venerdì 13 marzo 2020

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: verso il rinvio delle scadenze della pace fiscale. - Anna Maria D'Andrea

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: verso il rinvio delle scadenze della pace fiscale

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: il nuovo decreto atteso entro venerdì 13 marzo 2020 dovrebbe rinviare i pagamenti in scadenza, anche quelli della pace fiscale, rottamazione e saldo e stralcio delle cartelle.

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali. Si va verso un rinvio ampio delle scadenze che dovrebbe coinvolgere anche i termini della pace fiscale e le prossime rate di rottamazione e saldo e stralcio.
Mentre slitta a venerdì 13 marzo l’approvazione del decreto economico del Governo con le misure in favore di famiglie ed imprese, arrivano dal MEF alcune anticipazioni sui contenuti del provvedimento.
Il Sottosegretario Baretta ha dichiarato che la sospensione delle scadenze fiscali sarà ampia, e ricomprenderà anche le cartelle esattoriali ed i provvedimenti di rateazione vigenti.
L’obiettivo è garantire il più possibile la liquidità di famiglie ed imprese danneggiate dal coronavirus, congelando di fatto i principali adempimenti fiscali del periodo.
Appare quindi possibile la proroga del saldo IVA e degli importanti appuntamenti del 16 marzo 2020, ma per avere conferme sarà necessario attendere venerdì, giorno in cui il Governo dovrebbe approvare il primo decreto economico da 12 miliardi di euro.

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: verso il rinvio delle scadenze della pace fiscale

La sospensione dell’attività di riscossione delle cartelle esattoriali è una delle misure richieste a gran voce dalle imprese e dalle associazioni di categoria e, stando alle prime anticipazioni, dovrebbe essere una delle novità del decreto economico atteso entro venerdì 13 marzo 2020.
Il Consiglio dei Ministri dell’11 marzo ha alzato la posta sulle risorse in campo per affrontare l’emergenza coronavirus. Ben 25 miliardi di euro, di cui 12 a copertura del primo decreto economico, per i quali dal Parlamento è arrivato l’ok.
Il capitolo fiscale sarà uno dei punti al centro del nuovo decreto, e stando a quanto anticipato dal Sottosegretario al MEF Baretta si sta lavorando per rinviare anche le scadenze della pace fiscale.

Perché Christine Lagarde ha affossato l’Italia. - Alessandro D'Amato

christine lagarde

Christine Lagarde ha parlato e ha dimostrato che il silenzio è d’oro. L’erede di Mario Draghi sullo scranno più alto della Banca Centrale Europea, alla sua prima vera emergenza (il Coronavirus), ha subito dato una pessima dimostrazione delle sue capacità, con la sua frase sui compiti di Francoforte riguardo lo spread che ha fatto crollare le Borse e impennare il differenziale tra BTP e Bund proprio quando ci si aspettava la solidarietà europea. E il tutto accade mentre la crisi attuale del differenziale rischia già di costarci due miliardi di euro.

Perché Christine Lagarde ha affossato l’Italia.

“Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per questi problemi”, ha detto la Lagarde. Tradotto: non guardate alla Bce per la soluzione di questa crisi, non è compito nostro. Ovvero l’esatto contrario dell’assunzione di responsabilità di Mario Draghi con il Whatever it takes che ha reso da un giorno all’altro inutile la speculazione sullo spread. Riuscendo, spiega oggi Stefano Feltri sul Fatto, nel capolavoro di trasformare un dramma sanitario in una nuova crisi finanziaria. E cercando di correggere solo dopo qualche ora in una intervista con la tv CNBC (“sono determinata a evitare la frammentazione della zona euro”). Quando ormai è troppo tardi.
“CHIUDERE GLI SPREAD” significa ridurre le differenze tra quanto spendono due diversi Stati della zona euro per finanziarsi sul mercato, cioè per il debito che serve e servirà a finanziare le misure straordinarie di sostegno all’economia contro gli effetti del coronavirus. In teoria dentro la moneta unica tutti dovrebbero pagare lo stesso tasso di interesse, visto che ci si indebita tutti in euro. Ma negli ultimi anni, dopo la crisi della Grecia nel 2009, le differenze sono aumentate perché i mercati hanno iniziato a dare un prezzo al rischio che i Paesi più fragili possano uscire dall’euro. La Lagarde scarica la responsabilità sull’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri delle Finanze dei Paesi della moneta unica, e la Commissione europea.
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Coronavirus: Mattarella avverte l'Europa: 'Aiuti e non ostacoli l'Italia'. - Michele Esposito



Nell'ennesimo giorno nero, ieri, per contagi e decessi il premier Giuseppe Conte lavora ad una partita parallela e altrettanto importante: quella di evitare il collasso economico dell'Italia. Un'Italia verso la quale l'Ue stenta a muoversi. Anzi, la sensazione, nelle più alte istituzioni italiane, è che in Europa non ci sia ancora la piena consapevolezza della portata "pandemica" dell'emergenza Covid-19. E, in serata, è il presidente Sergio Mattarella a muoversi in prima persona. "L'Italia sta attraversando una condizione difficile e la sua esperienza di contrasto alla diffusione del coronavirus sarà probabilmente utile per l'Unione Europea. Si attendono quindi, a buon diritto, quanto meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possano ostacolarne l'azione", è il monito del capo dello Stati.
L'asse tra Palazzo Chigi e il Quirinale è saldo. Al Colle non è sfuggito un dato: dopo le parole della Lagarde lo spread è salito a livelli altissimi. Ma l'intervento di Mattarella va oltre arrivando dopo atteggiamenti dell'Ue considerati di noncuranza, scherno, che hanno investito il contrasto alle merci o la chiusura alle frontiere. Atteggiamenti che hanno irritato non poco Mattarella, portandolo ad intervenire nettamente a difesa dell'Italia. In questo il governo è unito. "La Bce è un presidio, è un bene che Lagarde abbia precisato le sue parole (sullo spread, ndr)", sottolinea in serata il titola del Mef Roberto Gualtieri. E, sempre in serata, dall'Europa arriva un'apertura, sia sullo stop al Patto di stabilità sia sull'esclusione del 100% delle spese per l'emergenza Covid-19 dal deficit. Decisione che andrebbe incontro, quindi, a quello che il governo si attende. Conte lo accenna anche alla Cancelliera Angela Merkel, con la quale condivide l'esigenza di mettere l'emergenza coronavirus al primo posto dell'agenda Ue. Ma la sponda, per ora teorica, di Berlino non basta. E non basta neanche la linea, filo-italiana di Ursula von der Leyen. A Palazzo Chigi lo sanno e, non a caso, Conte ripete in tutti i suoi contatti europei lo stesso concetto: il Covid-19 è un'emergenza globale, non italiana.
Per questo la risposta della presidente della Bce Christine Lagarde è ritenuta dal governo italiano insoddisfacente sia nelle parole sia nell'entità del Qe messo in campo. "Qui il problema non è la flessibilità, questo è un tema che deve essere considerato già superato", spiega una fonte governativa. Il pressing di maggioranza e opposizione, peraltro, è costante. Le parole di Lagarde("non siamo qui per ridurre gli spread, non è la funzione della Bce") irritano tutti, dal Pd alla Lega. E fanno impennare proprio lo spead in Italia.
Il M5S va oltre e chiede lo strappo più netto: la chiusura della Borsa di Milano. Conte si limita ad un semi-avvertimento: "mi aspetto che l'Eurogruppo di lunedì dovrà avere sul tavolo esclusivamente l'emergenza coronavirus", sottolinea, con implicito riferimento alla fermezza italiana di volere un rinvio dall'ok al Mes. Il tema Ue si incrocia con le proteste per la decisione di tenere aperte le fabbriche. Ma Conte non ha intenzione di fare marcia indietro. Certo le difficoltà reali degli operai e dei datori di lavoro nell'assicurare loro condizioni di sicurezza adeguate inducono a rispondere con i fatti prima che con le parole. Ma, come spiega una fonte di maggioranza, chiudere le fabbriche mentre nel resto dell'Ue tutto è aperto significherebbe dare un colpo ferale all'economia italiana. Sull'incontro tra governo e parti sociali che si terrà domani a Palazzo Chigi, spiegano fonti Dem, le prime sollecitazioni al premier sono arrivate dal vicesegretario Andrea Orlando.
La linea del Pd, sul tema, non è precostituita. Dalla segreteria riunitasi (in video) nel pomeriggio sono emerse due priorità: chi può lavorare da casa deve essere messo nelle condizioni di farlo; chi deve andare a lavorare per necessità primarie deve essere messo nelle (rigide) condizioni di sicurezza del caso. Il puzzle è complicato. E, proprio per questo, Conte sottolinea anche in queste ore la necessità di una linea lucida e realista. "Il governo fa quello che occorre fare", spiegano nell'esecutivo. E, a Palazzo Chigi, non sono passate inosservate le parole di questa mattina del Papa, che ha invitato a pregare per le autorità di governo chiamate a decisioni non facile.
La Bce alza il Qe, con un piano di acquisti netti aggiuntivi di 120 miliardi di euro per il 2020 e taglia la crescita dell'anno a 0,8%, 1,3% nel 2021, lanciando anche una nuova tranche di maxi-prestiti alle banche per fornire 'immediato sostegno alla liquidità del sistema finanziario'. Fermi i tassi. Via libera dell'Ue al primo aiuto di Stato alle impreseLa Fed tira fuori il bazooka, inietta 1.500 miliardi di dollari. Donald Trump è sicuro: 'I mercati rimbalzeranno, e lo faranno in modo forte'. Ma Wall Street affonda e il Dow Jones perde il 10%, il calo maggiore dal lunedì nero del 1987 e il calo maggiore di sempre in termini di punti: ne ha persi 2.352,27. Non va meglio allo S&P 500, che chiude la peggiore seduta dal 1987
PER LE BORSE IERI UNA GIORNATA DA DIMENTICARE -  Peggiore giornata della loro storia recente per le Borse europee, travolte dalle vendite sugli sviluppi dell'emergenza Coronavirus: a Piazza Affari l'indice Ftse Mib chiude in calo del 16,9% a 14.894 punti. Si tratta ampiamente del maggiore ribasso in una sola seduta dalla nascita dell'indice nel 1998 e supera il precedente record negativo successivo al referendum sulla Brexit del 24 giugno 2016, quando la perdita finale della giornata fu del 12,4%. Londra ha concluso con uno scivolone del 10,9%, Parigi e Francoforte con il medesimo ribasso del 12,2%.

liberarci delle caldaie a gas entro il 2030. - Davide Sabbadin e Melissa Zill

Per decarbonizzare i consumi termici europei bisogna bandire la vendita di sistemi a fonti fossili prima del 2030. L'intervento di Davide Sabbadin dell'European Environment Bureau e Melissa Zill di ECOS.

La decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento in Europa è destinata a dominare il dibattito sul clima nel 2020.
Oggi, la climatizzazione degli edifici e la produzione di acqua calda sanitaria rappresentano metà del consumo energetico annuale dell’UE, e un terzo delle sue emissioni di CO2.
Dalle energie rinnovabili alla ristrutturazione degli edifici, c’è una pressione crescente per implementare soluzioni sostenibili. Ma nonostante l’impennata delle nuove tecnologie, l’Europa finora sulla decarbonizzazione ha fatto un passo avanti e due indietro.
Eliminazione graduale delle caldaie a combustibili fossili entro il 2030
Finché i termosifoni e gli scaldabagni alimentati a combustibili fossili continueranno a essere prodotti, venduti e installati nelle nostre case, è difficile pronosticare un futuro a zero emissioni di carbonio per l’Europa.
I combustibili fossili continuano a generare oltre l’80% dell’energia termica in Europa, con le caldaie a gas a fare la parte del leone.
Molti paesi vogliono invertire questa tendenza, promettendo il passaggio alle energie rinnovabili e a tecnologie neutre dal punto di vista delle emissioni di carbonio, come le pompe di calore, che a lungo termine ridurrebbero le bollette energetiche.
Ma i progressi sono lenti, poiché la continua produzione di tecnologie e infrastrutture a combustibili fossili rende l’adozione di nuove tecnologie sempre più difficoltosa.
Il problema principale è che le soluzioni pulite sono svantaggiate rispetto alle tecnologie a combustibili fossili. Attualmente, è più costoso sostituire una caldaia a gas con un sistema più efficiente piuttosto che sostituirla con un’altra caldaia a gas. Gli incentivi finanziari in Europa non sono sempre presenti e gli installatori non sempre conoscono le alternative.
Quando le soluzioni verdi non sono incentivate attivamente, è improbabile che i consumatori cambino prodotto e così si ritrovano a scegliere fra due non-soluzioni. I produttori, da parte loro, già da tempo promuovono le caldaie a gas a condensazione come alternativa pulita alle caldaie a gas tradizionali, anche se sono disponibili tecnologie veramente pulite, basate sull’energia rinnovabile.
Inoltre, installare una nuova caldaia a gas oggi significa che quel prodotto sarà in uso per una media di 10-20 anni, di fatto andando a consumare una parte di quel “budget di carbonio” che dovremmo lasciare ai settori dove le tecnologie per ridurle non sono ancora competitive, come le emissioni dei processi industriali.
Infine, gli scienziati hanno fatto i conti, ed è emerso che non abbiamo molto tempo per ridurre le emissioni di carbonio: se vogliamo decarbonizzare il riscaldamento, è chiaro che abbiamo bisogno di un approccio olistico che affronti tutti questi problemi assieme. I sistemi di riscaldamento meno efficienti dovrebbero essere gradualmente eliminati dal mercato UE, e l’ultima caldaia a combustibile fossile dovrebbe essere venduta non più tardi del 2030.
Mettere una scadenza alla produzione di tecnologie a combustibili fossili darebbe sia ai consumatori che ai produttori il tempo di prepararsi alla transizione. Realisticamente, questo significa che la Commissione Europea dovrebbe iniziare a discuterne e a redigere proposte prima della fine di quest’anno, come parte integrante della sua Direttiva di punta sull’Ecodesign.
Efficienza energetica, energie rinnovabili e pompe di calore
Il passaggio a sistemi di riscaldamento a emissioni zero deve andare di pari passo con la ristrutturazione degli edifici.
Un sistema di sovvenzioni a livello europeo per la coibentazione e i doppi o tripli vetri è un passo fondamentale per rendere le nostre case più confortevoli ed efficienti dal punto di vista energetico. Un recente studio ha rilevato che la ristrutturazione su vasta scala degli edifici potrebbe far risparmiare il 36% del loro consumo energetico entro il 2030.
Case ben isolate accelererebbero anche l’adozione di nuove soluzioni, come le pompe di calore elettriche e il teleriscaldamento, che nella maggior parte dei casi possono già sostituire le tradizionali caldaie a gas.
Attualmente, le pompe di calore sono presenti in meno del 10% di tutti gli edifici europei, ma il mercato è in rapida crescita. Il parco pompe di calore presente nell’UE ha consentito un risparmio energetico finale di 164 TWh e ha prodotto 128 TWh di energia rinnovabile nel 2018, con un risparmio di 32,8 Mt di emissioni di CO2 – l’equivalente cumulato delle emissioni di Cipro, Lettonia e Lussemburgo nel 2017.
Le pompe di calore non solo possono essere neutre dal punto di vista delle emissioni di CO2, ma sono anche tra le tecnologie disponibili più flessibili. Possono funzionare in modo efficiente con energia geotermica, fotovoltaica ed eolica, mantenendo il calore nei serbatoi di accumulo e generando energia per la casa quando è necessario – anche quando le fonti di energia rinnovabile non possono essere dispacciate.
Se abbastanza grandi, possono anche essere integrate in sistemi di teleriscaldamento, per riscaldare o raffreddare intere aree.
La rivoluzione dell’idrogeno?
Non è ancora il momento dell’idrogeno domestico. Si è tentati di credere che l’idrogeno e altre forme di gas rinnovabili rappresentino il futuro del riscaldamento, ma diffondere le caldaie a idrogeno -o peggio ancora quelle a metano ma “hydrogen ready”- potrebbero costituire una scommessa davvero molto costosa sia per le famiglie che per il sistema energetico in generale.
Attualmente, la disponibilità di idrogeno verde – generato per elettrolisi con energia rinnovabile – è ancora molto limitata, e il suo costo è considerevolmente più alto di quello del gas fossile e dell’elettricità rinnovabile.
Una forma più comune di idrogeno è prodotta dal gas fossile – compreso quello liquefatto in arrivo dagli USA e prodotto attraverso il fracking- ma questa opzione ovviamente non aiuta a ridurre le emissioni e quindi e’ da considerarsi incompatibile con lo scenario desiderato di neutralita’ climatica.
Costruire un’infrastruttura adatta all’idrogeno senza prima assicurarsi che esistano forniture sufficienti di energia rinnovabile è un rischio che l’Europa non può permettersi di correre – un rischio che chiaramente comprometterebbe i suoi sforzi di decarbonizzazione.
L’idrogeno è sicuramente più prezioso in un ruolo di supporto, nell’ambito degli sforzi per decarbonizzare i settori ad alta intensità energetica, come l’industria siderurgica, dove l’elettrificazione potrebbe essere più impegnativa e soprattutto nei processi industriali dove oggi si impiega il carbone come reagente, in primis la produzione dell’acciaio.
Via via che crescono gli appelli all’azione per il clima e ci avviciniamo al punto di non ritorno, i responsabili politici avranno sempre meno tempo e spazio per fare errori. L’attenzione dovrebbe concentrarsi su soluzioni realistiche e disponibili che ci aiutino ad abbandonare del tutto i combustibili fossili.
Il tempo dei dibattiti è finito – i passi verso la decarbonizzazione devono essere fatti ora.
Davide Sabbadin è un esperto di normative dell’European Environment Bureau (EEB). Melissa Zill è responsabile di programma a ECOS. Insieme, EEB ed ECOS guidano la campagna Coolproducts – una coalizione di ONG impegnate a promuovere prodotti migliori per i consumatori e il pianeta.

giovedì 12 marzo 2020

COVID-19 creato in laboratorio. E se fosse tutto vero?




Fantavirus. - Marco Travaglio


Siccome gli sciacalli da tastiera e i virologi da poltrona sono tutti intenti a dare retta ai due Matteo e a raccontarci quanto staremmo meglio con un altro governo, possibilmente di destra o comunque con la destra, secondo le formule del governissimo di unità nazionale o di salute pubblica (battutona), o direttamente del supercommissario-dittatore, li prendiamo sul serio. Come gli autori di quei romanzi che immaginano come sarebbe il mondo se la Seconda guerra mondiale l’avesse vinta Adolf Hitler.
Ipotesi del primo tipo.
L’estate scorsa, dopo la crisi del Papeete, il Pd segue gli amorevoli consigli di Repubblica-Espresso-Stampa-Messaggero-Corriere. I 5Stelle, anziché a Grillo, danno retta a Paragone. Mattarella si attiene alla scuola di pensiero costituzionale di Sallusti-Feltri-Sgarbi-Maglie-Capezzone. E si va alle elezioni anticipate a novembre. Salvini vince e forma il suo primo governo con B., Meloni e i loro statisti. Sorvolando sull’esercizio provvisorio, l’aumento dell’Iva, la procedura d’infrazione Ue, le figure di merda nazionali e internazionali, si arriva alla crisi coronavirus. Salvini disdetta subito Schengen e chiude le frontiere, levando le castagne dal fuoco ai governi europei più anti-italiani che ci trattano da untori e non vogliono più farci uscire dall’Italia. Poi chiude i porti, salvo accorgersi che non arriva più un immigrato neppure a pagarlo (gli scafisti sono i primi a mettersi in autoquarantena). E rimpatria con un ponte aereo verso la Cina tutti i cinesi in Italia, che contano ben due positivi al virus contro migliaia di italiani. Le regioni dei due focolai, Lombardia e Veneto, leghiste ma amministrate da gente un po’ meno insensata di lui, adottano misure restrittive per contenere il contagio, che c’entra poco con cinesi e africani e molto con i padani. Ma il premier, convinto dagli amici Trump e Johnson che il Covid-19 sia un’invenzione dell’Oms, del Mes e delle Ong, tesi confermata dalla rivista scientifica Libero (“Virus, ora si esagera”, “Veneti e lombardi: ‘Fateci lavorare, basta con le restrizioni’”), sale al Quirinale e dice: “Riaprire, riaprire tutto: palestre, musei, gallerie, stadi, bar, centri commerciali, fabbriche, negozi, discoteche”. Fontana e Zaia chiedono ai virologi se per caso il coronavirus attacchi anche le vie cerebrali, poi si rassegnano all’evidenza del tampone: il premier è negativo al coronavirus, ma positivo al cazzarovirus, e non da ora. Infatti i contagiati sono 1 milione, i morti a 50 mila e persino gli scienziati di Libero insultano chi minimizzava (cioè se stessi) e chiedono di chiudere tutto.
Al che Salvini dichiara: “Ho sempre detto che chiudere la Lombardia non basta e la zona arancione in tutt’Italia neppure. Subito serrata di tutto il Paese e zona rossa per l’intera Europa”. In preda allo sconforto, Fontana s’iscrive al Pd e Zaia ai 5Stelle.
Ipotesi del secondo tipo.
Il 25 febbraio, dalle fertili menti del Cazzaro Verde e del Cazzaro Innominabile, nasce il governissimo Draghi (non Mario, che ha cortesemente declinato, ma Matìas, portiere della squadra di calcio argentina Estudiantes de Mérida), sostenuto da tutti i partiti fuorché i 5Stelle. Un governo del fare. Un governo smart-trendy- smile-friendly-choc, che ha pure il pregio di liberarci da Conte, notoriamente poco serio. Infatti, fra i nuovi ministri, svettano Salvini all’Interno, B. alla Giustizia, l’Innominabile agli Appalti Consip e Famiglia (la sua) e Sala all’Expo-Salute e Retrodatazione Appalti. Il quale Sala rilascia un’intervista a Repubblica: “Riapriamo Milano”, “non si può spegnere tutto, iniziamo dai musei”. E lancia l’hashtag #milanononsiferma, con apposita t-shirt bianca e video di gaia normalità, subito rilanciato dall’Innominabile (“ripartire si può, tutti insieme. Lo dimostra questo bellissimo video su Milano che mi piace condividere con voi”). Appena sei giorni dopo, Sala aderisce all’hashtag #iostoacasa e invita i milanesi a non credere al sindaco cazzaro che li esortava a non fermarsi: “Rimanete in casa il più possibile”. Ammirato da tanta coerenza, Salvini gli regala la tessera ad honorem della Lega.
Ipotesi del terzo tipo.
Pressato dai due Cazzari e dalla stampa al seguito, Conte nomina Guido Bertolaso supercommissario con pieni poteri all’emergenza coronavirus. Ma i due Cazzari ripetono in stereofonia che “Bertolaso non basta”, così arriva anche un secondo supercommissario, con pieni poteri fratto due: Gianni De Gennaro, con delega alla repressione dei renitenti alle prescrizioni. Memore della radiosa esperienza del G8 di Genova 2001, con particolare riferimento alle scorribande indisturbate dei black bloc e delle botte da orbi ai manifestanti inermi che dormivano nella scuola Diaz o venivano interrogati nella caserma di Bolzaneto, Supergianni fa subito manganellare chi sta a casa propria, mentre chi gironzola e socializza senza motivo non ha nulla da temere. Dal canto suo, Superguido richiama in servizio la squadra vincente che aveva ben meritato sul terremoto in Abruzzo e sull’altro G8, quello fissato alla Maddalena e poi traslocato all’Aquila. E cioè Bernardo De Bernardinis, che minimizza l’emergenza virus con le stesse parole usate alla vigilia della scossa mortale del 6 aprile 2009: “Bevetevi un bel bicchiere di Montepulciano”, possibilmente tutti dallo stesso bicchiere. Balducci e De Santis invece si occupano dell’appalto per le mascherine e i respiratori. Ma purtroppo vengono riarrestati nel giro di mezz’ora per averlo affidato a un’impresa di pulizie e giardinaggio dell’amico Diego Anemone, ovviamente senza gara. Così Bertolaso può annunciare trionfalmente a reti unificate:
“Finalmente l’Italia è tornata alla normalità”.
FQ 12 marzo

mercoledì 11 marzo 2020

L'ITALIOTA. - Roberta Labonia

L'immagine può contenere: folla e spazio al chiuso

C'è un virus, in Italia, che sta facendo più danni della grandine. Molti ma molti più danni che, da solo, farebbe 'sto maledetto coronavirus (covid-19). È il suo migliore alleato. Praticamente vivono in simbiosi. Si spalleggiano. Sono come il gatto e la volpe, Diabolik ed Eva Kant, Albano e Romina. È il virus dell'italiota.

È un virus maledetto quello che porta con sé l'italiota, perchè boicotta, vanifica, azzera, buona parte dei sacrifici che tanti italiani responsabili, con il loro corretto comportamento e il cervello in modalità "on", stanno affrontando in queste ore in nome di un nemico comune. Un nemico che non lo vedi, che è invisibile, ma che in questo momento ci sta attaccando di brutto. Ci ha scelto, a noi italiani, il Covid-19, più che i francesi, i tedeschi, gli spagnoli e gli inglesi. Sì, proprio uno stronzo 'sto virus. E mi monta il sospetto che ci ha scelto proprio perché lo sa che da noi può contare su questo formidabile alleato. L' italiota, appunto. Senza l'italiota il signor virus di nome e corona di cognome, noi italiani brava gente ce lo leveremmo dalle palle non dico domani o fra una settimana, ma certamente dopo 2/3 settimane lo vedremmo già col fiato corto. Tutti a casa e gli taglieresti le gambe. Roba che a noi i cinesi ci spiccerebbero casa.

E invece no. Conte chiude i voli da e per la Cina? L'italiota di rientro da un viaggio d'affari da quelle parti si pensa paraculo e torna a casa facendo scalo prima in Thailandia piuttosto che in Cambogia. Di autodenunciarsi al rientro e mettersi in quarantena volontaria non ci pensa proprio. Scorazza per le strade, l'italiota proveniente da zone a rischio, magari positivo ma asintomatico, e unge moglie, figlie, nonna, il barista sotto casa e buona parte del suo quartiere, quando gli ospedali dalle sue parti già stanno in over booking. 

L'italiota è quello che con febbre e una tosse da cani, invece di chiamare i numeri d'emergenza, che ormai li conoscono anche i muri, si presenta direttamente in pronto soccorso e manda in quarantena i malcapitati medici ed infermieri che incrociano la sua strada.
L'italiota è il ragazzotto che "ma che palle" stare a casa e smanetta con gli amici di vedersi al solito posto all'insegna di "dammi il cinque" e abbracci. Quello che, seduto al bar del Paese, pomicia con la sua ganza che c'ha papà portantino all'ospedale come non ci fosse un domani. Che poi torna a casa e fa le coccole a zia Assunta che, porella, sta sempre da sola. Ma sì, pensa l'italiota medio, tutte "cazzate"! Io c'ho un esercito di anticorpi che levate, e poi lo sanno tutti, sto corona attacca i matusa, quelli che già stanno più di là che di qua.

L'italiota è quel giornalista traffichino che s'e fatto amico la segretaria/o del sottopanza del sottopanza di qualche pezzo grosso a Palazzo Chigi e che gli passa la bozza di un decreto d'urgenza che un Presidente del Consiglio deve ancora finire di concordare con le parti istituzionali. E lo porta trionfante al suo direttore di redazione che, italiota più di lui, lo pubblica in anteprima. Addirittura testate estere ne vengono in possesso prima di tutti. Contiene misure che di fatto isolano la Lombardia e altre 14 province, quel decreto. Quelle con il maggior numero di contagi. Tutto a puttane. Neanche il tempo, poche ore dopo, che venga firmato da Giuseppe Conte, che già decine di migliaia di italioti fuori sede, dal nord si spostano al sud. In piena notte è assalto all'ultimo treno prima della mezzanotte. Si calcolano oltre 20 mila persone. E ora vagli a mettere il sale sulla coda. Li aspettiamo al varco questi, quando, dio non voglia, mamma, papà e parenti vari, a Roma, Napoli, Reggio Calabria o Palermo, non dovessero trovare uno straccio di posto in terapia intensiva libero. Guardarsi allo specchio e darsi degli italioti, non gli servirà a molto.

L'italiota è il politico all'opposizione che manco un'emergenza nazionale come quella che stiamo vivendo induce alla collaborazione. Non ci pensa nemmeno a far fronte comune il politico italiota all'opposizione. Dice che è pronto a fare la sua parte, si fa venire la lacrima ad uso telecamere sproloquiando di un Paese in ginocchio, elogia l'abnegazione dei nostri medici ed infermieri che, h24, stanno affrontando la più grave crisi sanitaria che l'Italia ricordi, invoca l'unità nazionale, ma intanto semina discordia, tifando intimamente per lo sfascio del Paese. Lui, passata la tempesta, ne raccoglierà i cocci alla prima occasione. Il Governo? Come fa fa male. Adotta misure in linea con l'espandersi dei contagi? Sbaglia. "Chiudere subito i confini!" il Governo cintura le zone a rischio? "Danneggia l'economia, venite tutti in Italia. Giuseppe Conte? "un criminale! ". Basta dire il contrario no? Basta gettare fango. Facile no? Il culo mica lo sta rischiando lui, l'italiota all'opposizione. Egli semina il becchime della discordia in attesa che i polli, italioti pure loro, frastornati da tante voci ad capocchiam, gli portino qualche decimale di consensi in più. Una pole position nei sondaggi val bene lo sfascio di un intera Nazione. Che poi sia la sua, di Nazione, per l'italiota all'opposizione è un dettaglio.

Guardo fuori le strade, semideserte, della mia bella Roma e penso che quando questa epidemia da coronavirus sarà sconfitta, perchè sarà sconfitta, all'Italia resterà ancora di combattere la sua battaglia più difficile. Quella di riconvertire l'italiota in un cittadino responsabile.