venerdì 26 settembre 2014

Silurato il comandante De Falco, mentre Schettino insegna all’università. - Diego Cugia




Dopo la battuta telefonica più tristemente famosa del mondo, “Vada a bordo, cazzo!”, ho temuto che non ci saremmo più tolti dalle palle chi la disse, il comandante Gregorio De Falco della capitaneria di Livorno allo sciagurato Schettino, il capitano che aveva abbandonato la nave della Costa Concordia con donne e bambini a bordo.

Nella frettolosa lavagna dei Buoni e dei Cattivi, De Falco era iscritto come nuovo Eroe Nazionale, l’altro come Vigliacco. 

Ero certo che il battutista cazzuto, il nuovo eroe più fico degli italiani, sarebbe stato proclamato senatore a vita mentre al fuggiasco sulla pilotina avrebbero fatto scontare non solo i poveri morti della Concordia, ma tutti quelli per mafia e perfino le vittime della prima e della seconda guerra mondiale. 
La nostra specialità, oltre agli spaghetti, è di saper cucinare il caprio espiatorio al forno. 
E Schettino mi ricordava Oreste Jacovacci, il pavido ma simpatico protagonista de “La grande guerra” di Monicelli, anche se Sordi e Gassman all’ultimo minuto diventavano eroi mentre Schettino a bordo non c’era più risalito manco per il “cazzo!”.

I primi forti dubbi mi hanno assalito al termine di un’udienza del processo, quella in cui i giudici avevano riascoltato le concitate battute di quella notte fra De Falco e Schettino:


«Lei adesso torna immediatamente a bordo e mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose d’assistenza. E me ne dice il numero, chiaro?»


«Comandante, in questo momento la nave è inclinata…»


«Guardi Schettino, lei forse si sta salvando dal mare, ma io le faccio passare l’anima dei guai. Vada a bordo, cazzo!» 


«Comandante, per cortesia!»


«Per cortesia niente. Ci sono già dei cadaveri, Schettino!»


«Quanti cadaveri ci sono?»


«A me lo chiede? Non lo so, ma ci sono, è lei che mi deve dire quanti ce ne sono!»
«Si rende conto che è buio e che qua non vediamo nulla?»


«E che vuole tornare a casa, Schettino? Ci sono ancora cento passeggeri sulla nave. Torni a bordo!»


«Ma noi abbiamo abbandonato la nave!»


«E lei con cento persone ancora a bordo mi abbandona la nave?»…


Al termine dell’udienza, dicevo, Schettino dichiarò: “Fu una telefonata tristemente famosa, inutile e provocatoria. De Falco perse l’autocontrollo”.


Cosa? “De Falco perse l’autocontrollo”? Pezzo d’imbecille, sei tu che hai perso pure la faccia abbandonando la nave, sei responsabile di un cimitero, ma che vai dicendo!?
A questo punto ho capito che sarebbe stato meglio se gli italiani avessero nominato il comandante De Falco presidente del Consiglio al posto di Renzi, mentre l’autore del macabro “inchino” all’Isola del Giglio avremmo dovuto incatenarlo allo scoglio che aveva aperto una falla di 70 metri nella nave: Schettino, monumento marino vivente dell’arroganza fatta Paese. 

Quella stessa Italia che l’ha invitato all’Università, per fare una “Lectio Magistralis” ai nostri ragazzi. 
Non ci si crede. 
Mentre il peggio doveva ancora succedere. 
In Italia lo schifo non ha fondo. Il comandante De Falco, invece di essere promosso, è stato silurato. «Sono molto amareggiato» ha dichiarato l’uomo che di fronte al mondo ci aveva consolato della figuraccia mortale di Schettino. 
«Ho avuto notizia di essere stato rimosso dai miei incarichi operativi e che sarò trasferito in un ufficio amministrativo».

Mi sono tornate in mente le parole di un’intervista rilasciata poco prima di morire proprio da Mario Monicelli. «Gassman e Sordi ne “La Grande Guerra” avevano una loro spinta personale, un orgoglio, una dignità della persona che noi abbiamo perso, completamente.» Alla domanda come finirà l’Italia di oggi, il nostro grande regista rispose: «Come finisce questo film? Non lo so. Io spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. C’è stata in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, che è trecent’anni che è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi, il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso, esige anche dei sacrifici. Se no, vada alla malora – che è dove sta andando, ormai da tre generazioni».
Italiani, tornate immediatamente a bordo, e gettiamola a mare questa gente! 

Viva De Falco, cazzo!

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10203713273010367&set=a.1249582957728.2035126.1174087788&type=1&theater

Il 'Nazca' Kazakhstan: Hallan disegni enigmatici da 2.000 a 10.000 anni.



Nel nord del Kazakistan, in Asia centrale, gli archeologi hanno scoperto più di 50 geoglifi di varie forme e dimensioni, tra cui una svastica enorme di origine sconosciuta.

Trovati grazie a Google Earth, questi disegni, che ricordano le famose  linee di Nazca  in Perù, hanno forme diverse, quali anelli, piazze e croci. Rispetto al loro dimensioni, alcuni superare quella di una moderna portaerei e altri hanno 90-400 metri di diametro, riporta il portale  Bnews . Kostanay ricercatori presso l'Università del Kazakistan, in collaborazione con l'Università di Vilnius, in Lituania, è stato esaminato il geoglifi, ma finora non sono stati in grado di determinare la loro funzione.



"Oggi, siamo solo sicuri di una cosa. Geoglifi sono stati realizzati da un popolo antico che e per quale scopo lo ha fatto rimane un mistero", hanno detto i ricercatori.



Molte delle figure sono state fatte con cumuli di terra, ma la svastica è stato realizzato utilizzando il legno. Si stima che tra i 2.000 ei 10.000 anni e sono stati realizzati per scopi rituali. E 'difficile distinguerli nel terreno, ma può essere facilmente visibile dal cielo.  

 


http://actualidad.rt.com/cultura/view/141456-nazca-kazajistan-enigmaticos-dibujos-geoglifo


Tradotto da Google

Il nuovo ordine dell'Europa: distruggere ogni differenza. - Ida Magli



Azzerate le scienze umane, cresce l'analfabetismo, l'insegnamento è a senso unico Risultato? La formazione omologata degli individui, anzi dei "cittadini del mondo"

All'inizio degli anni Novanta le scienze umane sono state fatte sparire dall'orizzonte dell'informazione di massa, semplicemente con il silenzio, non parlandone più. Dato l'enorme entusiasmo che avevano suscitato nel periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale fino agli anni Novanta, il fatto che nessuno abbia fatto rilevare questa sparizione sarebbe «strano» se non rappresentasse la conferma che la sparizione è stata voluta.
Le cattedre ovviamente sussistono, ma le loro scienze non fanno più notizia. Contemporaneamente sono state eliminate dalle scuole, per ordine dell'Ue, antiche, nobilissime e essenziali discipline come la geografia, la letteratura latina e greca con le lingue corrispondenti, riducendole tutte a fantasmi, innocui brandelli di un sapere inesistente. Perfino la storia, privata di tutti i contributi metodologici di cui l'epoca moderna l'aveva arricchita, sembra diventata un residuo d'altri tempi, impotente a dare agli uomini quella consapevolezza di se stessi che ne è il frutto principale, conquista fondamentale della civiltà europea. Anche questo è stato deciso e messo in atto nel più completo silenzio.
Sembra di vivere in una società di analfabeti, dove nessuno è in grado di valutare e di esprimere un giudizio su simili provvedimenti. Eppure anche soltanto il corpo insegnanti italiano (ma il decreto riguarda tutte le scuole dell'Ue) è costituito da circa un milione di persone. Come mai non hanno protestato, non hanno espresso il loro parere su una decisione così grave? Di fatto i governanti, provvedendo a educare tutti con le scuole di Stato, hanno dettato anche il tipo di insegnamento cui i sudditi debbono essere sottoposti, tipo d'insegnamento che possiamo riassumere nel dato che segue: gli studenti debbono studiare in modo da non imparare nulla, o quasi. Per prima cosa non debbono imparare a «pensare», a che cosa serva «pensare», a che cosa serva «conoscere»; di conseguenza, debbono imparare tutto senza imparare nulla su di sé, sulla propria vita, sul proprio ambiente, sul proprio gruppo, sulla propria storia, sulle istituzioni e sul potere che le regge. Sembra evidente che tutto questo sia stato programmato in vista dell'ideologia di chi comanda in Europa, o almeno di quello che si suppone sia questa ideologia: l'omogeneizzazione mondiale, la formazione di persone tutte uguali: i «cittadini del mondo».
È obbligatorio, pertanto, insegnare ai ragazzi quale sia la verità sul sesso stabilita dal Potere. Non quella che il bambino vede, sente, tocca su di sé da quando è nato, quella della natura che ha fornito il pene e l'utero per la prosecuzione della specie, Dna diversi fra maschi e femmine, così come ha fornito gli occhi per vedere, i polmoni per respirare, ma quella del gender (termine che non viene mai tradotto vista la sua ambiguità). Che poi è ovviamente quella imposta dagli omosessuali «maschi» e che l'Italia ha approvato: si è maschi o femmine, o anche trans, se l'individuo crede o pensa o desidera, o «sente» di esserlo. Il Consiglio d'Europa ha fornito la traccia obbligatoria per tutti. Al Policlinico di Bari si effettuano cambiamenti di sesso con 170mila euro a intervento forniti dalla Regione Puglia, stanziamento che naturalmente serve a incrementarli. Perché si vogliono rendere più frequenti e «normalizzare» i cambiamenti di sesso caricandone la spesa sulle spalle della società? La spiegazione va cercata nel loro desiderio di integrazione. Le tecniche chirurgiche odierne facilitano questo scopo, anche se si tratta di operazioni di per sé molto complesse, e che lasciano sempre, o quasi sempre, conseguenze negative fisiche e psicologiche.
Una cosa, però, la si può dedurre con sicurezza da questi comportamenti: nella direzione di senso impressa all'Europa dal Laboratorio per la Distruzione l'uguaglianza finale non sarà soltanto quella delle idee, della lingua, della religione, della Patria, ma anche fisica. L'uguaglianza che si persegue, però, è il più possibile «indistinta», di cui il modello è il «trans» \. Quello che abbiamo davanti oggi, dunque, in Occidente, è il mondo della non-forma che pretende di diventare modello prevalente sulla forma. È ciò cui tende il Laboratorio per la Distruzione: nulla è più debole della non-forma. Come è ovvio, sul grigio cui si sta riducendo l'Europa, debolissimo di per sé, vincerà il «nero».
Si tratta, dunque, di preparare i giovani a non appartenere a nulla, a non identificarsi in nulla, a non sapere orientarsi sessualmente ma anche geograficamente, come è stato affermato con semplicità eliminando la geografia dagli insegnamenti scolastici: a che servirebbe visto che il pianeta appartiene a tutti? Perfino della psichiatria e del problema dei malati di mente, di cui si era discusso in Italia con grande passione dal '68 in poi a causa delle teorie di Franco Basaglia sulla necessità di chiudere i manicomi e di liberare i pazienti da una vita presso a poco carceraria, adesso non si sente più parlare. Non esistono più malati di mente? Come si curano? Come se la cavano i parenti nell'assisterli? Non lo sappiamo. È evidente che l'informazione in proposito è stata messa a tacere.


http://www.ilgiornale.it/news/cultura/970003.html

Processo Enel Porto Tolle, “Scaroni ha non indifferente capacità a delinquere”. - Thomas Mackinson

Paolo Scaroni

La definizione è nelle motivazioni della sentenza di condanna emessa il 31 marzo scorso per il disastro ambientale della centrale di Porto Tolle. "Scaroni agì al fine di incrementare gli utili d'impresa a discapito della sicurezza e della salute dei cittadini”. Il nuovo ad: "Rinunciamo a riconversione a carbone".
Paolo Scaroni dimostra una “non indifferente capacità a delinquere”. E non stiamo parlando delle indagini per le presunte mazzette sui pozzi petroliferi, ma delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Rovigo che lo scorso 31 marzo ha condannato gli ex amministratori di Enel Paolo Scaroni e Franco Tatò a tre anni di reclusione per disastro ambientale, in termini di messa in pericolo della salute della popolazione. Appena depositate, sono l’ennesima tegola sul capo dell’ex manager pubblico oltre che un macigno per i gestori di impianti industriali nel mirino di altre procure. In 113 pagine il collegio giudicante ricostruisce la vicenda processuale innescata dalle emissioni inquinanti della centrale termoelettrica di Porto Tolle tra il 1998 e il 2009. E una frase riassume l’esito e colpisce più di altre l’attenzione: “La pena inflitta risulta adeguata alla non indifferente capacità a delinquere dimostrata dai prevenuti (gli a.d. Tatò e Scaroni), i quali hanno agito al fine di incrementare gli utili d’impresa a discapito della sicurezza e della salute dei cittadini”. 
La “capacità di delinquere”, si legge nelle carte, sostanzia dalla fatto che entrambi gli ad (Scaroni dal 2002) anziché porsi l’obiettivo di conformarsi al dettato normativo in fatto di riduzione delle emissione e salvaguardia della salute pubblica “agirono in senso contrario, omettendo da un lato di dare corso agli interventi di ambientalizzazione della centrale annunciati dall’azienda fin dal 1994 e sostenendo dall’altro progetti di riconversione che prevedevano l’uso di combustibili dotati di maggior impatto ambientale rispetto al metano”. Il tutto, in sintesi, al fine di consentire una produzione energetica sostenuta e a basso costo, grazie ai mancati interventi di desolfurazione degli impianti e all’uso di combustibili ad alto tenore di zolfo che presentavano prezzi di acquisto inferiori ad altri. Attività ad altissimo impatto ambientale per la popolazione residente sul territorio del delta del Po che ha potuto proseguire indisturbata fino al 2009 anche grazie a puntuali deroghe pervenute da Roma.
Sul punto i giudici non hanno dubbi. La mera autorizzazione – per altro tacita – al funzionamento della centrale non è sufficiente ad escludere reati suscettibili di incidere sulla salute delle persone. Si legge in proposito nella sentenza (pag. 26): “Tali violazioni, infatti,condussero al pregiudizio di un bene, “la salute” di una generalità indefinita di individui, avente rango costituzionale, e come tale estraneo al c.d. “rischio consentito’, ossia a quel novero di eventi di danno e di pericolo, la cui verificazione non è penalmente rilevante, essendo controbilanciata dalla scriminante dell’esercizio del diritto. L’attività imprenditoriale, infatti, non può svolgersi in contrasto con “l’utilità sociale” (art. 49 Cost.) e non può compromettere il bene salute (art. 32 Cost.). Pertanto, la stessa non può essere legittima ove vulneri in modo significativo tale bene giuridico e diviene colpevole se ciò avviene nella consapevolezza di violare precise disposizioni legislative”.
E i giudici non fanno sconti. “Ciò costituisce chiaro indice del dolo insito nelle condotte nell’intera vicenda”, si legge a pagina 92 della sentenza. Condotte “dettate dalla volontà di contenere i costi di esercizio delle centrale e quindi aumentare gli utili di impresa, omettendo di destinare sufficienti risorse alla salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente circostante”. Oltre a rimarcare la posizione grave di Scaroni, già condannato nel primo processo Enel che si era celebrato ad Adria nel 2006 (confermata in Cassazione 2011), il collegio rileva che non ci sono le condizioni per concedere le attenuanti generiche “considerato il comportamento processuale tenuto dagli imputati, i quali non hanno manifestato alcuna forma di resipiscenza in ordine alle condotte poste in essere”. E in effetti, a botta calda, Scaroni si dimostrerà quasi sprezzante: “Porto Tolle, nessun disastro. Pensavo di essere assolto“. E invece i magistrati condannano e con la mano pesante. A scanso di equivoci precisano anche che “non potrà essere concesso l’indulto di cui alla legge n. 241/2006, atteso che la commissione del reato, per quanto sopra specificato, si è protratta ben oltre la data 2 maggio 2006. 
Ma non è finita. Perché mentre gli inquirenti milanesi sono sulle tracce del “tesoretto” di Scaroni, che avrebbe accumulato ingenti ricchezze attraverso un sistema tangentizio di commesse petrolifere, i giudici di Rovigo hanno stabilito che i due manager dovranno pagare in solido tra loro 400mila euro a titolo di risarcimento dei soggetti costituiti in giudizio (ministeri dell’Ambiente e della Salute, associazioni, comuni di Porto Tolle e Rosolina, Provincia di Rovigo…). La partita economica è solo all’inizio. La sentenza si conclude infatti non con una ammenda pecuniaria che lava il reato ma con la richiesta di ripristino dei danni ambientali che con tutta probabilità saranno oggetto di un procedimento in sede civile. Dal valore potenzialmente devastante (anche per Enel, non citata a giudizio sul fronte penale): una stima dell’Ispra dello scorso gennaio valutava danni ambientali e sanitari per 3,6 miliardi di euro.
Oltre al giudizio in oggetto, le motivazioni della sentenza sono già destinate a fare giurisprudenza e sollevare polemiche. Accolgono in pieno l’impianto accusatorio mosso dal pm Manuela Fasolato che ha condotto una solitaria battaglia per anni, finendo pure sotto un procedimento disciplinare dai tratti a dir poco surreali che tutt’ora pende al Csm (il 21 novembre l’udienza). Tra le altre contestazioni, quella di “lavorare troppo”. La Procura Generale della Repubblica ha chiesto due volte l’archiviazione, le incolpazioni in parte sono cadute e in parte sono state riformulate  tenendo in piedi quella di “interferenza grave” contro il Ministero dell’Ambiente. Il motivo? Mentre a Roma gli organi tecnici e politici erano impegnati a valutare il mega progetto di riconversione della centrale, il pubblico ministero che stava istruendo l’accusa a Rovigo si era permessa di trasmettere a quegli organi una perizia che segnalava le gravi sottostime e gli errori nelle valutazioni delle emissioni depositate agli atti. A fin di bene, volendo evitare ulteriori danni alla salute e all’ambiente e sotto. Ma sotto processo è finita lei, e poco importa se quello stesso ministero si è costituito parte civile e se i giudici le hanno dato ragione piena. 
La sentenza accoglie il principio per cui in un processo per inquinamento ambientale non è necessario produrre la prova del singolo legame di causalità per le varie patologie, è sufficiente la correlazione stabilita dall’incrocio della prova epidemiologica e quella ambientale. Un macigno, si diceva, per gli altri impianti oggi nel mirino delle procure: dalla Tirreno Power di Vado Ligure (Sorgenia, De Benedetti) a Brindisi (Enel), passando per le centrali di Monfalcone (A2a), Torre Valdaliga Nord a Civitavecchia (Enel).
Infine si registra, proprio a ridosso della sentenza che tra l’altro inibisce a Enel di proseguire l’attività alle condizioni attuali, la decisione dell’azienda di rinunciare al mega progetto di riconversione a carbone, ipotesi giudicata peggiorativa dai consulenti della Procura di Rovigo e messa agli atti anche nelle motivazioni della sentenza.
ENEL, PRENDE ATTO E RISPONDE: “LA SENTENZA RICONOSCE MODESTO RISCHIO SANITARIO”
Enel prende atto delle motivazioni e, nel rispetto del lavoro svolto dai giudici, confida che possa essere chiarita nei futuri gradi di giudizio l’assoluta conformità dell’esercizio della centrale alle normative applicabili così come la correttezza della condotta dei propri rappresentanti.
Il collegio giudicante ha ritenuto che a Porto Tolle non si sia realizzato alcun disastro o danno per la salute, come sostenuto dall’accusa, ma si sia solo manifestata una situazione di modesto rischio di incremento delle malattie respiratorie rispetto ai dati medi esistenti. Circostanza che dovrà esser ulteriormente valutata nel corso del giudizio di appello per tener conto delle evidenze probatorie già emerse nel processo che avevano invece radicalmente escluso l’esistenza di qualsiasi rischio.
In relazione alle domande delle parti civili il collegio giudicante ha disposto la quantificazione dei danni in via provvisionale in misura sensibilmente inferiore rispetto a quanto richiesto (150 mila euro a fronte di 800 milioni). Anche tale decisione, così come ogni valutazione circa la reale esistenza di danni, dovrà esser ulteriormente vagliata nell’ambito dei futuri gradi di giudizio.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/25/processo-enel-porto-tolle-scaroni-ha-non-indifferente-capacita-a-delinquere/1133170/


Eni-Saipem, inchiesta tangenti Algeria. Spunta il “Paolo Scaroni trust”

I pm titolari del fascicolo hanno avviato accertamenti sul trust che vede come beneficiario l'ex ad, la moglie e i loro discendenti, in particolare con una rogatoria in Svizzera. Obiettivo della Procura di Milano è ricostruire l'origine di tutti i flussi di denaro in entrata. Sono state quindi avviate, oltre alla rogatoria in Svizzera riguardante il Paolo Scaroni Trust, anche in Lussemburgo, Abu Dhabi, Algeria, Francia, Hong Kong, Singapore.

Spunta il Paolo Scaroni trust nell’inchiesta della procura di Milano sul presunto pagamento da parte di Saipem (società del gruppo Eni) di tangenti per 198 milioni di euro in Algeria al ministro algerino dell’energia Chekib Khelil e al suo entourage, per ottenere otto grandi appalti petroliferi del valore complessivo di 11 miliardi di euro. I pm titolari del fascicolo hanno avviato accertamenti sul trust che vede come beneficiario l’ex ad dell’Eni, Paolo Scaroni, la moglie e i loro discendenti, in particolare con una rogatoria in Svizzera. L’ex top manager in questa inchiesta è indagato per corruzione internazionale. Stesso reato contestato nella più recente inchiesta della Procura di Milano che invece riguarda presunte mazzette versate per l’acquisizione di un giacimento petrolifero in Nigeria in cui è indagato l’attuale amministratore Claudio Descalzi. 
Obiettivo dei pm milanesi è ricostruire l‘origine di tutti i flussi di denaro in entrata del trust. Sono state quindi avviate, oltre alla rogatoria in Svizzera riguardante il Paolo Scaroni Trust, anche in Lussemburgo, Abu DhabiAlgeriaFranciaHong KongSingapore e quella considerata più importante ai fini dell’inchiesta, in Libano. Gli inquirenti vogliono tracciare gli spostamenti dei soldi pagati da Saipem alla Pearl Partners, basata a Hong Kong e controllata da Farid Bedjaoui, uomo di fiducia del ministro Khelil e intermediario tra gli algerini e i manager Saipem.
In questa inchiesta, oltre a Scaroni, sono indagati per corruzione internazionale l’ex amministratore delegato di Saipem Franco Tali, l’ex direttore operativo Pietro Varone (arrestato nell’estate del 2013), l’allora direttore finanziario Alessandro Bernini, l’allora direttore generale per l’Algeria Tullio Orsi e quello che all’epoca dei fatti era responsabile Eni per il Nordafrica Antonio Vella. L’ipotesi della Procura di Milano è che una parte della ipotizzata bustarella multimilionaria pagata nel paese nordafricano sia poi rientrata in Italia per finire nelle tasche dei manager del gruppo petrolifero. Per quanto riguarda il Paolo Scaroni Trust, stando agli atti dell’assemblea degli azionisti 2013 di Eni, risulta costituito nel 1996, contestualmente al trasferimento di Scaroni in Gran Bretagna per ricoprire la carica di amministratore delegato della Pilkington. Secondo l’ex numero uno del cane a sei zampe, il trust è servito per amministrare e raccogliere quanto guadagnato all’estero. Di sicuro, agli atti dell’inchiesta della procura di Milano c’è che – come risulta da documentazione della Banca d’Italia che ha ispezionato la Camperio Sim, di cui il trust era cliente – al momento del rimpatrio in Italia della maggior parte dei fondi del trust, il suo valore era di circa 13 milioni di euro e che oltre 11 milioni furono scudati (al lordo dell’imposta del 5%) con lo scudo fiscale ter.
La maggior parte degli 11 milioni scudati sono stati poi reinvestiti nella Immobiliare Cortina srl, che al momento dell’ispezione di Palazzo Koch risulta al 100% di Paolo Scaroni. Il trust fu costituito quindi nella seconda metà degli anni Novanta con sede nell’isola Guernsey, una delle isole della Manica e aveva un trustee con sede nella stessa località. Il compito di trustee (ovvero il gestore del trust, ndr) nel 2006 passò a un altro trustee, con sede negli Stati Uniti, fino ad arrivare all’attuale situazione per cui il Paolo Scaroni Trust ha due trustee, uno è la Camperio Legal and Fiduciary Service con sede in Virginia negli Stati Uniti e uno è la Severgnini Family Office con sede a Milano in via Camperio. Il trust risulta avere anche due protector: Rolando Benedick e Oreste Severgnini. 
Tornando agli atti dell’assemblea 2013 di Eni, in quella occasione, rispondendo alla domanda di un azionista, si specifica che “il Trust non ha mantenuto alcun collegamento con l’isola di Guernsey salvo la legge applicabile, in accordo con la convenzione dell’Aja” e che “data la presenza del co-trustee italiano, il Paolo Scaroni Trust è fiscalmente totalmente residente in Italia e adempie a tutti i relativi obblighi fiscali e dichiarativi in totale trasparenza”. 

NON È POPULISMO, SONO NUMERI! - Alessandro Di Battista


Ho calcolato quello che noi cittadini italiani abbiamo speso (e che continuiamo a spendere) dal 1994 ad oggi per colpa di questi partiti indecenti. È una piccolissima lista, mancano gli sprechi delle grandi opere, manca la corruzione, il crimine organizzato, mancano i condoni alle slot machine etc etc. Questo per far capire che i soldi ci sono ma se li sono rubati econtinuano a rubarli. E non è populismo, sono numeri.

1. Guerra in Afghanistan dal 2003 ad oggi. Costo per i cittadini italiani: 5 miliardi di euro
2. Finanziamento pubblico ai partiti dal 1993 ad oggi. Costo per i cittadini italiani: 2,3 miliardi di euro
3. La quota degli stipendi e delle diarie dei parlamentari che il M5S restituisce e che i partiti si intascano. Dal 1994 ad oggi. Costo per i cittadini italiani: 1,4 miliardi di euro
4. Indennità aggiuntive parlamentari, segretari, vice-presidenti e presidenti commissioni Camera e Senato. Dal 1994 ad oggi. Costo per i cittadini italiani: 24 milioni di euro
5. Rimborsi viaggio ex-parlamentari. Dal 1994 ad oggi. Costo per i cittadini: 16 milioni di euro.
6. Finanziamento pubblico all'editoria negli ultimi 20 anni (contributi diretti e indiretti). Costo per i cittadini italiani: 1,5 miliardi di euro.

Totale: 10,24 miliardi di euro. Dieci miliardi e duecentoquaranta milioni di euro. Con 10,24 miliardi di euro si garantisce il reddito di cittadinanza a 850.000 persone. 850.000 cinquantenni che perdono il lavoro avrebbero un anno di reddito di dignità. Un anno di tempo per riqualificarsi e trovare un impiego. Oppure 850.000 studenti usciti dall'università avrebbero un anno a disposizione per trovare un lavoro degno senza dover cedere al ricatto del "mi tocca accettare perché ora non c'è altro e ho bisogno di soldi".

Prima di votare ancora questa gente meglio fare 2 calcoli.

Riforma giustizia, Napolitano: “Non più rinviabile per rilanciare l’economia”.

Riforma giustizia, Napolitano: “Non più rinviabile per rilanciare l’economia”

Il capo dello Stato, nel giorno in cui il Tribunale di Palermo fa sapere che dovrà testimoniare al processo sulla Trattativa, ritorna a chiedere alla politica l'impegno di portare avanti il progetto di riforma del sistema giudiziario. Oltre alla "coincidenza" della decisione dei giudici di Palermo - che ritengono il suo intervento non irrilevante - è la spiegazione del Quirinale che però sorprende: "Questo è ormai un nodo essenziale da sciogliere per ridare competitività all’economia."

Ci sono ormai “nuove ragioni di attualità e non rinviabilità dei problemi di riforma della giustizia”. Il presidente Giorgio Napolitano, nel giorno in cui il Tribunale di Palermo fa sapere che dovrà testimoniare al processo sulla Trattativa, ritorna a chiedere alla politica l’impegno di portare avanti il progetto di riforma del sistema giudiziario, fermo allo stato ai dieci punti del governo Renzi. E lo fa davanti al Csm, alla cerimonia di commiato del Consiglio superiore della magistratura, per cui il Parlamento ha fatto fatica a eleggere i membri laici. 
Oltre alla “coincidenza” della decisione dei giudici di Palermo – che ritengono il suo intervento “non irrilevante” - è la spiegazione del Quirinale che però sorprende: “Questo è ormai un nodo essenziale da sciogliere per ridare competitività all’economiaAl Parlamento è affidato l’impegno di restituire efficienza ad una macchina giudiziaria lenta e caotica, il cui funzionamento è largamente insoddisfacente”. Insomma la giustizia va riformata non perché i processi durano anni, i detenuti in alcuni casi vivono in condizioni disumane, il Parlamento è incapace di introdurre il reato di autoriciclaggio nel codice penale e il testo proposto esclude di fatto evasori e truffatori, ma perché così si rilancia l’economia. 
“Le esigenze di corretto, lineare, spedito funzionamento del sistema giudiziario sono apparse e – rimarca il capo dello Stato che ai giudici di Palermo ha fatto sapere che riguarda alla sua deposizione ’che c’è un nodo da sciogliere’ - appaiano vitali al fine di dare le certezze e le garanzie di cui ha indispensabile bisogno lo sviluppo dell’attività economica e dell’occupazione, lo sviluppo di iniziative e progetti di investimento da parte di operatori pubblici e privati, italiani e stranieri. Questo è ormai un nodo essenziale da sciogliere per ridare dinamismo e competitività all’economia italiana”. Eppure per gli esperti di diritto, come per la corte dei Conti, sono i reati come l’evasione, la truffa, il riciclaggio e la corruzione sistemica a danneggiare l’economia italiana
Il presidente poi ritorna sulla faticosissima elezione dei componenti laici del Consiglio superiore della magistratura: “Il Csm, nella sua componente togata, non è un assemblaggio di correnti”. Per cui sono dannosi “estenuanti, impropri negoziati nella ricerca di compromessi e malsani bilanciamenti tra correnti” prosegue il Quirinale ricordano il pantano in cui si è ritrovato il Parlamento prima di riuscire a eleggere i componenti laiciRicordando il dibattito svoltosi nell’assemblea costituente, Napolitano ha sottolineato che “gli eletti del Parlamento e il vicepresidente del Csm scelto tra questi, valevano a ‘riallacciare’ – così si espresse il presidente Ruini- l’organo di autogoverno della magistratura ‘alla fonte popolare, ovvero alla rappresentanza generale della volontà popolare”.
“Di ciò – afferma ancora Napolitano – sono stati ben consapevoli, posso dirlo sulla base dell’esperienza da me vissuta nella nascita di due consiliature prima di questa che oggi vede la luce, i togati membri del Csm nel concorrere in piena libertà e autonomia, alla scelta del vicepresidente. E penso che negli ultimi quattro anni l’onorevole Vietti abbia ben corrisposto a tale consapevolezza, grazie alla sua complessiva esperienza politico-istituzionale”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/25/riforma-giustizia-il-presidente-napolitano-non-piu-rinviabile/1133391/

Presidente, invece di auspicare la riforma della giustizia ad uso personale, auspichi uno snellimento delle leggi che voi avere creato in contrasto tra loro, auspichi uno snellimento delle procedure, un aumento del personale e, mi perdoni, non è la riforma della giustizie a favorire un rilancio dell'economia, è ben altro.

giovedì 25 settembre 2014

Sfruttava le minorenni, risarcimento e sconto per la cella sovraffollata. - Luigi Ferrarella

Prima applicazione del decreto legge di giugno. Ad un carcerato albanese condannato a 6 anni, liquidati 4.808 euro: era stato detenuto 701 giorni in meno di 3 metri.

MILANO Risarcimento di 4.808 euro per 601 giorni di detenzione in condizioni inumane di sovraffollamento carcerario, e 10 giorni di detrazione della pena sui residui 100 giorni che ancora gli restavano da scontare: è la prima applicazione a Padova del «rimedio compensativo» introdotto dal decreto legge 92 del 26 giugno per placare Strasburgo ed evitare una raffica di condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’uomo, che con le sentenze Sulejmanovic il 16 luglio 2009 e Torregiani l’8 gennaio 2013 aveva indicato in 3 metri quadrati per detenuto lo spazio minimo in cella sotto il quale la detenzione diventa automaticamente «trattamento disumano e degradante», cioè tortura.

Il decreto legge introduce una riduzione di pena di 1 giorno di detenzione per ogni 10 giorni trascorsi in condizioni inumane, oppure il risarcimento di 8 euro al giorno se la detenzione si è già conclusa. Ad oggi, tuttavia, pur a fronte di parecchie migliaia di richieste già formulate dai detenuti in tutta Italia, molti uffici di Sorveglianza o non hanno ancora maturato un orientamento (come Milano e Napoli, che per priorità lavorano intanto sullo smaltimento delle istanze di «liberazioni anticipata» passibili di determinare l’urgente messa in libertà dei detenuti richiedenti); oppure stanno adottando - come a Vercelli - una linea restrittiva che sfocia in molte dichiarazioni di inammissibilità dei ricorsi.

Viceversa l’interpretazione a Padova, e in genere nel distretto di Venezia come pure a Genova. Nel caso esaminato dalla giudice di sorveglianza Linda Arata, un carcerato albanese condannato a 6 anni (per associazione a delinquere, prostituzione minorile, violenza privata e falsa testimonianza) lamentava tutta la propria attuale detenzione nella casa di reclusione di Padova. La giudice ha però circoscritto il titolo di risarcimento al periodo in cui si è ricostruito che il detenuto era stato in cella con altre due persone, situazione che faceva scendere lo spazio disponibile pro capite a 2 metri e 85 centimetri: misura nella quale la giudice, in dissenso dal ministero della Giustizia che ora ha fatto reclamo contro l’ordinanza, ha escluso il bagno «in quanto mero vano accessorio della camera detentiva», e «gli arredi inamovibili come l’armadio», conteggiando invece «letto e tavolino e sgabelli in quanto arredi che possono essere spostati».

Con questi paletti sono risultati 701 i giorni trascorsi in cella dal detenuto albanese in condizioni disumane. Dall’esecuzione della pena residua di 100 giorni la giudice gli ha allora detratto 10 giorni (appunto uno ogni dieci), tolti i quali il detenuto è tornato in libertà il 2 settembre. Per gli altri pregressi «601 giorni di detenzione in condizioni di illegalità», la giudice ha «applicato il criterio di liquidazione residuale del risarcimento predeterminato dal legislatore» di 8 euro al giorno, per un totale quindi di 4.808 euro. 

http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_25/sfruttava-minorenni-risarcimento-sconto-la-cella-sovraffollata-7d336cee-4474-11e4-a9f2-f9125b43127e.shtml