lunedì 15 giugno 2015

Niger: nel Sahara 18 migranti morti di sete.

 © ANSA

Si erano persi in tempesta di sabbia. Corpi trovati 10 giorni fa.

L'Organizzazione internazionale per i migranti (Iom) ha reso noto che sono stati trovati nel deserto del Sahara i corpi di 18 migranti morti di sete e di fame nel nord del Niger. Un comunicato del responsabile della missione Iom in Niger, Giuseppe Loprete, ha riferito che i migranti sono presumibilmente morti il 3 giugno dopo che una tempesta di sabbia ha fatto perdere l'orientamento al gruppo che dalla città nigerina settentrionale di Arlit stava cercando di raggiungere l'Algeria.
   I migranti morti provenivano da Paesi dell'Africa subsahariana: Niger, Mali, Costa d'Avorio, Senegal, Repubblica Centrafricana, Liberia, Guinea e Algeria.  Secondo l'Organizzazione internazionale per i migranti, il gruppo stava cercando di raggiungere la Libia per imbarcarsi su uno dei tanti barconi che sfidano la sorte nel Mediterraneo per raggiungere le coste italiane e greche. "Il Sahara - ha denunciato il direttore generale dello Iom, William Lacy - può essere mortale tanto quanto il mare per queste ondate migratorie. Moltissimi migranti muoiono in modo tragico senza che nessuno ne sappia nulla". Nell'ottobre del 2013, le autorità del Niger trovarono per caso i cadaveri di 92 persone morte di sete dopo che il camion sul quale viaggiavano si era rotto nel deserto.

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2015/06/14/niger-sahara-18-migranti-morti-di-sete_470d585e-43cf-4143-b253-236357a3d426.html

Stramaledetti siano coloro i quali costringono esseri umani a fuggire dalle proprie terre ed a morire di stenti attraversando il deserto.

venerdì 12 giugno 2015

Azzollini e il dirigente suicida: “Dal senatore pressioni per ostacolare i pm”. - Mario Portanova

Azzollini e il dirigente suicida: “Dal senatore pressioni per ostacolare i pm”

Il 12 marzo 2013 Enzo Tangari, responsabile del settore appalti del Comune di Molfetta, si lancia con la sua Panda nelle acque del porto. Una testimonianza agli atti dell'inchiesta corrobora il legame fra la tragedia e l'appalto per il faraonico nuovo scalo, che vede il presidente della commissione bilancio di Palazzo Madama indagato per truffa ai danni dello Stato.

Una Panda beige imbocca l’ingresso del porto a forte velocità, percorre il molo, alla curva tira dritto senza frenare. L’auto finisce in mare, proprio sotto il faro, dove ancora oggi si vede la banchina sbrecciata sul bordo. Così, alle 8 e mezzo del mattino del 12 marzo 2013, ha messo fine alla sua vita Enzo Tangari, 59 anni, moglie e tre figli, dirigente del Settore appalti del Comune di Molfetta, in provincia di Bari. Cinque mesi più tardi, il 7 ottobre, due persone finiranno in carcere e altre sessanta indagate nell’inchiesta della Procura di Trani sulla costruzione del nuovo porto, un affare da 70 milioni di euro per il quale, però, le casse pubbliche ne hanno già stanziati circa 170compreso l’ultimo fondo da dieci milioni garantito dalla legge di stabilità 2015.
E’ la vicenda che vede inquisito, tra gli altri, l’ex sindaco Antonio Azzollini (a sinistra nella foto)Ncd, presidente della Commissione bilancio del Senato, accusato di truffa ai danni dello Stato e altri reati. Un’inchiesta che ha travolto la macchina comunale e le società appaltatrici, guidate dalla coop rossa Cmc di Ravenna. Le manette sono scattate ai polsi di Vincenzo Balducci, dirigente comunale responsabile unico dell’appalto, e del procuratore speciale della Cmc, nonché direttore del cantiere, Giorgio Calderoni. Secondo l’accusa, l’amministrazione Azzollini ha dirottato ad altri scopi parte del fiume di denaro piovuto sulla città, riconoscendo per di più alle aziende appaltatrici “risarcimenti” milionari, contestati dai magistrati, per i ritardi nei lavori dovuti alla presenza di migliaia di ordigni bellici inesplosi sui fondali dell’erigendo nuovo porto. Il contestatissimo affare del porto è la pista principale imboccata dalla Procura di Trani sulla morte di Enzo Tangari. La pm Silvia Curione ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, poi passata ad Antonio Savasta, uno dei titolari dell’indagine sul faraonico scalo a oggi incompiuto.
Quasi due anni dopo il volo di quella Panda nelle acque del porto di Molfetta, da palazzo di giustizia di Trani non si ha più alcuna notizia. Ma ilfattoquotidiano.it è in grado di rivelare una testimonianza, resa alla pm Curione il 25 settembre 2013 da un noto professionista della città, che corrobora il legame tra la morte del dirigente comunale e la gestione della grande opera voluta e gestita dal sindaco-senatore Azzollini. Il professionista racconta di essere stato ricevuto in Comune tre giorni prima della tragedia, perché aveva segnalato problemi di ordine pubblico nel centro storico. Il commissario straordinario Giacomo Barbato, subentrato al sindaco Azzollini che si era dimesso mesi prima per poter correre alle elezioni politiche del febbraio 2013, lo indirizza da Enzo Tangari. Mentre espone le proprie lamentele nell’ufficio di Tangari, il professionista sente delle urla provenienti dalla stanza del segretario comunale Michele Camero (anche lui poi risultato indagato). A gridare è Azzollini, che pur non essendo più il primo cittadino continua a frequentare assiduamente gli uffici comunali, dove è già cominciata l’aquisizione di documenti sull’appalto del nuovo porto da parte della Guardia di Finanza e della Guardia forestale (l’inchiesta della Procura di Trani era iniziata nel 2009) . “Mo’ viene pure da me”, è il commento rassegnato di Tangari. Sempre secondo la testimonianza del professionista, le sfuriate di Azzollini in quei giorni riguardano proprio gli atti relativi al porto, e sono rivolte a scoraggiare la collaborazione dei funzionari del municipio con gli inquirenti. All’ulteriore sorpresa manifestata dall’interlocutore, la risposta di Tangari è la più classica: “Tengo famiglia”. Tre giorni dopo, il tuffo mortale dal molo di Molfetta. Azzollini è tra i primi ad accorrere, con altri dipendenti comunali. E a quanto raccontano alcuni testimoni, vicino alle sbarre dell’ingresso del porto (quasi sempre aperte, come quella mattina) si lascia andare a una nuova sfuriata contro la magistrature e le sue inchieste.
Del resto il sindaco-senatore è noto in città e a Roma per i suoi scatti d’ira, gli sfoghi in dialetto molfettese, i fronteggiamenti a muso duro, a volte anche fisici, con gli avversari politici. Nel lungo elenco di accuse che la Procura di Trani gli rivolge in relazione all’affare del porto, ce ne sono due per violenza e minaccia. Nel primo caso, già prescritto secondo i pm, Azzollini avrebbe pressato Luigi Nicola Alcaro, ricercatore  dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca Ambientale) “abusando dei suoi poteri di presidente della commissione Bilancio del Senato”. Il problema è sempre quello della presenza degli ordigni bellici sul fondale, che di fatto impediscono il proseguimento dei lavori. In una riunione presso la Regione Puglia il 30 giugno 2008, racconta Alcaro ai pm, “Azzollini, con un atteggiamento intimidatorio, sollecitò l’avvio dei lavori di prospezione proprio partendo dal Porto di Molfetta. Ricordo che parlava in dialetto molfettese e non proferiva parole gentili, fondamentalmente inveiva contro la Regione Puglia dicendo che avrebbe fatto un casino in Senato“. Il tecnico Alcaro, peraltro, si dice certo che “il Comune di Molfetta, era sicuramente a conoscenza della smodata presenza di ordigni bellici nei fondali del realizzando Porto, in quanto nel 2005 aveva affidato lavori di prospezione dei fondali, propedeutici all’esecuzione dell’opera, alla ditta specializzata Lucatelli s.r.l.”. Le pressioni hanno effetto e l’esito della riunione è l’accelerazione del “risanamento”. Che però a oggi, oltre sei anni dopo, non è ancora ultimato.
La seconda accusa per violenza e minaccia riguarda invece le pressioni su Antonello Antonicelli, che da dirigente del servizio ecologia della Regione Puglia doveva rilasciare, nel 2010, l’autorizzazione ai primi lavori di dragaggio del fondale. Con Azzollini, dice Antonicelli ai pm, “tra il 2008 ed il 2009 ho avuto vari contrasti, taluni pure con toni accesi; in pratica il sindaco di Molfetta pretendeva che il mio ufficio desse una corsia preferenziale alla pratica del porto di Molfetta e io replicavo che la Regione doveva valutare una serie di interventi e valutare le priorità; in quell’occasione l’interlocuzione col sindaco, che aveva un fare impetuoso e spavaldo, fu molto accesa”. Il 30 maggio 2010 Azzollini si presenta a far valere le proprie “ragioni” nell’ufficio di Antonicelli con un seguito decisamente sproporzionato: una decina di persone del suo staff. Proprio di questo si parla in una delle intercettazioni telefoniche (quella del 4 maggio 2010) per cui il Senato, con il voto determinante del Pd, ha negato al gip di Trani l’autorizzazione all’utilizzo: “Ahhhhh! Porca troia, quello qualche volta gli devo dare due cazzotti … dammi il numero, scusa va …”, dice Azzollini a Balducci, il dirigente comunale poi arrestato.
Scorci del metodo Azzollini. Fatto sta che dal giorno in cui il professionista mette piede nella Procura di Trani per rendere la sua testimonianza sul suicidio di Enzo Tangari succedono “fatti molto strani, perché sia io che il testimone siamo stati oggetto di critiche velenose e, per quel che riguarda il teste, anche di aggressioni fisiche da parte di ‘fiancheggiatori’ dell’ex sindaco”. Lo scrive al procuratore della Repubblica Valeria Tangari, cugina di Enzo, in una lettera datata 15 gennaio 2014. Mentre la moglie del dirigente ha scelto il silenzio pubblico sulla vicenda, lei continua a sollecitare le indagini e a sottolineare i legami tra la vicenda di Enzo e l’appalto del porto. Cosa che nella piccola città pugliese non la rende esattamente popolare. Sempre nella lettera ai pm di Trani, Valeria segnala un’altra stranezza di questa storia. Il legale della moglie e dei figli del dirigente scomparso è lo stesso che difende l’ex sindaco Azzollini nel procedimento sul nuovo porto: l’avvocato Felice Petruzzellache secondo Valeria Tangari si è offerto spontaneamente di assistere la vedova e la famiglia subito dopo la morte di Enzo. Un doppio incarico “deontologicamente scorretto”, sostiene la cugina della vittima nella lettera. A ilfattoquotidiano.it, Valeria descrive Enzo come “un ragazzone d’oro”, che non aveva mai manifestato angosce personali tali da far pensare a un gesto del genere. Né si è mai saputo di un suo messaggio di addio che ne spiegasse le ragioni. Al vertice dell’Ufficio appalti era stato chiamato proprio da Azzollini, che prima di lasciare la poltrona cittadina per correre verso Roma aveva rinnovato per cinque anni il suo incarico e quello degli altri dirigenti del “cerchio magico” comunale, a cominciare dal solito Balducci.
Certo è che il nome di Enzo Tangari ricorre nelle carte dell’inchiesta, e in corrispondenza dei nodi più delicati. Come dirigente del settore Appalti, Tangari firma i documenti chiave dell’affare. Ma, precisano i pm, è “tratto in errore” da Balducci. Il 16 ottobre 2006 appone il via libera al bando discilplinare di gara, che secondo l’accusa contiene già una violazione di legge. In Comune, affermano i pm, tutti sapevano benissimo che il fondale del futuro porto era cosparso di residuati bellici, e che quindi sarebbe stato impossibile realizzare i lavori, affidati al massimo ribasso all’associazione di imprese guidata da Cmc per oltre 57 milioni di euro (destinati a lievitare negli anni senza che a oggi il porto abbia visto la luce). “Nella determina non si fa alcun riferimento al fatto che le aree non erano in parte disponibili”, notano i pm, “perché il Comune aveva deciso di procedere autonomamente, previo reperimento di altro finanziamento, alla bonifica dei fondali da ordigni residuati bellici e, di conseguenza, i lavori di dragaggio dei fondali previsti nel progetto non potevano avere inizio”. Cosa peraltro segnalata il 2 gennaio, dieci mesi prima, dalla ditta incaricata della bonifica, che comunicava “notevoli difficoltà” sul punto. Tangari, inoltre, è membro della Commissione di gara, insieme a Balducci. Anche questa, per l’accusa, viziata da irregolarità.
Che cosa abbia spinto davvero Enzo Tangari a togliersi la vita, e quanto abbiano pesato le pressioni e le preoccupazioni legate ala storia nera del faraonico progetto del porto di Molfetta,  lo svelerà forse l’inchiesta dei magistrati di Trani. Tangari, ha affemato il Procuratore capo Carlo Maria Capristo nella conferenza stampa dopo gli arresti del 7 ottobre 2013, è morto “in circostanze molto poco chiare”. Gli inquirenti, ha promesso dunque il magistrato, faranno di tutto per capire “perché questo funzionario così corretto abbia deciso di farla finita, e in quel modo. Buttandosi proprio nel porto”. 
(Ha collaborato Mary Tota)

giovedì 11 giugno 2015

STIGLITZ – EUROPA: ULTIMO ATTO?


Su Social Europe  un articolo di Joseph Stiglitz commenta i negoziati tra la Grecia e i paesi creditori. Questi ultimi continuano a insistere su un programma che si è dimostrato clamorosamente distruttivo per la Grecia,  e  il premio Nobel si chiede se, per il bene dell’Europa e del mondo, i leader europei ce la faranno ad arrivare a comprendere quel minimo di economia che possa permettere loro di salvare il progetto europeo. A questo punto, però, se il progetto dell’euro è stato sin dall’inizio un attacco sferrato al mondo del lavoro, allo stato sociale e alla democrazia,  e una guerra economica e finanziaria volta a ridurre a colonie i paesi periferici,   i leader europei in realtà sono perfettamente coerenti rispetto ai loro obiettivi non dichiarati… (CARMENTHESISTER)
Joseph Stiglitz, June 8, 2015
I leader dell’Unione Europea continuano a portare avanti la politica del muro contro muro con il governo greco. La Grecia è venuta incontro alle richieste dei suoi creditori molto più che a mezza strada. Tuttavia la Germania e gli altri creditori continuano a chiedere che il Paese firmi un programma che si è dimostrato fallimentare, e che solo pochi economisti hanno mai ritenuto che potesse o dovesse essere attuato.
Il cambiamento della situazione di bilancio greca, da un ampio disavanzo primario a un surplus, è stato quasi senza precedenti, ma la richiesta che il Paese raggiungesse un avanzo primario del 4,5% del Pil era irragionevole. Sfortunatamente, al tempo in cui la “troika” – la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale – ha per la prima volta inserito la sua richiesta irresponsabile nel programma di finanziamento internazionale per la Grecia, le autorità del Paese non avevano altra possibilità che accettare.
La follia di continuare a perseguire tale programma adesso è particolarmente grave, considerato il calo del 25% del Pil che la Grecia ha dovuto subire dall’inizio della crisi. La troika ha valutato male gli effetti macroeconomici del programma che ha imposto. In base alle sue previsioni, essa riteneva che, tagliando i salari e accettando altre misure di austerity, le esportazioni greche sarebbero aumentate e l’economia sarebbe presto tornata a crescere. Essa inoltre credeva che la prima ristrutturazione del debito avrebbe portato alla sua sostenibilità.
Le previsioni della troika si sono rivelate sbagliate, e gli errori si sono ripetuti. E non di poco, ma di molto. Gli elettori della Grecia avevano ragione a chiedere un cambiamento, e il loro governo ha ragione a rifiutare di firmare un programma profondamente sbagliato.
Detto questo, c’è la possibilità di un accordo: la Grecia ha manifestato la sua disponibilità a impegnarsi in continue riforme e ha accettato l’aiuto dell’Europa nell’attuare alcune di quelle riforme. Una dose di realismo da parte dei creditori della Grecia – su quello che è effettivamente realizzabile, e sulle conseguenze macroeconomiche delle diverse riforme fiscali e strutturali– potrebbe fornire le basi di un accordo, che sarebbe positivo non solo per la Grecia, ma per tutta l’Europa.
Alcuni in Europa, specialmente in Germania, sembrano non dare importanza a una possibile uscita della Grecia dall’Eurozona. Il mercato, affermano, ha già “scontato il prezzo” di una rottura. Alcuni hanno anche suggerito che per l’Unione monetaria sarebbe un fatto positivo.
Io ritengo che tali punti di vista sottostimino in maniera significativa sia i rischi attuali che quelli futuri. Un simile livello di leggerezza era presente negli Stati Uniti prima del collasso di Lehman Brothers, a settembre 2008. La fragilità delle banche americane era nota da tempo – almeno dalla bancarotta di Bear Stearns a marzo. Tuttavia, data la mancanza di trasparenza (dovuta in parte alla debole regolamentazione), sia i mercati che i policymaker non sono stati in grado di valutare bene le interdipendenze tra le istituzioni finanziarie.
In realtà, il sistema finanziario mondiale risente ancora degli effetti del collasso della Lehman. E le banche restano poco trasparenti, e quindi a rischio. Non sappiamo ancora la portata totale dei legami tra le istituzioni finanziarie, compresi quelli che provengono dai derivati e dai credit default swap.
In Europa, possiamo già assistere ad alcune delle conseguenze di una regolamentazione inadeguata e del progetto imperfetto della stessa Eurozona. Sappiamo che la struttura dell’Eurozona favorisce la divergenza, non la convergenza: dal momento che i capitali e le persone qualificate abbandonano le economie colpite dalla crisi, tali paesi diventano meno capaci di ripagare i loro debiti. Poiché i mercati comprendono che una pericolosa spirale al ribasso è strutturalmente insita nell’euro, le conseguenze della prossima crisi saranno molto serie. E un’altra crisi è inevitabile: è nella vera natura del capitalismo.
L’astuzia del Presidente della Bce Mario Draghi, che nel 2012 aveva dichiarato che le autorità monetarie avrebbero fatto “tutto il necessario” per preservare l’euro, finora ha funzionato. Tuttavia la consapevolezza che l’euro non è un impegno vincolante tra i suoi membri renderà molto meno probabile che il trucco funzioni ancora. I rendimenti sui bond subirebbero un’impennata, e nessuna rassicurazione da parte della Bce e dei leader europei sarebbe sufficiente ad abbassarli da livelli stratosferici, poiché il mondo ora sa che le autorità non faranno “tutto il necessario”. Come mostra l’esempio della Grecia, esse faranno solo quello che una politica poco lungimirante richiede.
La conseguenza più importante, temo, è la debolezza della solidarietà europea. L’euro avrebbe dovuto rafforzarla. Invece l’ha indebolita.
Non è nell’interesse dell’Europa – o del mondo – avere un paese alla periferia dell’Europa che viene lasciato solo dai suoi vicini, specialmente adesso, che l’instabilità politica è già così evidente. Il vicino Medio Oriente è in fermento; l’Occidente sta tentando di contenere una Russia nuovamente aggressiva; e la Cina, che era già la maggiore fonte di risparmio del mondo, il maggior paese per scambi commerciali e in complesso la maggiore economia (in termini di parità di potere di acquisto), sta facendo i conti con le nuove realtà strategiche ed economiche dell’Occidente. Non è tempo per l’Europa di dividersi.
Quando hanno creato l’euro, i leader europei si consideravano dei visionari. Pensavano di guardare oltre le necessità a breve termine che solitamente preoccupano i leader politici.
Sfortunatamente, la loro conoscenza dell’economia non è all’altezza della loro ambizione; e la politica in questa fase non ha consentito la creazione di un quadro istituzionale che potrebbe permettere all’euro di funzionare come previsto. Anche se si riteneva che la moneta unica avrebbe portato a una prosperità senza precedenti, è difficile scorgere in tutta l’Eurozona nel periodo pre-crisi un significativo effetto positivo. Da allora in poi, gli effetti negativi sono stati ingenti.
Il futuro dell’Europa e dell’euro ora dipende dalla capacità dei leader politici europei di mettere insieme un minimo di conoscenza economica con una certa lungimiranza e un certo interesse per la solidarietà europea. Probabilmente nelle prossime settimane cominceremo a conoscere la risposta a questo quesito esistenziale.

GUARDIAN: LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI NON È LA RISPOSTA PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE. - HENRY TOUGHA


Un articolo del Guardian denuncia i danni fatti dalla privatizzazione dei servizi pubblici fondamentali: le imprese private esigono tariffe più alte, investono di meno e lasciano da parte le comunità più povere. L’articolo si concentra specialmente sul pericolo dei trattati internazionali che permettono a investitori privati di fare causa agli Stati sovrani i quali, per il bene pubblico, pongono limiti ai loro profitti. (Ricordiamo che il TTIP, il mega-trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti che si sta definendo nel silenzio dei media, con ogni probabilità materializza questo pericolo…)

di Mark Dearn e Meera Karunananthan, 21 maggio 2015
A New York questa settimana gli stati membri dell’ONU discutono le modalità per l’implementazione e la valutazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), che saranno il focus del programma di sviluppo dell’ONU per i prossimi 15 anni. Nel rapporto del 2014 sugli investimenti nel mondo, la Conferenza dell’ONU sul commercio e lo sviluppo stima che il raggiungimento degli obiettivi richiederà tra 3,3 e 4,5 triliardi di dollari all’anno. I sostenitori delle privatizzazioni si sono avvalsi dell’evidenza di questo ammanco nel finanziamento per sostenere la causa di una maggiore partecipazione del settore privato, specialmente nel sud del mondo.
Ma prima che l’ONU crei un nuovo canale per gli investimenti privati nei servizi pubblici dovrebbe guardare più da vicino la storia di come il settore privato ha “lasciato indietro” le persone più marginalizzate e vulnerabili. Questo è particolarmente importante in un contesto globale dove i trattati sugli investimenti limitano sempre di più la possibilità che gli Stati hanno di impegnarsi a garantire i diritti umani anche dove ciò interferisce con il profitto.
A marzo di quest’anno una corte indonesiana ha annullato un contratto privato della durata di 17 anni con le imprese multinazionali dell’acqua Suez e Aetra, sulla base del fatto che violava i diritti umani, dato che da quando la privatizzazione era iniziata le tariffe erano aumentate di quattro volte, c’era stata una copertura del servizio minore di quanto promesso, e i livelli delle perdite d’acqua raggiungevano il 44 percento.
Giacarta è la più grande delle 186 città nel mondo che nell’ultimo decennio hanno riportato i servizi idrici e igienico-sanitari sotto il controllo del settore pubblico. Nel maggio 2014 la corte suprema di giustizia della Grecia ha impedito la privatizzazione dell’acqua ad Atene, dichiarando che ciò avrebbe violato i diritti umani. Nel luglio 2012 la corte costituzionale italiana ha bloccato i piani di privatizzazione dell’acqua. L’Uruguay e l’Olanda hanno stabilito dei veri e propri divieti ai servizi idrici privati. Per la maggior parte di questi casi, si è trattato dell’esito dell’indignazione pubblica contro i profitti astronomici delle grandi imprese a fronte dell’imbroglio verso gli utenti, che vedevano un calo della qualità del servizio e una diminuzione degli standard ambientali, igienici e del lavoro.
La ricerca mostra che l’ammanco di 260 milioni di dollari nel finanziamento dei servizi idrici e igienico-sanitari verranno coperti meglio attraverso le risorse pubbliche, che al momento contano per oltre il 90 percento degli investimenti globali nelle infrastrutture.
Al contrario, non avendo un incentivo economico a servire comunità povere, il settore privato non garantisce il godimento universale dei diritti umani ad avere servizi idrici e igienico-sanitari. Uno studio dell’Unità Internazionale di Ricerca sui Servizi Pubblici (PSIRU) ha mostrato che gli investimenti del settore privato portano a molto poche nuove connessioni nelle parti del mondo che avrebbero più bisogno, come l’Africa sub-sahariana e il sud dell’Asia.
Dato che richiedono un ritorno sugli investimenti, le operazioni finalizzate al profitto sono molto più costose del finanziamento pubblico ottenuto tramite tassazione progressiva o emissione di titoli. I suddetti dati del PSIRU dimostrano che la stragrande maggioranza degli Stati ha la capacità di fornire l’accesso universale a buoni servizi pubblici. Perfino i paesi che hanno il maggior numero di persone in carenza di acqua e collegamenti fognari possono fornire questi servizi nel giro di 10 anni impiegando meno dell’uno percento del PIL annuale. Per i pochi paesi le cui necessità non riescono ad essere coperte tramite tassazione progressiva, la parte mancante può essere coperta tramite aiuti.
Gli investimenti esteri pongono una crescente minaccia a causa della rescente rete di accordi commerciali e sugli investimenti che prevedono sistemi di risoluzione delle controversie tra Stati e investitori privati. Questi sistemi minano la sovranità degli Stati permettendo agli investitori privati di fare ricorso a un sistema giudiziario separato che gli rende possibile fare causa agli Stati quando le politiche che essi fanno minacciano i loro profitti presenti o futuri. I sistemi di risoluzione delle controversie sono legati ai termini dei trattati commerciali, i quali a loro volta sono progettati per tutelare gli investitori. Ciò significa che, in caso di dubbio, le decisioni vengono prese a favore degli investitori, indipendentemente da qualsiasi preoccupazione per le decisioni democratiche e l’interesse pubblico.
C’è stato un uso crescente nell’uso dei sistemi di risoluzione delle controversie. I registri della Conferenza ONU sul commercio e lo sviluppo mostrano che, nei 50 anni precedenti al 2014 c’è stato un totale di 608 casi, con 58 nuovi casi solo nel 2012, e 42 nel 2014. Viene concluso un nuovo accordo sugli investimenti ogni altra settimana.
L’Argentina è stata querelata più di 40 volte per le azioni intraprese durante la crisi economica dei primi anni 2000. Di fronte a una disoccupazione di massa e con il 70 percento dei bambini che vivevano in povertà, l’Argentina aveva infatti fissato il prezzo di acqua, gas ed elettricità, e successivamente aveva nazionalizzato i servizi per scongiurare il rischio di aumenti dei prezzi. In una sentenza dello scorso mese, all’Argentina è stato intimato di pagare 405 milioni di euro a Suez. Anche se l’Argentina ha sostenuto di avere agito per assicurare il diritto umano di accesso all’acqua per la propria popolazione, il tribunale ha ritenuto che i diritti umani non possano avere la precedenza sui diritti degli investitori privati.
La premessa fondamentale dei meccanismi di risoluzione delle controversie implica che i paesi del sud dovranno subire il doppio impatto della privatizzazione e dei trattati sugli investimenti.
Lo scorso mese Alfred de Zayas, relatore speciale dell’ONU per la promozione di un ordine internazionale equo e democratico, ha avvisato che gli accordi segreti sugli investimenti minacciano i diritti umani e violano la legge internazionale. In marzo, più di 100 professori di legge statunitensi hanno firmato una lettera che mette in luce la minaccia che i sistemi indipendenti di risoluzione delle controversie pongono allo Stato di diritto e alla sovranità nazionale.
Se alla comunità internazionale interessa davverso “non lasciare indietro nessuno”, allora negli obiettivi di sviluppo sostenibile ci si deve chiedere, in primo luogo, perché così tante persone sono state finora lasciate indietro.
Con la crescita dei trattati sugli investimenti che danno priorità ai “diritti delle imprese”, e in assenza di meccanismi internazionali giuridicamente vincolanti che costringano queste imprese a rispondere delle violazioni dei diritti umani, una maggiore partecipazione del settore privato nei progetti che riguardano i servizi idrici e igienico-sanitari all’interno degli obiettivi di sviluppo sostenibile non farà altro che esacerbare la crisi idrica e sanitaria nel mondo.

mercoledì 10 giugno 2015

Divina Provvidenza: crac da 500mln Dieci arrestati, anche due suore Chiesto arresto sen. Azzollini (Ncd). -



BARI - Militari della Guardia di Finanza di Bari stanno eseguendo dieci arresti, tre in carcere e sette ai domiciliari, nei confronti di persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e altri reati per il crac delle case di cura Divina Provvidenza.

RICHIESTA D'ARRESTO PER SEN: AZZOLLINI - Ci sarebbe anche il senatore di Ncd Antonio Azzolini tra i destinatari del provvedimento di arresto della Procura di Trani per il crac della casa di cura Divina Provvidenza. Secondo quanto si apprende la richiesta è già stata notificata in Parlamento.

NOTIFICATA AL SENATO - E' stata notificata al Senato la richiesta di arresto per il presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama Antonio Azzollini (Ap). Gli atti, già notificato anche all’interessato dovrebbero venire trasmessi oggi stesso in Giunta per le Immunità presieduta da Dario Stefano.

RICHIESTA ARRESTI DOMICILIARI - Secondo quanto si apprende la richiesta per il senatore di Ap-Ncd Antonio Azzollini sarebbe di arresti domiciliari. Il parlamentare, che presiede la commissione Bilancio di palazzo Madama, quella che deve dare ancora tra l’altro il parere sulla riforma della Scuola, è coinvolto anche in un’inchiesta sul porto di Molfetta ma per quella richiesta che riguardava l’utilizzo delle intercettazioni, il Senato negò l’autorizzazione anche con i voti del Pd.

ANCHE IL DEPUTATO RAFFAELE DI GIOIA TRA INDAGATI - C'è anche il deputato Raffaele Di Gioia (Psi-Gruppo misto) tra gli indagati dell’inchiesta sul crac delle Case di cura Divina Provvidenza.

UN BUCO DA 500 MILIONI - Gli arresti vengono eseguiti sulla base di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Trani su richiesta della locale Procura della Repubblica. Le indagini riguardano un crac da 500 milioni di euro circa subito dalla Congregazione Ancelle Divina Provvidenza, con sedi a Bisceglie (Bat), Foggia e Potenza, oggi in amministrazione straordinaria ai sensi della legge Prodi bis.

Ulteriori dettagli sull'operazione saranno resi noti in una conferenza stampa che si terrà alle 10,30 nell’ufficio del procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo.

ANCHE DUE SUORE ARRESTATE - Tra le dieci persone arrestate per il crac della Casa Divina Provvidenza vi sono anche due suore "massime responsabili della Congregazione delle Ancelle", che si trovano ai domiciliari. Gli altri arrestati sono un ex direttore generale, amministratori di fatto, consulenti e dipendenti dell’Ente. Gli indagati sono in tutto 25 e tra loro compaiono professionisti, ex amministratori della Cdp e politici locali, tutti coinvolti in vari episodi di dissipazione e distrazione di risorse dell’Ente.

Stando a quanto si legge negli atti ufficiali della Congregazione, – ha rilevato la Procura di Trani - il servizio pastorale delle Ancelle della Divina Provvidenza, consisterebbe nel prendersi cura delle persone colpite nelle facoltà intellettive e fisiche, privilegiando le aree di particolare necessità e di abbandono 'per farsi voce di chi non ha vocè. Le indagini hanno chiarito invece, secondo la procura, "che i nobili principi ispiratori della venerabile missione avviata dal Padre Fondatore ormai non sono altro che un lontano ricordo". 

"Negli ultimi decenni si è invero assistito ad un lento ed incessante processo di secolarizzazione della Congregazione – è stato sottolineato – divenuta facile e ghiotta preda di poteri forti e di trame politiche; nel corso di questo processo involutivo le stesse Ancelle (o per lo meno, alcune di esse) sembrano aver completamente rinnegato i canoni fondativi della loro missione, rendendosi complici, quando non addirittura protagoniste di primo piano, dei gravi misfatti compiuti all’interno dell’Ente".

Le misure cautelari sono state adottate in relazione a numerosissimi reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta ed altri, nell’ambito del crac dell’Ente Ecclesiastico che, a causa di una pesantissima esposizione debitoria di oltre 500 milioni, si trova attualmente in amministrazione Straordinaria.

PROCURA: PREZIOSA COLLABORAZIONE DELLO IOR - Nell’indagine che ha portato oggi agli arresti per il crac delle case di cura Divina Provvidenza, la procura di Trani ha riconosciuto "la preziosa collaborazione fornita dallo Ior, nell’ambito delle rogatorie internazionali richieste". "Siamo stati tra le prime autorità giudiziarie ad aver beneficiato del nuovo corso di trasparenza e collaborazione della Banca Vaticana voluto dal Santo Padre", ha sottolineato la procura. L'indagine, durata tre anni, si è articolata in numerosissime acquisizioni documentali, perquisizioni locali, accertamenti bancari, escussione di soggetti informati sui fatti, migliaia di intercettazioni telefoniche (tutte preziose nella ricostruzione dei fatti e delle responsabilità penali). L’Ente religioso denominato Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza opera Don Uva onlus, oggetto dell’indagine, è un Ente Ecclesiastico fondato da Don Pasquale Uva nel 1922, avente finalità di culto e religione, che esercita attività di cura e assistenza delle persone con facoltà intellettive compromesse, in forza di convenzionamento con il Servizio Sanitario delle Regioni Puglia e Basilicata, nonchè di un accreditamento, con le stesse regioni, relativamente ad altre attività Ospedaliere.  La struttura si articola nelle in tre sedi a Bisceglie, Foggia e Potenza.

SEQUESTRATI 32 MLN DI EURO E IMMOBILE – Nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Trani sul crac delle Case di cura Divina Provvidenza, gestite dall’ente religioso denominato 'Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza opera Don Uva onlus', i finanzieri hanno sequestrato la somma di 32 milioni di euro circa e un immobile destinato a clinica privata a Guidonia (Roma) e appartenente all’ente ecclesiastico 'Casa di Procura Suore Ancelle della Divina Provvidenzà.
Il denaro e l’immobile, secondo l’accusa, sarebbero stati fittiziamente intestati ad altri enti ecclesiastici paralleli gestiti dalle suore della Congregazione, nel tentativo di sottrarsi ai creditori e quindi anche allo Stato. Dei 500 milioni di euro a cui ammonta il crac delle Case di cura, oltre 350 milioni di euro sono rappresentati da debiti nei confronti dello Stato.
A nove dei 10 destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del tribunale di Trani Rosella Volpe su richiesta del procuratore aggiunto Francesco Giannella e del sostituto procuratore Silvia Curone, la Procura contesta il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati.

IL CONTO SEGRETO - Un conto corrente segreto con la causale Postulatore beatificazione Don Uvà (fondatore dell’ ente ecclesiastico che gestisce le Case di cura Divina Provvidenza, ndr) alimentato con donazioni dei fedeli e con il pagamento delle copie delle cartelle cliniche di pazienti delle Case di cura, ma che serviva a scopi ben diversi: è quanto ha scoperto la Procura di Trani indagando sul crac delle Case di cura Divina Provvidenza.
Il conto, spiega la Procura, era "gestito in modo subdolo dalle 'Ancellè, non già per le spese necessarie alla pratica di beatificazione di don Pasquale Uva (oggi riconosciuto Venerabile dalla Chiesa) – per il quale esisteva già un postulatore ufficiale nominato dal Vaticano con un proprio conto acceso presso lo Ior", ma si trattava di "un vero e proprio conto segreto". La procura ha scoperto inoltre altri tre Enti paralleli, tutti con le casse colme di denaro distolto dalla Congregazione: Istituto don Pasquale Uva-Casa divina provvidenza onlus; Istituto Don Uva e il conto segreto Postulatore beatificazione don Uva.

NCD: NON CEDEREMO COMMISSIONE BILANCIO - Nessuna pausa o passo indietro di Azzollini alla guida della commissione. Ncd si compatta a difesa del senatore Antonio Azzollini, raggiunto oggi da una richiesta di arresto della procura di Trani, e soprattutto non intende mollare la presidenza della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Lo riferiscono fonti interne al partito di Angelino Alfano. Le stesse fonti sottolineano, tra l'altro, come dopo la riunione d’urgenza a Palazzo Madama sulla richiesta d’arresto, Azzollini sia andato proprio a presiedere la commissione.
"Azzollini ci ha ribadito di non avere alcuna intenzione di lasciare la presidenza della commissione – spiegano le stesse fonti – Non ci sarà nessuna pausa o sospensione dall’incarico. Si tratta di voci messe in giro ad arte in un momento in cui la commissione Bilancio è particolarmente importante nel lavoro del Senato".


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Cogito...



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L’ONESTO DEL PD CHE HA RUBATO I FONDI PER I DISOCCUPATI. HANNO TROVATO LA REFURTIVA: LEGGI QUANTO HA IMBOSCATO IN SVIZZERA! - Giovanni Bianconi e Giuseppe Guastella

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INNOCENTI EVASIONI – IL “CORRIERE” NON PUBBLICA LA LISTA DEGLI ITALIANI DELL’HSBC E SCODELLA ALTRI POTENZIALI EVASORI – SONO I 351 MILIONARI CHE HANNO INVESTITO IN POLIZZE DEL CREDIT SUISSE: SERVIVANO A OCCULTARE CAPITALI AL FISCO?

Tra i clienti delle polizze-schermo compare anche l’ex deputato del Pd Francantonio Genovese, arrestato per peculato e truffa, con un investimento da 16 milioni. Intanto, sulla lista Falciani, Pippo Civati spiega che il conto alla Hsbc era di suo padre e che lui non ha mai movimentato un euro…
 «La situazione emersa è particolarmente grave e denota, da parte dei clienti italiani titolari delle disponibilità estere, la marcata intenzione di occultare al Fisco italiano la loro reale situazione patrimoniale ed economica». Così ha scritto il direttore centrale dell’Agenzia delle entrate, Aldo Polito, ai responsabili delle Direzioni regionali, il 12 dicembre scorso.
Una comunicazione dettagliata in cui li informa dell’indagine della Procura di Milano su un’ipotetica frode fiscale «per svariate centinaia di milioni di euro» commessa da almeno 351 persone attraverso il sistema di polizze assicurative della succursale italiana di una società del gruppo Credit Suisse, banca con sede a Zurigo. E 351 sono soltanto i nomi già identificati dagli investigatori della Guardia di Finanza e comunicati agli inquirenti, che tutti insieme avrebbero nascosto un miliardo di euro; all’esame di pubblici ministeri e Fiamme gialle ci sono altre polizze cifrate — per un totale di mille — che hanno consentito di celare all’erario circa otto miliardi complessivi.
Cifre che i finanzieri hanno calcolato dopo aver esaminato i documenti trovati nella sede milanese della società Credit Suisse Life & Pension Aktiengesellschaft (Cslp); carte dalle quali «è stato possibile ricostruire un’attività di promozione di strumenti finanziari denominati “polizze assicurative” rivolte a clienti italiani e non confluita nella contabilità ufficiale della Clsp», scrive Polito.
Ipotesi riciclaggio 
Fra i 351 nomi di clienti indiziati di voler nascondere le proprie ricchezze, ce n’è uno già noto alle cronache giudiziarie e che fra due settimane comparirà davanti al tribunale di Messina per rispondere, insieme a una ventina di altri imputati, di associazione per delinquere finalizzata al peculato, truffa, falso in bilancio e altri reati: è il deputato del Pd (ex Dc, Cdu, Udr, Ppi e Margherita) Francantonio Genovese, arrestato lo scorso maggio su richiesta della Procura siciliana e del gip dopo l’autorizzazione concessa dalla Camera. Mandato quasi subito agli arresti domiciliari, un mese fa la corte di Cassazione l’ha rispedito in carcere. Genovese s’è quindi rivolto al tribunale per tornare ai domiciliari che però gli sono stati negati; la parola è ora al Riesame.
Nel frattempo la Procura ha ricevuto da Milano gli atti sul coinvolgimento del deputato nella sospetta maxi-evasione orchestrata attraverso la filiale della banca svizzera. Nel solo 2005, anno per il quale l’Agenzia delle entrate ha inviato la segnalazione ai sospetti evasori in modo da evitare la prescrizione, Genovese avrebbe portato all’estero poco più di 16 milioni. Una somma spropositata rispetto a redditi e attività ufficiali, che ha fatto aprire a suo carico un nuovo fascicolo penale con l’ipotesi di riciclaggio.
Il grosso dell’indagine resta a Milano ed è quella di cui ha fatto cenno il procuratore Bruti Liberati nel «bilancio sociale» di fine 2014: inchiesta guidata dall’aggiunto Francesco Greco su «circa mille clienti italiani che hanno investito, al di fuori del rispetto delle norme sul monitoraggio fiscale, in polizze vita di Paesi black list ».
 Ora la comunicazione dell’Agenzia delle entrate fornisce ulteriori dettagli. Gli «strumenti finanziari finalizzati a occultare capitali all’estero sarebbero stati commercializzati in Italia da dipendenti di società del gruppo Credit Suisse, ovvero da soggetti terzi esterni», attraverso due canali: la vendita delle polizze «da parte della casa madre Cslp che ha sede in Liechtenstein»,e la «vendita da parte della Credit Suisse Life con sede nelle isole Bermuda».
Somme «scudate»
Secondo l’Agenzia, i prodotti emessi dal «canale bermudese» sono stati «appositamente ideati per sfuggire anche alla tassazione sugli interessi maturati sui depositi di capitali detenuti in Svizzera, la cosiddetta “euroritenuta”», vale a dire la tassazione all’origine sancita dall’accordo tra la Confederazione e l’Unione europea.
 Un sistema che sembra escogitato appositamente per eludere i controlli e nascondere soldi allo Stato da parte di cittadini italiani. «Le disponibilità estere dei clienti — sottolinea ancora il direttore dell’Agenzia delle entrate — sono state impiegate in differenti attività d’investimento finanziario localizzate in un Paese a fiscalità privilegiata (Svizzera), mediante la corresponsione di un “premio” per la sottoscrizione di un prodotto finanziario denominato Life Portfolio International che solo formalmente ha natura assicurativa»
In realtà la vera ragione dei contratti sottoscritti «era finalizzata ad occultare all’erario ingenti disponibilità finanziarie, con garanzie dell’anonimato grazie all’interposizione della compagnia assicurativa con sede nelle Bermuda o nel Lichtenstein, che l’avrebbe gestito attraverso depositi collocati presso istituti di credito elvetici».
Che l’obiettivo fosse l’occultamento di capitali per sfuggire alle tasse sarebbe confermato dal fatto che alcune polizze sono state già oggetto di adesione al programma di voluntary disclosure , cioè lo scudo fiscale che ha permesso il rientro dei soldi dietro pagamento di una multa ridotta.

 L’indagine della Finanza e della Procura milanese — che procede per i reati di frode fiscale, ostacolo all’attività di vigilanza, riciclaggio e abusivismo finanziario — prosegue per accertare le responsabilità della banca e dei funzionari che hanno promosso l’iniziativa con i facoltosi clienti italiani, oltre che per individuare le centinaia di nomi ancora nascosti di chi ha sottoscritto le polizze truffaldine.