili. Ma in Italia ha un contratto da ricercatore e nel giro di uno o due anni potrebbe essere di nuovo a spasso. "Senza sicurezze potrei andare all'estero. Le offerte non mancano".

Oggi tutto il mondo scientifico parla di lui e della sua scoperta eccezionale: il ritrovamento, per la prima volta, di un dinosauro con una cresta molle sulla testa, come quella dei galli. Lui, lo scopritore, è entusiasta: “Quella cresta non aveva nessun’altra utilità che quella di comunicare. Questa novità può aprire orizzonti nuovi nello studio dei dinosauri”. Il rinvenimento a opera di Federico Fanti, paleontologo di 32 anni dell’università di Bologna, è stato reso noto oggi dalla rivista Current Biology che gli ha dedicato la copertina. Un giornale pari per fama a Science o Nature e che ha consentito al giovane studioso di essere citato oggi sulle testate e sui i siti internet di tutto il pianeta. Eppure Fanti deve fare i conti con un contratto da ricercatore a tempo determinato e presto o tardi questa precarietà potrebbe portarlo lontano dall’Italia. “Se la parola merito in Italia ha un senso, spero al prossimo concorso di ottenere un lavoro più sicuro anche grazie a quest’ultima pubblicazione”. Le offerte dall’estero, soprattutto dal nord America (il ritrovamento è avvenuto in Canada) non gli mancano. Ma lui, con un figlio piccolo e la passione per l’insegnamento, vorrebbe stare nel suo Paese: “Non è una questione di soldi, ora guadagno 1.800 euro al mese grazie alla cattedra di Paleontologia dei vertebrati all’università. Non mi lamento. Il problema – spiega al fattoquotidiano.it lo scienziato – è la tranquillità di non dover cercare un posto di lavoro ogni tre anni.Come posso fare ricerca con altri colleghi in tutto il mondo, se poi periodicamente devo dire loro: ‘Scusate mi scade il contratto’?”.
A scoprire il dinosauro nello stato dell’Alberta è stato proprio Federico in persona: “Il ritrovamento è avvenuto nel 2011, poi ci sono voluti due anni perché la cosa venisse studiata e se ne capisse l’importanza”, spiega Fanti. L’Edmontosauraus regalis – ‘scavato’ dallo studioso dell’Alma Mater insieme a una squadra internazionale composta da Phil Bell (Università del New England, Australia), Philip Currie e Victoria Arbour (Università dell’Alberta, Edmonton, Canada) – è un esemplare mummificato del dinosauro dal becco d’anatra noto come hadrosauro. Questa specie era diffusa nel continente nord americano circa 75 milioni di anni fa. Nonostante i ritrovamenti dei loro resti siano piuttosto comuni, nessuno sospettava che questi erbivori lunghi fino a 12 metri avessero una cresta fatta interamente di carne sul cranio.
Lo scheletro è stato ritrovato in sedimenti vecchi di 70 milioni di anni che affiorano vicino alla città di Grande Prairie e solo durante lo studio condotto nei successivi due anni se ne è compresa la rilevanza: a mano a mano che la roccia veniva rimossa appariva il corpo mummificato e in condizioni perfette del grande dinosauro. “Per me che sono cresciuto con il mito di questi bestioni, la scoperta è una grande soddisfazione. Fino a oggi non c’erano indizi sulla presenza di queste creste. Molte specie infatti le avevano ben sviluppate. Ma negli esemplari rinvenuti sinora sotto la cresta c’erano le ossa”, spiega Fanti.
La presenza di creste sul cranio può essere ricondotta a due funzioni principali: la comunicazione sociale o l’esibizione sessuale. In entrambi i casi la sua presenza implica dinamiche sociali sviluppate e ben definite nell’ambito di singole specie di dinosauri. Forse servivano a indicare le gerarchie all’interno del branco, la maturità sessuale di un individuo o a mandare messaggi a possibili predatori. In questi giorni lo studioso bolognese è alle prese con le commissioni di laurea. Le sue lezioni sono frequentate e l’insegnamento è una passione da coniugare, per meno di 2mila euro al mese, alla ricerca scientifica. “Ma a questa non vorrei dovere aggiungere la ricerca di un lavoro. Se invece non avrò sicurezze, sono pronto ad andare via”.

sabato 14 dicembre 2013

In giro per Napoli.



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Spruzzi d’acqua nel cielo d’Europa. - Marco Galliani




Poderosi getti d'acqua sollevati fino a 200 chilometri sopra l'atmosfera della luna ghiacciata di Giove sono stati individuati da un team di ricercatori statunitensi e tedeschi grazie alle riprese del 'solito' Hubble. Giuseppe Piccioni (INAF): "Le lune di Giove possiedono caratteristiche uniche all'interno del Sistema solare. Con la prossima missione JUICE dell'ESA riusciremo a studiare con un livello di dettaglio mai raggiunto questi mondi potenzialmente abitabili".

A prima vista, quelle immagini così sgranate e indistinte di Europa, una delle lune di Giove, che compaiono oggi in un articolo pubblicato su Science Express, non sembrano particolarmente interessanti. Eppure dietro a quei pixel che assumono colori dal celeste chiaro fino al bianco assoluto, potrebbe celarsi una importantissima scoperta: la presenza di pennacchi d’acqua che si stagliano sopra la superficie di Europa, letteralmente sparati verso l’alto fino ad altezze di 200 chilometri e fuoriusciti da qualche frattura nella spessa calotta ghiacciata che avvolge il corpo celeste.
Le riprese dei presunti ‘geyser’ d’acqua sono state ottenute nella banda di radiazione ultravioletta dal telescopio spaziale Hubble con il suo spettrografo STIS (Space Telescope Imaging Spectrometer) nel corso di alcune osservazioni effettuate tra novembre e dicembre del 2012. Lorenz Roth, ricercatore della Southwest Research Institute negli USA e Joachim Saur dell’Istituto di Geofisica e Meteorologia di Colonia in Germania, insieme al loro team hanno individuato in quelle immagini delle anomale abbondanze di ossigeno e idrogeno al di sopra di due differenti regioni nell’emisfero sud della luna di Giove.
“I risultati dell’articolo pubblicato oggi su Science danno una risposta chiave ed inequivocabile della presenza di getti d’acqua transienti nell’emisfero sud del satellite galileiano Europa” commenta Giuseppe Piccioni, planetologo dell’INAF-IAPS di Roma. “La rivelazione è stata resa possibile grazie allo spettrometro ultravioletto a bordo del telescopio spaziale Hubble (HST), in grado di identificare le deboli emissioni provenienti dall’interazione del vapor d’acqua con l’ambiente estremamente energetico del sistema di Giove, i cui elettroni sono in grado di modificare ed eccitare energeticamente le molecole. Osservazioni precedenti dallo spazio ci avevano già dato la certezza della presenza di un oceano sotterraneo ad Europa e questi risultati sono compatibili con getti supersonici di 700m/s, ovvero 2500 chilometri all’ora, in grado di arrivare a 200 km di altezza. Questi poderosi geyser sarebbero generati dal potente stress mareale esercitato sulla luna dall’enorme e vicino pianeta Giove. È notevole anche il fatto della variabilità nel tempo di questi fenomeni, osservati quando Europa è all’apocentro (ovvero al suo punto di massima distanza da Giove) e non al pericentro (il punto di massimo avvicinamento al pianeta), compatibili con i modelli matematici attuali”.
I ricercatori, forti di queste importanti evidenze osservative, avanzano similitudini tra i fenomeni scoperti su Europa con quelli già noti che avvengono su un’altra luna nel Sistema solare, ovvero Encelado, che orbita attorno a Saturno, dove emissioni di vapore ad alta pressione emergono da sottili crepe sulla crosta del corpo celeste.
“Lo sapevamo già che Europa e più in generale le lune di Giove possiedono delle caratteristiche uniche all’interno del Sistema solare, non ultima la presenza di un enorme bacino di acqua allo stato liquido sotto la sua crosta, dove forse potrebbero essersi sviluppate elementari forme di vita” aggiunge Piccioni. “Con la missione JUICE dell’ESA recentemente approvata, avente come obiettivo lo studio approfondito del sistema di Giove in cui l’Italia figura con ruoli di primissimo piano grazie allo sforzo di ASI, INAF e le altre Università ed enti coinvolti, riusciremo a studiare con un dettaglio mai raggiunto precedentemente questi ed altri fenomeni peculiari di questi mondi potenzialmente abitabili”.

venerdì 13 dicembre 2013

Nell'universo “arcobaleno”, dove il tempo non ha avuto un inizio

© Aeriform/Ikon Images/Corbis
Forse non c'è mai stato alcun big bang e il tempo non ha mai avuto un inizio ma si estende all'infinito nel passato. Sono queste le conseguenze della cosiddetta "gravità arcobaleno", un'ipotesi secondo cui le diverse lunghezze d'onda della luce risentirebbero in modo diverso della curvatura dello spazio-tempo. Gli strumenti che potrebbero controllare sperimentalmente questa teoria stanno raggiungendo la sensibilità necessaria di Clara Moskowitz.
E se l'universo non avesse avuto un principio, e il tempo si estendesse indietro all'infinito, senza un big bang che abbia dato inizio alle cose? E' una possibile conseguenza di un'idea chiamata “gravità arcobaleno”, che postula che gli effetti della gravità sullo spazio-tempo si facciano sentire in modo diverso alle diverse lunghezze d'onda della luce, come i diversi colori dell'arcobaleno.

La gravità arcobaleno è stata proposta per la prima volta dieci anni fa come un possibile passo verso la soluzione delle incongruenze tra la teorie della relatività generale (che riguarda il molto grande) e la meccanica quantistica (che riguarda il regno del molto piccolo). Non si tratta di una teoria completa per descrivere gli effetti quantistici sulla gravità, né è ampiamente accettata. Tuttavia, i fisici hanno applicato il concetto al problema di come l'universo potrebbe aver avuto inizio, scoprendo che, se la gravità arcobaleno è corretta, la storia dell'origine dello spazio-tempo può essere drasticamente diversa dallo scenario del big bang.

Secondo la relatività generale di Einstein, gli oggetti massicci deformano lo spazio-tempo in modo tale per cui tutto ciò che viaggia attraverso di esso, inclusa la luce, segue un percorso curvilineo. La fisica standard dice che questo percorso non dovrebbe dipendere dall'energia delle particelle che si muovono attraverso lo spazio-tempo, mentre invece è così secondo la gravità arcobaleno. “Le particelle con energie differenti vedranno effettivamente spazi-tempo diversi e diversi campi gravitazionali”, dice Adel Awad, del Centro di fisica teorica presso la Città della scienza e della tecnologia Zewai, in Egitto, che ha diretto la nuova ricerca, pubblicata a ottobre sul “Journal of Cosmology and Astroparticle Physics”. Il colore della luce è determinato dalla frequenza, e a diverse frequenze corrispondono energie diverse; le particelle di luce (fotoni) dei diversi colori viaggerebbero così su percorsi dello spazio-tempo leggermente differenti, in funzione della loro energia.
Nell'universo “arcobaleno”, dove il tempo non ha avuto un inizio
Immagiune di un lampo di raggi gamma ripreso del Fermi Large Area Telescope. (NASA/DOE/Fermi LAT Collaboration, Capella Observatory)
Gli effetti di solito sono piccoli, tanto da non poter notare la differenza nella maggior parte delle osservazioni di stelle, galassie e altri fenomeni cosmici. Ma per energie estreme - come nel caso delle particelle emesse dalle esplosioni stellari note come lampi di raggi gamma (gamma-ray burst) - il cambiamento potrebbe essere rilevabile. In simili situazioni, i fotoni di diverse lunghezze d'onda rilasciati dallo stesso gamma-ray burst raggiungerebbero la Terra in tempi leggermente diversi, dopo aver seguito percorsi leggermente alterati nell'arco di miliardi di anni luce di spazio e tempo. “Finora non abbiamo alcuna prova conclusiva che questo stia accadendo”, spiega Giovanni Amelino-Camelia, dell'Università “Sapienza” di Roma, che ha studiato la possibilità di simili segnali. Gli osservatori attuali, però, stanno raggiungendo solo ora la sensibilità necessaria per misurare questi effetti, sensibilità che dovrebbe migliorare nei prossimi anni.

Per quanto ormai rare, le energie estreme necessarie a far emergere conseguenze significative dalla gravità arcobaleno, erano prevalenti nel denso universo primordiale, e questo potrebbe significare che le cose siano cominciate in un modo radicalmente diverso da quanto si tende a pensare. Sulla base di interpretazioni leggermente differenti delle ramificazioni della gravità arcobaleno, Awad e colleghi hanno trovato due possibili origini dell'universo.

In uno scenario, se si ripercorre il tempo all'indietro, l'universo diventa sempre più denso, avvicinandosi a una densità infinita senza però mai raggiungerla. Nell'altro scenario, guardando indietro nel tempo, l'universo arriva a una densità estremamente elevata, ma finita, raggiungendo unplateau. In nessuno dei due casi c'è una singolarità, un punto nel tempo in cui l'universo è infinitamente denso; in altre parole, non c'è un big bang. “Questo è stato, ovviamente, un risultato interessante, perché nella maggior parte dei modelli cosmologici abbiamo una singolarità”, dice Awad. Il risultato suggerisce che forse l'universo non ha avuto alcun inizio, e che il tempo può perdersi in una infinita lontananza.
Nell'universo “arcobaleno”, dove il tempo non ha avuto un inizio
Secondo la teoria della gravità arcobaleno, non ci sarebbe stato alcun big bamg. (© Rhys Taylor/Stocktrek Images/Corbis)
Anche se è troppo presto per sapere se questi scenari possano corrispondere al vero, sono certamente affascinanti. “Questo articolo e alcuni altri mostrano che questa idea di gravità arcobaleno potrebbe legittimamente aspirare a un posto nella cosmologia, e questo per me è incoraggiante", dice Amelino-Camelia, che non è stato coinvolto nella ricerca, ma ha studiato i contesti teorici che permetterebbero lo sviluppo di una teoria quantistica della gravità. “Nella gravità quantistica stiamo scoprendo sempre più esempi in cui compare la caratteristica che si può chiamare gravità arcobaleno. E' qualcosa che diventa sempre più avvincente.”

Eppure l'idea ha i suoi critici. “E' un modello che non credo abbia a che fare con la realtà”, spiega Sabine Hossenfelder del Nordic Institute for Theoretical Physics di Stoccolma, aggiungendo che non è l'unico modo per togliere di mezzo la singolarità del big bang. “Il problema non è rimuovere la singolarità, il problema è modificare la relatività generale in modo coerente, cioè in modo che produca ancora tutte le sue conquiste e, in più, quelle del modello standard della fisica delle particelle.”

Lee Smolin del Perimeter Institute for Theoretical Physics, in Ontario - che per primo, insieme a Joao Magueijo dell'Imperial College di Londra, ha suggerito l'idea di gravità arcobaleno - dice che, nella sua testa, la gravità arcobaleno fa parte di un'idea più ampia, chiamata località relativa. Secondo la località relativa, osservatori situati in diverse località di tutto lo spazio-tempo non saranno d'accordo sul punto in cui avvengono gli eventi; in altre parole, la posizione è relativa. “La località relativa è un modo più profondo di intendere la stessa idea” di gravità arcobaleno, dice Smolin. Il nuovo articolo di Awad e colleghi, aggiunge, “è interessante, ma prima di credere davvero nel risultato, vorrei riformularlo nel quadro della località relativa. Potrebbero esserci problemi nel modo in cui è scritta la località e dei quali gli autori potrebbero non essere consapevoli.”

Nei prossimi anni i ricercatori sperano di analizzare i lampi di raggi gamma e altri fenomeni cosmici alla ricerca di segni degli effetti della gravità arcobaleno. Se li troveranno, potrebbe significare che l'universo ha una storia più “colorata” di quanto pensato.

(La versione originale di questo articolo è apparsa 
su scientificamerican.com il 9 dicembre. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) 
 

Diamole qualche altro incarico, lei è eclettica e non dorme mai....c'è da domandarsi dove trova il tempo per l'abbronzatura...



Brava SuperSerracchia! 

Forse se avessi avuto qualche competenza non avresti votato per far arrivare in Italia, senza alcuna dogana, le arance del marocco che finiscono di schiacciare e soffocare il mercato siciliano!


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Il governo delle PMI se ne frega.

governo_pmi.jpg


"Un emendamento del M5S al Decreto del Fare prevede che al Fondo di Garanzia a favore delle piccole e medie imprese possono affluire contributi su base volontaria per essere destinati alla microimprenditorialità. 

Il provvedimento impegnava il Ministero dell'Economia e delle Finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ad emanare un decreto per definire le modalità di attuazione e di contribuzione da parte di enti, associazioni, società o singoli cittadini. 

I novanta giorni sono passati ma, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, fregandosene delle difficoltà finanziarie in cui versano le piccole imprese, non ha ancora fatto nulla. 

Questo Fondo di Garanzia rappresenta il principale strumento nazionale a sostegno dell'accesso al credito per le PMI italiane. 

Il meccanismo di funzionamento del Fondo genera un importante effetto leva in grado di agire da moltiplicatore delle risorse di cui dispone, basti pensare che con un euro di dotazione del fondo, al sistema imprenditoriale arrivano tra i dieci e i venti euro. 

Ogni risorsa aggiuntiva destinata al fondo, risulta essere un importante strumento per dare una boccata di ossigeno al sistema produttivo. 

Per la prima volta in Italia, il M5S ha deciso di fare con atti concreti e non con le solite chiacchiere. 

Se avessimo potuto versare al Fondo l'ammontare della nostra prima restituzione, pari a 1.569.951 euro, avremmo potuto finanziare le PMI per un ammontare che poteva variare tra i 15 a 30 milioni di euro. 

Il M5S, per il secondo restitution day, ha atteso invano l'emanazione del decreto attuativo. 

Con amarezza, a 8 giorni dalla scadenza della seconda restituzione, al M5S non è ancora data la possibilità di poter versare le eccedenze al Fondo. 

Per chi desidera maggiori informazioni: fondidigaranzia.it" Barbara Lezzi, M5S Senato

http://www.beppegrillo.it/2013/12/il_governo_delle_pmi_se_ne_frega.html