Come volevasi dimostrare, da quando è nato il governo Draghi il centrodestra non è mai stato così bene e i giallorosa così male. Non occorrevano le dimissioni di Zingaretti per capirlo. È un effetto collaterale dell’ammucchiata, in cui Draghi, per sua fortuna estraneo ai giochi politici, c’entra poco. C’entra molto di più chi l’ha concepita e imposta col ricatto del 2 febbraio al Parlamento “o mangiate questa minestra o saltate da quella finestra”: Mattarella & his friends. I quali, anziché usare quell’arma di pressione per rinviare alle Camere il Conte-2 (con lo spettro delle urne, i 5 o 6 voti mancanti al Senato sarebbero diventati 50 o 60), hanno preferito creare il Governo di Tutti. Come se, caduti il Conte-1 per mano di Salvini e il Conte-2 per mano dell’altro Matteo, la soluzione fosse un assembramento con tutti dentro. Come se le liti dei giallorosa si potessero spegnere cumulandole con quelle del centrodestra. Come se le discordie fra i partiti fossero pretestuose come quelle agitate dall’Innominabile contro Conte (Mes, task force del Recovery, Dpcm, settimane bianche, 007, reddito, Casalino, subito scomparse dai radar dopo il premiericidio), e non invece sostanziali e squisitamente politiche: a chi vanno i 209 miliardi Ue, se i vaccini sono un bene pubblico o un affare privato, se nella lotta al Covid prevale la salute o il profitto.
Per rinviare la politica a data da destinarsi, si è optato per due governi in uno: quello vero, che fa capo a Draghi, ai suoi tecnici e a Giorgetti, più il capo della Polizia e un generale dell’Esercito, che si occupano della ciccia senza render conto a nessuno; e quello finto dei ministri presi dai governi Conte e B., con funzioni puramente decorative. Il silenzio di Draghi regala praterie a Salvini, che come sempre blatera (così molti credono che faccia tutto lui, come nel Conte-1, senza neppure il fastidio della sinistra che gli dà del fascista o gli ricorda i flop della sua Lombardia). FI si ricompatta col sacro mastice del potere e pare addirittura un organismo vivente (c’è persino la Gelmini in vetrina). E la Meloni incassa consensi da esclusivista dell’opposizione, pronta a riunirsi con Matteo e Silvio in tempo per le urne. Chi sta meglio di loro? Il prezzo lo pagano tutto i 5Stelle, il Pd e LeU, che non toccano palla in un governo fatto apposta per il centrodestra. Con la differenza che il M5S ha almeno la carta Conte da giocare. Il Pd nemmeno quella. Zingaretti, con tutti i suoi limiti, era sopravvissuto a due scissioni (Renzi e Calenda) riscoprendo un barlume di progressismo, azzeccando l’asse col M5S e guadagnando consensi: peccato mortale, per un partito a vocazione suicidiaria per via della variante renziana. Quod non fecerunt Napolitani fecerunt Mattarelli.
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