sabato 10 novembre 2018

Raggi assolta per l'inchiesta sulle nomine: 'Spazzati via due anni di fango'.

Virginia Raggi lascia la procura di Roma dopo la sentenza di assoluzione © ANSA
Virginia Raggi lascia la procura di Roma dopo la sentenza di assoluzioneRIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

La Procura aveva chiesto 10 mesi. La sindaca è scoppiata in un pianto liberatorio: 'Spazzati via due anni di fango'. Di Maio: "Forza Virginia! Contento di averti sempre difesa".


E' scoppiata in un pianto liberatorio e ha abbracciato tra gli applausi i suoi avvocati. Cosi la sindaca di Roma Virginia Raggi ha accolto la sentenza di assoluzione nel processo sulla nomina di Renato Marra con l'accusa di falso. 
Il giudice Roberto Ranazzi, durante la lettura della sentenza di assoluzione , ha detto che 'il falso del quale Raggi era accusata non costituisce reato". 
Dopo l'emozione per essere stata assolta, la sindaca ha stretto la mano al giudice Roberto Ranazzi e al pm Francesco dall'Olio. "Questa sentenza - le prime parole di Raggi - spazza via due anni di fango. Andiamo avanti a testa alta per Roma, la mia amata città, e per tutti i cittadini".  "Per i miei cittadini sono andata avanti testa alta. Ho fatto tutto con correttezza e trasparenza nell'interesse di Roma. Umanamente è stata un a prova durissima ma non ho mai mollato. Credo in quel che faccio, nel lavoro, nell'impegno costante, nel progetto che nel 2016 mi ha portata alla guida della città che amo. Un progetto che può andare con maggiore determinazione". Così in un post su Facebook la sindaca Virginia Raggi dopo la sua assoluzione.
Raggi: contro me violenza inaudita - "Assolta. Con questa parola il Tribunale di Roma, che ringrazio e rispetto per il lavoro svolto, ha messo fine a due anni in cui sono stata mediaticamente e politicamente colpita con una violenza inaudita e con una ferocia ingiustificata. Due anni durante i quali, però, non ho mai smesso di lavorare a testa alta per i miei cittadini. Li ringrazio per il sostegno e l'affetto che mi hanno dimostrato". Così la sindaca di Roma Virginia Raggi nell'esordio del suo post su Fb. "Vorrei liberarmi in un solo momento del fango che hanno prodotto per screditarmi, delle accuse ingiuriose, dei sorrisetti falsi che mi hanno rivolto, delle allusioni, delle volgarità, degli attacchi personali che hanno colpito anche la mia famiglia. Vorrei, soprattutto, che questo fosse un riscatto per tutti i romani, di qualsiasi appartenenza politica, perché il loro sindaco ce la sta mettendo tutta per far risorgere la nostra città". Così la sindaca di Roma Virginia Raggi su Fb.
Di Maio: forza Virginia, sempre con te - "Forza Virginia! Contento di averti sempre difesa e di aver sempre creduto in te". Così il vicepremier Luigi Di Maio, Capo Politico del Movimento 5 Stelle, commenta a caldo l'assoluzione di Virginia raggi su Fb. "La vera piaga di questo Paese è la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente. Gli stessi che ci stanno facendo la guerra al Governo provando a farlo cadere con un metodo ben preciso: esaltare la Lega e massacrare il Movimento sempre e comunque. Presto faremo una legge sugli editori puri, per ora buon Malox a tutti!". Lo afferma in un post su facebook il vicepremier Luigi Di Maio commentando l'assoluzione della sindaca di Virginia Raggi. 
"Oggi la verità giudiziaria ha dimostrato solo una cosa: che le uniche puttane qui sono proprio loro, questi pennivendoli che non si prostituiscono neppure per necessità, ma solo per viltà. Ma i colpevoli ci sono e vanno temuti. I colpevoli sono quei pennivendoli che da più di due anni le hanno lanciato addosso tonnellate di fango con una violenza inaudita. Sono pennivendoli, soltanto pennivendoli, i giornalisti sono altra cosa". Lo afferma in un post su facebook Alessandro Di Battista commentando l'assoluzione di Virginia Raggi.

Salvini, bene Raggi assolta, ora giudichino cittadini - L'assoluzione del sindaco di Roma Virginia Raggi "è buona notizia". Lo ha detto il ministro dell'Interno e e vicepremier Matteo Salvini arrivando a Eicma, il salone della ruote che si tiene a Milano. "È giusto che i cittadini giudichino una amministrazione non in base alle indagini che finiscono in nulla come in questo caso ma in base alla qualità della vita. Quindi i romani giudicheranno l'amministrazione dei 5 Stelle in base a come è messa Roma. È giusto che non siano le sentenze e i magistrati a decidere chi governa e chi va a casa".
Fonte: ansa 10 novembre 2018

The Week – La Guerra autodistruttiva dell’Europa all’Italia. - Jeff Spross

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Anche sul sito americano The Week, si sottolinea come la manovra economica proposta dal Governo Italiano sia perfettamente ragionevole e in linea sia con la volontà di abbandonare le fallimentari politiche di austerità, sia con il notissimo parametro del 3% (deficit/PIL) imposto da Bruxelles. La BCE dovrebbe sostenere le politiche nazionali di aiuto alle economie in difficoltà, fino a quando non si raggiunge la piena occupazione e l’inflazione non minaccia di salire eccessivamente. Invece, gli euroburocrati stanno dichiarando guerra al Governo Italiano, col probabile risultato di far ripiombare l’intera eurozona in una crisi esistenziale. 


L’Italia e l’Unione europea si avviano verso uno scontro frontale. Il nuovo governo italiano vuole aiutare i suoi cittadini, dopo anni di pesante impoverimento economico. Ma l’UE è determinata a fermarlo, nel nome della disciplina fiscale neoliberista.

Si tratta di uno spettacolo incredibile, che mette a nudo la sconfinata stupidità e l’autodistruttiva prepotenza della leadership UE.

L’Italia è stata colpita duramente dalla crisi economica globale del 2008 e dalla seguente crisi dell’eurozona. La disoccupazione italiana ha raggiunto il 13%, e dopo anni di sofferenza sotto le misure di austerità imposte dall’Europa, la disoccupazione si trova ancora intorno al 10%. Non sorprende quindi che gli Italiani si siano infine stancati dello status quo; in giugno, si sono ribellati votando un’improbabile coalizione di populisti di destra e di sinistra perché andasse al governo.

Questo nuovo governo ha prontamente proposto un ambizioso bilancio nazionale, che include un reddito minimo garantito, la cancellazione dei tagli effettuati in precedenza al sistema pensionistico, una serie di tagli della pressione fiscale, e altro. Non occorre dire che questo notevole pacchetto di spese, insieme alla riduzione delle entrate fiscali, richiederebbe l’aumento del deficit. L’Italia prevede una differenza tra entrate ed uscite fiscali del 2,4% del PIL nel 2019.

Perché farlo? Molto semplicemente, il governo italiano vuole ridurre la povertà e offrire ai suoi cittadini un po’ di aiuto mentre l’economia continua ad arrancare. Ma si tratta anche di una buona politica economica: con una disoccupazione del 10% e il PIL che è sceso – da quasi 2.400 miliardi di dollari nel 2008 a 1.900 miliardi di dollari oggi – l’Italia sta chiaramente soffrendo una grossa carenza di domanda aggregata. La maniera per risolvere la carenza è che il governo spenda più di quanto tassi; in particolare spenda in programmi che mettano soldi nelle tasche dei consumatori. Gli italiani di conseguenza spenderebbero questi soldi aggiuntivi, creando così nuovi posti di lavoro.

I Baroni tecnocrati dell’Unione Europea non sono a favore di questo piano, per usare un eufemismo.

La UE proibisce alle sue nazioni di avere deficit di bilancio superiori al 3% del PIL. Questa limitazione è già folle, ma tuttavia l’Italia la rispetta. La complicazione è questa: la Commissione Europea ha ottenuto nel 2013 il potere di porre il veto ai bilanci degli Stati membri della UE. Il debito pubblico italiano è già intorno al 132% del PIL. Inoltre, lo scorso luglio, il Consiglio dei Ministri UE ha emesso una raccomandazione vincolante all’Italia di tagliare il proprio deficit strutturale dello 0,6% del PIL (il deficit strutturale è il deficit di bilancio escludendo gli effetti del ciclo economico e altri eventi estemporanei). Al contrario, il bilancio proposto dall’Italia aumenterà il deficit strutturale dello 0,8% del PIL.

Tutto considerato, la Commissione Europea ha concluso che i progetti dell’Italia costituiscono una “grave inosservanza degli obblighi di politica di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita”. La Commissione vuole che l’Italia riscriva il suo bilancio, altrimenti applicherà multe e sanzioni.

Il Consiglio dei Ministri UE è formato dai ministri degli Stati membri UE – in qualche modo è equivalente ai segretari di gabinetto negli Stati Uniti. La Commissione Europea invece, è un organo di governo i cui membri sono nominati dal Parlamento Europeo (è il Parlamento Europeo che opera nel modo classico degli organi legislativi, con i paesi membri UE che eleggono i loro rappresentanti). Per quale strano motivo, se non l’esistenza delle regole bizantine della UE, queste persone dovrebbero poter dire al governo italiano democraticamente eletto di affossare il proprio piano e imporre più austerità ai propri cittadini?

Come spesso in questi casi, la risposta sono i soldi.

Se il governo italiano controllasse la propria moneta, la sua banca centrale potrebbe semplicemente comprare il debito governativo creato dal suo deficit e tenere bassi i tassi di interesse. Ma l’Italia è un membro dell’Unione monetaria dell’eurozona. E la quantità di euro emessa è controllata dalla Banca centrale europea (BCE), che a sua volta ha la supervisione delle banche centrali nazionali dell’eurozona. Il sistema della BCE prevede ogni sorta di regole e limiti sui casi in cui può  acquistare i titoli di debito emessi dagli Stati membri dell’eurozona e sulla quantità che è possibile comprarne.

Perciò sono gli investitori privati a dare al Governo Italiano gli euro di cui ha bisogno per coprire il suo deficit. Non sorprende che i battibecchi politici li rendano scettici, quindi i tassi di interesse sul debito italiano stanno salendo.

Ma i tassi di interesse in salita dell’Italia sono il risultato di decisioni politiche arbitrarie che sono sia congenite alla struttura di governo della UE sia imposte dai tecnocrati al governo della UE. La BCE potrebbe semplicemente dare il mandato alla Banca Centrale Italiana di iniziare a fornire euro freschi e usarli per comprare il debito italiano, sostenendo così la spesa a deficit del governo. L’unico vero limite economico a questo tipo di politica è il tasso di inflazione. Al momento, il tasso è intorno al 2%, che è il valore che piace alla BCE (in realtà l’ultimo valore registrato in Italia è addirittura dell’1,4%, ed in calo,  NdVdE). Ma perché l’aiuto monetario all’Italia inizi a far crescere l’inflazione, non solo la disoccupazione  italiana dovrebbe prima diminuire drasticamente, ma la disoccupazione dovrebbe diminuire drasticamente in tutta l’eurozona.

In breve, l’Unione europea e la BCE hanno entrambe uno spazio enorme di manovra per sostenere la spesa a deficit italiana, senza alcuna ripercussione economica. Il problema è solo che non vogliono farlo.

L’Italia, nel frattempo, sembra pronta a giocare duro contro i baroni UE. “Questi provvedimenti non servono a sfidare Bruxelles o i mercati, ma devono compensare il popolo italiano di molti torti” ha detto all’inizio di questo mese il Vice Primo Ministro Italiano Luigi Di Maio. “Non c’è un piano B perché non ci arrenderemo”.

In passato, la Commissione europea in realtà non si era mai spinta a rigettare il bilancio di uno Stato membro. Ha tempo fino al 29 ottobre per decidere se prendere questa decisione formale. Se lo fa, e la lotta conseguente finisce per distruggere le fondamenta del Progetto Europeo, i leader della UE non avranno altri da incolpare se non sé stessi.

Fonte: vocidallestero - Malachia Paperoga - 31 ottobre 2018

venerdì 9 novembre 2018

M5S, vertici battono cassa. (pro alluvionati)

M5S, vertici battono cassa

vertici del Movimento 5 Stelle 'battono cassa' e chiedono agli eletti di effettuare le restituzioni dello stipendio relative ai mesi di luglio, agosto e settembre 2018
Una mail inviata ai parlamentari dallo staff del M5S avvisa i grillini che da oggi è possibile utilizzare il portale tirendiconto.it, aggiornato secondo il nuovo regolamento sul trattamento economico. Le istruzioni prevedono una fase 1 (test tecnico) e una fase 2. Nella prima fase i grillini dovranno effettuare il versamento, nella seconda completare le rendicontazioni.

"Ti preghiamo di effettuare il versamento della quota minima di restituzione mensile, prevista dal regolamento sul trattamento economico degli eletti del MoVimento 5 Stelle - si legge nella mail visionata dall'Adnkronos -, per il periodo in oggetto (luglio, agosto e settembre) per un totale di 6.000 euro, entro il 18 novembre 2018 effettuando una donazione a favore delle popolazioni colpite dagli eccezionali eventi atmosferici di ottobre e inizio novembre 2018". La donazione dovrà essere fatta con bonifico bancario a favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri (IBAN: IT49J0100003245350200022330) con la causale "donazione a favore popolazioni colpite da eventi alluvionali ottobre novembre 2018".

Segue la fase 2, con termine 10 dicembre, data entro la quale i 5 Stelle dovranno "completare le rendicontazioni dei mesi in oggetto e caricare il bonifico effettuato di 6.000 euro nei vari mesi. Qualora il sistema ti indichi di restituire un importo complessivo per i tre mesi superiore ai 6.000 euro - spiega la missiva - ti preghiamo di versare la differenza alla stessa destinazione e di allegare alle rendicontazioni il relativo bonifico di integrazione". Nella mail sono contenute alcune disposizioni 'anti-furbetti': "è di fondamentale importanza indicare chiaramente nella causale del bonifico il periodo di riferimento", viene sottolineato.

"Vi ricordiamo le caratteristiche richieste per i bonifici da caricare nel sistema: Quietanza definitiva della banca in formato file Pdf, jpeg o png (non va caricata la richiesta di bonifico); Iban di destinazione chiaramente visibile; Numero operazione Cro/Trn/Tid visibile; Importo bonifico chiaramente visibile; Causale visibile e con chiara indicazione del mese/i di riferimento", si legge ancora nella mail inviata ai parlamentari M5S.

Per chi avesse difficoltà, un'area 'help desk' offrirà ai portavoce supporto tecnico nell'uso della piattaforma: "Nei prossimi giorni verranno calendarizzate presso la Camera e il Senato alcune sessioni formative per l'utilizzo del portale di rendicontazione dedicate ai parlamentari ed eventualmente ai collaboratori che materialmente utilizzeranno la piattaforma. A breve riceverete comunicazione in merito via mail".

"Da questo momento inizia la seconda restituzione per i mesi che vanno da luglio a settembre. Nella scorsa legislatura abbiamo restituito oltre 23 milioni di euro al fondo del microcredito ai quali si aggiungono 2 milioni e mezzo raccolti con la restituzione marzo-luglio 2018", spiega il tesoriere del M5S Camera, Sergio Battelli, che aggiunge: "Questa volta abbiamo deciso di cambiare la destinazione dei soldi: li verseremo in un fondo della Protezione Civile a favore popolazioni colpite dagli alluvioni in queste ultime settimane. 

Ben 11 regioni hanno chiesto lo stato di calamità, praticamente mezza Italia, e questo governo glielo riconoscerà. Ma è giusto che il M55 faccia la sua parte".
"Lo stipendio dei parlamentari è un privilegio. Guadagnano troppo e presto metteremo mano a questo spreco di soldi pubblici. Noi, come abbiamo sempre fatto, lo stipendio ce lo tagliamo, e l'eccedenza la diamo agli alluvionati. Parliamo di circa 2 milioni di euro da parte dei 300 parlamentari. Un piccolo gesto, ma molto concreto", rimarca Battelli.

Fonte: adnkronos del 9 novembre 2018

Stefano Cucchi, carabinieri alla proiezione del film: “Dateci la lista dei partecipanti”. Colonnello: “Lì per questioni di sicurezza”.

Stefano Cucchi, carabinieri alla proiezione del film: “Dateci la lista dei partecipanti”. Colonnello: “Lì per questioni di sicurezza”

A raccontare la vicenda - avvenuta in una libreria del centro commerciale Le Gru di Siderno - è il quotidiano La Stampa. La titolare della libreria, Roberta Strangio, ha risposto ai due militari che non poteva soddisfare la loro richiesta perché non esisteva un elenco dei partecipanti all’iniziativa. I due hanno dunque assistito alla proiezione ma senza identificare nessuno.

Si sono presentati in una libreria e hanno chiesto “l’elenco dei partecipanti” alla proiezione del film Sulla mia pelle, sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi. È quello che hanno fatto due carabinieri a Siderno, in provincia di Reggio Calabria. A raccontare la vicenda – avvenuta in una libreria del centro commerciale Le Gru – è il quotidiano La Stampa. Secondo il quotidiano di Torino la titolare della libreria, Roberta Strangio, ha risposto ai due militari che non poteva soddisfare la loro richiesta perché non esisteva un elenco dei partecipanti all’iniziativa.
I due carabinieri si sono allora congedati “con gentilezza“, ha riferito ancora Strangio, ma non hanno lasciato la libreria, trattenendosi per l’intera durata della proiezione del film ma senza identificare nessuno dei partecipanti all’iniziativa. “Non hanno chiesto i documenti a nessuno neanche alle persone uscite prima della fine del dibattito che ha fatto seguito alla proiezione del film”, ha detto la proprietaria della libreria.

“I carabinieri erano lì per attività di routine e hanno interloquito con gli organizzatori per sapere se c’era qualcuno delle istituzioni o autorità, in un’ottica di ordine e sicurezza pubblica”, ha spiegato al quotidiano diretto da Maurizio Molinari il colonnello Gabriele De Pascalis, comandante del Gruppo di Locri dei carabinieri. “A noi – ha aggiunto – non interessa alcun elenco, soprattutto in una manifestazione che non aveva alcun rischio di ordine pubblico. Noi siamo sempre tra la gente e non vogliamo che l’accaduto venga strumentalizzato, specie in una vicenda triste e delicata come quella di Stefano Cucchi”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 8 novembre 2018

Avvenimento inquietante. E che avvenga in un periodo di destabilizzazione sociale, rende l'avvenimento ancor più sgradevole. Cetta 

Grecia oggi: segui il denaro (di Soros). - Grigoriou Panagiotis


Billionaire George Soros speaks during the World Economic Forum in Davos, Switzerland, on Jan. 25, 2018. MUST CREDIT: Bloomberg photo by Simon Dawson

In Grecia, ormai, si assiste ad una emigrazione che ribalta i canoni seguiti fino a pochi anni fa. Dopo anni in cui erano i bulgari ad entrare nella UE, cioè in Grecia, in cerca di miglior fortuna, ora sono i bulgari – tornati a casa loro dopo la crisi – ad ospitare i greci in cerca di minori costi della vita. 
Intanto, il governo elimina l’insegnamento di parti importanti della storia greca, nonché del latino, riducendo fortemente anche l’insegnamento del greco antico, in un impeto di trasformazione della scuola ellenica quasi in un’istituzione “per stranieri”. I quali stranieri, del resto, godono di affitto pagato (dalle solite ONG) e di incentivi a stabilirsi nel paese, ma sono spesso vittima di attacchi e di violenze, prevedibili, dato l’abbandono in cui versano i luoghi oggetto di insediamento.
Del resto la Grecia è stata spesso in passato terreno di conquista per forze esterne, fin da quando – ai primi dell’800 – il neo-istituito stato greco indipendente veniva affidato al governo dei principi bavaresi e subiva le pesanti ingerenze di Francia e Inghilterra, oggi uniti agli USA nell’opera di modifica dei confini con la regione slavomacedone che si cerca a tutti i costi di denominare Macedonia del Nord, anche contro la volontà sia dei greci che dei suoi abitanti che hanno disertato il referendum poche settimane fa, senza peraltro che il processo sia stato fermato. Anzi, il Parlamento di Skopije ha approvato ugualmente l’accordo bocciato dalle urne, grazie – si dice – a diversi milioni di euro versati a una decina di deputati dell’opposizione che hanno “miracolosamente” cambiato idea. Soldi che girano copiosi anche dietro l’azione di due ministri del governo Tsipras, uno (Kammenos) sotto l’ala degli USA prima con Obama e adesso con Trump, e l’altro (Kotsias) finanziato da Soros e in disgrazia perché troppo amico della Germania e del finanziere Ungherese. Se si vuol capire dove vanno i Balcani, bisogna seguire il denaro: quello di Soros, ma non solo.
L’Italia è, agli occhi di molti greci, la speranza del momento, la scintilla di rivalsa contro le istituzioni europee che potrebbe, se dovesse continuare l’azione del governo giallo-verde, far saltare l’intero sistema. 
Lo pensa Panagiotis Grigoriou e molti altri, non solo in Grecia, che vedono vacillare la costruzione distopica di regole messa in piedi in Europa dalle elites transnazionali, di fronte ai primi rifiuti di uno stato “vittima” delle loro politiche. Politiche che, va ricordato, non sono solo vessazioni economiche, ma mirano a cancellare intere civiltà, come mostrano misure come quelle che, in Grecia, hanno messo sotto tiro le campane delle chiese e le feste nazionali, sia religiose che civili (come il 28 ottobre, anniversario del NO all’ultimatum italiano del governo Mussolini durante la II guerra mondiale) che i mondializzatori vogliono abolire per affievolire quel po’ di identità nazionale che è rimasta al popolo greco, mentre gli accordi (palesi ed occulti) firmati dal Governo mirano a smontare pezzo per pezzo il paese stesso.
Fonte: comedonchisciotte del 7 novembre 2018

giovedì 8 novembre 2018

La Corte Costituzionale affonda il Jobs act.

Altra picconata al Jobs act

Il criterio di determinazione dell'indennità che spetta al lavoratore ingiustamente licenziato - e legato esclusivamente all’anzianità di servizio - è incostituzionale.

Altra picconata al Jobs act. Stavolta non dalla politica bensì dalla Corte Costituzionale. Secondo quanto stabilito dalla sentenza della Consulta n. 194, depositata oggi, il criterio di determinazione dell’indennità che spetta al lavoratore ingiustamente licenziato – e legato esclusivamente all’anzianità di servizio – è incostituzionale. Spetta al giudice, invece, determinare l’indennità risarcitoria che dovrà perciò tenere conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti”.

In dispositivo dichiara dunque incostituzionale sia quanto previsto dal Jobs act nel 2015 sui contratti a tutele crescenti, sia quanto modificato dal Dl Dignità nel 2018 che ha innalzato la misura minima e massima dell’indennità. Il meccanismo di quantificazione del risarcimento pari a un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” spiega ancora la sentenza della Consulta, rende l’indennità “rigida” e “uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.

Pertanto, il giudice, si legge ancora, “nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora 6 mensilità) e massimo (24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, criterio che ispira il disegno riformatore del 2015, ma anche degli altri criteri ”desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

La disposizione censurata, prosegue la Corte Costituzionale, contrasta anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse: finisce, conclude la Corte, “col prevedere una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, venendo meno all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, anch’essa imposta dal principio di eguaglianza”.

Fonte: quifinanza del 8 novembre 2018

Polizia, cade l’obbligo di informare i superiori. Incostituzionale la legge per fare conoscere le indagini ai governi. - Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella

Polizia, cade l’obbligo di informare i superiori. Incostituzionale la legge per fare conoscere le indagini ai governi

La norma - varata nell'agosto del 2016 dal governo Renzi - era stata aspramente contestata da magistrati e investigatori. Prevedeva che l’informativa di reato - cioè il primo atto all'interno dell'inchiesta - dovesse scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I rispettivi ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia.

La legge che poteva consentire ai politici di conoscere in anticipo le indagini è incostituzionale. Il motivo? Lede le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero. Lo ha stabilito la Consulta che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal procuratore di Bari nei confronti del governo. La norma era stata varata nell’agosto del 2016 quando a Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi. A luglio, invece, si erano registrate le prime fughe di notizie all’interno dell’inchiesta Consip. I vertici della centrale acquisti della pubblica amministrazione furono informati quasi in diretta dell’esistenza dell’indagine che ora rischia che di portare alla richiesta di rinvio giudizio per l’ex ministro dello Sport Luca Lotti e il generale dell’Arma Tullio Del Sette. L’ad Luigi Marroni, intercettato il 20 dicembre 2016, confessò al capo dell’ufficio legale di sapere dell’esistenza degli accertamenti “4-5 mesi” prima.

Il conflitto sollevato dal procuratore di Bari – Il procuratore del capoluogo pugliese, Giuseppe Volpe, sosteneva che la norma di fatto abrogasse parzialmente il segreto investigativo e che il governo fosse andato oltre la delega del Parlamento introducendo una sorta di deroga alla riservatezza. “Notizie riservate potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini”, cioè vere e proprie “fughe di notizie legittimate”, commenta il magistrato che ha definito “la sentenza come “un grandissimo successo”. Il magistrato spiega che la legge rischiava di “compromettere il segreto istruttorio e la stessa obbligatorietà dell’azione penale”. Il ricorso è stato scritto personalmente dal procuratore di Bari, rappresentato nel giudizio dai professori Giorgio Costantino e Alfonso Celotto.

La norma bocciata – Al centro dell’atto c’è  l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016. La disposizione prevede che, a fini di coordinamento informativo, “i vertici delle Forze di Polizia adottino istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. La Corte, pur riconoscendo che le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione, la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato.
Spataro: “Incostituzionale. Segreto investigativo carta straccia” – Un testo che all’epoca aveva fatto molto discutere. “Una norma a dir poco sorprendente”, l’aveva definita il procuratore di Torino, Armando Spataro segnalando subito “profili di incostituzionalità“, ma soprattutto di un “contrasto con alcune norme del codice di procedura penale che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine”. “Così il segreto investigativo diventa carta straccia“, diceva il magistrato parlando di un ulteriore passo della “generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria”. La legge, sottolineava sempre Spataro, non prevede infatti “alcun divieto” per le gerarchie delle forze dell’ordine “di riferire all’autorità politica”. La questione era arrivata sui tavoli di Palazzo dei Marescialli, con il Consiglio superiore della magistratura che si era espresso in maniera critica sul provvedimento.
Le indagini top secret al governo in anteprima –L’informativa di reato è il primo atto scritto in cui uno o più membri delle forze dell’ordine riassumono i risultati di un’inchiesta, in quel momento coperta da segreto, per trasmetterli alla magistratura, alla procura di competenza. Il “coordinamento” di cui parla il testo, necessario per evitare doppioni e sovrapposizioni, in precedenza spettava proprio ai magistrati inquirenti. Con la norma, invece, l’informativa deve scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia. Così, per esempio, un’inchiesta per corruzione o per mafia, o qualunque indagine che possa mettere in imbarazzo un ministro, un parlamentare, un amministratore locale, potrà arrivare sul tavolo della politica prima di essere resa nota all’interessato con un provvedimento della magistratura.
La circolare di Gabrielli – Una normativa simile era già prevista i carabinieri, sottoposti al Testo unico dell’ordinamento militare del 2010. Con la legge del 2016 è stata estesa a tutti le altre forze dell’ordine. L’8 ottobre 2016 una circolare dal capo della polizia, Franco Gabrielli, spiegava che i superiori gerarchici devono essere informati anche degli ulteriori sviluppi “rilevanti” dell’inchiesta, “fino alla fine delle indagini preliminari”. Ma precisava che nel farlo è necessario “preservare il buon esito delle indagini in corso”, e quindi le comunicazioni dovevano  essere selezionate in modo “graduale” e al solo scopo di “garantire un adeguato coordinamento informativo”.

Il conflitto sollevato dalla procura di Bari  – La Corte costituzionale – giudice relatore Nicolò Zanon – aveva ammesso il conflitto tra poteri dello Stato il 6 dicembre del 2017. Anche se l’allarme sui possibili profili di incostituzionalità della norma era stato lanciato dai procuratori – Spataro in primis – e dal Csm già diversi mesi fa, in piena tempesta sull’inchiesta Consip tra fughe di notizie e dubbi sulle prove manipolate. E aveva suscitato la reazione indignata di Gabrielli. A sollevare il conflitto era stato il procuratore Bari, Volpe nei confronti del governo per quella disposizione inserita a sorpresa nel decreto che aveva accorpato la Forestale all’Arma dei carabinieri. La norma venne introdotta con l’obiettivo dichiarato di evitare duplicazioni e sovrapposizioni tra le forze di polizia e e per ottenere così un efficace coordinamento informativo. Per il procuratore pugliese, però, non solo il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento, ma aveva di fatto abrogato parzialmente il segreto investigativo, che è uno dei cardini del nostro sistema processuale, introducendo una sorta di deroga alla segretezza.

Per procuratore Bari lesi gli articoli 109 e 112 della Costituzione – Non solo: introducendo quell’obbligo a carico della polizia giudiziaria, il governo, per il procuratore, aveva anche leso le prerogative riconosciute dalla Costituzione alla magistratura inquirente. Perché quella norma contrasta con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112), che garantisce l’indipendenza funzionale del pm da ogni altro potere e soprattutto da quello esecutivo; e ledeva anche l’articolo 109 della Costituzione che dà ai pubblici ministeri il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria.
I rilievi del Csm – Gli stessi rilievi che aveva mosso nel giugno del 2017 il Csm. L’organo di autogoverno della magistratura sollevò il problema anche del rischio di “interferenze” nelle indagini dei magistrati con la trasmissione di notizie sulle inchieste a “soggetti che non rivestono la qualifica di polizia giudiziaria e che, per la loro posizione apicale, vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza organica dalle articolazioni del potere esecutivo”. La delibera fu approvata dal plenum del Consiglio superiore della magistratura. Fu quel passaggio che fece sentire “offeso” Gabrielli, “come se il sottoscritto – disse in un’intervista – e i vertici delle forze dell’ordine non avessero giurato fedeltà alla Costituzione, ma alla maggioranza di governo del momento.” Anche a giudizio del plenum il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento. Palazzo dei Marescialli suggerì anche una possibile via d’uscita: che la comunicazione in via gerarchica sulle informative della polizia giudiziaria avvenisse “compatibilmente con gli obblighi” di legge sul segreto investigativo e non “indipendentemente” da tali obblighi, come detto nella disposizione. Che però è stata bocciata dai giudici costituzionali.

Fonte: ilfattoquotidiano del 7 novembre 2018