martedì 21 luglio 2020

Aspettando gli aiuti di Paragone. - Gaetano Pedullà



Tra i fenomeni da circo della politica italiana quest’estate va di moda il numero della testa nella bocca del leone. La capoccia ovviamente non è quella di Lorsignori ma la nostra, che secondo mezzo Pd e i soliti Renzi, Calenda e Berlusconi (sempre più anime di uno stesso partito) dovremmo  infilare nella tagliola del Mes, cioè i prestiti europei che se non restituiti sono riscossi con proverbiale gentilezza dalla Troika. Mentre il Presidente del Consiglio Conte si fa il mazzo per convincere il Consiglio d’Europa che il Recovery Fund è fondamentale e urgente per non far saltare il Paese, qui gli remiamo contro facendo intendere che mezzo Parlamento per il momento si accontenterebbe pure del Mes. Il nostro arcinemico nel vertice sui fondi Ue, l’olandese Rutte, ringrazia.
Chi batte tutti per tempismo è però l’ex giornalista Paragone, un miracolato dai Cinque Stelle che l’hanno fatto eleggere senatore, e dal cui gruppo si è allontanato quasi subito, prima di essere formalmente espulso, casualmente dopo non aver ottenuto la presidenza della Commissione parlamentare sulle banche. Paragone da qualche giorno girovaga per Londra, dove è riuscito ad incontrare il leader della Brexit, Nigel Farage, con cui si sarebbe messo d’accordo per lanciare l’Italexit, cioè l’uscita dell’Italia dall’Unione europea. Cosa non si fa, d’altronde, per salvare la cadrega, in questo caso raccogliendo un po’ di voti da portare nella Lega, tanto Salvini sull’Europa dice peste e corna ma poi il coraggio di dire ai suoi amici imprenditori del Nord che vuole trascinarci fuori dall’Unione (e dall’euro) non ce l’ha. Mentre La Notizia va in stampa non si sa ancora come finisce il vertice Ue. La resistenza dei Paesi meno solidali, Olanda in testa, è stata strenua e in altri tempi l’Italia sarebbe rimasta a bocca asciutta. Stavolta, invece, grazie a un lavoro diplomatico certosino, pare che Conte riesca a strappare 200 miliardi tra prestiti e aiuti a fondo perduto. Aspettiamo che Paragone e Farage (quello che non voleva tirar fuori un soldo di Londra) ce ne diano di più.

Folli Bergère. - Marco Travaglio

Stefano folli e gianni letta - PREMIO TATARELLA 2016
Stefano Folli, Gianni Letta.
Di Stefano Folli, fin dai tempi in cui incensava B. e la Lega sul Corriere e sul Sole 24 Ore, non sospettando che un bel giorno sarebbe approdato a Repubblica (cosa peraltro insospettata anche dai giornalisti e dai lettori), ci hanno sempre colpito la prosa brillante quanto un contatore del gas e la logica stringente quanto una mutanda XXXL. Ma più ancora l’artistico riporto a torciglione, che un giorno definimmo “a nido di cinciallegra”, beccandoci dal titolare del medesimo una puntuta querela, purtroppo archiviata (avremmo pagato per poter esibire in un’aula di tribunale una perizia ornitologica sui punti di contatto fra quei due capolavori di scienza delle costruzioni). Mai come quando leggiamo i suoi scritti sepolcrali ci sale la nostalgia di Fortebraccio, immaginando che direbbe di Folli se fosse vivo: forse che il suo pensiero ricorda, come quello di Forlani, “una tanica vuota”. Forse che, come accadeva a Taviani, “ogni sera gli inservienti lo coprono con un telo sagomato per ripararlo dalla polvere, al pari delle altre poltrone”. Forse che, come Scalfaro, mostra “una frivolezza proverbiale” al cui confronto “il vescovo Lefebvre pare Brigitte Bardot”.
Ora però, dacché la Fca ha trasformato il fu organo della sinistra nel Circolo Ex Combattenti e Reduci de La Voce Repubblicana (Folli, Sambuca Molinari e Oscar Giannino, quello che millantava lauree mai conseguite e partecipazioni allo Zecchino d’oro mai sostenute), il nostro s’è ridestato dal mesto torpore di sempre e vive una seconda giovinezza. Ogni giorno, da quando il governo Conte2 è nato senza il suo permesso, ne annuncia la caduta: ora imminente, ora prossima, ora addirittura già avvenuta. Così, prima o poi, quando l’esecutivo avrà fine come ogni cosa umana, lui potrà vantarsi di averlo previsto. Martedì scorso, mentre il Cdm si riuniva sul caso Benetton-Autostrade, Folli si coricò con la ferma convinzione che Conte non avrebbe passato la notte. E l’indomani si svegliò con la notizia doppiamente ferale che i Benetton non c’erano più e Conte c’era ancora. Allora puntò tutto sul Consiglio europeo del Recovery Fund, dove gli amici “frugali” promettevano di farci un mazzo così e, alla sola idea, il riporto gli s’impennava con scappellamento a destra. Poi sapete com’è andata: Conte, che Repubblica voleva “all’angolo” isolato da tutti, s’è battuto strenuamente, ha fatto asse con Merkel, Macron, Sánchez, greci, portoghesi e persino Orbán, portando a casa un accordo tutt’altro che disprezzabile per l’Italia. Pare che ieri, al risveglio, Folli fosse intrattabile, anche perché Repubblica aveva avuto la malaugurata idea di commissionare un sondaggio sul premier.
E quel che è peggio di pubblicarne i risultati: “Il premier più popolare di sempre”, “Conte guida la classifica degli ultimi 24 anni”, “Il miglior premier dal 1994”. Figuratevi come dev’essersi sentito il povero Folli, che domenica sera, un attimo prima di planare tra le braccia di Morfeo pregustando una notte di tregenda con crisi di governo incorporata, aveva vergato la solita colonna carica di foschi presagi sugli “errori” e l’“inesperienza” di Conte, partito per Bruxelles senza neppure chiedergli un consiglio né “presentare il piano per le riforme” (che, non sapendo quanti soldi arriveranno, non l’ha presentato nessuno dei 27 Stati membri). Così, per colpa sua, “la coperta si è rattrappita” e “i miliardi si sono ridotti” a maggior gloria dell’Olanda, la nuova patria di Fca governata dall’ottimo Rutte, dipinto come “uomo nero” mentre è un fico pazzesco (“ha avuto campo libero”). Quindi ora avremo nefasti “riflessi in patria dello psicodramma” che non potranno non travolgere quel pirla del premier. Non subito, ma presto, prestissimo: “All’inizio prevarrà una certa solidarietà in chiave, diciamo così, nazionalista verso l’uomo che s’è battuto senza risparmio… Anzi, una sapiente regia mediatica (il solito Casalino, che com’è noto controlla tutti i giornali, nessuno escluso, ndr) può persino riuscire a incrementare a breve la popolarità del premier combattente sfortunato” (battutona). Insomma “oggi nessuno può volere una crisi di governo”, a parte lui. Ma lui – 24 ore prima dell’accordo – già sa che “la riduzione dei sussidi a fondo perduto lascia scoperta una quota tra i 20 e i 30 miliardi che a Roma si considerava già acquisita” (l’altra sera, per dire, da Checco er Carrettiere non si parlava d’altro). Dunque “ora il Mes torna d’attualità”, anzi “diventa una priorità”, e pure “urgente”.
A Bruxelles nessuno ne parla, perché nessuno lo vuole. Ma il Mes è il sogno erotico di Folli: il fatto che sia un prestito e non un sussidio e che i prestiti del Recovery fund aumentino col taglio dei sussidi, con meno rischi di quelli del Mes, e che nell’ultima bozza di accordo l’Italia perda solo 3,5 miliardi di sussidi e ne guadagni 38 di prestiti (pari a quelli del Mes), non lo sfiora. E neppure il fatto che, con quel che s’è visto dai “frugali”, il pericolo di ritrovarsi condizionalità ex post una volta presi i soldi del Mes è ancor più alto di prima. Ma lui somma le mele alle banane perché del Mes non gliene frega nulla: ciò che conta è che “il Pd è favorevole e i 5S contrari, ma dovranno rivedere la loro posizione e dividersi” e “per il Conte2 questo è il nuovo ostacolo”, che “dopo le elezioni di settembre potrebbe rivelarsi troppo alto”. E lì, finalmente, sarà l’apocalisse. Al solo pensiero, gli si rizza il riportino.

Soldi, controlli, sconti e vincoli. Cosa c’è nella proposta finale. - Carlo Di Foggia

Soldi, controlli, sconti e vincoli. Cosa c’è nella proposta finale

L’ accordo, almeno per le cifre finali, pare a un passo. Mentre andiamo in stampa il Consiglio europeo è ancora in corso. Ecco quel che sappiamo in base alla bozza predisposta dal presidente, il belga Charles Michel
I soldi. Il Fondo di recupero, che si chiama Next generation Ue, partiva dai 750 miliardi, 500 di sussidi 250 di prestiti, proposti dalla Commissione. Soldi da incassare in quattro anni e restituire dal 2028. La bozza conferma la cifra finale, ma rivede la composizione: i prestiti salgono di 110 miliardi e le sovvenzioni scendono in egual misura. La modifica non ha impatto sul cuore del piano, che si chiama Resilience and Recovery Facility, che ora vale 672 miliardi: di questi 312 i sono sussidi (dai 310 iniziali), e 360 prestiti (100 in più). A farne le spese sono stati i programmi complementari e con destinazione specifica, dove i sussidi passano da 190 a 77 miliardi: il programma sanitario, per dire, viene quasi azzerato; quello sulla ricerca (Horizon) perde 8,5 miliardi, il Fondo per la transizione ecologica almeno 20 (il maggior beneficiario era la Polonia, che infatti protesta) e via discorrendo. Secondo il governo italiano, a Roma sarebbe andato ben poco di queste risorse e quindi il risultato rispetto alla proposta della commissione non cambia: le sovvenzioni scendono a 85 a 81 miliardi, i prestiti addirittura salgono da 90 a 127. La cifra finale, sostengono, dovrebbe essere 209 miliardi. Per la parte sussidi il beneficio netto per l’Italia è intorno ai 25 miliardi. Il grosso dei fondi, però, arriverà tardi, nel 2022-2023.
Il controllo. È l’altro grande nodo: l’Italia e il blocco del Sud voleva tutto in mano alla Commissione, i Paesi “frugali” (Olanda, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia) tutto agli Stati, cioè ai governi. Il compromesso è col bilancino: i soldi verranno stanziati sulla base dei “recovery plans” che ogni anno gli Stati presenteranno a Bruxelles, approvati dal Consiglio a “maggioranza qualificata” su proposta della Commissione; sarà Bruxelles a vigilare sui pagamenti, in base ai target raggiunti dai singoli Paesi, e su questo si farà aiutare dal comitato dei tecnici dei ministeri dell’Economia dei 27 stati membri. Il potere di veto chiesto dai “Frugali” viene annacquato: ogni Paese potrà deferire i trasgressori al Consiglio, che poi si esprimerà entro tre mesi. Nel frattempo tutti i pagamenti saranno bloccati. I target saranno legati alle “raccomandazioni” che ogni anno la Commissione dà ai Paesi. Per l’Italia quelli del 2020 prevedevano di tornare su “un sentiero di riduzione del debito/Pil”. Il rischio è che venga richiesta una stretta fiscale una volta ripristinato il Patto di stabilità.
I “rebates”. Il Recovery fund è agganciato al bilancio Ue 2021-2027 (che vale 1.070 miliardi). L’ok dei frugali arriverà solo in cambio del mantenimento degli “sconti” sui contributi da versare e concessi a Germania, Olanda e altri Paesi nordici. Berlino rimane a quota 3,6 miliardi, per gli altri le cifre salgono: +100 milioni per la Danimarca,; +345 per i Paesi Bassi di Mark Rutte; +278 per l’Austria di Sebastian Kurz; +246 per la Svezia.
Gli altri vincoli. Francia e blocco nordico vogliono vincolare i fondi al rispetto “dei valori civili e sociali dell’Ue”, scelta che inguaierebbe l’Ungheria di Victor Orbán e la Polonia, che infatti minacciano il veto (la bozza prevede un generico “schema di condizionalità”). Varsavia è anche infuriata perché restano i target ambientali (che vincolano il 30% dei fondi), come la “neutralità climatica” entro il 2050.

Cosa Nostra si riorganizza con traffico droga: 15 arresti a Palermo.

Cosa Nostra si riorganizza con traffico droga: 15 arresti a Palermo (Video)

Nuovo colpo al mandamento mafioso di Pagliarelli a Palermo. I Carabinieri del Comando Provinciale hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dall’Ufficio Gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 15 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e detenzione e vendita di droga, commessi con l’aggravante delle finalità mafiose.

L’indagine, diretta dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase di un’articolata manovra condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli e in particolare sulla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione di Cosa nostra.
Alcuni degli elementi indiziari emersi nel corso delle indagini erano già confluiti nel provvedimento di fermo d’indiziato di delitto emesso dalla Dda di Palermo ed eseguito il 4 dicembre 2018 - operazione “Cupola 2.0” - con la quale era stata smantellata la nuova commissione provinciale di cosa nostra palermitana, che si era riunita per la prima volta il 29 maggio 2018.

In quel contesto erano state già tratte in arresto 10 persone ritenute appartenenti al mandamento mafioso di Pagliarelli, tra cui Settimo Mineo, capo del mandamento mafioso, Filippo Annatelli, reggente della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi e Salvatore Sorrentino, referente del Villaggio Santa Rosalia.
Cosa nostra di Palermo ha riorganizzato la sua "struttura criminale" occupandosi della "gestione del traffico e della vendita di stupefacenti nel territorio controllato dalla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi", dicono gli inquirenti nell'ambito dell'indagine che all'alba di oggi ha portato all'arresto di 15 persone. "La rimodulazione degli assetti veniva proposta a Filippo Annatelli, reggente della famiglia mafiosa, da un affiliato della consorteria, Salvatore Mirino, deciso a convincere il proprio referente mafioso ad affidargli, a pochi giorni dalla sua scarcerazione, la direzione operativa delle attività legate allo smercio di droga nell’area controllata dal sodalizio", spiegano gli investigatori. "Il progetto proposto da Mirino otteneva l’avallo della figura verticistica della famiglia e comportava la contestuale estromissione dei soggetti sino a quel momento deputati a gestire il traffico illecito".
Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, i magistrati hanno documentato "le fasi precedenti, concomitanti e successive all’incontro riservato, avvenuto nel febbraio del 2017 all’interno di un’agenzia di onoranze funebri, tra Annatelli e Mirino in cui si decideva, in favore del secondo, di estromettere il sodale precedentemente incaricato della gestione del traffico di stupefacenti, individuando la necessità di affidare a nuovi personaggi di massima fiducia il controllo della vendita di droga su Corso Calatafimi".

La nuova struttura era così articolata: Filippo Annatelli, al vertice della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi, "demandava la gestione operativa ad altri sodali, autorizzandone le iniziative di volta in volta prospettate, e manteneva i rapporti con le figure qualificate delle altre famiglie mafiose palermitane, intervenendo in prima persona in caso di frizioni tra i membri delle diverse consorterie". Mirino ed Enrico Scalavino "deputati alla gestione operativa dei traffici e dello smercio della droga, fungevano da intermediari". Giuseppe Massa, detto “Chen”, e Ferdinando Giardina, responsabili della fornitura dello stupefacente ai pusher di livello inferiore, erano incaricati anche della riscossione del denaro derivante dalla vendita della droga.
Gli incassi del traffico di droga sul territorio palermitano confluivano direttamente nelle casse dei boss di Cosa nostra, secondo quanto emerge dall'operazione antimafia. "La complessa indagine rivelava uno spaccato della realtà mafiosa palermitana e del suo diretto coinvolgimento in dinamiche legate al traffico e alla vendita al dettaglio di sostanze stupefacenti di diverso genere, i cui proventi, decurtati del guadagno dei singoli spacciatori individuati e autorizzati a smerciare droga dal sodalizio, confluivano nelle casse dell’organizzazione", dicono gli inquirenti.

Recovery Fund: raggiunto un accordo. -


Ursula von der Leyen, Charles Michel.

"Giorno storico per l'Europa", il commento di Macron.

I leader europei hanno raggiunto lo storico accordo sul Recovery Fund ed il Bilancio Ue 2021-2027 al termine di un negoziato record durato quattro giorni e quattro notti. Si tratta del summit più lungo della storia dell'Unione Europea. Il Recovery Fund ha una dotazione di 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi di sussidi. Il bilancio è stato fissato a 1.074 miliardi. 
Conte: "Con 209 miliardi l'Italia può ripartire con forza" - "Avremo una grande responsabilità: con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l'Italia con forza e cambiare volto al Paese. Ora dobbiamo correre", le parole del premier Giuseppe Conte. "Siamo soddisfatti: abbiamo approvato un piano di rilancio ambizioso e adeguato alla crisi che stiamo vivendo - ha continuato -. Abbiamo conseguito questo risultato tutelando la dignità del nostro Paese e l'autonomia delle istituzioni comunitarie".
Gentiloni: "Recovery la decisione più importante dopo l'Euro" - "Il vertice infinito è finito con un'intesa". Quella sul piano NextGenerationEu "è la più importante decisione economica dall'introduzione dell'euro". Lo scrive in un tweet il commissario Ue per l'Economia Paolo Gentiloni. "Per la Commissione che ha proposto il piano, comincia la sfida più difficile. L'Europa è più forte delle proprie divisioni".
Soddisfatti i leader europei per l'accordo sul Recovery Fund - "L'abbiamo fatto. Ci siamo riusciti. L'Europa è solida, è unita. E' stato difficile", le parole del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. "L'Europa ha ora la possibilità di uscire più forte dalla crisi", dice la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Parla di "buon segnale" all'Europa la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, mentre il presidente francese, Emmanuel Macron, ha evidenziato le "conclusioni storiche" di un "vertice difficile" con "visioni diverse dell'Europa".

Capolavoro. - Andrea Scanzi

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È quello che ha ottenuto Giuseppe Conte dopo una trattativa durissima, in cui l’Europa (e quindi l’Italia) si è giocata tutto. L’ufficialità è arrivata alle 5.32 di stamattina, al quarto giorno di plenaria. Per una volta, l’Europa non si è rivelata soltanto una mera realtà geografica.

Ieri sera, all’ora di cena, quando i profili dell’accordo sono parsi chiari, persino alcuni detrattori storici del Presidente del Consiglio hanno dovuto ammettere a denti stretti: “Se finisse così, sarebbe un’innegabile vittoria per Conte”. Infatti certi programmi di propaganda destrorsi, ieri sera, erano tristi come Renzi dopo il meraviglioso 4 dicembre 2016. E vedere le loro facce idiotamente bastonate era sublime.


L’Italia porta a casa addirittura più di quanto si sperasse a maggio, quando il Recovery Fund (fortemente voluto da Conte) era giusto un’idea vaga di salvadanaio multiuso. Nello specifico, il nostro paese perde 3,8 miliardi di aiuti diretti rispetto ai previsti 85.2 a fondo perduto, fissando l’asticella a 81,4. Ma ne guadagna 38 in prestiti, che nella nuova versione salgono a 127 miliardi (previsti 89 circa). Dei 750 miliardi europei, poco meno di 209 (dovevano essere sui 174) andranno al nostro Paese, primo beneficiario del Fondo davanti alla Spagna.


Nelle prossime ore vedrete - da parte dei soliti casi umani - la consueta sfilata putrida di disonestà intellettuale. Pur di non ammettere che Conte ha fatto un capolavoro, diranno di tutto. Come lo hanno detto durante la pandemia. Come lo hanno detto dopo Autostrade. Eccetera. Oggi dovremmo essere felici tutti, ma certe beccacce - pur di veder politicamente morto Conte - auspicherebbero financo il trapasso del paese.


Anche solo due giorni fa, con quella sciagura ambulante chiamata Rutte messasi di traverso, un accordo così pareva impossibile. Invece è arrivato. Certo, i “paesi frugali” ottengono in cambio sconti e agevolazioni assai discutibili, ma le trattative estenuanti sono così: si prende e si dà. Si chiama realtà, e la realtà è come la politica per Rino Formica: “sangue e merda”. Tutto il resto è pippa mentale o propaganda, oppure entrambe le cose (cioè Salvini).


Ci attendono mesi duri, scelte faticose, battaglie tremende. Sarà una lunga lotta: per i cortei è presto. Ma - nella tempesta - meglio di così non poteva andarci, e menomale che a Palazzo Chigi c’è un galantuomo. E non certi sciacalli.


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lunedì 20 luglio 2020

Gli “avari” pretendono lo sconto. Conte a Rutte: “Ne risponderai”. - Uski Audino e Marco Pasciuti

Gli “avari” pretendono lo sconto. Conte a Rutte: “Ne risponderai”

Vertice fiume fino a tardi. I nodi. I “frugali” s’impuntano su 350 miliardi di aiuti (e altrettanti di prestiti), per Roma si parla di 70 miliardi.
Sul cammino irto di ostacoli del Consiglio Ue verso l’intesa sul Multiannual financial framework, il bilancio 2021-2027, e il Next Generation Eu, il fondo da 750 miliardi pensato per tenere a galla le economie più colpite dal Covid-19, i 27 hanno mosso passi in avanti. Con il Risiko giocato tra le sale di Palazzo Europa che si è protratto ancora una volta nella notte, anche ieri la partita centrale è stata quella della ripartizione dei fondi tra “grant” e “loan”. L’Italia e i paesi del Sud puntavano a tenere alta la quota dei primi, i finanziamenti a fondo perduto, e non scendere sotto quota 400 dei 750 miliardi disponibili, già in ribasso dai 500 di sabato. L’obiettivo dell’Olanda e dei Paesi “avari”, secondo la definizione della delegazione polacca, era quello di aumentare la frazione dei prestiti che, a differenza dei primi, dovranno essere restituiti e andranno ad aumentare il debito pubblico dei Paesi beneficiari. Al mattino le posizioni sono ancora lontane, così la plenaria fissata per le 12 slitta: si va avanti con i bilaterali. Alle 14,30, mentre il presidente Charles Michel lavora alla nuova bozza, la cifra che circola è di 420 miliardi ma per i Mark Rutte & C. è ancora troppo. Attorno alle 15.30 voci danno la mediazione raggiungibile a 375 miliardi, la metà dei 750 previsti, ma per i Paesi del Nord la parte a fondo perduto è ancora alta. È a quell’ora che i due schieramenti si affrontano: da un lato Italia, Grecia, Spagna e Portogallo; dall’altro Austria, Olanda, Svezia e Danimarca. Cui si aggiunge la Finlandia, ufficialmente non nella cerchia degli avari, ma parte del fronte Nord.
Alle 17.30 Giuseppe Conte e Rutte si trovano l’uno di fronte all’altro. Ora i frugali chiedono un Recovery Fund diviso a metà: 350 miliardi a fondo perduto, 350 in prestiti. “Vi state illudendo che la partita non vi riguardi o vi riguardi solo in parte”, è l’ammonimento del premier. “Se lasciamo che il mercato unico venga distrutto tu forse sarai eroe in patria per qualche giorno – aggiunge Conte – ma dopo qualche settimana sarai chiamato a rispondere pubblicamente per avere compromesso una adeguata ed efficace reazione europea”. La partita riprende nella plenaria che alle 19.30 assume la forma di una cena di lavoro. È la sede in cui l’embrione di un accordo comincia a formarsi: la cifra complessiva si attesta tra i 700 e i 720 miliardi, 360-370 sono “grants” e 350 “loans”. Il fattore da considerare, spiegano i tecnici nella notte, è la chiave di allocazione. Il primo dei due strumenti del Next Generation Ue, il Recovery Resilience fund, avrà in dotazione circa 310 miliardi, 60 dei quali dovrebbe andare a Roma. A questi si aggiungerebbero circa 15 miliardi previsti dal secondo fondo, il React EU. I prestiti, invece, salirebbero in totale a 350 miliardi e con la chiave di ripartizione attuale l’Italia ne avrebbe fino a 115.
L’altra trincea che divide Nord e Sud Europa è quella della governance. L’Italia puntava ad accedere ai fondi senza la spada di Damocle del ricatto di un paese (su 27) che decida di bloccarne l’erogazione con un veto. E in tarda serata il pericolo sembrava essere stato scongiurato. Sul tema la delegazione di Roma ha presentato una proposta informale e appoggia il meccanismo del “freno d’emergenza” proposto da Michel. Prevede che un Paese non convinto dell’esecuzione dei piani di riforma presentati dai singoli Stati possa chiedere entro 3 giorni una revisione dei finanziamenti. La domanda è: chi decide? Per Rutte dovrebbe farlo il Consiglio, che per come è regolato ab origine lo fa all’unanimità. In questo modo l’Olanda o chi per lei avrebbe il diritto di veto. Conte ha proposto, invece, che per bloccare l’erogazione serva una maggioranza qualificata. Una soluzione che consentirebbe di salvaguardare gli equilibri tra le istituzioni comunitarie, poiché è alla Commissione, e non al Consiglio, che i trattati assegnano il potere esecutivo e di controllo.
Sul tavolo c’è poi un’altra questione, che chiama in causa il blocco di Visegrad. Rutte (e diversi altri leader preoccupati per le riforme attuate in alcuni Stati dell’Est, Ungheria e Polonia in primis) vogliono condizionare l’erogazione dei fondi al rispetto del diritto e dei valori dell’Ue. Una condizione inaccettabile per Budapest e Varsavia. A metà pomeriggio Viktor Orban spiegava ai giornalisti di essere dalla parte dell’Italia e che “il tipo olandese” (Rutte) ce l’ha con lui, “e non so perché”.
È il tempo il 28° convitato ai tavoli dei leader, con i mercati di lunedì che attendono l’esito della lunga maratona negoziale. “È meglio concordare una struttura ambiziosa anche se richiede un po’ più di tempo”, si sbilancia in serata la presidente della Bce Christine Lagarde. Conte, trapela dalla delegazione, preferisce tenere aperta la negoziazione a oltranza mantenendo fermi i punti già fissati. Nel momento in cui siamo andati in stampa le trattative erano ancora in corso, con i cosidetti “frugali” che alzavano la posta in gioco e chiedevano sconti fino a 25 miliardi sui versamenti all’Ue.